Ricorso per conflitto di attribuzioni (ex art. 134 Cost., art. 37 legge 11 marzo 1953, art. 26 d.c.c. 16 marzo 1956), del dott. Giorgio Della Lucia, nella sua qualita' - in relazione alle attribuzioni di cui al presente ricorso - di giudice istruttore presso il Tribunale di Milano, rappresentato e difeso in forza di procura in calce al presente atto dall'avv. prof. Giorgio De Nova e dall'avv. Gualtiero Rueca ed elettivamente domiciliato presso lo studio di quest'ultimo in Roma, largo della Gancia n. 1, solleva conflitto contro la Corte dei conti, procura regionale della Lombardia, in persona del procuratore regionale pro-tempore, in relazione all'atto di citazione notificato in data 12 dicembre 1995 con il quale il procuratore regionale della Corte dei conti cita il dott. Giorgio della Lucia a comparire avanti la Corte dei conti, sezione giurisdizionale della Lombardia, per essere condannato al pagamento in favore dell'erario della somma di L. 1.106.590.772 (un miliardocentoseimilionicinquecentonovantamilasettecentosettantadue lire) a titolo di responsabilita' "amministrativa" in relazione a provvedimenti assunti nell'esercizio delle proprie funzioni "giurisdizionali". Fatto e diritto 1. - Premessa. Il dottor Della Lucia ha svolto nel corso degli anni 1986-1991 le funzioni di giudice istruttore presso il tribunale di Milano occupandosi, fra l'altro, di un complesso rilevante di procedimenti aventi ad oggetto le vicende finanziarie della Cassa di risparmio di Asti ed i rapporti tra questa, varie societa' ed il noto finanziere Alberto Rapisarda. In relazione al numero rilevante di rapporti e contratti, intercorsi per numerosi anni tra vari soggetti, persone fisiche e societa', ed alla mole documentale da acquisire e vagliare nel corso di detta istruttoria il g.i., su specifica richiesta della procura della Repubblica, ha disposto lo svolgimento di numerose perizie contabili, avvalendosi in particolare del dott. Paolo Brecciaroli, noto professionista da molto tempo consulente e perito degli uffici giudiziari milanesi. Al termine dell'attivita' resa dal perito, nell'ambito della quale allo stesso ed ai suoi collaboratori era stato richiesto anche di procedere alla classificazione e microfilmatura dei documenti esaminati, che occupavano vari locali del tribunale, il g.i. dispose con propri decreti la liquidazione dei compensi, sulla base della tariffa professionale vigente e riconoscendo la sussistenza dei presupposti di cui all'art. 5 della legge 8 luglio 1980 n. 319, per consentire il raddoppio degli onorari, anche in considerazione del superamento dello scaglione tariffario massimo in relazione al valore delle questioni trattate. Con il che dando applicazione ad una tesi interpretativa della norma richiamata gia' fatta propria da vari tribunali (circ. pres. trib. Roma prt. 4161 del l4 aprile 1984) e recentemente confermata dalla Corte di cassazione (Sez. I civ., 26 giugno 1995, n. 7214/1995). Sempre in tali decreti di liquidazione non si faceva applicazione della riduzione del quarto del compenso per tardivo deposito della perizia, in quanto si riteneva che la norma, che tale riduzione prevede (art. 8 legge n. 319/1980), non fosse applicabile ai compensi liquidati a percentuale (e non a tempo) ed in ogni caso in relazione alla scusabilita' del ritardo. I decreti di liquidazione in questione per la gran parte non vennero da alcuno contestati. Solo per alcuni di essi vi fu una pronuncia di riliquidazione da parte del tribunale (provv. del 772/1992 - ex art. 11 della legge n. 319/1980) - su richiesta del p.m., per una minor somma di L. 145 milioni. L'azione per danno erariale, in relazione ai decreti di liquidazione in esame, ha preso avvio per effetto della trasmissione alla procura generale della Corte dei conti delle risultanze dell'attivita' ispettiva svolta dall'Ispettorato generale del Ministero di grazia e giustizia, eseguita nei mesi di settembre-ottobre del 1993 su ordine del Ministro, a cio' sollecitato in sede parlamentare con specifica interpellanza degli on. Rabino e Binelli. Nell'atto di citazione che si contesta l'azione del procuratore regionale della Corte dei conti viene sindacata la valutazione del giudice in ordine all'applicazione nella fattispecie concreta della norma di legge che regola la quantificazione degli onorari del perito nonche' la motivazione del provvedimento giurisdizionale, che si assume insufficiente ed errata. Tale contestazione travalica le funzioni ed i poteri della Corte dei conti quali stabiliti dalla Costituzione (artt. 100 e 103) interferendo gravemente in quelli riconosciuti e tutelati in capo alla magistratura ordinaria e ledendo lo status di indipendenza ed insindacabilita' del giudice nell'esercizio della funzione giurisdizinale (artt. 101, 102, 104 e 108 Cost.). 2. - Ammissibilita' del conflitto. 2.1. - Profilo soggettivo. Il ricorso e' proposto da un soggetto appartenente all'Ordine giudiziario - nel caso di specie un giudice istruttore del tribunale penale - il quale lamenta un'indebita interferenza in relazione a provvedimenti dallo stesso assunti nell'esercizio della propria funzione. In relazione al disposto dell'art. 37, primo comma, della legge 11 marzo 1953 n. 87, si fa presente che il giudice che provvede, con decreto, alla determinazione e liquidazione dei compensi spettanti al perito dallo stesso nominato e' organo competente a dichiarare definitivamente la volonta' del potere cui appartiene: cio' in quanto egli assume provvedimenti con il carattere della definitivita', carattere che non viene meno in ragione dell'astratta possibilita' di ulteriori fasi di giudizio, che peraltro nella specifica situazione, con riferimento alle somme che sono state erogate, e per le quali si procede in sede di preteso danno erariale, non sono state attivate e non risultano piu' allo stato attivabili. Si consideri inoltre che per insegnamento consolidato il potere giudiziario spetta a ciascun organo giurisdizionale, trattandosi di "potere diffuso", cosicche' una menomazione della sfera di attribuzioni costituzionali di ciascuno di essi diviene menomazione del potere come tale. 2.2. - Profilo oggettivo. Il conflitto di attribuzioni che in questa sede viene sollevato si rivolge nei confronti della pretesa della Corte dei conti di estendere la propria speciale giurisdizione "nelle materie di contabilita' pubblica", ex art. 103 della Costituzione, a questioni che attengono al corretto esercizio, da parte degli appartenenti alla giurisdizione ordinaria, dei poteri propri e riservati. Si rileva a tale proposito che in ordine alla natura giurisdizionale - e non gia' meramente amministrativa o contabile - dei decreti di liquidazione dei compensi dei periti e consulenti del giudice si e' gia' in passato espressa questa stessa Corte, con la sentenza n. 88 del 1970, nella quale si e' anche rilevata, nel contempo, la qualifica del perito come ausiliario del giudice. L'invasione nel campo riservato - esclusivamente - al giudice ordinario, viene a concretarsi nel momento in cui il giudice contabile, sia pure al fine di accertare una pretesa responsabilita' per danno all'erario, viene a sindacare il corretto esercizio della giurisdizione, per di piu' in relazione alla sua fase maggiormente pregnante, quella dell'interpretazione della norma giuridica e della valutazione dei presupposti dei fatti e delle condotte portate al suo esame. Si osservi che la questione che viene posta non puo' essere ricondotta, esclusivamente, ad una mera questione di giurisdizione, perche' qui non si tratta di stabilire quale sia il giudice competente a giudicare su una determinata controversia - nel caso specifico a determinare quale fosse il giusto compenso per determinate operazioni peritali svolte nell'interesse della giustizia - ma bensi' di salvaguardare l'esercizio della funzione giurisdizionale, inequivocabilmente spettante al giudice ordinario nel caso di specie, da un sindacato diverso - ed ulteriore rispetto a quello svolto attraverso gli ordinari rimedi impugnatori - svolto in un ambito giurisdizionale proprio dell'azione amministrativa (artt. 100 e 103 Cost.) e finalizzato all'accertamento di un tipo di responsabilita', per danno erariale, previsto e regolato dall'ordinamento tipicamente per i soggetti appartenenti, a titolo professionale od onorario, alla pubblica amministrazione. Il che e' in palese contrasto, per le ragioni che saranno meglio illustrate in prosieguo, con i principi costituzionali in base ai quali "i giudici sono soggetti soltanto alla legge" (art.101, primo comma, Cost.); "la funzione giurisdizionale e' esercitata da magistrati ordinari istituiti e regolati dalle norme sull'ordinamento giudiziario." (art. 102, primo comma, Cost.); "la magistratura costituisce un'ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere" (art. 104, primo comma, Cost.). Ne consegue l'ammissibilita' del conflitto anche sotto il profilo oggettivo, trattandosi di determinare nel caso concreto i confini rispettivi dei diversi ambiti di giuridizione e nel contempo l'effettiva consistenza della garanzia costituzionale dell'indipendenza del giudice ordinario, rispetto a pretese risarcitorie azionate in sede di giurisdizione per danno erariale. La questione sollevata inoltre si presenta in termini sostanzialmente analoghi - in relazione ai profili di ammissibilita' - rispetto al conflitto a suo tempo sollevato con riguardo alla pretesa della Corte dei conti di sottoporre a giudizio di conto i tesorieri della Presidenza della Repubblica, della Camera e del Senato, conflitto dichiarato ammissibile e risolto nel senso sfavorevole al giudice contabile con la sentenza n. 129 del 1981. 3. - Ragioni del conflitto. 3.1. - I precedenti giurisprudenziali della Corte in materia di responsabilita' dei magistrati e la legge n. 177 del 1988. Oltre a quanto si e' gia' esposto nei punti precedenti va detto che la circostanza che la materia della responsabilita' del magistrato, per danni eventualmente arrecati nell'esercizio della giurisdizione ai cittadini o allo Stato, sia materia di normativa propria e speciale, diversa da quella della "contabilita' pubblica", nell'ambito della quale si collocano le questioni di responsabilita' degli altri pubblici dipendenti esercenti funzioni amministrative, e correlativamente la giurisdizione della Corte dei conti, lo si puo' cogliere con sicurezza - in primo luogo - dalla giurisprudenza di questa Corte. Fin dalla sentenza n. 2 del 1968, venne infatti affermato il principio in base al quale "la singolarita' della funzione giurisdizionale, la natura dei provvedimenti giudiziari, la stessa funzione super partes del magistrato possono suggerire condizioni e limiti alla sua responsabilita'" e quindi riconosciuta la circostanza che pur nel comune riferimento alla norma posta dall'art. 28 della Costituzione non si ponevano ostacoli ad un regime differenziato della responsabilita' del magistrato rispetto a quella degli altri pubblici dipendenti. Successivamente tale posizione venne ribadita in occasione del giudizio di ammissibilita' del referendum abrogativo promosso nei confronti della disciplina della responsabilita' dei magistrati contenuta negli artt. 55, 56 e 74 c.p.c. (norme che limitavano tale responsabilita' solo alle ipotesi di dolo, frode o concussione), con la sentenza n. 26 del 1987, nella quale la Corte appunto richiama l'esigenza che "in considerazione dei disposti costituzionali appositamente dettati per la magistratura (artt. 101-113) a tutela della sua indipendenza e dell'autonomia delle sue funzioni", si possa pervenire a scelte legislative peculiari ed appropriate alla natura di tali funzioni. Stante l'esito positivo dell'iniziativa referendaria e la successiva emanazione della nuova disciplina della responsabilita' civile dei magistrati, contenuta nella legge 13 aprile 1988 n. 117, la Corte ebbe nuovamente ad occuparsi della questione, proprio in sede di decisione di varie di questioni di costituzionalita' sollevate con riferimento a tale nuova normativa, con la sentenza n. 18 del 1989. In tale pronuncia di particolare rilievo, ai fini che qui interessano, appaiono le affermazioni circa l'adeguatezza e la congruenza dei vari strumenti di limitazione della responsabilita' e le varie forme di tutela rispetto a possibili utilizzi strumentali dell'azione risarcitoria, contenuti nella nuova legge. Si e' ribadito infatti, che tale disciplina risulta caratterizzata (positivamente) dalla "costante cura di predisporre misure e cautele idonee a salvaguardare la indipendenza dei magistrati, nonche' l'autonomia e la pienezza della funzione giudiziaria". Si afferma quindi che: "la responsabilita' dei magistrati, discendente dall'art. 28 della Costituzione (che si riferisce a tutti i dipendenti pubblici indistintamente, e quindi anche ad essi), in relazione alla peculiarita' della funzione giudiziaria risulta regolata dalla legge nel rispetto di tali fondamentali esigenze di indipendenza ed imparzialita' del giudice, prevedendo responsabilita' diretta del medesimo per la sola ipotesi di danni derivati da fatti costituenti reato, mentre la responsabilita' indiretta verso lo Stato, con la quale si e' inteso correggere l'ampiezza della limitazione della responsabilita' diretta, e' a sua volta, limitata a talune fattispecie rigidamente definite". Ed ancora che: "La tassativita' delle circoscritte ipotesi di colpa grave del giudice esclude che esse siano idonee a turbare la serenita' e l'imparzialita' del giudizio". La garanzia costituzionale dell'indipendenza del giudice e' diretta, infatti, in primis a tutelare l'autonomia di valutazione dei fatti e delle prove e l'imparziale interpretazione delle norme di diritto; e tale attivita' non puo' dar luogo a responsabilita', risultando privo di fondamento il dubbio che il giudice potrebbe essere indotto a scelte intepretative accomodanti ed a decisioni meno rischiose in relazione agli interessi in causa, giacche' l'attivita' intepretativa delle norme e quella valutativa dei fatti mai potra' dar luogo a sua responsabilita'". Queste affermazioni - di cui non puo' sfuggire la diretta attinenza e rilevanza nel presente conflitto, originato dalla pretesa della Corte dei conti di sindacare un provvedimento giurisdizionale di altro giudice in punto di motivazione e di pretesa errata applicazione della legge - si fondano sul diretto rilievo del principio dell'insindacabilita' della valutazione del giudice nella fase di applicazione della norma al caso concreto, principio che lo stesso legislatore ha posto in termini inequivocabili all'art.2, secondo comma, della legge n. 117/88 che cosi' recita: "Nell'esercizio delle funzioni giudiziarie non puo' dar luogo a responsabilita' l'attivita' di interpretazione di norme di diritto ne' quelle di valutazione del fatto e delle prove". Va peraltro ribadito - per inciso - che la circostanza che tale principio sia contenuto nella legge ordinaria non fa venir meno la natura ed il rilievo costituzionale del sollevato conflitto, in ragione della diretta discendenza dello stesso principio dalla disciplina di rango costituzionale relativa all'indipendenza della magistratura e allo status del giudice come puntualmente rilevato nella sentenza da ultimo richiamata di questa Corte. Puo' essere ulteriormente illuminante - ai fini che qui interessano - ricordare che la Corte costituzionale si e' pronunciata sulla materia anche in relazione ad una questione di diritto transitorio, con sentenza n. 468 del 1990, ed in quella occasione ebbe a ricordare che gli effetti abrogativi del referendum popolare furono posticipati di 120 giorni, con d.P.R. 9 dicembre 1987 n. 497, al fine di consentire l'approvazione della nuova disciplina e nel contempo di "evitare che la responsabilita' del giudice fosse abbandonata alle previsioni generali dell'art. 2043 c.c. (responsabilita' per fatto illecito) o dell'art. 2236 c.c. (responsabilita' del prestatore d'opera) o assimilata a quella dei funzionari e dipendenti dello Stato a norma dell'art. 23 d.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3...". Con il che dando ulteriore conferma che massima era la preoccupazione - condivisa dalla Corte - dell'esigenza di non assimilare, neppure transitoriamente, il magistrato agli altri pubblici dipendenti quanto al regime della responsabilita' per danni. 3.2. - Applicabilita' della disciplina della legge n. 117 del 1988 anche all'ipotesi di danno arrecato dal magistrato allo Stato nell'esercizio della giurisdizione. I termini assolutamente generali con i quali sono formulate le disposizioni della legge n. 117 del 1988 in relazione al soggetto danneggiato dall'azione del giudice consentono di affermare che anche qualora il danno prodotto si sia realizzato nei confronti dello Stato, si debba applicare la medesima disciplina sostanziale e processuale prevista dalla legge per le ipotesi in cui il danneggiato sia il cittadino od altro soggetto dell'ordinamento. A tale conclusione si perviene con sicurezza dall'esame dei lavori parlamentari (in particolare Atti Senato Res. sommario - seduta 18 febbraio 1988 - interventi sen. Gallo e sen. Acone) richiamati puntualmente dalla migliore dottrina (Cirillo e Sorrentino, La Responsabilita' del giudice, Napoli, Jovene, 1988, pagg. 132 e segg.) la quale perviene a giustificare questo diverso regime della responsabilita' del giudice nei confronti dello Stato, rispetto alla responsabilita' amministrativa di cui e' giudice la Corte dei conti, sulla base di una puntuale ricostruzione della diversa natura dei due tipi di responsabilita', conseguenti alla diversa natura (e regime costituzionale) del rapporto intercorrente, nelle due ipotesi, tra la persona del soggetto responsabile e lo Stato. Si afferma infatti, correttamente, che mentre la responsabilita' amministrativa del pubblico funzionario e' generalmente ricondotta alla responsabilita' contrattuale, in quanto inerente al rapporto di servizio e, piu' precisamente, alla "violazione di obblighi di servizio" (ex art. 18 d.P.R. n. 3 del 1957) la responsabilita' del magistrato nei confronti dello Stato assume connotati piu' prossimi alla responsabilita' aquiliana, avendo il legislatore equiparato lo Stato a qualsiasi terzo (art. 2 legge n. 117/1988). E cio' anche in quanto non si puo' sostenere che il magistrato agisca in base ad "obblighi di servizio" propriamente detti o per "ordine del superiore" (ex art. 18 d.P.R. n. 3/57) ma si trovi al contrario del tutto slegato da vincoli di tipo gerarchico essendo al contrario "soggetto solo alla legge", in base al noto disposto costituzionale. Il che appunto comporta che il rapporto di servizio che lega il magistrato allo Stato si debba in qualche modo "arrestare" sulla soglia rappresentata dall'esercizio "sovrano" ed "esclusivo" della funzione giurisdizionale da parte del singolo magistrato, rispetto al quale lo Stato in quanto "amministrazione" o "apparato" non puo' porre alcun vincolo o direttiva. E' pacifico infatti che la "sovranita'" riconosciuta alla funzione giurisdizionale (E. Spagna Musso, giudice - nozione e profili costituzionali, voce Enc. Dir., vol. XVIII, pagg. 931 e segg.) pone in diretta relazione il giudice con lo "Stato-ordinamento", escludendo qualsiasi mediazione burocratica o di apparato e rendendo l'appartenenza del giudice alla struttura amministrativa un mero fattore organizzatorio, del tutto ininfluente ed "esterno" rispetto allo status del soggetto ed all'autonomia ed esclusivita' delle funzioni esercitate. Dal che l'impossibilita' stessa - su di un piano che si potrebbe definire ontologico - di far sorgere una responsabilita' di natura "amministrativa" in ragione della pretesa violazione di obblighi di "servizio" che non possono in alcun modo avere a che fare con la "giuridizione" propriamente intesa. A ulteriore conferma dell'estraneita' del regime della responsabilita' civile dei magistrati rispetto alla responsabilita' amministrativa per danno erariale va inoltre osservato che la legge n. 117/1988 non ha attribuito alla Corte dei conti, bensi' alla giuridizione ordinaria, la competenza a giudicare sull'azione di rivalsa dello Stato nei confronti del magistrato, nei limiti di cui agli artt. 7 e 8 della citata legge. E cio' pur essendo stata auspicata una diversa soluzione proprio da parte dello stesso giudice contabile (Corte dei conti a sezioni riunite, parere 12 gennaio 1987 sul disegno di legge n. 2128/S/IX del 1987 sulla responsabilita' civile dei magistrati, in Foro Ita., 1987, I, 652), desideroso di affermare anche in quella occasione il preteso carattere "generale" della propria giurisdizione in materia di danni allo Stato. Il fatto che il legislatore, pur perfettamente consapevole del problema, abbia optato per la non attribuzione dell'azione di rivalsa alla competenza del giudice contabile, conferma ulteriormente la peculiarita' del regime della responsabilita' per i danni arrecati nell'esercizio della funzione giurisdizionale e la non assimilabilita' di tale regime alle "materie di contabilita' pubblica" e di giuridizione della Corte dei conti. 3.2. - Specialita' e non generalita' della giurisdizione della Corte dei conti. Assenza di una norma che attribuisca al giudice contabile la competenza a conoscere dei danni arrecati dai magistrati allo Stato nell'esercizio della funzione giurisdizionale. Il presente conflitto avverso la pretesa di sindacare in sede contabile la corretta applicazione, da parte di un magistrato, della disciplina relativa ai compensi per i periti e consulenti, appare giustificato anche in considerazione della circostanza della totale assenza nell'ordinamento vigente di una norma di legge che tale sindacato preveda e regoli in modo espresso. Norma in assenza della quale la giuridizione contabile deve essere esclusa, stante il carattere non generale di tale giurisdizione, la quale incontra il limite funzionale della interpositio del legislatore, come affermato da questa Corte in piu' occasioni (in particolare nella sentenza n. 641 del 1987 in tema di danno ambientale). A tale proposito occorre rilevare, in primo luogo, che la legge 8 luglio 1980 n. 319, recante la disciplina dei compensi spettanti ai periti, ai consulenti tecnici, interpreti e traduttori per le operazioni eseguite a richiesta dell'autorita' giudiziaria, mentre prevede, all'art. 11, uno specifico procedimento giurisdizionale per il riesame del decreto di liquidazione, attribuendone la competenza al Tribunale o alla Corte d'appello, nulla dispone in ordine ad un ulteriore o diverso controllo in sede di giurisdizione contabile. Anche la disciplina delle c.d. "spese di giustizia", contenuta al Capo IX del r.d. 23 maggio 1924 n. 827 riferisce la norma sulla responsabilita' (art. 455) ai "funzionari giudiziari" con riferimento a possibili "errori o irregolarita' delle loro disposizioni", con evidente esclusiva applicabilita' ai soggetti che concretamente erogano le somme e quindi svolgono compiti di natura meramente amministrativa e contabile. Il che rende quindi del tutto giustificata la previsione di una "verificazione e revisione" da parte della Corte dei conti sui prospetti mensili dei pagamenti tenuti dalle Intendenze di finanza (art. 463), senza che da cio' possa in alcun modo farsi risalire il sindacato dalla fase meramente contabile, di "gestione" dei pagamenti e delle relative scritture documentali, alla fase di determinazione dei compensi svolta in sede giurisdizionale da parte del competente magistrato (Corte cost. sent. n. 88/1970). Del resto e' pacifica in dottrina ed in giurisprudenza l'affermazione della diversa natura ed estensione delle funzioni di controllo della Corte dei conti, previste dal secondo comma, dell'art. 100 Cost., rispetto alle funzioni giurisdizionali nelle materie di contabilita' pubblica, di cui all'art. 103 Cost., secondo comma (Corte cost., sentenza n. 110 del 1970) diversita' dalla quale si deve evincere l'impossibilita' di affermare la sussistenza della giurisdizione amministrativa in tutte quelle ipotesi in cui si attui una forma di controllo di tipo contabile. Nel caso di specie poi e' comunque evidente sia la diversita' di atti e documenti presi in esame (non gia' i provvedimenti di liquidazione ma esclusivamente le successive annotazioni e registrazioni) sia di destinatari dell'azione di verifica (i funzionari di cancelleria ed i soggetti erogatori). Oltre a non essere prevista da norme espresse, riferite o riferibili all'esercizio di funzioni di natura giurisdizionale, la competenza della Corte dei conti a conoscere della responsabilita' dei magistrati nei confronti dello Stato va esclusa in relazione alla circostanza che mai a tale tipo di responsabilita' si fa riferimento nelle norme che fondano e regolano la responsabilita' per danno erariale. L'art. 18 del r.d. 18 novembre 1923 n. 2440 stabilisce infatti che "l'impiegato che per azione o omissione, anche solo colposa, nell'esercizio delle sue funzioni, cagioni danno allo Stato, e' tenuto a risarcirlo", con evidente riferimento soggettivo al dipendente pubblico inserito nell'organizzazione statale propriamente intesa e, dal punto di vista oggettivo, alle funzioni proprie dell'amministrazione. Ne' diverse conclusioni possono trarsi dal riferimento, contenuto all'art. 52 del r.d. 12 luglio 1934 n. 1214, recante il testo unico delle leggi sulla Corte dei conti, ai "funzionari, impiegati ed agenti .. compresi quelli dell'ordine giudiziario..... sono sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti nei casi e nei modi previsti dalla legge sull'amministrazione del patrimonio e sulla contabilita' generale dello Stato e da leggi speciali", dal momento che, da un lato, anche in questo caso deve ritenersi che l'espressione vada riferita esclusivamente agli addetti alle funzioni amministrative svolte nell'ambito dell'ordine giudiziario e che, dall'altro, mancano comunque le successive norme che in concreto tale ipotizzata giurisdizione abbia istituito e disciplinato. Del resto successivamente, per gli "impiegati civili" dello Stato una specifica disciplina della responsabilita' amministrativa, con attribuzione della relativa giurisdizione alla Corte dei Conti, e' intervenuta con il t.u. approvato con d.P.R. 10 gennaio 1957 n. 10 (art. 18), disciplina certamente non estensibile, per i profili che qui interessano, al magistrato nell'esercizio delle funzioni giurisdizionali (Corte cost., n. 468/1990). Ulteriore e recente conferma della imprescindibilita' di una disciplina specifica e peculiare della responsabilita' civile del magistrato, anche per i danni eventualmente prodotti allo Stato, - e della conseguente impossibilita' di fondare una pretesa giurisdizione della Corte dei conti per danno erariale nei confronti dei magistrati sulla base delle norme relative ai pubblici impiegati - la si e' avuta in occasione della recente c.d. "privatizzazione" del pubblico impiego, attuata con il d.lgs. 3 febbraio 1993 n. 29. Nell'ambito di tale disciplina infatti si afferma che i magistrati ordinari, amministrativi e contabili restano disciplinati dai rispettivi ordinamenti (art. 2, quarto comma), mentre si richiama la disciplina vigente in materia di responsabilita' solo con riferimento ai dipendenti "privatizzati" (art. 59, primo comma). Ora, se anche in relazione ai piu' recenti sviluppi legislativi trova conferma la specificita' della normativa regolante il rapporto tra coloro che esercitano la funzione giurisdizionale ed in particolare l'impossibilita' di mutuare tal quale la disciplina della responsabilita' per i danni eventualmente arrecati allo Stato e della relativa giurisdizione, non puo' che trovare ulteriore conferma l'affermazione che nel caso di specie non spetta alla Corte dei conti sottoporre a giudizio di responsabilita' il magistrato, in relazione all'adozione di provvedimenti di natura giurisdizionale. 4. - Questioni di legittimita' costituzionale. Qualora si dovesse affermare, in contrario avviso a quanto si e' fino a qui sostenuto, che sulla base della normativa vigente in materia di responsabilita' amministrativa, anche i magistrati sono soggetti alla giuridizione della Corte dei conti per danno erariale, per i danni arrecati nell'esercizio delle proprie funzioni giurisdizionali - negli stessi termini e sulla base del medesimo procedimento previsto per ogni altro pubblico dipendente - e' di tutta evidenza che si porrebbe l'esigenza di verificare la compatibilita' di tale sindacato giurisdizionale con i principi costituzionali relativi allo status del giudice e all'indipendenza della funzione giurisdizionale (artt. 101 e 113 Cost.) e con l'esigenza imprescindibile di uguaglianza e di ragionevolezza propri dell'intero ordinamento (art. 3 Cost.). E cio' per l'evidente impatto negativo, sull'indipendenza del giudice e su quella particolare e necessaria condizione di "assenza di aspettative e di situazioni di pregiudizio", nonche' di "vincoli che possano comportare la sua soggezione, formale o sostanziale ad altri organi" e di "prevenzioni, timori, influenze che possano indurre il giudice a decidere in modo diverso da quanto a lui dettano scienza e coscienza" - che questa Corte in piu' occasioni ha ritenuto essere connaturata a detto principio (Corte cost., sent. nn. 128/1974, 60/1969, 18/1989) - di una disciplina della responsabilita' che non contenga una limitazione alla colpa grave ne' alcun tetto alle somme da risarcire, ne' infine disponga alcuna previa verifica dell'ammissibilita' della domanda. Il tutto in palese e stridente contrasto con la disciplina della responsabilita' civile del magistrato contenuta nella legge 13 aprile 1988 n. 117, la quale verrebbe ad operare non piu' anche con riferimento ai danni arrecati dal magistrato allo Stato ma solo nelle situazioni in cui il danneggiato e' il cittadino od altro soggetto dell'ordinamento, con un conseguente regime di favore, per lo Stato, incompatibile con i canoni di uguaglianza e di ragionevolezza imposti dalla Costituzione.