IL PRETORE Ha pronunciato la seguente ordinanza di rimessione degli atti alla Corte costituzionale. Osserva il pretore: ritiene questo giudicante che la normativa portata alla sua attenzione e cioe' la legge 11 dicembre 1990, n. 379, sia tale da meritare il vaglio della Corte costituzionale; pur non ignorando, certamente, l'esistenza di una giurisprudenza di segno opposto, ritiene, infatti, questo giudice che la lettura della legge in parola dovrebbe andare nel senso di ritenere che, in base alla stessa, l'indennita' prevista dall'art. 1 della legge medesima ed oggi richiesta dalla ricorrente spetterebbe, in caso di maternita', per il solo fatto della domanda, nei termini previsti dall'art. 2 della legge citata ed indipendentemente da una effettiva astensione della interessata dall'attivita' lavorativa per il periodo di due mesi prima e tre mesi dopo il parto. Cio' per una serie di ragioni che possono, sommariamente cosi' elencarsi: 1. - Primo fra tutti il dato letterale, secondo l'antico brocardo dell'ubi voluit dixit: la legge in parola non fa letteralmente alcun cenno alla necessita' di una effettiva astensione dal lavoro, mentre disciplina minutamente le formalita' di richiesta, la quantificazione dell'indennita' ecc. Se e' pur vero che al giudice e' possibile l'interpretazione sistematica e' altresi' vero che in claris non fit interpretatio e la norma in oggetto sembra davvero caratterizzata dal requisito della chiarezza. Le sentenze che pervengono ad una diversa lettura della norma, creando in sostanza un onere non previsto dal legislatore, lo fanno attraverso una lettura complessiva di tutte le leggi in tema di tutela della maternita' e traspongono obblighi contenuti nella principale di esse, cioe' la legge n. 1204/71 nelle leggi successive, fra cui quella che ci interessa. Si tratta di un procedimento se non arbitrario certo non convincente, con il quale il giudice pare, piuttosto che giudicare, legiferare, secondo una tendenza diffusa ma non accettabile. Oltretutto alcune delle argomentazioni di queste decisioni paiono non convincenti. Si dice ad esempio che neppure la normativa ex art. 4 legge n. 1204/71 prevede un obbligo di astensione dal lavoro per la futura madre e che il precetto e' rivolto piuttosto al datore di lavoro, cosa, indubbiamente vera; si trascura, tuttavia di considerare che nella legge predetta si parla comunque a piu' riprese di "astensione obbligatoria", termine che presuppone, comunque anche un obbligo della lavoratrice (cfr. artt. 4 e 6 della predetta legge). Ma, soprattutto, e' inconferente quello che da questa premessa si trae; si dice cioe' che non era possibile imporre alla lavoratrice autonoma un obbligo di astensione, tanto e' vero che tale obbligo non e' previsto neanche per le lavoratrici dipendenti, e sarebbe stato di impossibile attuazione per le lavoratrici autonome. Cio', indubbiamente e' vero, ma si dovrebbe spiegare, tuttavia, perche' il legislatore non avrebbe potuto, se lo avesse voluto, imporre un onere alle predette lavoratrici autonome, condizionando la corresponsione della indennita' in parola alla effettiva astensione, ed usando ad esempio l'espressione "a condizione che la lavoratrice si astenga effettivamente dalle proprie attivita'" o espressioni similari. In tal caso la lavoratrice non sarebbe stata obbligata ad astenersi ma avrebbe saputo che l'indennita' le sarebbe spettata solo se si fosse astenuta. Ovviamente sulla effettivita' della astensione si sarebbe potuto esercitare, nelle forme opportune, il controllo dell'Ente obbligato al pagamento delle indennita', controllo fra l'altro a volte molto facile, come nel caso in oggetto, che riguarda una notaia. 2. - Altro dato di rilievo e' che la predetta indennita' debba essere corrisposta anche in caso di aborto spontaneo o terapeutico prima del terzo mese di gravidanza casi nei quali evidentemente, si prescinde dall'astensione obbligatoria. Liquidare queste situazioni come assolutamente eccezionali come fa la giurisprudenza citata pare francamente eccessivo, sopratutto, lo si ripete in un contesto generale in cui non sussiste, in termini letterali, alcun obbligo astensione legislativamente previsto. Ma se questa lettura e' esatta, la normativa in oggetto sembra gravata da sospetti di costituzionalita', intanto ex art. 3 della Costituzione, con riferimento alla situazione di disparita' non giustificata fra lavoratrici autonome e lavoratrici dipendenti, sotto il profilo della possibilita', concessa alle prime e non alle seconde di duplicare il proprio reddito non astenendosi dal lavoro e percependo, cosi', tanto il frutto del loro lavoro, quanto l'indennita' prevista dalla legge n. 379/90. Inoltre tale normativa, tramutandosi in un incentivo a lavorare anche in condizioni di avanzata maternita', e, quindi in condizioni potenzialmente pericolose tanto per la salute della madre quanto per quella del bambino, potrebbe violare anche il principio ex art. 37, primo comma, della Costituzione e quello dell'art. 32, primo comma, della stessa Carta. La questione appare rilevante nel presente giudizio, in quanto in esso la ricorrente, notaio, richiede, appunto, il pagamento della predetta indennita', che le viene contestata dalla cassa Notariato, perche' la ricorrente, stessa, almeno parzialmente non si e' astenuta dal lavoro.