IL TRIBUNALE
   Ha pronunciato la seguente ordinanza nella  causa  iscritta  al  n.
 469/1983  r.g.a.c.,  fra  il  sig.  Anania  Ezio,  in proprio e quale
 procuratore speciale del sig. Anania Tommaso  (parte  attrice)  e  il
 comune  di  Lamezia  Terme,  in persona del suo legale rappresentante
 (parte convenuta), con intervento del sig. Anania Valerio.
                           Rilevato in fatto
   Con citazione notificata il 26 maggio 1983 il sig. Anania Ezio,  in
 proprio  e  quale  procuratore  speciale  del  sig.  Anania  Tommaso,
 esponeva:
     Che in forza di decreto del  sindaco  del  27  dicembre  1976  il
 comune  di  Lamezia  Terme,  previa  immissione in possesso in data 8
 novembre 1976, aveva occupato in via temporanea e d'urgenza,  per  la
 realizzazione  di  una  strada  pubblica  (via  Leonardo da Vinci) un
 terreno di loro proprieta', sito in pieno centro abitato;
     Che il fondo era stato irreversibilmente trasformato mediante  la
 esecuzione della strada pubblica;
     Che  era  abbondantemente  scaduto  il  periodo  quinquennale  di
 occupazione  temporanea  fissato  nel  citato  decreto,  ma  non  era
 intervenuto il decreto definitivo di espropriazione;
     Che  il comune aveva corrisposto la sola somma di L. 15.000.000 a
 titolo di indennita' di occupazione temporanea sia di detto  terreno,
 sia  di  altro  suolo di circa mq. 5.000 precedentemente occupato per
 realizzare il congiungimento di via Cristoforo  Colombo  con  la  via
 Leonardo da Vinci;
     Che la predetta occupazione era divenuta illegittima;
     Che,  inoltre,  senza  alcun  provvedimento  ablatorio  lo stesso
 comune aveva occupato  una  zona  di  terreno  di  circa  mq.  7.000,
 adiacente  all'edificio  dell'Istituto magistrale statale, "creandovi
 altre opere";
     Che egli intendeva introdurre il giudizio solo per la occupazione
 dei  suoli  utilizzati per la creazione della via Leonardo da Vinci e
 di quelli adiacenti al predetto edificio scolastico;
     Che  la  realizzazione  delle   opere   pubbliche   impediva   la
 restituzione del terreno.
   Tanto  premesso,  conveniva  in  giudizio  il  predetto  consorzio,
 chiedendone la condanna al risarcimento dei  danni,  indicati  in  L.
 450.000.000, oltre rivalutazione, interessi e spese processuali.
   La  parte  convenuta, nel costituirsi, eccepiva la prescrizione del
 diritto al risarcimento dei danni per l'occupazione del suolo di  mq.
 7.000  ai  sensi  dell'art.  2947 codice civile. Con riferimento alla
 costruzione della via Leonardo da Vinci faceva rilevare che la  somma
 di   L.   15.700.000   gia'   corrisposta   copriva   abbondantemente
 l'indennita' per il periodo di  occupazione  legittima,  per  cui  il
 maggiore importo andava compesato con quanto eventualmente dovuto per
 danni.  Contestava, inoltre, il valore e la estensione del suolo come
 indicati   dalla   parte   attrice.   Avanzava   quindi   conclusioni
 corrispondenti  alle  riportate  eccezioni, salvo successiva migliore
 puntualizzazione.
   Con comparsa del 19 giugno 1990 interveniva nel  processo  il  sig.
 Anania Valerio, quale erede del defunto Anania Tommaso.
   Nel  corso  dell'istruzione  venivano accertati mediante consulenza
 gli aspetti tecnici della controversia.   La parte  attrice  esibiva,
 fra  l'altro,  copia  del  decreto  del sindaco del 27 dicembre 1976,
 l'avviso della data in cui si sarebbero  compiute  le  operazioni  di
 ricognizione  dello stato di consistenza (8 novembre 1976).  La parte
 convenuta esibiva documentazione varia, che non ha interesse  diretto
 nell'economia della presente ordinanza.  Precisate le conclusioni, la
 causa veniva riservata per la decisione nell'udienza collegiale del 6
 febbraio 1997.
                          Rilevato in diritto
   In  via preliminare e agli effetti della ammissibilita' e rilevanza
 della questione di costituzionalita'  che  si  intende  sollevare  si
 osserva  che  nel  caso  concreto,  peraltro  limitato in questa sede
 all'occupazione di suolo per la costruzione  della  via  Leonardo  da
 Vinci,  il diritto al risarcimento dei danni si fonda sul verificarsi
 dell'ormai  noto  fenomeno  dell'accessione  invertita,  detta  anche
 occupazione   appropriativa  o  acquisitiva,  della  quale  ricorrono
 cumulativamente tutti i presupposti, vale a dire:
     1) la previa dichiarazione di  pubblica  utilita'  dell'opera  da
 realizzare, oltre che di urgenza e indifferibilita' dei lavori, nella
 specie   formalmente   contenuta  nella  deliberazione  della  giunta
 municipale n. 414 del  16  maggio  1976,  debitamente  approvata  dal
 CO.RE.CO.,  per  come  richiamato nel citato decreto sindacale del 27
 dicembre 1976;
     2) la sopravvenuta illegittimita'  dell'occupazione  per  effetto
 della  scadenza  del termine di occupazione provvisoria, verificatasi
 l'8 novembre 1981, calcolando come decorrenza la data  di  immissione
 in  possesso  (8  novembre  1976)  ed  in  cinque  anni la durata del
 periodo, per come stabilito nel citato decreto del sindaco;
     3) la irreversibile trasformazione  del  bene  del  privato  come
 effetto   della   realizzazione   della  strada  pubblica,  destinata
 permanentemente alla soddisfazione di interessi pubblici e rientrante
 nella categoria dei beni soggetti al  regime  demaniale  (artt.  822,
 secondo comma, e 824, primo comma, codice civile).
   E  pertanto,  secondo  i  principi  dettati dalla ormai pressocche'
 unanime giurisprudenza,  in  conseguenza  del  suddetto  fenomeno  il
 comune,  alla  data  del  9  novembre  1981  (giorno  successivo alla
 scadenza  del  periodo  di  occupazione  legittima,  nel  cui  ambito
 temporale  era  stata  realizzata  la  strada pubblica e nello stesso
 tempo epoca in cui si e' verificato il concorso dei presupposti della
 accessione invertita), e' divenuto proprietario dell'opera pubblica a
 titolo originario, con perdita del corrispondente  diritto  da  parte
 delle  parti  private,  alle quali residua quello al risarcimento dei
 danni subiti come conseguenza della condotta illecita della  pubblica
 amministrazione,  primo fra tutti l'equivalente pecuniario del suolo,
 quale  componente  risarcitoria  essenziale  (danno  emergente),   da
 calcolare  sulla  base  del  suo  valore  venale  secondo  i principi
 generali in materia di responsabilita' per fatto illecito (artt. 2043
 ss. codice civile).
   Senonche', l'art. 3, comma 65, legge  23  dicembre  1996,  n.  662,
 recante   "Misure   di  razionalizzazione  della  finanza  pubblica",
 modificando per la seconda volta l'art. 5-bis  del  decreto-legge  11
 luglio  1992,  n.  333,  convertito, con modificazioni, dalla legge 8
 agosto 1992, n. 359, mediante l'aggiunta, in fine, del  comma  7-bis,
 cosi'  dispone:    "In  caso  di occupazioni illegittime di suoli per
 causa di pubblica utilita', intervenute anteriormente al 30 settembre
 1996, si applicano, per la  liquidazione  del  danno,  i  criteri  di
 determinazione  dell'indennita' di cui al comma 1, con esclusione del
 40 per cento. In tal caso  l'importo  del  risarcimento  e'  altresi'
 aumentato  del 10 per cento. Le disposizioni di cui al presente comma
 si applicano anche ai procedimenti in corso non definiti con sentenza
 passata in giudicato".
   Con tale norma viene estesa "per  la  liquidazione  del  danno"  da
 "occupazioni  illegittime di suoli per causa di pubblica utilita'" la
 disciplina  relativa  alla  determinazione   della   "indennita'   di
 espropriazione"  contenuta nel primo comma del citato art. 5-bis, sia
 pure con alcune precisazioni  quantitative  e  temporali  (esclusione
 della  riduzione  del  40  per cento, maggiorazione finale del 10 per
 cento, inapplicabilita' alle occupazioni illegittime intervenute dopo
 il 30 settembre 1996),  sicche'  i  criteri  di  riferimento  per  la
 determinazione  del danno da occupazione illegittima di suoli a causa
 di pubblica utilita' attualmente mutuabili dal primo comma del citato
 art. 5-bis,  sono  quelli  dettati  in  questa  norma  "per  le  aree
 edificabili"  e risultanti dal rinvio all'art. 13, terzo comma, della
 legge 15 gennaio 1895, n. 2892, sostituendo in  ogni  caso  ai  fitti
 coacervati  dell'ultimo  decennio il reddito dominicale rivalutato di
 cui agli artt. 24 e  seguenti  del  testo  unico  delle  imposte  sui
 redditi, approvato con d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917.
   In   tal  modo  agli  attori  verrebbe  a  spettare,  a  titolo  di
 risarcimento, non l'equivalente del valore venale del  suolo  perduto
 con  ogni  altra  somma  che  ristori  l'effettivo  danno  subito, ma
 l'importo risultante dall'applicazione dei criteri matematici dettati
 dalla nuova norma in esame.
   Ebbene,   a   prescindere   da   alcune   particolari   difficolta'
 interpretative,  in questa sede non rilevanti, la sostanza innovativa
 e' la estensione  dei  criteri  prefissati  legislativamente  per  la
 liquidazione   della   indennita'   di   espropriazione  ai  casi  di
 occupazioni illegittime di suoli per causa di pubblica utilita', vale
 a  dire,  per effetto della inserzione della normativa in un contesto
 espropriativo diretto "alla realizzazione di opere  o  interventi  da
 parte  o  per  conto  dello Stato, delle regioni, delle province, dei
 comuni e degli altri enti pubblici o di diritto pubblico,  anche  non
 territoriali,  o  comunque  preordinate alla realizzazione di opere o
 interventi dichiarati di pubblica utilita'" (comma primo dello stesso
 art. 5-bis), ai casi rientranti nel  gia'  ricordato  istituto  della
 accessione invertita. Considerata tale contestualita', sembra doversi
 escludere   il  riferimento  alle  semplici  ipotesi  di  occupazione
 temporanea illegittima, disgiunta dell'effetto privativo-acquisitivo.
   Tanto premesso, si ritiene che la norma in esame non ha  eliminato,
 e  anzi  ha  aggravato,  i  profili  di illegittimita' costituzionale
 denunciati con riguardo al comma 6 dell'art. 5-bis del  decreto-legge
 n.  333/1992, convertito dalla legge n. 359/1992, come sostituito dal
 comma 65 dell'art. 1, legge  28  dicembre  1995,  n.  549,  anch'essa
 recante  "misure  di  razionalizzazione della finanza pubblica", e in
 larga misura accolti dalla Corte costituzionale, che con sentenza  n.
 369   del   17   ottobre-2   novembre   1996,  ne  ha  dichiarato  la
 illegittimita' costituzionale appunto "nella parte in cui applica(va)
 al risarcimento del danno i criteri di determinazione  stabiliti  per
 il prezzo, l'entita' dell'indennizzo".
   E   dunque,   il  "filo  logico"  o  "il  cuore"  del  problema  di
 costituzionalita' portato con tale esito all'esame della Corte era la
 denunciata  "abnormita'...     di  riduzione   della   misura   della
 riparazione, per l'illecito della pubblica amministrazione, spinta al
 punto  di  farla  coincidere  con l'entita' dell'indennizzo dovuto in
 caso di legittima procedura  ablatoria",  o,  in  altri  termini,  la
 denunciata "equiparazione... del risarcimento da illecita occupazione
 appropriativa all'indennizzo espropriativo".
   Vero  e' che nella predetta sentenza la Corte costituzionale sembra
 ritenere possibile e legittimo, in linea di principio, "un intervento
 normativo ragionevolmente riduttivo della  misura  della  riparazione
 dovuta  dalla  pubblica  amministrazine al proprietario dell'immobile
 che sia venuto ad essere incorporato nell'opera pubblica".
   Ma  ugualmente  la   Corte   e'   giunta   alla   declaratoria   di
 illegittimita'  della  suddetta  equiparazione  sia  sotto il profilo
 della sua enunciazione, sia  piu'  specificamente  sotto  il  profilo
 delle "implicazioni" che essa comporta(va).
   Vale  la  pena  di  riportare  il  testo  integrale di questo punto
 cruciale  della  sentenza  (nn.  9.3  e   10),   perche'   pienamente
 utilizzabile per motivare la denuncia dell'equiparazione recata della
 nuova  norma  in materia, la quale se da un lato elimina la riduzione
 del 40% e aggiunge un 10%  finale  nel  calcolo  del  "risarcimento",
 eliminando   in   qualche   modo  eventuali  squilibri  quantitativi,
 dall'altro mantiene certamente una irragionevole eguale disciplina in
 situazioni strutturalmente e funzionalmente diverse,  quali  sono  il
 risarcimento  del  danno  da  occupazione  "privativa-acquisitiva"  e
 l'indennizzo espropriativo.
   Scrive dunque la Corte:
   9.3. - Quanto al secondo dei  profili  sopra  evidenziati  -  cioe'
 quanto    alle    implicazioni,    sul   piano   della   legittimita'
 costituzionale,   della    verificata    sostanziale    equiparazione
 dell'entita'  del  risarcimento  del  danno da accessione invertita a
 quella dell'indennizzo espropriativo - e' innegabile, in primo luogo,
 la  violazionie  che ne deriva dal precetto di uguaglianza, stante la
 radicale diversita' strutturale e funzionale delle obbligazioni cosi'
 comparate.
   Infatti, mentre la misura dell'indennizzo -  obbligazione  ex  lege
 per atto legittimo - costituisce il punto di equilibrio tra interesse
 pubblico  alla  realizzazione dell'opera e interesse del privato alla
 conservazione del bene, la misura del risarcimento - obbligazione  ex
 delicto  -  deve  realizzare  il  diverso  equilibrio tra l'interesse
 pubblico al mantenimento dell'opera gia'  realizzata  e  la  reazione
 dell'ordinamento  a  tutela della legalita' violata per effetto della
 manipolazione-distruzione illecita del bene privato. E  quindi  sotto
 il  profilo della ragionevolezza intrinseca (ex art. 3 Costituzione),
 poiche' nella occupazione appropriativa l'interesse pubblico e'  gia'
 essenzialmente soddisfatto dalla non restituibilita' del bene e dalla
 conservazione  dell'opera  pubblica,  la  parificazione  del  quantum
 risarcitorio alla misura dell'indennita' si prospetta come un di piu'
 che sbilancia eccessivamente il contemperamento  tra  i  contrapposti
 interessi, pubblico e privato, in eccessivo favore del primo.
   "Con le ulteriori negative incidenze, ben poste in luce dalle varie
 autorita'    remittenti,    che   un   tale   privilegio   a   favore
 dell'amministrazione pubblica puo' comportare, anche  sul  piano  del
 buon  andamento  e  legalita'  dell'attivita'  amministrativa  e  sul
 principio di responsabilita' dei  pubblici  dipendenti  per  i  danni
 arrecati al privato".
   "10.  Risulta  contestualmente  vulnerato  anche l'art. 42, secondo
 comma, della Costituzione, per la perdita di garanzia che al  diritto
 di    proprieta'   deriva   da   una   cosi'   affievolita   risposta
 dell'ordinamento
  all'atto illecito compiuto in sua violazione".
   E' talmente chiara la enunciazione del principio  sottostante  alla
 pronuncia di illegittimita' costituzionale che basterebbe rinviare ad
 esso per motivare la denuncia della nuova normativa in esame.
   Non  v'e'  dubbio,  infatti,  che  viene  riproposta,  agli effetti
 patrimoniali, la medesima equiparazione fra misura del "risarcimento"
 e  misura  dell'indennita'  espropriativa,  vale  a  dire   fra   due
 situazioni  giuridiche diverse per struttura e per funzione, tendendo
 il primo ad eliminare per equivalente, mediante la corresponsione  di
 una  somma di denaro, tutti i danni, compresi quelli non prevedibili,
 derivati dal fatto illecito e tendendo la seconda a dare  al  privato
 una   forma   particolare   di   corrispettivo,  non  irrisorio,  del
 trasferimento secondo legge di un proprio  diritto  in  favore  della
 pubblica amministrazione. Ne consegue che il danno da responsabilita'
 extracontrattuale  non  puo' essere per sua natura predeterminato ne'
 contrattualmente,  ne'  per  intervento  legislativo,  non  potendosi
 stabilire  in  anticipo  le  componenti dei pregiudizi collegabili al
 fatto illecito.
   Anche sotto quest'ultimo  profilo  appare  evidente  la  violazione
 dell'art.  3  della  Costituzione,  perche' vulnerandosi un principio
 fondamentale  del  nostro  ordinamento  in  un  determinato   settore
 dell'area   della   responsabilita'   da   fatto  illecito,  si  crea
 inevitabilmente una disparita' di trattamento.
   Ne' tale disparita', a giudizio di questo  tribunale,  puo'  essere
 giustificata  dalla  tutela  di un interesse pubblico, quale elemento
 caratterizzante  della  occupazione  acquisitiva  rispetto  ad  altre
 situazioni  in  cui  assume  rilevanza  l'illecito civile, perche' la
 violazione  del  principio di uguaglianza si annida all'interno della
 fattispecie delineata  dalla  norma  in  esame,  stante,  secondo  la
 penetrante  terminologia  della  Corte  costituzionale,  "la radicale
 diversita'  strutturale   e   funzionale   delle   obbligazioni   ...
 comparate".
   Per  le  stesse  ragioni  la irrazionalita' della predeterminazione
 settoriale del risarcimento non sembra potersi escludere per  effetto
 dei  nuovi  criteri  di  calcolo, piu' favorevoli di quelli stabiliti
 dalla norma  dichiarata  illegittima  con  la  sentenza  della  Corte
 costituzionale sopra richiamata (esclusione della riduzione del 40% e
 aumento  finale del 10%). La presente denuncia di incostituzionalita'
 ha, invero, quale fondamento non solo e non tanto la  quantificazione
 del  danno  risarcibile,  ma  anche  e sopratutto la ormai piu' volte
 rilevata  obbiettiva  equiparazione  delle  "implicazioni"   di   due
 istituti  strutturalmente e funzionalmente diversi, che si sviluppano
 come  trattamento  irrazionalmente  eguale  di  situazioni  disuguali
 (espropriazioni  iure  ed ablazioni di beni non iure o contra ius) e,
 nell'ambito  della  sfera  dei  fatti  illeciti,   come   trattamento
 irrazionalmente diseguale di situazioni uguali.
   In realta', nella materia delle occupazioni illegittime riemerge in
 tutta  la sua importanza la qualificazione della (natura risarcitoria
 ...  delle  conseguenze  patrimoniali  ricollegate   dall'ordinamento
 all'attuarsi   della   occupazione   acquisitiva-privativa   o   c.d.
 accessione  invertita  (che,  in   dipendenza   della   irreversibile
 destinazione  del  suolo  occupato dall'opera pubblica, spiega all'un
 tempo l'effetto estintivo, dell'originario diritto di  proprieta',  e
 quello  acquisitivo,  dell'immobile  cosi' trasformato, alla pubblica
 amministrazione)". Il tentativo, ormai riuscito e consolidatosi nella
 giurisprudenza della suprema Corte, oltre che  avallato  dalla  Corte
 costituzionale e in qualche testo legislativo anche con riguardo alla
 terminologia,  di  dare  alla  materia una sistemazione organica, con
 apprezzabile contributo alla  uniformita'  delle  decisioni,  risente
 tuttavia di una equivocita' di fondo proprio nella qualificazione del
 fenomeno  della  occupazione "privativa-acquisitiva", scomposto dalla
 unanime giurisprudenza della Corte di cassazione in un doppio profilo
 intrinseco e temporale: la perdita del bene da parte del privato come
 effetto di un illecito della pubblica amministrazione  e  l'acquisto,
 in  capo  a  quest'ultima, del nuovo bene come conseguenza ulteriore,
 eziologicamante collegato alla realizzazione  dell'opera  pubblica  e
 alla  non  restituibilita'  del suolo in essa incorporato) ved. Corte
 cost. 17-23 maggio 1995, n. 188).
   E' stata definitivamente abbandonata,  in  altri  termini,  la  via
 della  "accesssione  invertita"  intesa  quale  fenomeno strettamente
 legato alla accessione  disciplinata  dall'art.  936  codice  civile,
 salva   la  particolarita',  ampiamente  giustificata  dall'interesse
 pubblico, della inversione  degli  effetti,  nel  senso  che  la  non
 restituibilita'  dell'opera  pubblica comporta l'accessione del suolo
 al manufatto e non viceversa. In tal caso si versa  nel  campo  della
 illegittimita'  e  non dell'illecito, con la conseguenza che, essendo
 dovuto   al   privato   il   valore   del   suolo   a    titolo    di
 corrispettivo/indennita'   e   non   di  risarcimento,  non  potrebbe
 escludersi la correttezza della predeterminazione, anche legislativa,
 dei criteri di liquidazione.
   Chiarito  che  si  tratta  di considerazioni di carattere teorico e
 ribadito   che   questo    giudice    aderisce    alla    costruzione
 giurisprudenziale,  divenuta  diritto  vivente,  che  qualifica  come
 dipendente da fatto illecito l'evento "perdita" del bene del privato,
 si   prospettano   sinteticamente   gli    ulteriori    profili    di
 incostituzionalita'  della  norma  contenuta nel citato art. 3, comma
 65, della legge n. 662/1996,  peraltro  gia'  esaminati  dalla  Corte
 costituzionale  con  la sentenza n. 369/1996 ripetutamente richiamata
 nei suoi principi direttivi in materia.
   Con riguardo all'art. 3 della Costituzione si  evidenzia  l'effetto
 di   avere   concesso  un  ingiustificato  privilegio  alla  pubblica
 amministrazione, pur nella consapevolezza di una condotta al di fuori
 e anzi contraria alla legge.
   Con riguardo alla medesima norma costituzionale si aggiunge che non
 trova una spiegazione razionale  la  disuguaglianza  che  implica  il
 limite  di  applicabilita'  delle  nuove  disposizioni  in esame alle
 "occupazioni  illegittime  ...  intervenute   anteriormente   al   30
 settembre  l996",  con  implicita esclusione, motivata dalla semplice
 scadenza di un dato temporale, di quelle intervenute successivamente,
 con la conseguenza inevitabilmente assurda che con scelta  arbitraria
 e  gratuita  la  misura  del risarcimento dovrebbe differenziarsi, ad
 esempio non del tutto teorico, a seconda che  l'accessione  invertita
 si verifichi il 30 settembre 1996 o il giorno successivo 1 ottobre.
   Con  riguardo  all'art.  97,  primo  comma,  della  Costituzione si
 evidenzia   che   quell'ingiustificato   privilegio    si    riflette
 negativamente   sul  buon  andamento  dei  pubblici  uffici,  perche'
 l'equiparazione  degli  effetti  patrimoniali  della   espropriazione
 secondo  legge  e della c.d.   espropriazione di fatto contraria alla
 legge costituisce certamente una spinta  verso  la  violazione  delle
 leggi in materia.
   Con  riferimento all'art. 28 della Costituzione non puo' escludersi
 che  il  pubblico  funzionario,  oltre   ad   essere   disincentivato
 dall'osservanza delle leggi in materia di espropriazioni per pubblica
 utilita',   si   senta   ed  in  effetti  venga  dispensato  da  ogni
 responsabilita' per i danni arrecati al privato in conseguenza  della
 condotta  illecita mantenuta, quale esponente organico della pubblica
 amministrazione,  nell'ambito  del  perfezionarsi  della  occupazione
 acquisitiva.
   Infine,  con riguardo all'art. 42 della Costituzione, e' fin troppo
 evidente la sua violazione conseguente alla assunzione,  quanto  agli
 effetti  patrimoniali,  di  un  atto illecito quale componente di una
 fattispecie acquisitiva del diritto di proprieta',  pur  solennemente
 riconosciuto  e tutelato, nel mentre la legge deve essere unica fonte
 dei modi di acquisto (secondo comma) e  dei  casi  di  espropriazione
 (terzo  comma), con inevitabile "perdita di garanzia" che al medesimo
 diritto "deriva da una cosi'  affievolita  risposta  dell'ordinamento
 all'atto  illecito commesso in sua violazione" (Corte costituzionale,
 n. 369/1996 citata).