Ricorso  del  presidente della regione siciliana pro-tempore, on.le
 prof. Giuseppe Provenzano, autorizzato a ricorrere con  deliberazione
 della  Giunta  regionale  n.  22 del 22 gennaio 1996, rappresentato e
 difeso, sia congiuntamente che  disgiuntamente,  dall'avv.  Francesco
 Castaldi  e  dall'avv.  Giovanni  Lo Bue ed elettivamente domiciliato
 nell'ufficio della regione  in  Roma,  via  Marghera  n.  36,  giusta
 procura  a  margine  del  presente  atto  contro  il  Presidente  del
 Consiglio dei Ministri pro-tempore, domiciliato per la carica a Roma,
 presso gli  uffici  della  Presidenza  del  Consiglio  dei  Ministri,
 Palazzo  Chigi e difeso per legge dall'avvocatura dello Stato, per la
 dichiarazione di incostituzionalita' degli  artt.  1,  comma  85,  2,
 comma  154  e 3, commi 158 e 216 della legge 23 dicembre 1996, n. 662
 recante  "Misure  di  razionalizzazione  della   finanza   pubblica",
 pubblicata  nella Gazzetta Ufficiale n. 303 del 28 dicembre 1996, nel
 supplemento ordinario n. 233.
                               Premesse
   L'art. 1, commi da 70 a 81, della legge 23 dicembre 1996,  n.  662,
 contiene disposizioni in materia di pubblica istruzione.
   In  particolare, il comma 70 del predetto art. 1, nell'ambito della
 razionalizzazione  della  rete  scolastica  con   effetto   dall'anno
 scolastico  1997/98,  dispone che "i provveditori agli studi, sentiti
 gli enti locali interessati  e  i  consigli  scolastici  provinciali,
 adottano,  con  propri  decreti  aventi carattere definitivo, i piani
 organici di aggregazione, fusione, soppressione di scuole e  istituti
 di  istruzione  di ogni ordine e grado, nonche' dei plessi, sezioni e
 corsi con minor numero di alunni rispetto  ai  parametri  prefissati,
 esclusi  i  conservatori  di  musica,  le  accademie  e  gli istituti
 superiori per le industrie artistiche".
   Il comma 85 del medesimo art. 1 prevede poi che "le disposizioni di
 cui ai commi da 70 e 80 non si applicano alla regione Valle d'Aosta e
 alle province autonome di  Trento  e  Bolzano,  che  disciplinano  la
 materia nell'ambito delle competenze derivanti dai rispettivi statuti
 e dalle relative norme di attuazione".
   Art. 2, comma 154, riserva all'erari'o statale le entrate derivanti
 dai  commi  da 133 e 165 del medesimo articolo per la copertura degli
 oneri  per  il  servizio  del  debito  pubblico,   nonche'   per   la
 realizzazione  delle  linee  di  politica  economica e finanziaria in
 funzione degli impegni di riequilibrio del bilancio assunti  in  sede
 comunitaria.
   Analoga disposizione e' contenuta nel successivo art. 3, comma 216,
 con  cui  vengono  riservate  all'erario  "le entrate derivanti dalla
 presente legge".
   Entrambe, le  disposizioni  contengono,  parimenti,  la  previsione
 secondo  cui  le  modalita'  di attuazione di quanto in esse disposto
 sono definite con decreto ministeriale.
   Il comma 158 dell'art. 3 prevede che la regione  siciliana  "attui"
 con  propria  legge  i  decreti  di  cui ai commi da 143 a 149 con le
 limitazioni   richieste   dalla   speciale   autonomia    finanziaria
 preordinata  dall'art.    36 dello statuto regionale e dalle relative
 norme di attuazione.
   Le   superiori   disposizioni    di    legge    sono    palesemente
 incostituzionali per i seguenti motivi di:
                                Diritto
   1. - Violazione dell'art. 21, terzo comma, dello statuto siciliano.
   In  via  preliminare  va eccepita la violazione dell'art. 21, terzo
 comma, dello statuto atteso che il procedimento  legislativo  che  ha
 portato  alla  formazione  delle  norme impugnate e' stato iniziato e
 completato senza che la regione siciliana abbia potuto prendere parte
 alla fase dell'iniziativa legislativa del Governo, sicche', una volta
 divenuta legge tale iniziativa, le norme  della  legge  impugnata  si
 pongono  in  palese violazione della sopracitata norma statutaria che
 attribuisce al presidente della regione il diritto a partecipare alle
 riunioni del Consiglio dei Ministri nelle quali si decida su  materie
 che interessano la regione.
   La  partecipazione  del  presidente  della regione al Consiglio dei
 Ministri  tutte  le  volte  che  debba  deliberarsi  su  materie  che
 interessano  la  regione  "e'  chiaramente  una attivita' che rientra
 nella   sfera   delle   attribuzioni   regionali   costituzionalmente
 garantite,  posto  che  il suo svolgimento e' previsto da una precisa
 tassativa disposizione dello Statuto speciale siciliano, cioe' da una
 norma di carattere costituzionale, tutelante in via  diretta,  e  non
 occasionale,  un  interesse  costituzionale  della  regione:  e cioe'
 appunto l'interesse a partecipare con il suo Presidente alle riunioni
 del Consiglio dei Ministri, quando questo tratti  affari  riguardanti
 la regione" (C.S., VI, 27 febbraio 1963, n. 111).
   Afferma  altresi'  codesta  ecc.ma  Corte che "mentre da un lato la
 lettera  della  norma  statutaria,  nella   sua   forma   imperativa,
 inequivocabilmente   considera   il  Presidente  della  Regione  come
 titolare di una competenza, la sua ratio conferma che lo  Statuto  ha
 voluto  che,  nelle  materie  nelle  quali  sia presente un interesse
 regionale e che siano di tale importanza da giustificare l'intervento
 del piu'  alto  organo  governativo,  i  relativi  provvedimenti  non
 vengano  adottati  senza  la  partecipazione  di  chi, in forza dello
 stesso Statuto, rappresenta la Regione e puo' percio' far  valere  le
 valutazioni che da quell'interesse siano ispirate" (sent. n. 1/1968).
   L'interesse  regionale, al fine della necessaria partecipazione del
 presidente della regione al Consiglio dei Ministri, e'  da  ritenersi
 sussistente  nei  confronti  delle  norme impugnate producendo queste
 ultime i loro effetti, come meglio sara' evidenziato  nei  successivi
 paragrafi,  in materie nelle quali alla Regione sono attributi poteri
 che  caratterizzano  la  sua  speciale   autonomia.   Solo   da   una
 partecioazione del Presidente della Regione alla seduta del Consiglio
 dei Ministri in cui si e' discusso il disegno di legge, ora approvato
 dal  Parlamento  e  quindi divenuto legge dello Stato, sarebbe potuto
 scaturire il leale coordinamento degli interessi  della  Regione  con
 quelli  dello  Stato;  coordinamento cui e' mirato proprio l'art. 21,
 terzo comma, dello statuto, ai sensi del quale  il  presidente  della
 regione  partecipa, col rango di Ministro, al Consiglio dei Ministri,
 con voto deliberativo, per la difesa  degli  interessi  regionali  in
 seno all'organo di Governo dello Stato.
    Giova  ricordare  che  il  presidente  della  regione  con ricorso
 notificato il 25 novembre 1996 (Reg. confl. n. 30/1996) ha provveduto
 a sollevare  conflitto  di  attribuzione  contro  il  Presidente  del
 Consiglio  dei  Ministri per le limitazioni poste alla partecipazione
 dell'on.le Provenzano al Consiglio  dei  Ministri  del  27  settembre
 1996,   convocato   per   l'esame   del  disegno  di  legge  recante:
 "Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale
 dello  Stato  -  legge  finanziaria,  1997", chiedendo l'annullamento
 della  deliberazione  adottata  dal  Consiglio  dei  Ministri,  nella
 medesima  seduta  del  27  settembre,  con  cui e' stato approvato il
 summenzionato disegno di legge.
   2. - Violazione da parte dell'art. 1, comma  85,  degli  artt.  14,
 lettera  d)  e  20 dello statuto siciliano. Violazione delle norme di
 attuazione approvate con d.P.R. 14 maggio 1985, n. 246.
   La disposizione contenuta nel comma 85 dell'art. 1 sopra riportato,
 nella parte in cui non prevede di escludere  dall'applicazione  delle
 norme  di  cui  ai  commi  da  70 a 80 anche la regione siciliana, si
 appalesa lesiva delle  prerogative  statutariamente  attribuite  alla
 regione in materia di istruzione in quanto:
     a)  viola  i  principi  che discendono dall'art. 14 dello statuto
 speciale per la regione siciliana che, alla lettera "r",  attribuisce
 a  quest'ultima  potesta'  di  legislazione  esclusiva  in materia di
 "istruzione elementare";
     b) viola i principi che discendono  dall'art.  17  dello  Statuto
 speciale  che,  alla  lettera  "d" attribuisce alla regione siciliana
 potesta' di legislazione concorrente in materia di "istruzione  media
 e universitaria";
     c)  viola  l'art.  20  dello stesso statuto speciale ai sensi del
 quale il presidente e gli assessori regionali svolgono nella  regione
 anche  le funzioni esecutive ed amministrative concernenti le materie
 di cui agli artt. 14, 15 e 17 dello statuto;
     d) viola le  norme  di  attuazione  dello  statuto  siciliano  in
 materia  di pubblica istruzione, approvate con d.P.R. 14 maggio 1985,
 n. 246, che all'art. 1 devolve espressamente alla Regione l'esercizio
 delle attribuzioni statali in materia di pubblica istruzione, a norma
 dell'art.  20 ed, in relazione all'art. 14 lettera "r" ed all'art. 17
 lettera "d" dello statuto.
   Il d.P.R. 14 maggio 1985, n.  246,  recante  "Norme  di  attuazione
 dello   statuto  della  regione  siciliana  in  materia  di  pubblica
 istruzione, all'art.  1  espressamente  dispone,  infatti,  che  "nel
 territorio  della  regione  siciliana  le  attribuzioni  degli organi
 centrali e periferici dello Stato in materia di pubblica  istruzione,
 nonche'  in  materia  di  assistenza  scolastica ed educativa in ogni
 ordine e grado di scuole, compresa l'assistenza  universitaria,  sono
 esercitate  dall'Amministrazione regionale a norma dell'art. 20 ed in
 relazione all'art. 14, lett.   r) ed  all'art.  17,  lett.  d)  dello
 statuto della regione siciliana.
   Lo  stesso art. 1 precisa inoltre che rientrano tra le attribuzioni
 trasferite le funzioni degli organi centrali e periferici dello Stato
 inerenti le materie di cui al d.P.R. 31 maggio 1974, n.  416  (scuola
 materna,   elementare,   secondaria  e  artistica),  "nonche',  fatta
 eccezione per i compiti di carattere nazionale  unitario,  quelli  di
 cui  al  d.P.R.    31 maggio 1974, n. 419" (sperimentazione e ricerca
 educativa).
   Il tenore della richiamata disposizione ed il contesto delle  norme
 tutte  contenute  nel  d.P.R.  14  maggio  1985,  n. 246, consente di
 affermare, che per effetto della generale devoluzione disposta con le
 citate norme di attuazione, tutte le attribuzioni gia' di  competenza
 dello  Stato  concernenti  la  materia della pubblica istruzione sono
 state trasferite alla regione siciliana.
   E che trattasi di  una  generale  devoluzione  di  attribuzioni  e'
 confermato   implicitamente   anche  dall'art.  4  delle  piu'  volte
 richiamate norme di attuazione, dove espressamente sono enumerate  le
 attribuzioni  che,  non  vengono  trasferite  e restano di competenza
 statale, quali:  l'ordinamento degli studi e degli esami, i programmi
 di insegnamento,  gli  esami  di  Stato,  lo  stato  giuridico  e  il
 trattamento  economico  del personale degli uffici periferici statali
 nonche' del personale ispettivo, direttivo,  docente  e  non  docente
 statale delle scuole di ogni ordine e grado e delle Universita'.
   Ne consegue che, fatta eccezione, per le attribuzioni espressamente
 riservate  allo Stato, tutte le altre sono da considerarsi rientranti
 nella generale competenza regionale nella materia. Detto principio si
 rinviene tra le  argomentazioni  svolte  dalla  Corte  costituzionale
 nella sentenza n. 140/1977.
   La  scelta  operata con le ricordate norme di attuazione, anche con
 riferimento all'art. 14, lett. r), all'art. 17 lett. d),  e  all'art.
 20 dello statuto speciale, risulta pertanto inequivoca.
   In  relazione  alle  considerazioni  sopra svolte e con particolare
 riguardo all'oggetto  del  presente  conflitto  di  attribuzioni,  va
 rilevato  che  il  comma 70 della legge 23 dicembre 1996, n. 662, nel
 prevedere  una  riorganizzazione  graduale  della  rete   scolastica,
 stabilisce che i "provveditori agli studi adottano con propri decreti
 aventi   carattere  definitivo  i  piani  organici  di  aggregazione,
 fusione, soppressione di scuole e  istituti  di  istruzione  di  ogni
 ordine  egrado", con cio' modificando l'attribuzione delle competenze
 in ordine alla definizione del piano di razionalizzazione della  rete
 scolastica  cosi'  come  gia' disciplinato dall'art. 51 del d.lgs. 16
 aprile 1994, n. 297. Tale disposizione, infatti, prevede che il detto
 piano venga adottato con provvedimenti del Ministro per  la  pubblica
 istruzione  e  nel  territorio della regione siciliana, in virtu' del
 trasferimento  di  attribuzioni  di  cui  alle  norme  di  attuazione
 approvate  con  d.P.R.  n. 246/l985, con provvedimenti dell'assessore
 regionale per i beni  culturali  ed  ambientali  e  per  la  pubblica
 istruzione, previa intesa col ministero.
   Conseguentemente,  non  appare conforme alle richiamate norme dello
 statuto siciliano e alle relative norme di attuazione in  materia  di
 pubblica istruzione il comma 85 dell'art. 1 legge n. 662/1996, ove si
 prevede  che  "le  disposizioni  di  cui  ai  commi da 70 a 80 non si
 applicano alla regione Valle d'Aosta  e  alle  province  autonome  di
 Trento  e  Bolzano  che  disciplinano  la  materia  nell'ambito delle
 competenze derivanti dai rispettivi statuti, e dalle  relative  norme
 di attuazione".
   Tale  disposizione  appare incostituzionale, in quanto lesiva delle
 prerogative statutariamente attribuite alla regione, nella  parte  in
 cui non prevede la disapplicazione delle disposizioni di cui ai commi
 da 70 a 80 anche nella Regione siciliana.
   In tal senso e' appena il caso di evidenziare come lo statuto della
 Valle d'Aosta - regione alla quale il comma 85 riconosce un'autonomia
 di  disciplina  della  materia  nell'ambito  delle proprie competenze
 statutarie  -  attribuisca  alla   stessa   soltanto   una   potesta'
 legislativa concorrente in materia di "istruzione materna, elementare
 e  media"  (art.  3,  lett.  g.),  mentre  la  regione  siciliana  ha
 addirittura  una  potesta'  legislativa  esclusiva  in   materia   di
 "istruzione  elementare"  (art.  14,  lett. r), oltre alle piu' ampie
 attribuzioni conferitele dalle  richiamate  norme  di  attuazione  in
 materia di istruzione pubblica.
   3.  - Violazione da parte degli artt. 2, comma 154, e 3, comma 216,
 dell'art. 36 dello statuto siciliano e  dell'art.  2  del  d.P.R.  26
 luglio   1965,  n.  1074  recante  norme  di  attuazione  in  materia
 finanziaria.   Violazione del  principio  di  certezza  del  diritto.
 Violazione del principio di leale cooperazione.
   La  legge  23  dicembre  1996, n. 662 riserva all'erario statale le
 entrate derivanti dai commi da 133 a 165 (art. 2, comma 154)  nonche'
 le  entrate  derivanti  dalla  presente legge (art. 3, comma 216). Le
 stesse disposizioni contengono la previsione secondo cui le modalita'
 di attuazione di quanto in esse statuito sono  definite  con  decreto
 ministeriale.
   La  legge  n.  662/1996,  ed,  in  particolare,  gli  artt.  2 e 3,
 contengono diverse disposizioni in  materia  di  entrata,  che  vanno
 dall'istituzione  di  nuovi  tributi  alla  sostituzione  di  imposte
 esistenti con altro tipo di imposizioni pure esistenti, ad elevazioni
 di aliquote relative a vari tributi.
   Gli articoli medesimi contengono altresi' interventi  molteplici  e
 di  varia natura caratterizzati dall'apparente intento di ridisegnare
 le fattispecie tributarie, le cause di  detrazione  o  di  deduzione,
 l'allargamento  della  base  imponibile  attraverso  ad es. l'aumento
 delle  rendite  catastali, ma sostanzialmente rivolti a procurare, in
 forme trasversali, delle maggiori entrate.
   I predetti interventi sulla base imponibile  di  tributi  esistenti
 che  consentono  l'acquisizione di maggiori entrate non costituiscono
 pero' "nuove entrate tributarie", che e' la  condizione  precisa  che
 l'art.  2  del  d.P.R. n. 1074/1965 pone alla facolta' dello Stato di
 riservarsi le entrate spettanti alla Regione.
   Invero, com'e', noto, secondo la giurisprudenza di  codesta  ecc.ma
 Corte,   la   "novita'   dell'entrata",   che  costituisce,  appunto,
 "requisito indefettibile" per la devoluzione allo Stato delle entrate
 tributarie riscosse nell'ambito territoriale, regionale, caratterizza
 "le imposte di nuova istituzione"  o  "le  entrate  derivanti  da  un
 incremento  dell'importo  delle  aliquote  di  imposte  preesistenti"
 (sentenza n. 429/1996).
   Nel caso di  specie,  non  trattandosi  di  nuovo  tributo  ne'  di
 elevazione  di  aliquota  di  tributi  esistenti, la devoluzione allo
 stato  dei  maggiori  proventi  disposta  dalle  norme  impugnate  si
 appalesa illegittima.
   Come  osserva  la Corte nella sentenza n. 61 del 1987 l'apposizione
 di "cautele" da parte dell'art. 2 del d.P.R. n. 1074/1965 (in  specie
 la  "novita'  dell'entrata") alla citata facolta' di riserva, del cui
 esercizio costituisce condizione, e' volta "a  rendere  possibile  il
 controllo  politico  sull'esatto  e  corretto esercizio della deroga"
 contenuta nel richiamato art. 2 della normativa di attuazione.
   Detta  cautela  (novita'   del   provento)   costituisce   pertanto
 essenziale  garanzia  di  legittimita'  costituzionale  della riserva
 operata  dalle  norme  impugnate.  Ma  in  queste  ultime  non   v'e'
 indicazione alcuna dei criteri per la selezione del provento nuovo da
 quello  che  nuovo  non  e' di guisa che e' impedito alla regione e a
 codesta Corte  in  questa  sede  il  controllo  sull'esercizio  della
 deroga.
   Le  norme  impugnate invero si limitano a rinviare ad un successivo
 decreto ministeriale la indicazione dei predetti  criteri  selettivi,
 impedendo  quel  controllo  sul  corretto  esercizio della deroga sul
 punto della novita' del provento che, come detto,  codesta  Corte  ha
 qualificato  siccome statutaria cautela della regione siciliana. Vien
 meno in tal guisa  la  prevedibilita'  delle  decisioni  che  saranno
 adottate  dagli  organi  ministeriali preposti all'applicazione delle
 norme impugnate con conseguente palese violazione del principio della
 certezza del diritto.
   Il grado di tutela dell'autonomia  finanziaria  di  cui  e'  dotata
 statutariamente  la  regione  siciliana  risulta infatti direttamente
 proporzionale al grado  di  definizione  della  normativa.  In  altri
 termini,  perche'  si  abbia  effettivita'  di tutela, occorre che le
 norme che afferiscono alla materia finanziaria siano sufficientemente
 precise  e  dettagliate,  nonche'  ancorate  a   precisi   indicatori
 quantitativi.
   Ma  c'e'  di piu'. Invero ancor piu' grave si appalesa il vulnus al
 principio di leale cooperazione da parte delle  norme  impugnate  per
 non  avere  le  stesse  previsto  nessuna  forma  di partecipazione e
 consultazione  della  regione  siciliana  nella  determinazione   dei
 maggiori proventi derivanti dagli interventi in parola.
   A  tal riguardo non puo' non rilevarsi come in una materia "vitale"
 quale quella finanziaria,  che  costituisce  uno  dei  cardini  della
 speciale  autonomia  di.  cui  e'  dotata statutariamente la Regione,
 quest'ultima.  e' totalmente ignorata sia a monte  che  a  valle  del
 complesso  procedimento  legislativo  amministrativo,  che,  senza il
 correttivo intervento di codesta Corte,  portera'  ancora  una  volta
 all'incameramento  in  favore  dell'erario  statale  di  qualsivoglia
 aumento delle entrate tributarie riscosse in Sicilia.  A  monte,  per
 non  avere  il  Presidente del Consiglio invitato il Presidente della
 Regione al Consiglio dei Ministri in cui veniva discussa ed approvata
 la normativa finanziaria de qua, facendo  venir  meno  il  necessario
 coordinamento  tra  lo  Stato  e  la Regione cui e' mirato l'art. 21,
 terzo comma, dello Statuto; a valle, perche' il  Ministro  competente
 provvedera'  in  assoluta  autonomia  e  senza  alcuna interlocuzione
 regionale a determinare discrezionalmente  il  quantum  dei  maggiori
 proventi  che  affluiranno  allo  Stato con buona pace della speciale
 autonomia finanziaria della Regione.
   4. - Violazione da parte dell'art. 3, comma 158, dell'art. 36 dello
 statuto siciliano e delle relative norme  di  attuazione  in  materia
 finanziaria approvate con il d.P.R. 26 luglio 1965, n. 1074.
   La  disposizione  impugnata,  nella  parte  in  cui  prevede che la
 regione "attui" con propria legge il decreto legislativo con il quale
 viene istituita l'imposta regionale sulle attivita' produttive di cui
 ai commi143 e  seguenti  dell'articolo  3  della  legge  n.  62/1996,
 contrasta  con  la  speciale  autonomia  finanziaria  garantita  alla
 Regione dallo Statuto e dalle  relative  norme  di  attuazione    che
 attribuiscono  a  quest'ultima  il potere di istituire tributi propri
 nei limiti dei principi del sistema tributario dello Stato.