LA CORTE D'APPELLO Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa civile iscritta al n. 68 dell'anno 1994 del ruolo generale degli affari conteziosi vertente tra l'Istituto autonomo per le case popolari della provincia di Reggio Calabria, in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti De Leo Giuseppe ed Eugenia Rita Minico', appellante, contro Pellicano Luciano, Pellicano Piera e Calabro' Marisa vedova Pellicano, rappresentati e difesi dall'avv. Pietro Giovine, appellati. Ritenuto in fatto: che con sentenza del tribunale di Reggio Calabria n. 79/93 depositata il 26 febbraio 1993 l'Istituto autonomo per le case popolari (I.A.C.P.) della provincia di Reggio Calabria e' stato condannato, tra l'altro, al pagamento in favore di Calabro' Marisa, Pellicano Luciano e Pellicano Piera della somma di lire 1.671.000.000 (comprensiva di rivalutazione), con gli interessi legali dal 9 gennaio 1982 sino all'effettivo soddisfacimento, a titolo di risarcimento del danno per l'estinzione del diritto dominicale privato e la contestuale acquisizione, a titolo originario, da parte dello stesso I.A.C.P. del terreno edificatorio sito in Archi di Reggio Calabria, riportato nel N.C.T. alla partita 11531, foglio 1, particella 63; che avverso tale decisione l'Istituto ha proposto appello davanti a questa Corte, con atto notificato il 24 marzo 1994, deducendo, preliminarmente, il difetto di legittimazione passiva e, in via subordinata, l'erronea determinazione del valore venale del terreno per cui e' causa; che la Calabro' e i Pellicano hanno chiesto il rigetto del gravame; che, essendo stata nelle more innovata la determinazione dell'ammontare del risarcimento del danno in caso di c.d. occupazione acquisitiva, a seguito dell'approvazione dell'art. 1, sessantacinquesimo comma, legge 28 dicembre 1995, n. 549 (che ha modificato il sesto comma dell'art. 5-bis d.-l. 11 luglio 1992, n. 333, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1992, n. 359), gli appellati hanno denunciato la norma d'illegittimita' costituzionale per violazione degli artt. 2, 3, 97, 28, 43, 42 (secondo comma), 41 (primo comma) Cost. O s s e r v a La questione di legittimita' costituzionale della citata disposizione - applicabile alla controversia in corso non essendo stata ancora determinata in via definitiva l'entita' del risarcimento del danno - e' rilevante e non manifestamente infondata. In proposito vanno illustrati (anche al di la' della prospettazione degli appellati) i seguenti rilievi, mentre sara' decisa congiuntamente al merito l'eccezione di difetto di legittimazione passiva sollevata dall'I.A.C.P.. Il primo rilievo attiene alla violazione dell'art. 3 Cost. per una ingiustificata equiparazione di situazioni profondamente differenti. Lo stesso giudice delle leggi, con pronuncia n. 442 del 16 dicembre 1993, ha precisato che l'espropriazione legittima e l'occupazione acquisitiva sono fattispecie "assolutamente divaricate e non comparabili", evidenziando che nella prima, il rispetto dei presupposti formali e sostanziali del procedimento costituisce adeguata garanzia per il privato, mentre, nella seconda la sottrazione al controllo dell'osservanza dei presupposti giustifica conseguenze piu' gravose per l'ente espropriante. Tale diversita' e' stata ribadita anche di recente dalla stessa Corte, con sentenza n. 188 del 23 maggio 1995, che, richiamando la giurisprudenza della Corte di cassazione a sezioni unite, ha affermato che l'acquisto in capo alla pubblica amministrazione "del nuovo bene, risultante dalla trasformazione del precedente si configura... come una conseguenza ulteriore, eziologicamente dipendente non dall'illecito, ma dalla situazione di fatto - realizzazione dell'opera pubblica con conseguente non restituibilita' del suolo in essa incorporato - che trova il suo antecedente storico nella illecita occupazione e nell'illecita destinazione del fondo alla costruzione dell'opera stessa". Anche il legislatore attrae la fattispecie dell'occupazione acquisitiva nell'ambito dell'illecito, tanto che, nella norma in esame, distingue l'indennizzo dal risarcimento del danno, pur procedendo al tempo stesso alla denunziata, ingiustificata equiparazione, in quanto omette di considerare il disvalore della condotta antigiuridica dell'occupante e i differenti punti di equilibrio che l'indennizzo ed il risarcimento del danno rappresentano. Invero, nell'espropriazione legittima la misura dell'indennizzo viene configurata come il punto di equilibrio tra l'interesse pubblico e l'interesse del singolo proprietario; nell'occupazione illegittima il risarcimento del danno viene configurato come il punto di equilibrio tra l'interesse pubblico al mantenimento dell'opera gia' realizzata e la reazione dell'ordinamento a tutela della legalita' violata. Nella prima fattispecie rileva la mediazione di cui al terzo comma dell'art. 42 Cost., piu' volte valutata dalla Corte costituzionale; nella seconda, mancando un procedimento espropriativo secundum legem (nel rispetto dei presupposti formali e sostanziali che rappresentano garanzie per il proprietario, la cui eventuale inosservanza puo' essere fatta valere), la proprieta' privata - data l'assenza di qualsiasi valutazione comparativa - non puo' che rilevare tout-court come situazione soggettiva che l'ordinamento deve proteggere prescindendo, quanto meno, ai fini dell'entita' del risarcimento del danno, dalla natura (privata o pubblica) del soggetto, autore dell'illecito. A quanto fin qui esposto si collega il secondo rilievo che e' apprezzabile in rapporto alla norma di cui all'art. 42, commi secondo e terzo, Cost. per l'ingiustificata compressione del diritto di proprieta' che la disposizione in esame comporta. Invero, al di fuori di una procedura espropriativa, attesa l'esclusione della retrocessione del fondo privato, la tutela risarcitoria si configura come l'unica forma di tutela residua offerta ad una situazione di diritto soggettivo costituzionalmente prevista e di fatto violata, in quanto il principio di legalita' non consente di legittimare (sia ex post che ex ante) volontari atti di aggressione di una posizione soggettiva costituzionalmente garantita (quale la proprieta' privata), ricommettendo ad essi le stesse conseguenze, al di fuori del rispetto della di cui al terzo comma dell'art. 42 Cost.. L'ultimo rilievo attiene alla violazione degli artt. 3 e 97 Cost.. La norma in questione, assicurando uguaglianza tra debito risarcitorio e debito indennitario e garantendo di conseguenza, l'irresponsabilita' dei pubblici amministratori e funzionari (che hanno sviato il procedimento di espropriazione regolare), avra' l'effetto pratico di indurre la p.a. a preferire alla procedura espropriativa comportamenti di fatto contra legem, svincolati dai controlli di legittimita', con inevitabile violazione del principio di buon andamento e imparzialita' dell'amministrazione. Per quanto precede, la Corte ritiene non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale del sessantacinquesimo comma dell'art. 1 della legge 28 dicembre 1995, n. 549 (che ha sostituito il sesto comma dell'art. 5-bis del d.-l. 11 luglio 1992, n. 333, convertito con modificazioni dalla legge 8 agosto 1992, n. 359) in riferimento agli artt. 3, comma primo, 42, commi secondo e terzo, e 97 della Costituzione, provvedendo come da dispositivo, ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87.