Ricorso per conflitto di attribuzioni (ex art. 134 Cost., art.   37
 legge  11  marzo  1953,  art.  26  d.c.c.  16  marzo 1956), del dott.
 Giorgio  Della  Lucia,  nella  sua  qualita'  -  in  relazione   alle
 attribuzioni  di  cui  al  presente  ricorso  - di giudice istruttore
 presso il Tribunale di Milano, rappresentato e  difeso  in  forza  di
 procura  in  calce al presente atto dall'avv. prof. Giorgio De Nova e
 dall'avv. Gualtiero Rueca  ed  elettivamente  domiciliato  presso  lo
 studio  di  quest'ultimo  in  Roma,  largo della Gancia n. 1, solleva
 conflitto  contro  la  Corte  dei  conti,  procura  regionale   della
 Lombardia,  in  persona  del  procuratore  regionale  pro-tempore, in
 relazione all'atto di citazione notificato in data 12  dicembre  1995
 con  il  quale il procuratore regionale della Corte dei conti cita il
 dott. Giorgio della Lucia a comparire  avanti  la  Corte  dei  conti,
 sezione  giurisdizionale  della  Lombardia,  per essere condannato al
 pagamento in favore dell'erario della somma di L.  1.106.590.772  (un
 miliardocentoseimilionicinquecentonovantamilasettecentosettantadue
 lire)  a  titolo  di  responsabilita' "amministrativa" in relazione a
 provvedimenti   assunti   nell'esercizio   delle   proprie   funzioni
 "giurisdizionali".
                            Fatto e diritto
   1. - Premessa.
   Il  dottor  Della Lucia ha svolto nel corso degli anni 1986-1991 le
 funzioni  di  giudice  istruttore  presso  il  tribunale  di   Milano
 occupandosi,  fra  l'altro, di un complesso rilevante di procedimenti
 aventi ad oggetto le vicende finanziarie della Cassa di risparmio  di
 Asti  ed  i rapporti tra questa, varie societa' ed il noto finanziere
 Alberto Rapisarda. In relazione al numero  rilevante  di  rapporti  e
 contratti,  intercorsi  per  numerosi anni tra vari soggetti, persone
 fisiche e societa', ed alla mole documentale da acquisire e  vagliare
 nel  corso di detta istruttoria il g.i., su specifica richiesta della
 procura della Repubblica, ha  disposto  lo  svolgimento  di  numerose
 perizie   contabili,  avvalendosi  in  particolare  del  dott.  Paolo
 Brecciaroli, noto professionista da molto tempo consulente  e  perito
 degli uffici giudiziari milanesi.
   Al  termine dell'attivita' resa dal perito, nell'ambito della quale
 allo stesso ed ai suoi collaboratori era  stato  richiesto  anche  di
 procedere   alla   classificazione  e  microfilmatura  dei  documenti
 esaminati, che occupavano vari locali del tribunale, il g.i.  dispose
 con  propri  decreti  la  liquidazione dei compensi, sulla base della
 tariffa professionale  vigente  e  riconoscendo  la  sussistenza  dei
 presupposti  di cui all'art.  5 della legge 8 luglio 1980 n. 319, per
 consentire il raddoppio degli onorari, anche  in  considerazione  del
 superamento dello scaglione tariffario massimo in relazione al valore
 delle  questioni trattate.  Con il che dando applicazione ad una tesi
 interpretativa della norma richiamata  gia'  fatta  propria  da  vari
 tribunali  (circ.  pres. trib.   Roma prt. 4161 del l4 aprile 1984) e
 recentemente confermata dalla Corte di cassazione (Sez.  I  civ.,  26
 giugno  1995,  n. 7214/1995).  Sempre in tali decreti di liquidazione
 non si faceva applicazione della riduzione del  quarto  del  compenso
 per  tardivo  deposito  della  perizia,  in quanto si riteneva che la
 norma, che tale riduzione prevede (art. 8  legge  n.  319/1980),  non
 fosse applicabile ai compensi liquidati a percentuale (e non a tempo)
 ed in ogni caso in relazione alla scusabilita' del ritardo.
   I  decreti  di  liquidazione  in  questione  per  la gran parte non
 vennero da alcuno contestati. Solo per  alcuni  di  essi  vi  fu  una
 pronuncia  di  riliquidazione  da  parte  del  tribunale  (provv. del
 772/1992 - ex art. 11 della legge n. 319/1980)  -  su  richiesta  del
 p.m., per una minor somma di L. 145 milioni.
   L'azione   per   danno   erariale,   in  relazione  ai  decreti  di
 liquidazione in esame, ha preso avvio per effetto della  trasmissione
 alla   procura  generale  della  Corte  dei  conti  delle  risultanze
 dell'attivita'  ispettiva  svolta   dall'Ispettorato   generale   del
 Ministero   di   grazia   e   giustizia,   eseguita   nei   mesi   di
 settembre-ottobre del 1993 su ordine del Ministro, a cio' sollecitato
 in sede parlamentare con specifica interpellanza degli on.  Rabino  e
 Binelli.
   Nell'atto  di  citazione  che  si contesta l'azione del procuratore
 regionale della Corte dei conti viene sindacata  la  valutazione  del
 giudice  in  ordine all'applicazione nella fattispecie concreta della
 norma di legge che regola la quantificazione degli onorari del perito
 nonche' la motivazione  del  provvedimento  giurisdizionale,  che  si
 assume insufficiente ed errata.
   Tale  contestazione  travalica  le funzioni ed i poteri della Corte
 dei conti quali  stabiliti  dalla  Costituzione  (artt.  100  e  103)
 interferendo  gravemente  in  quelli  riconosciuti e tutelati in capo
 alla magistratura ordinaria e ledendo lo status  di  indipendenza  ed
 insindacabilita'    del   giudice   nell'esercizio   della   funzione
 giurisdizinale (artt. 101, 102, 104 e 108 Cost.).
   2. - Ammissibilita' del conflitto.
   2.1. - Profilo soggettivo.
   Il ricorso e'  proposto  da  un  soggetto  appartenente  all'Ordine
 giudiziario  - nel caso di specie un giudice istruttore del tribunale
 penale - il quale lamenta un'indebita  interferenza  in  relazione  a
 provvedimenti  dallo  stesso  assunti  nell'esercizio  della  propria
 funzione.
   In relazione al disposto dell'art. 37, primo comma, della legge  11
 marzo  1953  n.  87,  si fa presente che il giudice che provvede, con
 decreto, alla determinazione e liquidazione dei compensi spettanti al
 perito dallo  stesso  nominato  e'  organo  competente  a  dichiarare
 definitivamente la volonta' del potere cui appartiene: cio' in quanto
 egli  assume  provvedimenti  con  il  carattere  della definitivita',
 carattere che non viene meno in ragione dell'astratta possibilita' di
 ulteriori fasi di giudizio, che peraltro nella specifica  situazione,
 con  riferimento alle somme che sono state erogate, e per le quali si
 procede in sede di preteso danno erariale, non sono state attivate  e
 non risultano piu' allo stato attivabili.
   Si  consideri  inoltre  che  per insegnamento consolidato il potere
 giudiziario spetta a ciascun organo giurisdizionale,  trattandosi  di
 "potere   diffuso",   cosicche'   una   menomazione  della  sfera  di
 attribuzioni costituzionali di ciascuno di essi  diviene  menomazione
 del potere come tale.
   2.2. - Profilo oggettivo.
   Il  conflitto di attribuzioni che in questa sede viene sollevato si
 rivolge  nei  confronti  della  pretesa  della  Corte  dei  conti  di
 estendere   la  propria  speciale  giurisdizione  "nelle  materie  di
 contabilita' pubblica", ex art. 103 della Costituzione,  a  questioni
 che attengono al corretto esercizio, da parte degli appartenenti alla
 giurisdizione ordinaria, dei poteri propri e riservati.
   Si   rileva   a   tale   proposito   che   in  ordine  alla  natura
 giurisdizionale - e non gia' meramente amministrativa o  contabile  -
 dei  decreti di liquidazione dei compensi dei periti e consulenti del
 giudice si e' gia' in passato espressa questa stessa  Corte,  con  la
 sentenza  n.  88  del  1970,  nella  quale  si e' anche rilevata, nel
 contempo, la qualifica del perito come ausiliario del giudice.
   L'invasione nel campo  riservato  -  esclusivamente  -  al  giudice
 ordinario,  viene  a  concretarsi  nel  momento  in  cui  il  giudice
 contabile, sia pure al fine di accertare una pretesa  responsabilita'
 per  danno  all'erario, viene a sindacare il corretto esercizio della
 giurisdizione, per di piu' in relazione alla  sua  fase  maggiormente
 pregnante,  quella dell'interpretazione della norma giuridica e della
 valutazione dei presupposti dei fatti e delle condotte portate al suo
 esame.
   Si osservi che  la  questione  che  viene  posta  non  puo'  essere
 ricondotta,  esclusivamente,  ad una mera questione di giurisdizione,
 perche'  qui  non  si  tratta  di  stabilire  quale  sia  il  giudice
 competente  a  giudicare  su  una determinata controversia - nel caso
 specifico  a  determinare  quale  fosse  il   giusto   compenso   per
 determinate operazioni peritali svolte nell'interesse della giustizia
 -   ma   bensi'   di   salvaguardare   l'esercizio   della   funzione
 giurisdizionale, inequivocabilmente spettante  al  giudice  ordinario
 nel caso di specie, da un sindacato diverso - ed ulteriore rispetto a
 quello  svolto attraverso gli ordinari rimedi impugnatori - svolto in
 un ambito giurisdizionale proprio dell'azione  amministrativa  (artt.
 100  e  103  Cost.)  e  finalizzato  all'accertamento  di  un tipo di
 responsabilita',   per   danno   erariale,   previsto   e    regolato
 dall'ordinamento  tipicamente  per  i soggetti appartenenti, a titolo
 professionale od onorario, alla pubblica amministrazione.
   Il che e' in palese contrasto, per le ragioni  che  saranno  meglio
 illustrate  in  prosieguo,  con  i principi costituzionali in base ai
 quali "i giudici sono soggetti soltanto alla legge"  (art.101,  primo
 comma,   Cost.);   "la  funzione  giurisdizionale  e'  esercitata  da
 magistrati ordinari istituiti e regolati dalle norme sull'ordinamento
 giudiziario."   (art. 102,  primo  comma,  Cost.);  "la  magistratura
 costituisce  un'ordine  autonomo e indipendente da ogni altro potere"
 (art. 104, primo comma, Cost.).
   Ne consegue l'ammissibilita' del conflitto anche sotto  il  profilo
 oggettivo,  trattandosi  di  determinare  nel caso concreto i confini
 rispettivi  dei  diversi  ambiti  di  giuridizione  e  nel   contempo
 l'effettiva     consistenza     della     garanzia     costituzionale
 dell'indipendenza  del  giudice   ordinario,   rispetto   a   pretese
 risarcitorie azionate in sede di giurisdizione per danno erariale.
   La   questione   sollevata   inoltre   si   presenta   in   termini
 sostanzialmente analoghi - in relazione ai profili di  ammissibilita'
 -  rispetto  al  conflitto  a  suo  tempo sollevato con riguardo alla
 pretesa della Corte dei conti di sottoporre a  giudizio  di  conto  i
 tesorieri  della  Presidenza  della  Repubblica,  della  Camera e del
 Senato,  conflitto  dichiarato  ammissibile  e  risolto   nel   senso
 sfavorevole al giudice contabile con la sentenza n. 129 del 1981.
   3. - Ragioni del conflitto.
   3.1.  -  I  precedenti  giurisprudenziali della Corte in materia di
 responsabilita' dei magistrati e la legge  n. 177 del 1988.
   Oltre a quanto si e' gia' esposto nei punti precedenti va detto che
 la circostanza che la materia della responsabilita'  del  magistrato,
 per  danni  eventualmente arrecati nell'esercizio della giurisdizione
 ai cittadini o  allo  Stato,  sia  materia  di  normativa  propria  e
 speciale,   diversa   da   quella   della   "contabilita'  pubblica",
 nell'ambito della quale si collocano le questioni di  responsabilita'
 degli  altri pubblici dipendenti esercenti funzioni amministrative, e
 correlativamente la giurisdizione della Corte dei conti, lo  si  puo'
 cogliere  con  sicurezza  -  in primo luogo - dalla giurisprudenza di
 questa Corte.
   Fin dalla sentenza n.  2  del  1968,  venne  infatti  affermato  il
 principio   in   base   al  quale  "la  singolarita'  della  funzione
 giurisdizionale, la natura dei provvedimenti  giudiziari,  la  stessa
 funzione  super  partes del magistrato possono suggerire condizioni e
 limiti alla sua responsabilita'" e quindi riconosciuta la circostanza
 che pur nel comune riferimento alla norma posta  dall'art.  28  della
 Costituzione  non  si  ponevano  ostacoli  ad un regime differenziato
 della responsabilita' del magistrato rispetto a  quella  degli  altri
 pubblici dipendenti.
   Successivamente  tale  posizione  venne  ribadita  in occasione del
 giudizio di ammissibilita' del  referendum  abrogativo  promosso  nei
 confronti  della  disciplina  della  responsabilita'  dei  magistrati
 contenuta negli artt. 55, 56 e 74 c.p.c. (norme che  limitavano  tale
 responsabilita'  solo alle ipotesi di dolo, frode o concussione), con
 la sentenza n. 26 del 1987, nella quale  la  Corte  appunto  richiama
 l'esigenza   che   "in  considerazione  dei  disposti  costituzionali
 appositamente dettati per la magistratura (artt.  101-113)  a  tutela
 della sua indipendenza e dell'autonomia delle sue funzioni", si possa
 pervenire  a  scelte legislative peculiari ed appropriate alla natura
 di tali funzioni.
   Stante  l'esito  positivo   dell'iniziativa   referendaria   e   la
 successiva  emanazione  della  nuova disciplina della responsabilita'
 civile dei magistrati, contenuta nella legge 13 aprile 1988  n.  117,
 la  Corte  ebbe  nuovamente  ad occuparsi della questione, proprio in
 sede  di  decisione  di  varie  di  questioni  di   costituzionalita'
 sollevate  con riferimento a tale nuova normativa, con la sentenza n.
 18 del 1989.  In tale pronuncia di particolare rilievo, ai  fini  che
 qui  interessano,  appaiono  le affermazioni circa l'adeguatezza e la
 congruenza dei vari strumenti di limitazione della responsabilita'  e
 le  varie  forme  di tutela rispetto a possibili utilizzi strumentali
 dell'azione risarcitoria, contenuti nella nuova legge. Si e' ribadito
 infatti, che tale disciplina risulta  caratterizzata  (positivamente)
 dalla  "costante  cura  di  predisporre  misure  e  cautele  idonee a
 salvaguardare la indipendenza dei magistrati, nonche'  l'autonomia  e
 la  pienezza  della funzione giudiziaria". Si afferma quindi che: "la
 responsabilita'  dei  magistrati,  discendente  dall'art.  28   della
 Costituzione   (che  si  riferisce  a  tutti  i  dipendenti  pubblici
 indistintamente,  e  quindi  anche  ad  essi),  in   relazione   alla
 peculiarita'  della funzione giudiziaria risulta regolata dalla legge
 nel  rispetto  di  tali  fondamentali  esigenze  di  indipendenza  ed
 imparzialita'  del  giudice,  prevedendo  responsabilita' diretta del
 medesimo per la sola ipotesi di danni derivati da  fatti  costituenti
 reato,  mentre  la  responsabilita'  indiretta verso lo Stato, con la
 quale si e' inteso  correggere  l'ampiezza  della  limitazione  della
 responsabilita'   diretta,   e'   a  sua  volta,  limitata  a  talune
 fattispecie rigidamente definite".  Ed ancora che:  "La  tassativita'
 delle  circoscritte  ipotesi  di  colpa grave del giudice esclude che
 esse siano idonee  a  turbare  la  serenita'  e  l'imparzialita'  del
 giudizio".  La  garanzia costituzionale dell'indipendenza del giudice
 e' diretta, infatti, in primis a tutelare l'autonomia di  valutazione
 dei fatti e delle prove e l'imparziale interpretazione delle norme di
 diritto;  e  tale  attivita'  non  puo'  dar luogo a responsabilita',
 risultando privo di fondamento il  dubbio  che  il  giudice  potrebbe
 essere indotto a scelte intepretative accomodanti ed a decisioni meno
 rischiose  in relazione agli interessi in causa, giacche' l'attivita'
 intepretativa delle norme e quella valutativa dei  fatti  mai  potra'
 dar luogo a sua responsabilita'".
   Queste affermazioni - di cui non puo' sfuggire la diretta attinenza
 e  rilevanza  nel  presente  conflitto, originato dalla pretesa della
 Corte dei conti di  sindacare  un  provvedimento  giurisdizionale  di
 altro   giudice   in   punto  di  motivazione  e  di  pretesa  errata
 applicazione della  legge  -  si  fondano  sul  diretto  rilievo  del
 principio  dell'insindacabilita'  della valutazione del giudice nella
 fase di applicazione della norma al caso concreto, principio  che  lo
 stesso  legislatore  ha  posto  in  termini inequivocabili all'art.2,
 secondo  comma,   della   legge   n.   117/88   che   cosi'   recita:
 "Nell'esercizio  delle  funzioni  giudiziarie  non  puo'  dar luogo a
 responsabilita' l'attivita' di interpretazione di  norme  di  diritto
 ne' quelle di valutazione del fatto e delle prove".
   Va  peraltro  ribadito  -  per inciso - che la circostanza che tale
 principio sia contenuto nella legge ordinaria non fa  venir  meno  la
 natura  ed  il  rilievo  costituzionale  del  sollevato conflitto, in
 ragione  della  diretta  discendenza  dello  stesso  principio  dalla
 disciplina  di  rango  costituzionale relativa all'indipendenza della
 magistratura e allo status del  giudice  come  puntualmente  rilevato
 nella sentenza da ultimo richiamata di questa Corte.
   Puo' essere ulteriormente illuminante - ai fini che qui interessano
 -  ricordare  che  la  Corte  costituzionale  si e' pronunciata sulla
 materia anche in relazione ad una questione di  diritto  transitorio,
 con sentenza n. 468 del 1990, ed in quella occasione ebbe a ricordare
 che gli effetti abrogativi del referendum popolare furono posticipati
 di  120  giorni,  con  d.P.R.  9  dicembre  1987  n.  497, al fine di
 consentire l'approvazione della nuova disciplina e  nel  contempo  di
 "evitare  che  la  responsabilita' del giudice fosse abbandonata alle
 previsioni generali dell'art. 2043 c.c.  (responsabilita'  per  fatto
 illecito)  o  dell'art.  2236  c.c.  (responsabilita'  del prestatore
 d'opera) o assimilata a quella  dei  funzionari  e  dipendenti  dello
 Stato a norma dell'art. 23 d.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3...".
   Con   il   che   dando   ulteriore  conferma  che  massima  era  la
 preoccupazione  -  condivisa  dalla  Corte  -  dell'esigenza  di  non
 assimilare,   neppure  transitoriamente,  il  magistrato  agli  altri
 pubblici dipendenti quanto al regime della responsabilita' per danni.
   3.2. - Applicabilita' della disciplina della legge n. 117 del  1988
 anche  all'ipotesi  di  danno  arrecato  dal  magistrato  allo  Stato
 nell'esercizio della giurisdizione.
   I termini assolutamente generali con  i  quali  sono  formulate  le
 disposizioni  della  legge  n.  117 del 1988 in relazione al soggetto
 danneggiato dall'azione del giudice consentono di affermare che anche
 qualora il danno prodotto  si  sia  realizzato  nei  confronti  dello
 Stato,  si  debba  applicare  la  medesima  disciplina  sostanziale e
 processuale prevista dalla legge per le ipotesi in cui il danneggiato
 sia il cittadino od altro soggetto dell'ordinamento.
   A tale conclusione si perviene con sicurezza dall'esame dei  lavori
 parlamentari  (in  particolare  Atti Senato Res. sommario - seduta 18
 febbraio 1988 -  interventi  sen.  Gallo  e  sen.  Acone)  richiamati
 puntualmente  dalla  migliore  dottrina  (Cirillo  e  Sorrentino,  La
 Responsabilita' del giudice, Napoli, Jovene, 1988, pagg. 132 e segg.)
 la  quale  perviene  a  giustificare  questo  diverso  regime   della
 responsabilita'  del giudice nei confronti dello Stato, rispetto alla
 responsabilita' amministrativa di cui e' giudice la Corte dei  conti,
 sulla base di una puntuale ricostruzione della diversa natura dei due
 tipi  di  responsabilita',  conseguenti alla diversa natura (e regime
 costituzionale) del rapporto intercorrente, nelle due ipotesi, tra la
 persona del soggetto responsabile e lo Stato.
   Si afferma infatti, correttamente, che  mentre  la  responsabilita'
 amministrativa  del  pubblico  funzionario e' generalmente ricondotta
 alla responsabilita' contrattuale, in quanto inerente al rapporto  di
 servizio  e,  piu'  precisamente,  alla  "violazione  di  obblighi di
 servizio"  (ex  art.  18 d.P.R. n. 3 del 1957) la responsabilita' del
 magistrato nei confronti dello Stato assume connotati  piu'  prossimi
 alla  responsabilita'  aquiliana, avendo il legislatore equiparato lo
 Stato a qualsiasi terzo (art. 2 legge n. 117/1988). E cio'  anche  in
 quanto  non  si  puo'  sostenere  che il magistrato agisca in base ad
 "obblighi  di  servizio"  propriamente  detti  o  per   "ordine   del
 superiore"  (ex  art. 18 d.P.R. n. 3/57) ma si trovi al contrario del
 tutto slegato da vincoli di  tipo  gerarchico  essendo  al  contrario
 "soggetto solo alla legge", in base al noto disposto costituzionale.
   Il  che  appunto  comporta  che il rapporto di servizio che lega il
 magistrato allo Stato si debba  in  qualche  modo  "arrestare"  sulla
 soglia  rappresentata  dall'esercizio  "sovrano" ed "esclusivo" della
 funzione giurisdizionale da parte del singolo magistrato, rispetto al
 quale lo Stato in quanto  "amministrazione"  o  "apparato"  non  puo'
 porre alcun vincolo o direttiva.
   E'  pacifico infatti che la "sovranita'" riconosciuta alla funzione
 giurisdizionale  (E.  Spagna  Musso,  giudice  -  nozione  e  profili
 costituzionali,  voce  Enc. Dir., vol. XVIII, pagg. 931 e segg.) pone
 in  diretta  relazione  il  giudice   con   lo   "Stato-ordinamento",
 escludendo  qualsiasi mediazione burocratica o di apparato e rendendo
 l'appartenenza del giudice  alla  struttura  amministrativa  un  mero
 fattore  organizzatorio,  del tutto ininfluente ed "esterno" rispetto
 allo status del  soggetto  ed  all'autonomia  ed  esclusivita'  delle
 funzioni esercitate.
   Dal  che  l'impossibilita'  stessa - su di un piano che si potrebbe
 definire ontologico - di far sorgere una  responsabilita'  di  natura
 "amministrativa"  in  ragione della pretesa violazione di obblighi di
 "servizio" che non possono in alcun modo avere  a  che  fare  con  la
 "giuridizione" propriamente intesa.
   A    ulteriore   conferma   dell'estraneita'   del   regime   della
 responsabilita' civile dei magistrati rispetto  alla  responsabilita'
 amministrativa  per  danno erariale va inoltre osservato che la legge
 n. 117/1988 non ha attribuito  alla  Corte  dei  conti,  bensi'  alla
 giuridizione  ordinaria,  la  competenza  a  giudicare sull'azione di
 rivalsa dello Stato nei confronti del magistrato, nei limiti  di  cui
 agli  artt.    7  e  8  della  citata legge. E cio' pur essendo stata
 auspicata una diversa soluzione proprio da parte dello stesso giudice
 contabile (Corte dei conti a sezioni riunite, parere 12 gennaio  1987
 sul  disegno  di  legge  n.  2128/S/IX del 1987 sulla responsabilita'
 civile dei magistrati, in Foro Ita., 1987,  I,  652),  desideroso  di
 affermare  anche  in quella occasione il preteso carattere "generale"
 della propria giurisdizione in materia di danni allo Stato.
   Il fatto che il  legislatore,  pur  perfettamente  consapevole  del
 problema, abbia optato per la non attribuzione dell'azione di rivalsa
 alla  competenza  del  giudice  contabile,  conferma ulteriormente la
 peculiarita' del regime della responsabilita' per  i  danni  arrecati
 nell'esercizio    della    funzione    giurisdizionale   e   la   non
 assimilabilita'  di  tale  regime  alle  "materie   di   contabilita'
 pubblica" e di giuridizione della Corte dei conti.
    3.2.  -  Specialita'  e  non generalita' della giurisdizione della
 Corte dei conti. Assenza di una  norma  che  attribuisca  al  giudice
 contabile la competenza a conoscere dei danni arrecati dai magistrati
 allo Stato nell'esercizio della funzione giurisdizionale.
   Il  presente  conflitto  avverso  la  pretesa  di sindacare in sede
 contabile la corretta applicazione, da parte di un magistrato,  della
 disciplina  relativa  ai  compensi  per i periti e consulenti, appare
 giustificato anche in considerazione della circostanza  della  totale
 assenza  nell'ordinamento  vigente  di  una  norma  di legge che tale
 sindacato preveda e regoli in modo espresso.
   Norma in assenza della quale la giuridizione contabile deve  essere
 esclusa,  stante  il carattere non generale di tale giurisdizione, la
 quale  incontra  il  limite   funzionale   della   interpositio   del
 legislatore,  come  affermato  da  questa Corte in piu' occasioni (in
 particolare  nella  sentenza  n.  641  del  1987  in  tema  di  danno
 ambientale).
   A  tale  proposito occorre rilevare, in primo luogo, che la legge 8
 luglio 1980 n. 319, recante la disciplina dei compensi  spettanti  ai
 periti,  ai  consulenti  tecnici,  interpreti  e  traduttori  per  le
 operazioni eseguite a richiesta  dell'autorita'  giudiziaria,  mentre
 prevede,  all'art. 11, uno specifico procedimento giurisdizionale per
 il riesame del decreto di liquidazione, attribuendone  la  competenza
 al  Tribunale  o  alla Corte d'appello, nulla dispone in ordine ad un
 ulteriore o diverso controllo in sede di giurisdizione contabile.
   Anche la disciplina delle c.d. "spese di giustizia",  contenuta  al
 Capo  IX  del  r.d.  23  maggio  1924 n. 827 riferisce la norma sulla
 responsabilita' (art. 455) ai "funzionari giudiziari" con riferimento
 a possibili "errori o irregolarita'  delle  loro  disposizioni",  con
 evidente  esclusiva  applicabilita'  ai  soggetti  che  concretamente
 erogano le somme  e  quindi  svolgono  compiti  di  natura  meramente
 amministrativa e contabile.
   Il  che  rende  quindi  del tutto giustificata la previsione di una
 "verificazione e revisione"  da  parte  della  Corte  dei  conti  sui
 prospetti  mensili  dei  pagamenti tenuti dalle Intendenze di finanza
 (art. 463), senza che da cio' possa in alcun modo farsi  risalire  il
 sindacato dalla fase meramente contabile, di "gestione" dei pagamenti
 e  delle  relative scritture documentali, alla fase di determinazione
 dei compensi svolta in sede giurisdizionale da parte  del  competente
 magistrato (Corte cost. sent. n. 88/1970).
   Del   resto   e'   pacifica   in   dottrina  ed  in  giurisprudenza
 l'affermazione della diversa natura ed estensione delle  funzioni  di
 controllo   della  Corte  dei  conti,  previste  dal  secondo  comma,
 dell'art. 100 Cost., rispetto  alle  funzioni  giurisdizionali  nelle
 materie  di contabilita' pubblica, di cui all'art. 103 Cost., secondo
 comma (Corte cost., sentenza n. 110 del 1970) diversita' dalla  quale
 si  deve  evincere l'impossibilita' di affermare la sussistenza della
 giurisdizione amministrativa in tutte quelle ipotesi in cui si  attui
 una  forma  di controllo di tipo contabile. Nel caso di specie poi e'
 comunque evidente sia la diversita' di  atti  e  documenti  presi  in
 esame  (non gia' i provvedimenti di liquidazione ma esclusivamente le
 successive  annotazioni   e   registrazioni)   sia   di   destinatari
 dell'azione  di  verifica  (i funzionari di cancelleria ed i soggetti
 erogatori).
   Oltre  a  non  essere  prevista  da  norme  espresse,  riferite   o
 riferibili  all'esercizio  di  funzioni di natura giurisdizionale, la
 competenza della Corte dei conti a  conoscere  della  responsabilita'
 dei magistrati nei confronti dello Stato va esclusa in relazione alla
 circostanza  che mai a tale tipo di responsabilita' si fa riferimento
 nelle norme che fondano  e  regolano  la  responsabilita'  per  danno
 erariale.
   L'art.  18 del r.d. 18 novembre 1923 n. 2440 stabilisce infatti che
 "l'impiegato  che  per  azione  o  omissione,  anche  solo   colposa,
 nell'esercizio  delle  sue  funzioni,  cagioni  danno  allo Stato, e'
 tenuto  a  risarcirlo",  con  evidente  riferimento   soggettivo   al
 dipendente pubblico inserito nell'organizzazione statale propriamente
 intesa  e,  dal  punto  di  vista  oggettivo,  alle  funzioni proprie
 dell'amministrazione.
   Ne' diverse conclusioni possono trarsi dal  riferimento,  contenuto
 all'art.  52  del r.d. 12 luglio 1934 n. 1214, recante il testo unico
 delle leggi sulla Corte  dei  conti,  ai  "funzionari,  impiegati  ed
 agenti
  .. compresi quelli dell'ordine giudiziario..... sono sottoposti alla
 giurisdizione  della  Corte  dei  conti  nei casi e nei modi previsti
 dalla legge sull'amministrazione del patrimonio e sulla  contabilita'
 generale  dello  Stato  e  da leggi speciali", dal momento che, da un
 lato, anche in questo caso  deve  ritenersi  che  l'espressione  vada
 riferita  esclusivamente  agli  addetti  alle funzioni amministrative
 svolte nell'ambito dell'ordine giudiziario e che, dall'altro, mancano
 comunque  le  successive  norme  che  in  concreto  tale   ipotizzata
 giurisdizione abbia istituito e disciplinato.
   Del  resto  successivamente, per gli "impiegati civili" dello Stato
 una specifica disciplina della  responsabilita'  amministrativa,  con
 attribuzione  della  relativa  giurisdizione alla Corte dei Conti, e'
 intervenuta con il t.u. approvato con d.P.R. 10 gennaio  1957  n.  10
 (art.  18),  disciplina certamente non estensibile, per i profili che
 qui  interessano,  al  magistrato   nell'esercizio   delle   funzioni
 giurisdizionali (Corte cost., n. 468/1990).
   Ulteriore  e  recente  conferma  della  imprescindibilita'  di  una
 disciplina specifica e peculiare  della  responsabilita'  civile  del
 magistrato,  anche per i danni eventualmente prodotti allo Stato, - e
 della conseguente impossibilita' di fondare una pretesa giurisdizione
 della Corte dei conti per danno erariale nei confronti dei magistrati
 sulla base delle norme relative ai pubblici  impiegati  -  la  si  e'
 avuta  in occasione della recente c.d. "privatizzazione" del pubblico
 impiego, attuata con il d.lgs. 3 febbraio 1993 n. 29. Nell'ambito  di
 tale  disciplina  infatti  si  afferma  che  i  magistrati  ordinari,
 amministrativi  e  contabili  restano  disciplinati  dai   rispettivi
 ordinamenti  (art. 2, quarto comma), mentre si richiama la disciplina
 vigente  in  materia  di  responsabilita'  solo  con  riferimento  ai
 dipendenti "privatizzati" (art. 59, primo comma).
   Ora,  se  anche  in  relazione ai piu' recenti sviluppi legislativi
 trova conferma la specificita' della normativa regolante il  rapporto
 tra   coloro   che  esercitano  la  funzione  giurisdizionale  ed  in
 particolare l'impossibilita' di mutuare tal quale la disciplina della
 responsabilita' per i danni eventualmente arrecati allo Stato e della
 relativa giurisdizione,  non  puo'  che  trovare  ulteriore  conferma
 l'affermazione che nel caso di specie non spetta alla Corte dei conti
 sottoporre  a giudizio di responsabilita' il magistrato, in relazione
 all'adozione di provvedimenti di natura giurisdizionale.
   4. - Questioni di legittimita' costituzionale.
   Qualora  si  dovesse  affermare, in contrario avviso a quanto si e'
 fino a qui sostenuto, che  sulla  base  della  normativa  vigente  in
 materia  di  responsabilita'  amministrativa, anche i magistrati sono
 soggetti alla giuridizione della Corte dei conti per danno  erariale,
 per   i   danni   arrecati   nell'esercizio  delle  proprie  funzioni
 giurisdizionali - negli stessi termini  e  sulla  base  del  medesimo
 procedimento  previsto  per  ogni  altro  pubblico dipendente - e' di
 tutta  evidenza  che  si  porrebbe  l'esigenza   di   verificare   la
 compatibilita'  di  tale  sindacato  giurisdizionale  con  i principi
 costituzionali relativi allo status del  giudice  e  all'indipendenza
 della  funzione  giurisdizionale  (artt.    101  e  113  Cost.) e con
 l'esigenza imprescindibile di uguaglianza e di ragionevolezza  propri
 dell'intero ordinamento (art. 3 Cost.).
   E  cio'  per  l'evidente  impatto  negativo,  sull'indipendenza del
 giudice e su quella particolare e necessaria condizione  di  "assenza
 di  aspettative  e di situazioni di pregiudizio", nonche' di "vincoli
 che possano comportare la sua soggezione, formale  o  sostanziale  ad
 altri  organi"  e  di  "prevenzioni,  timori,  influenze  che possano
 indurre il giudice a decidere in modo diverso da quanto a lui dettano
 scienza e coscienza" - che questa Corte in piu' occasioni ha ritenuto
 essere  connaturata  a  detto  principio  (Corte  cost.,  sent.   nn.
 128/1974, 60/1969, 18/1989) - di una disciplina della responsabilita'
 che  non  contenga  una  limitazione alla colpa grave ne' alcun tetto
 alle somme da risarcire, ne' infine disponga alcuna  previa  verifica
 dell'ammissibilita' della domanda.
   Il  tutto  in  palese e stridente contrasto con la disciplina della
 responsabilita' civile del magistrato contenuta nella legge 13 aprile
 1988 n. 117,  la  quale  verrebbe  ad  operare  non  piu'  anche  con
 riferimento ai danni arrecati dal magistrato allo Stato ma solo nelle
 situazioni  in  cui  il danneggiato e' il cittadino od altro soggetto
 dell'ordinamento, con un conseguente regime di favore, per lo  Stato,
 incompatibile con i canoni di uguaglianza e di ragionevolezza imposti
 dalla Costituzione.