IL PRETORE A scioglimento della riserva assunta in data 26 settembre 1996; Visti gli atti; Rilevato che in data 18 luglio 1996 Orlando Antonino depositava istanza di sospensione della esecuzione n. 32/1996 rog. mob.; Rilevato che con provvedimento datato per errore materiale 25 agosto 1996 veniva fissata l'udienza del 22 agosto 1996 dinnanzi al pretore feriale; Rilevato che all'udienza del 22 agosto 1996 il pretore feriale fissava nuova udienza del 26 settembre 1996 con termine per la notifica sino al 20 settembre 1996; Ritenuto che con quest'ultimo provvedimento deve, dunque, intendersi revocato il provvedimento depositato in data 16 agosto 1996 e, per l'effetto, il successivo emesso ex art. 309 c.p.c. in data 29 agosto 1996 dal pretore feriale; Ritenuto che, presa visione del fascicolo della opposizione il G.E. puo' - e solamente allo stato - pronunciarsi relativamente alla chiesta sospensione della esecuzione avendo rilevato che l'udienza fissata nel procedimento di opposizione ex art. 619, c.p.c. risulta rinviata d'ufficio al 5 dicembre 1996; Ritenuto che appaiono sussistere i gravi motivi di cui all'art. 624 c.p.c. nonche' appare manifestamente fondata la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 513 e 621 c.p.c. relativamente agli artt. 3 e 24 ed agli altri che la Corte costituzionale investita dovesse ravvisare; P. Q. M. Visti gli artt. 624, 619 c.p.c.; Sospende l'esecuzione confermando l'udienza per il merito del giorno 5 dicembre 1996; Manda alla cancelleria per le comunicazioni di rito, nonche' per gli adempimenti relativi alla questione di legittimita' costituzionale che al presente provvedimento si allega. Reggio Calabria, addi' 30 settembre 1996 Il pretore-g.e.: Gavoni IL PRETORE Ritenuto manifestamente fondata la questione di legittimita' costituzionale degli articoli 513 e 621 c.p.c. in relazione agli artt. 3 e 24 della Costituzione nonche' a quelli che la Corte costituzionale dovesse ravvisare, espone quanto segue. In Fatto In data 28 marzo 1996, l'ufficiale giudiziario dell'ufficio unico esecuzioni della Corte d'Appello di Reggio Calabria, procedeva ad eseguire pignoramento mobiliare in via Sbarre Inferiori trav. De Blasio 5 in virtu' della sentenza emessa dal tribunale di Reggio Calabria in data 4 maggio 1992 resa esecutiva il 15 giugno 1993 e legalmente notificata il 10 ottobre 1995 con la quale si condannava Orlando Bartolo a pagare all'erario dello Stato la somma di lire 26.292.020 dovuta per pena pecuniaria e spese di giustizia. Ivi giunto, l'ufficiale giudiziario rinveniva il padre del debitore il quale dichiarava: "Tutto quello che c'e' qui e' mio. Faro' opposizione". Veniva dunque proposta opposizione di terzo all'esecuzione ex art. 619 c.p.c., nonche' istanza di sospensione ex art. 624 c.p.c. essendo state fissate le date di vendita. In Diritto Alcune considerazioni relative a quanto eccepito dall'opponente. Ai sensi dell'art. 27 della Costituzione la responsabilita' personale e' penale. Ritenuto che ex art. 17 c.p. la multa e l'ammenda sono pene pecuniarie e che il principio della responsabilita' penale opera esclusivamente nei confronti delle pene vere e proprie e non ha alcuna attinenza con le sanzioni di altra natura (Corte costituzionale 25 febbraio 1988, n. 207), ne consegue che anche per la esecuzione delle pene pecuniarie, la responsabilita' personale deve ritenersi personale. A cio' si aggiungano le reiterate osservazioni relative al fine rieducativo della pena, anche pecuniaria, che sarebbe privo di consistenza se la stessa non fosse eseguita dalla persona relativamente alla quale e' stata inflitta. Inoltre, agli atti non risulta che Orlando Bartolo sia soggetto all'altrui autorita', direzione o vigilanza (artt. 196 c.p., 660 c.p.p. e 181 att. c.p.p.). Cio' premesso, dal combinato disposto degli artt. 513 e 621 c.p.c. non puo' che derivare che la presunzione di appartenenza dei beni mobili vale anche per le altre persone che convivono nella casa del debitore. Diverse sono state le interpretazioni che la giurisprudenza ha inteso dare al termine "casa del debitore"; tra le altre: luogo di cui il debitore abbia il pieno ed esclusivo godimento in forza di un diritto reale o personale; luogo attuale di dimora del debitore e della sua famiglia, ricollegato ad un mero rapporto di fatto purche' non precario; luogo di abitazione sulla quale si esprima un potere di fatto, una sorta di signoria della cosa, intesa come diritto di goderne secondo la coscienza sociale e non quindi alla stregua di una valutazione privatistica. Gia' autorevole dottrina sostiene che "non possono pignorarsi i mobili in casa del padre per debiti del figlio maggiorenne, poiche' la casa del debitore e' da considerarsi quella legata al debitore stesso da un diritto reale o personale". Pur non volendo arrivare a tale considerazioni, pero', e dovendo considerare, per un attento esame della fattispecie, anche quanto statuito dagli articoli 316 c.c.: "il figlio e' soggetto alla potesta' dei genitori sino all'eta' maggiore o alla emancipazione" e 315 c.c.: "il figlio deve rispettare i genitori e deve contribuire, in relazione alle proprie sostanze e al proprio reddito, al mantenimento della famiglia finche' convive con essa" - laddove per mantenimento non puo' non intendersi anche "non depauperamento"; dalle quali norme deriva l'obbligo del mantenimento dei figli maggiorenni da parte dei genitori, ma non il diritto della prole a coabitare (rectius convivere) con i propri genitori con conseguente diversa considerazione relativamente al rapporto genitore-figlio maggiorenne o emancipato e genitore-figlio minorenne o allo stesso equiparato; tuttavia alla fattispecie non puo' applicarsi in toto il disposto di cui all'art. 513 c.p.c. potendo, tutt'al piu' ricorrere l'ipotesi contemplata al quarto comma dello stesso articolo non potendo il debitore disporre liberamente dei beni mobili rinvenuti in quanto soggetti all'uso - se non proprieta' - di terzi; diversamente il pignoramento eseguito sarebbe nullo. Dal combinato disposto degli articoli 621 c.p.c. e 2729 co. 2 c.c., non puo' desumersi la legale presunzione di appartenenza dei beni ivi pignorati all'esecutato medesimo giacche' non vero e' l'assunto secondo il quale la presunzione non puo' essere vinta da terzi opponenti (come sostiene la Corte costituzionale del 5 novembre 1986, n. 233, in Foro It., 1985, I, 1, 971; Cass. 24 maggio 1984, n. 3193, in Giust. Civ. Mass, 1984, fasc. 5), ne' attraverso la prova testimoniale, ne' attraverso il ricorso alle presunzioni (del tipo: l'immobile e' di proprieta' dei genitori conviventi; ergo, i mobili ivi esistenti sono anch'essi di proprieta' dei genitori); l'art. 621 c.p.c., infatti, ammette la prova testimoniale quando "l'esistenza del diritto e' resa verosimile dalla professione o dal commercio esercitati dal terzo o dal debitore"; l'articolo va certo applicato anche al caso di specie. Ed allora la illegittimita' costituzionale dell'art. 621 emerge laddove la norma non distingue il "terzo opponente" dal "terzo opponente convivente con il debitore" dal momento che, poiche' la presunzione di appartenenza al debitore dei beni pignorati presso la sua abitazione o le pertinenze della medesima, di cui all'art. 513 c.p.c., ha natura legale, e, pertanto, non puo' essere vinta dal terzo opponente, che deduca la proprieta' od altro diritto reale sui beni stessi, mediante presunzioni semplici"; tuttavia, comportando il rapporto di coabitazione di per se' il diritto del terzo convivente di tenere in quel luogo cose di sua esclusiva proprieta' (cfr. fra le tante Cass. 22 maggio 1979, n. 2963) da un lato l'ufficiale giudiziario potrebbe pignorare esclusivamente le cose del debitore che il terzo opponente convivente consenta di esibirgli, con tutte le conseguenze anche nei confronti della tutela del creditore; dall'altro, se cosi' non fosse, nei confronti del genitore-opponente del quale il figlio-maggiorenne debitore risulti convivente, non sarebbe applicata la stessa presunzione legale di appartenenza, con eclatante violazione dei principii costituzionali di cui agli articoli 3 e 24 della Costituzione.