ha pronunciato la seguente Sentenza nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 47-ter, ultimo comma, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della liberta') promosso con ordinanza emessa il 22 aprile 1996 dal magistrato di sorveglianza di Palermo nel procedimento relativo a Brandaleone Stefano, iscritta al n. 1236 del registro ordinanze 1996 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 46, prima serie speciale, dell'anno 1996; Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri; Udito nella camera di consiglio del 23 aprile 1997 il giudice relatore Giuliano Vassalli. Ritenuto in fatto 1. - Il magistrato di sorveglianza di Palermo solleva, in riferimento agli artt. 3, 27, secondo e terzo comma, e 32 della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 47-ter, ultimo comma, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della liberta'), come modificata dalla legge 10 ottobre 1986, n. 663, nella parte in cui prevede, per il caso di denunzia del condannato per il reato di evasione (art. 47-ter, comma 8, dell'ordinamento suddetto), la "sospensione automatica della detenzione domiciliare". Premesso che il condannato aveva ottenuto l'ammissione a tale beneficio, da parte del competente tribunale di sorveglianza, sulla base dell'art. 47-ter, comma 1, n. 2 ("persona in condizioni di salute particolarmente gravi che richiedono costanti contatti con i presidi sanitari territoriali"), "con il divieto di allontanarsi dalla propria abitazione, ad eccezione degli spostamenti da e per i presidii sanitari territoriali, secondo le modalita' previamente concordate con il Centro di servizio sociale per adulti di Palermo e con obbligo di comunicazione all'organo di vigilanza dell'uscita e del rientro nell'abitazione", che il condannato stesso viveva da solo in un "alloggio ubicato in un sottoscala costituito da una sola stanza ... sprovvisto di telefono, con problemi di approvvigionamento idrico e carente delle condizioni obiettive per poter cucinare i pasti" e che la denuncia era stata inoltrata perche' "in occasione di un intervento di vigilanza il detenuto non era stato trovato all'interno dell'abitazione", essendosi, come riferito dallo stesso in occasione di altro sopralluogo effettuato due ore dopo, "allontanato temporaneamente per effettuare una telefonata", il magistrato rimettente osserva che la norma impugnata impone al magistrato di sorveglianza una "acritica presa d'atto", che impedisce qualsiasi apprezzamento delle circostanze concrete e delle ragioni che possono giustificare o meno l'interruzione della misura alternativa in questione secondo i suoi presupposti ed i suoi fini. Violato sarebbe dunque, a parere del giudice a quo in primo luogo il principio di cui all'art. 27, secondo comma, della Costituzione, che esclude ogni presunzione di colpevolezza, in quanto la sospensione della detenzione domiciliare e' legata alla mera comunicazione della notizia di reato, determinando "una sorta di effetto potestativo nella sfera giuridica del denunciato, comprimendone la liberta' personale", indipendentemente e prima di qualsiasi verifica, anche sommaria, della fondatezza della denuncia, della sussistenza o meno di giustificati motivi o di circostanze esimenti, nonche' al di fuori di qualsiasi apprezzamento in ordine alle esigenze di tipo cautelare che giustifichino il provvedimento restrittivo. Il tutto, sottolinea il rimettente, aggravato dalla possibilita' che tale misura restrittiva si protragga anche per tempi lunghi, in attesa del definitivo esito giudiziario della denuncia per evasione e senza che neppure esista un termine finale di efficacia del provvedimento sospensivo, a differenza di quanto e' invece previsto per la sospensione cautelativa delle misure alternative dall'art. 51-ter dello stesso Ordinamento penitenziario. La norma si porrebbe poi in contrasto con la funzione rieducativa della pena, giacche' riconnette l'automatico effetto interruttivo della detenzione domiciliare alla semplice denuncia per evasione, a prescindere dalla verifica circa l'idoneita' di tale condotta ad interrompere il rapporto esecutivo ed il percorso risocializzativo, riabilitativo e terapeutico. Vulnerato sarebbe inoltre l'art. 32 della Costituzione, attesa l'indifferenza normativa verso le conseguenze lesive del bene della salute che la sospensione automatica della detenzione domiciliare puo' determinare nei confronti di soggetti che - come il condannato nel caso di specie - versino in condizioni di salute particolarmente gravi. Si appaleserebbe, infine, un contrasto con l'art. 3 della Costituzione in quanto il legislatore riserva un trattamento irragionevolmente deteriore nell'ipotesi di denuncia per evasione del detenuto domiciliare, mentre, in presenza di denunce o in pendenza di procedimenti per reati assai piu' gravi dell'evasione verificatisi nel corso della esecuzione, rimette la valutazione in ordine alla sospensione cautelativa della misura alternativa alla discrezionalita' del magistrato di sorveglianza a norma dell'art. 51-ter dell'ordinamento penitenziario. 2. - Nel giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata. A parere della Avvocatura non sussiste violazione dell'art. 27, secondo comma, della Costituzione, in quanto la sospensione di un beneficio non costituisce di per se' violazione della presunzione di non colpevolezza, considerato che quel principio non esclude l'applicazione di limitazioni alla liberta' personale per i motivi previsti dall'ordinamento. Neppure violato sarebbe l'art. 27, terzo comma, della Costituzione, in quanto lo stato di malattia legittima l'applicazione di misure alternative purche' ne siano rispettate le prescrizioni, mentre provvedimenti restrittivi "non sono incompatibili di per se' con lo stato di malattia, conservando pur anche finalita' educative". Per le stesse ragioni non sarebbe violato neppure l'art. 32 della Costituzione. In merito, poi, al dedotto contrasto con l'art. 3 della Costituzione, conclude l'Avvocatura, la peculiarita' che caratterizza nella specie il reato di evasione rende la previsione censurata "ben diversa da quella in cui si verifichi la commissione di altri tipi di reato per i quali, mancando una connessione diretta con il modo di espiazione della pena, bene e' prevista una valutazione discrezionale del giudice". Considerato in diritto 1. - Il magistrato di sorveglianza di Palermo, ricevuta dal commissariato di pubblica sicurezza una denuncia per il reato di evasione ascritto ad un condannato che fruiva del beneficio della detenzione domiciliare concessogli dal tribunale di sorveglianza a' sensi dell'art. 47-ter, comma 1, n. 2, dell'ordinamento penitenziario, ha sollevato questione di legittimita' costituzionale dello stesso art. 47-ter, ultimo comma, che a suo avviso impone di pronunciare l'immediata sospensione della misura alternativa non appena perviene al magistrato di sorveglianza la notitia del reato di cui al comma ottavo dello stesso articolo. Il giudice rimettente considera che l'automatismo imposto dalla norma denunciata urti contro quattro norme della Costituzione, e precisamente contro i commi secondo e terzo dell'art. 27, contro l'art. 32 e contro l'art. 3. Il principio secondo cui "l'imputato non e' considerato colpevole sino alla condanna definitiva" sarebbe violato da una disposizione che impone una misura restrittiva della liberta' personale (nella specie il trasferimento in carcere) di persona che non e' neanche imputata, ma soltanto denunciata, senza alcuna previa possibilita' di verifica giudiziale circa la fondatezza della notizia stessa (che potrebbe, in ipotesi, provenire anche da soggetti privati), circa l'esistenza o meno di giustificati motivi dell'allontanamento dall'abitazione nel quale sia stato nella denuncia identificato il reato, circa l'esistenza o meno di altre circostanze esimenti, nonche' del tutto al di fuori di ogni valutazione circa la sussistenza di esigenze cautelari che giustifichino il trattamento piu' restrittivo. E questa situazione risulta ancora piu' grave - aggiunge il magistrato rimettente - quando si consideri la durata dei processi penali e il fatto che non sia neanche previsto (come invece nell'art. 51-ter dello stesso ordinamento penitenziario) un termine finale di efficacia del provvedimento sospensivo. Secondo il giudice a quo sarebbe anche violato il terzo comma dello stesso art. 27 perche' il denunciato automatismo della sospensione contrasterebbe con la funzione rieducativa della pena, impedendo ogni verifica circa l'idoneita' della condotta denunciata (nella specie, allontanamento dall'abitazione per qualche ora) ad interrompere il rapporto esecutivo come stabilito nel provvedimento del tribunale di sorveglianza ed il relativo percorso risocializzativo, riabilitativo e terapeutico intrapreso. Ancora, sarebbe violato l'art. 32 della Costituzione quando, trattandosi, come nella specie, di condannato ritenuto dal tribunale in condizioni di salute particolarmente gravi, la cessazione dello stato di detenzione domiciliare senza alcun accertamento potrebbe indurre conseguenze lesive della salute, alle quali l'ordinamento non puo' essere indifferente sino al punto da anteporvi automaticamente la violazione del bene oggetto della norma incriminatrice dell'evasione. Il magistrato rimettente ricorda al riguardo che la particolare previsione del n. 2 del primo comma dell'art. 47-ter, sottolinea come requisito della concessione del beneficio, oltre alle condizioni di salute particolarmente gravi, la necessita' di costanti contatti con i presidi sanitari territoriali, contatti che possono imporre frequenti allontanamenti del soggetto dall'abitazione. Al riguardo l'ordinanza richiama la sentenza n. 186 del 1995 di questa Corte, che nei confronti della revoca della liberazione anticipata, ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 54, terzo comma, dell'ordinamento penitenziario in quanto esso legava automaticamente la revoca ad una condanna per delitto non colposo anziche' ad una valutazione di incompatibilita' della condotta con il mantenimento del beneficio. A fortiori ogni automatismo dovrebbe essere escluso, ove sia in giuoco la salute del condannato. Infine la disposizione denunciata violerebbe il principio di ragionevolezza e di razionale uniformita' del trattamento normativo, come risulterebbe dal confronto del suo contenuto con quelli dell'art. 51-ter, dello stesso ordinamento penitenziario, che sottopone la sospensione cautelativa delle misure alternative (che puo' essere determinata anche dalla commissione di reati piu' gravi di quello di evasione), ad una valutazione discrezionale del magistrato di sorveglianza. Secondo tale disposizione il magistrato stesso provvede con decreto motivato ed e' previsto un termine finale di efficacia della sospensione ove non intervenga la revoca da parte del tribunale. L'art. 51-ter, gia' ricordato nell'ordinanza del giudice a quo a proposito delle censure sollevate in nome dell'art. 27, secondo comma, della Costituzione, viene espressamente indicato, a proposito del richiamo all'art. 3 della Costituzione, come tertium comparationis. 2. - Il dubbio di costituzionalita' avanzato dal giudice rimettente sulla base dell'art. 3 della Costituzione, sotto il profilo della mancanza di uniformita' di trattamento del caso in esame rispetto a quanto viceversa disposto dall'art. 51-ter dell'ordinamento penitenziario, non e' fondato. Detto art. 51-ter, giova ricordare, fu inserito nell'ordinamento penitenziario (originariamente fissato nella legge 26 luglio 1975, n. 354) con la stessa legge 10 ottobre 1986, n. 663, con la quale fu introdotto l'istituto della detenzione domiciliare: la cui menzione, accanto a quelle dell'affidamento in prova al servizio sociale e dellasemiliberta', fu frutto di un emendamento proposto durante la discussione delle varie innovazioni nel Senato della Repubblica (Atti Assemblea, 5 giugno 1986). Una disciplina cosi' fortemente differenziata stabilita in uno stesso contesto normativo, elaborato nel medesimo torno di tempo, non puo' non avere una sua ragione. E la ragione, nonostante il silenzio dei lavori preparatori, e' da rinvenirsi nella forte valenza del reato di evasione (e delle infrazioni ad esso assimilate, come quella dell'allontanamento dalla propria abitazione, di cui al comma 8 dell'art. 47-ter) rispetto alle misure alternative consentite nel quadro del regime penitenziario. L'evasione (comprese in questa le forme assimilatevi dalla legge) rappresenta una specifica rottura con tale regime e in particolare con i presupposti delle misure alternative. E cio' giustifica una sua specifica considerazione da parte della legge, sia come causa di sospensione che come causa di revoca del trattamento stabilito dal tribunale di sorveglianza in alternativa alla detenzione. In tale contesto una comparazione con la commissione di altri reati, anche piu' gravi dell'evasione, a cui puo' dar luogo la sospensione cautelativa di cui all'art. 51-ter, non e' possibile. La regola fissata nell'ultimo comma dell'art. 47-ter (sulla quale, si ripete, non v'e' traccia - al di la' della proposta del relatore, senatore Gallo, approvata dal Senato e poi dalla Camera - di specifici interventi nei lavori parlamentari che precedettero la legge n. 663 del 10 ottobre 1986) fu evidentemente mutuata da quella gia' esistente sin dal 1975 nell'art. 51 dell'ordinamento penitenziario relativamente alla semiliberta'. In quest'ultimo articolo, l'assenza dall'istituto penitenziario senza giustificato motivo per un tempo maggiore delle dodici ore da' luogo al delitto di evasione (art. 51, comma terzo) e la denuncia per tale delitto importa la sospensione del beneficio, mentre la condanna per il delitto stesso importa la revoca. Disconoscere la specificita' dell'infrazione consistente nell'evasione rispetto alle altre infrazioni di qualsiasi genere non e' possibile senza togliere al sistema penitenziario uno dei cardini del suo funzionamento. Sotto altro profilo non appare del tutto appropriato neanche il richiamo che, sempre a proposito del parametro costituito dall'art. 3 della Costituzione, l'ordinanza del giudice a quo fa alla sentenza n. 186 del 1995, con cui questa Corte ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 54, comma terzo, dell'ordinamento penitenziario sostituendo, come presupposto della revoca, alla condanna per delitto non colposo commesso nel corso dell'esecuzione della pena l'incompatibilita' determinata dalla condanna stessa con il mantenimento del beneficio. A parte il fatto che l'art. in questione riguarda un caso di revoca, e non di sospensione, il beneficio denominato "liberazione anticipata" consiste in detrazioni di pena che per lo piu' intervengono durante il corso dell'esecuzione e che solo in alcune situazioni possono determinare, di fatto, in forza di quelle detrazioni, la cessazione del regime detentivo. La citata sentenza di questa Corte sottolinea la valenza del tutto particolare che l'istituto suddetto e' chiamato a svolgere nella evoluzione del rapporto esecutivo e agli effetti del trattamento rieducativo, anche per la particolare collaborazione che richiede da parte del condannato. Tuttavia, cio' doverosamente premesso per rilevare la differenza tra le due situazioni, deve affermarsi che sarebbe auspicabile che il legislatore unificasse in relazione alle varie misure alternative i presupposti sia della sospensione che della revoca, devolvendo l'applicazione di questi istituti, pur tenendo rigorosamente conto di determinati presupposti indicati dalla legge, alla prudente valutazione del giudice riferita alla compatibilita' o meno con la prosecuzione della prova: cosi' come la legge dispone oggi per il solo affidamento in prova al servizio sociale (art. 47, penultimo comma, della legge 26 luglio 1975, n. 354). 3. - Ma se non e' conferente la comparazione della disposizione denunciata con quanto stabilito dall'art. 51-ter, in relazione a cause di sospensione diverse dalla denuncia per evasione, diversa e' invece la prospettiva aperta dall'ordinanza del giudice a quo sul piano della ragionevolezza del sistema instaurato con la sospensione automatica della detenzione domiciliare. Prima di tutto e' da rilevare che anche nel sistema dell'art. 51, relativo alla semiliberta', il reato di evasione mediante assenza dall'istituto penitenziario vede il proprio termine iniziale soltanto dopo dodici ore dal mancato rientro in istituto. Nelle prime dodici ore di assenza scattano soltanto una punizione in via disciplinare e la proposta di revoca della concessione del beneficio. Nella sospensione prevista dall'ultimo comma dell'art. 47-ter non vi e' traccia di una simile differenziazione, e cio' nonostante il fatto che il mancato rientro in istituto nel caso della semiliberta' sia piu' significativo per la rottura unilaterale del rapporto esecutivo di quanto possa esserlo un allontanamento di poche ore dalla propria abitazione. Il caso di cui all'ordinanza del giudice a quo, dove la denuncia si riferiva ad un allontanamento durato non piu' di due ore, e' in proposito esemplare. Inoltre, mentre la revoca, prevista nella stessa disposizione denunciata (come in quella dell'art. 51, quarto comma, per la semiliberta') consegue ad una condanna, ed e' dunque preceduta da un completo accertamento giudiziale quanto meno sull'esistenza del reato in tutti i suoi estremi oggettivi e soggettivi, e sulle eventuali cause di giustificazione o di scusa, nulla del genere accade per la sospensione. In assenza di indirizzi giurisprudenziali interpretativi sul punto (essi esistono solo limitatamente alla revoca della semiliberta'), questa Corte non puo' che partire dalla non implausibile interpretazione della disposizione data dal giudice a quo, il quale si ritiene assolutamente vincolato al presupposto della semplice denuncia di reato senza spazio per un accertamento, sia pure incidentale e limitato alla verifica del fumus boni iuris sulla esistenza del reato. E questo automatismo, non preceduto da alcun accertamento giudiziale neppure in via di delibazione, urta indubbiamente contro il principio di ragionevolezza. 4. - Alla luce del criterio di ragionevolezza la disposizione denunciata a questa Corte dal giudice a quo va peraltro vista anche con riguardo agli altri parametri costituzionali invocati: esclusione di presunzioni di colpevolezza, funzione rieducativa della pena, tutela della salute come fondamentale diritto dell'individuo. La questione e' fondata sotto questi ultimi due aspetti (funzione rieducativa della pena e tutela della salute individuale), restando assorbita ogni considerazione sul profilo relativo all'esclusione di presunzioni di colpevolezza. 5. - La misura alternativa alla detenzione denominata detenzione domiciliare e' indubbiamente caratterizzata da una finalita' umanitaria ed assistenziale, come rilevato anche da questa Corte (sentenza n. 165 del 1996) e come e' sottolineato dal suo riconnettersi prevalentemente a condizioni di salute della persona condannata alla pena della reclusione non superiore a tre anni: art. 47-ter, comma 1, nn. 1), 2), 3) e in parte anche n. 4). Tuttavia non puo' negarsi che essa ha in comune con le altre misure alternative - come avverte anche la giurisprudenza della Corte di cassazione (e prima ancora - sia pure incidentalmente - la ordinanza n. 327 del 1989 di questa Corte) - la finalita' della rieducazione e del reinserimento sociale del condannato. E alla possibilita' del raggiungimento di tale finalita', cosi' come ben puo' guardarsi nel momento della concessione del beneficio, deve indubbiamente guardarsi anche nel momento in cui si sia chiamati a procedere alla sospensione del trattamento. Una brusca ed automatica sospensione di tale trattamento puo' interrompere senza sufficiente ragione un percorso risocializzativo e riabilitativo; si' che occorre riconoscere che la sospensione automatica, senza valutazione delle circostanze in cui l'allontanamento denunciato come reato e' avvenuto, confligge con la finalita' rieducativa assegnata dalla Costituzione ad ogni pena, e dunque anche alle misure alternative previste in seno all'ordinamento penitenziario. 6. - La disposizione denunciata come viziata da illegittimita' costituzionale urta, senza dubbio, anche contro l'art. 32 della Costituzione. L'istituto della detenzione domiciliare risponde indubbiamente - e in modo primario nella maggior parte delle ipotesi previste dalla legge come presupposti della concessione - anche ad una finalita' volta alla protezione della salute del condannato. Il fare bruscamente cessare tale regime, sulla base di una semplice denuncia (l'ordinanza ricorda che potrebbe trattarsi anche della denuncia di un privato), senza che il magistrato di sorveglianza possa vagliare la compatibilita' della traduzione in carcere con le condizioni di salute del condannato stesso, e senza dare il tempo al competente tribunale di sorveglianza di valutare l'esperibilita' di altre misure in quei casi in cui queste siano ammesse o imposte dalla legge, rappresenta indubbiamente una lesione, o quanto meno un grave rischio di lesione, di un bene tutelato come fondamentale dalla Costituzione. 7. - Alla luce dei riferiti rilievi spettera' dunque al magistrato di sorveglianza verificare, caso per caso, se la condotta posta in essere dal condannato, ed in ordine alla quale e' stata presentata denuncia per il delitto di cui al comma 8 dell'art. 47-ter dell'ordinamento penitenziario, presenti le caratteristiche, soggettive ed oggettive, di una non giustificabile sottrazione all'obbligo di non allontanarsi dalla propria abitazione o dal luogo altrimenti indicato ai sensi di detto art. 47-ter, disponendo quindi soltanto in ipotesi di positivo riscontro la sospensione della misura alternativa. Decisione, quest'ultima, che, proprio perche' derivante da un apprezzamento di merito della situazione di specie, necessariamente dovra' essere adottata con le forme del provvedimento motivato.