ha pronunciato la seguente
  Sentenza
 nel  giudizio  di  ammissibilita', ai sensi dell'art. 2, primo comma,
 della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1,  della  richiesta  di
 referendum popolare per l'abrogazione della legge 3 febbraio 1963, n.
 69, nel testo risultante dalle modificazioni apportate dalle leggi 20
 ottobre 1964, n. 1039 e 10 giugno 1969, n. 308 e dalle sentenze della
 Corte  costituzionale  n.  11  e n. 98 del 1968, recante "Ordinamento
 della professione di giornalista", iscritto al n.  107  del  registro
 referendum;
   Vista  l'ordinanza  dell'11-13 dicembre 1996 con la quale l'Ufficio
 centrale per il referendum costituito presso la Corte  di  cassazione
 ha dichiarato legittima la richiesta;
   Udito  nella  camera  di  consiglio  dell'8 gennaio 1997 il giudice
 relatore Fernando Santosuosso;
   Uditi gli avvocati Giuseppe Minieri per  l'Ordine  dei  giornalisti
 della   Lombardia,  Antonio  Pandiscia  per  l'Ordine  nazionale  dei
 giornalisti, Mario Bertolissi per l'Ordine dei giornalisti del Veneto
 e Giuseppe Morbidelli per i presentatori Bernardini Rita  e  Sabatano
 Mauro.
                           Ritenuto in fatto
   1.  -    L'Ufficio  centrale per il referendum costituito presso la
 Corte di cassazione, in applicazione della legge 25 maggio  1970,  n.
 352,  e successive modifiche, ha esaminato la richiesta di referendum
 popolare presentata da un gruppo di cittadini elettori  sul  seguente
 quesito:  "Volete  voi  che sia abrogata la legge 3 febbraio 1963, n.
 69, recante "Ordinamento della professione di giornalista"?".
   2. - L'Ufficio centrale, dopo aver verificato la regolarita'  della
 richiesta,  con  esito positivo, ha rilevato che il quesito era stato
 formulato senza tenere conto ne' delle successive  leggi  20  ottobre
 1964  n.  1039 e 10 giugno 1969 n. 308, che hanno modificato la legge
 oggetto del referendum, ne' delle sentenze n. 98 e n. 11 del 1968  di
 questa Corte, che hanno dichiarato l'illegittimita' costituzionale di
 alcune norme della legge stessa.
   Di conseguenza, l'Ufficio centrale per il  referendum ha provveduto
 a riformulare il quesito del referendum nei seguenti termini: "Volete
 voi  che  sia  abrogata  la  legge  3 febbraio 1963, n. 69, nel testo
 risultante dalle modificazioni apportate dalle leggi 20 ottobre  1964
 n.  1039  e  10  giugno  1969  n.  308  e  dalle sentenze della Corte
 costituzionale n. 11 e n. 98 del  1968,  recante  "Ordinamento  della
 professione di giornalista"?".
   Ricevuta  comunicazione  dell'ordinanza,  il  Presidente  di questa
 Corte ha fissato il giorno 8 gennaio 1997 per l'udienza in camera  di
 consiglio, dandone regolare comunicazione.
   3.  -  In  prossimita'  della  camera di consiglio hanno presentato
 memoria i promotori del referendum, insistendo per la declaratoria di
 ammissibilita' della richiesta.
   Ha in particolare rilevato  la  difesa  che  nel  caso  non  sembra
 sussistere  alcuna  delle  ragioni  ostative di cui all'art. 75 della
 Costituzione.
   Parimenti, non potrebbero trarsi  motivi  di  inammissibilita'  dal
 fatto che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 11 del 1968, ha
 ritenuto  non  contrastante con il principio di cui all'art. 21 della
 Costituzione la prevista obbligatorieta' dell'iscrizione all'albo per
 l'esercizio della professione di giornalista, in quanto il fatto  che
 una legge abbia superato il vaglio di costituzionalita' non vuol dire
 che la stessa non sia sottoponibile a referendum.
   Risulterebbero  inoltre  osservati,  secondo il Comitato promotore,
 gli ulteriori requisiti di omogeneita', chiarezza ed  univocita'  del
 quesito,  atteso  che  le  disposizioni  che  si  intendono  abrogare
 rispondono  ad  una  matrice  razionalmente  unitaria,  richiedendosi
 l'abrogazione  dell'intera  legge  che disciplina, in modo organico e
 sistematico, l'attivita' giornalistica.
   Anche  sotto  il  profilo  della  completezza  non  sembra  possano
 sussistere  dubbi,  posto  che  nella  normativa  di risulta non sono
 rinvenibili  disposizioni  ricollegabili  alle  abrogande  norme   ed
 espressive della medesima ratio; in proposito, la difesa del Comitato
 promotore  fa  presente  che  non  e'  stato  ricompreso  nel quesito
 referendario l'art.  5 della legge 8 febbraio 1948, n. 47  in  quanto
 esso  si limita a prevedere la mera possibilita' e non l'obbligo, per
 il direttore responsabile di un periodico, di iscrizione all'albo dei
 giornalisti.
   Analogamente, non sembrano ipotizzabili incoerenze della  normativa
 di  risulta  con  riguardo  ai  profili  previdenziali  connessi  con
 l'esercizio della professione di giornalista, dal momento che non  vi
 e'  coincidenza soggettiva tra gli iscritti all'ordine e gli iscritti
 all'Istituto nazionale di  previdenza  per  i  giornalisti,  giacche'
 questo  comprende  solo  i professionisti che effettivamente svolgono
 attivita' professionale a favore di un'impresa editrice.
   4. -  In  prossimita'  dell'udienza  hanno  presentato  memorie  il
 Consiglio   nazionale  dell'ordine  dei  giornalisti  ed  i  Consigli
 regionali del medesimo ordine per il Veneto e per la Lombardia, ma la
 Corte ha dichiarato l'inammissibilita' di questi atti di intervento.
   5. - Nella camera di consiglio dell'8 gennaio 1997 e' stato  udito,
 per i promotori del referendum, l'avvocato Giuseppe Morbidelli.
                         Considerato in diritto
   1.  -   La richiesta di sottoporre a referendum abrogativo l'intera
 legge 3 febbraio  1963,  n.  69  (Ordinamento  della  professione  di
 giornalista), risulta ammissibile non sussistendo le ragioni ostative
 riconducibili   all'art.  75  della  Costituzione  ed  alla  relativa
 elaborazione giurisprudenziale.
   Giova  preliminarmente  ricordare  che  questa  Corte  si  e'  gia'
 occupata,   in   sede   di   giudizio   incidentale  di  legittimita'
 costituzionale, di alcune norme della legge  in  oggetto.  In  quelle
 occasioni  (sentenze  n.  71 del 1991 e n. 11 del 1968) il Collegio -
 chiamato a verificare se l'esistenza  dell'Ordine  professionale  dei
 giornalisti  fosse contrastante con l'art. 21 della Costituzione - ha
 affermato che non osta al principio della libera  manifestazione  del
 pensiero  il  fatto  che i giornalisti siano cosi' organizzati, anche
 perche' tale Ordine ha il "compito di  salvaguardare,  erga  omnes  e
 nell'interesse  della  collettivita',  la dignita' professionale e la
 liberta' di informazione e di critica dei propri iscritti".
   In questa sede, tuttavia, occorre precisare che l'aver escluso  che
 l'esistenza  dell'ordine  dei  giornalisti  si ponga in contrasto con
 principi  di  rilevanza  costituzionale,  non  significa   che   tale
 esistenza debba ritenersi obbligatoria.
   2.  -  Deve in proposito riaffermarsi il principio che la richiesta
 di  abrogazione  referendaria  puo'  investire  norme  di   contenuto
 disponibile   da   parte   del   legislatore   ordinario,  mentre  e'
 inammissibile quando  essa  tende  ad  abrogare  norme  a  "contenuto
 costituzionalmente vincolato" (sentenza n. 16 del 1978).
   Una  tale  natura non e' ravvisabile nella specie per il solo fatto
 che la legge in esame istituisce detto ordine professionale, giacche'
 rientra nella discrezionalita' del legislatore ordinario  determinare
 le professioni intellettuali per l'esercizio delle quali e' opportuna
 l'istituzione  di  ordini  o  collegi  e  la necessaria iscrizione in
 appositi albi o elenchi (art. 2229 cod. civ.).
   3. - Un contenuto costituzionale non e' riscontrabile nemmeno nelle
 norme relative  agli  interessi  coinvolti  nello  svolgimento  della
 professione  giornalistica  ed alla disciplina relativa all'attivita'
 sia dei singoli giornalisti che degli organi dell'Ordine.
   Per quanto riguarda particolarmente l'interesse della collettivita'
 che e' stato sottolineato dalle citate sentenze (n. 71 del 1991 e  n.
 11   del  1968)  e'  decisivo  rilevare  -  ai  limitati  fini  della
 ammissibilita' del referendum - che la presenza nella legge in  esame
 di   una  norma  sulla  deontologia  dei  giornalisti,  se  favorisce
 indirettamente l'esercizio del "diritto di manifestare liberamente il
 proprio pensiero con la parola, lo scritto  e  ogni  altro  mezzo  di
 diffusione"  (art. 21 della Costituzione), non e' sufficiente per far
 ritenere che  l'ordinamento  della  professione  di  giornalista  sia
 essenziale per la tutela di un diritto costituzionale.
   Su  questo  primo  punto deve quindi concludersi che, a prescindere
 dall'opportunita'  dell'esistenza  di  un  Ordine  professionale  dei
 giornalisti   e   dall'interesse   della  collettivita'  al  corretto
 svolgimento    dell'importante    attivita'    della    comunicazione
 multimediale,  la loro disciplina non ha contenuto costituzionalmente
 vincolato.
   4. - La presente  proposta  referendaria,  in  secondo  luogo,  non
 difetta  dei  requisiti  della  chiarezza  e  della  omogeneita'  del
 quesito. Essa investe l'intero testo normativo che concerne tutti gli
 aspetti,  strettamente  connessi  fra  loro,  della  professione   di
 giornalista.
   D'altra  parte  la  riconduzione  della  legge  in questione ad una
 matrice razionalmente unitaria non appare alterata dal fatto che essa
 faccia riferimento anche ai diritti ed  ai  doveri  dei  giornalisti,
 sintetizzati  nell'unica  disposizione  (art.  2) dei 75 articoli del
 testo normativo oggetto del quesito referendario.
   Tale testo, invero, si  presenta  chiaramente  alla  considerazione
 dell'elettore  come  quello  che organizza e disciplina i giornalisti
 professionisti, ivi compresi gli scopi dell'Ordine  e  i  doveri  dei
 suoi  iscritti. Ne' puo' sorgere il dubbio che, con l'eventuale esito
 abrogativo   del   referendum,   possano   venir   meno   l'attivita'
 giornalistica  professionale, la disciplina contrattuale del rapporto
 di lavoro, o i canoni deontologici inerenti a tale attivita'.  Questi
 ultimi derivano, oltre che dal costume, da altre leggi (cui del resto
 fa  rinvio  lo  stesso  art.  2),  dalle  funzioni del Garante, dalla
 giurisprudenza in materia e da forme di autoregolamentazione.
   5.  -  La  richiesta  referendaria  non   puo'   infine   ritenersi
 inammissibile  per l'omessa indicazione delle numerose norme relative
 all'Ordine dei giornalisti, distribuite in diversi testi  legislativi
 non ricompresi nel quesito posto agli elettori.
   Va  in proposito osservato, in via di principio, che la carenza del
 requisito della completezza non e' ravvisabile per il solo fatto  che
 non  siano  investiti  tutti gli altri frammenti, richiami o parti di
 norme che, in conseguenza dell'abrogazione,  verrebbero  a  subire  i
 normali  effetti  caducatori  o di adattamento da parte del giudice o
 del  legislatore. L'incompletezza e', invece, ravvisabile solo quando
 la  stessa  norma  o  lo  stesso  principio  oggetto  del  referendum
 costituiscano  il  contenuto  essenziale  di  un altro autonomo corpo
 normativo  che,  sopravvivendo  all'eventuale  abrogazione  per  voto
 popolare,     determinerebbe     un'intollerabile     contraddizione,
 traducendosi in un difetto di chiarezza  verso  gli  elettori.  Nella
 specie  la  residua normativa riguarda aspetti talvolta marginali del
 regolamento della  professione  di  giornalista,  o  aspetti  la  cui
 permanenza  e' compatibile con l'eventuale abrogazione della legge in
 questione; rimanendo  comunque  affidato  alla  discrezionalita'  del
 legislatore  ed all'interpretazione sistematica della giurisprudenza,
 in caso di esito positivo del referendum, il compito di ricondurre la
 disciplina ad unita' ed armonia.