LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
   Ha  pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso proposto da Fella
 Maurizio, Armani Roberta, elettivamente domiciliati in Roma,  via  D.
 Chelini,  5,  presso  l'avv.  Francesco  Nucci,  che li rappresenta e
 difende in unione con l'avv. Enrica Selvatici, del foro  di  Bologna,
 per  procura  in  calce  al ricorso, ricorrenti contro il procuratore
 generale  della  Repubblica  presso  la  Corte  di   cassazione,   il
 procuratore  della  Repubblica presso il tribunale per i minorenni di
 Bologna, intimati, avverso il decreto del tribunale per  i  minorenni
 di Bologna del 1 marzo 1996.
   Sentita la relazione della causa del relatore cons. Giuseppe Salme'
 alla pubblica udienza del 9 gennaio 1996;
   Sentito  il  difensore  dei  ricorrenti,  avv.  Selvatici,  che  ha
 concluso per l'accoglimento del ricorso;
   Sentito  il  p.m.,  in  persona dell'avv. gen. dott. Franco Morozzo
 della Rocca che ha concluso chiedendo  l'accoglimento dei ricorso  o,
 in   via   subordinata,  sollevarsi  questione  di  costituzionalita'
 dell'art. 6 della legge n. 184/1983 per contrasto con l'art. 31 Cost.
                        Svolgimento del processo
   Con decreto del 1 marzo  1996  il  tribunale  per  i  minorenni  di
 Bologna  ha  respinto  la domanda dei coniugi Murizio Fella, nato l'8
 gennaio 1963, e Roberta Armani, nata il 19  luglio  1969,  diretta  a
 ottenere  la  dichiarazione di efficacia in Italia delle adozioni dei
 fratelli A M C (nato il 13 maggio 1985) e D d F C (nata il 14  aprile
 1987)  pronunciata,  previo  accertamento  della  loro  situazione di
 abbandono, dall'autorita' giudiziaria brasiliana in  data  3  gennaio
 1996,  in quanto l'eta' della adottante non supera di almeno diciotto
 anni l'eta' degli adottandi, come richiesto dall'art. 6  della  legge
 n.    184/1983,  da  ritenere  principio  fondamentale del diritto di
 famiglia e dei minori.
   Avverso  tale  pronuncia  i  coniugi  Fella-Armani  hanno  proposto
 ricorso per cassazione, basato su due motivi. Con il primo, deducendo
 violazione  degli  artt.  6  e  30,  legge  n.  184/1983, 7 e 8 della
 convenzione di Strasburgo del 24  aprile  1967,  resa  esecutiva  con
 legge  22  maggio  1974,  n.  357,  i  ricorrenti  sostengono  che il
 superamento dei limiti di eta' previsti dall'art. 6  della  legge  n.
 184/1983,   anche   quando  trattasi  della  differenza  minima,  non
 contrasta con l'ordine pubblico  italiano,  quando  il  rapporto  tra
 l'eta' degli adottandi e l'eta' degli adottandi sia comunque in grado
 di  riprodurre la differenza biologica naturale fra genitori e figli,
 il che si verificherebbe  nella  specie,  essendo  la  maternita'  di
 giovani  donne del tutto normale nel paese d'origine degli adottandi.
 Peraltro la convenzione di  Strasburgo  non  prevede  una  differenza
 minima  di  eta' tra adottante e adottando, ma solo il raggiungimento
 da parte dell'adottante dell'eta' di 21 anni. Infine il tribunale non
 avrebbe  considerato  che  ben  difficilmente  gli  adottandi,  ormai
 grandicelli, avrebbero potuto trovare un'altra coppia adottiva.
   Con  il  secondo  mezzo i ricorrenti, deducendo la violazione degli
 artt. 6,  30  e  32  della  legge  n.  184/1983,  sostengono  che  la
 differenza  di  eta' non andrebbe calcolata a giorni, ma in relazione
 agli anni solari di nascita. Ne deriverebbe che la differenza  minima
 non  sussisterebbe  solo  rispetto a uno dei due fratelli, ma, in tal
 caso,  sulla  base   della   ratio   delle   sentenze   della   Corte
 costituzionale  n.  148/1992  e  44/1990,  per salvaguardare l'unita'
 familiare, sarebbe possibile la deroga  all'art.  6  della  legge  n.
 184/1983.
                         Motivi della decisione
   1.  -  L'art.  6  della legge n. 184 del 1983, avente ad oggetto la
 disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minori,  dispone  che
 l'adozione  e' permessa solo a coniugi idonei, uniti in matrimonio da
 almento tre anni, la cui eta' superi di almeno diciotto e non piu' di
 quaranta  anni  quella  dell'adottando.   Come   gia'   ripetutamente
 affermato  (in particolare v. sezioni unite ord. 16 febbraio 1995, n.
 78; Corte cost. 24 luglio 1996, n. 303; 1 aprile  1992,  n.  148)  la
 disposizione  e'  applicabile  anche  all'adozione  internazionale in
 quanto  richiamata,  nella  sua  interezza,  dall'art.  30,  comma  2
 (contrariamente  a  quanto ritenuto dalla sentenza di questa Corte n.
 2984 del 1994,  che,  sottovalutando  la  lettera  dell'art.  30,  ha
 affermato  che  il  rinvio  sarebbe  limitato  al  solo  primo  comma
 dell'art.  6). D'altra parte, non solo dai lavori preparatori, ma dal
 complesso  della  disciplina,  emerge  chiaramente  la  volonta'  del
 legislatore di unificare la disciplina dei requisiti degli  adottanti
 nei  due  tipi  di  adozione,  in ossequio ai principi costituzionali
 (artt. 2, 3 e 31) che vietano ogni discriminazione nella tutela della
 personalita' e dei diritti del minore, a seconda  che  si  tratti  di
 cittadini o di stranieri.
   Affermano  tuttavia  i ricorrenti che il provvedimento straniero di
 adozione in favore di coniugi ai quali  non  sussista  la  differenza
 minima  di  eta'  rispetto  all'adottato,  prevista dal citato art. 6
 della legge n. 184/1983, non e' contrario  ai  principi  fondamentali
 che  regolano  nello  Stato il diritto di famiglia e dei minori (art.
 32 lettera c), come ritenuto dal giudice del  merito.  L'affermazione
 e'  esatta, perche' la previsione di un limite minimo e massimo della
 differenza di eta' tra adottanti e adottando, e' frutto di una scelta
 di opportunita', che rientra nella discrezionalita' del  legislatore,
 mentre   ha   natura   fondamentale   solo   il  principio  generale,
 espressamente enunciato dall'art.  8  della  convenzione  europea  in
 materia  di adozione di minori firmata a Strasburgo il 24 aprile 1967
 e resa esecutiva in Italia con legge 22 maggio 1974, n. 357,  secondo
 cui,  nel decidere dell'adozione di un minore, qualunque nazionalita'
 abbia, l'autorita' competente deve fare attenzione a  che  il  minore
 stesso  venga  inserito in un ambiente familiare stabile e armonioso,
 e,  come  regola  generale,  tale  condizione  non   puo'   ritenersi
 soddisfatta  se la differenza di eta' tra l'adottante e il minore sia
 inferiore a quella che intercorre di solito tra i genitori e  i  loro
 figli.
   Tuttavia  l'accoglimento  della  tesi dei ricorrenti non imporrebbe
 comunque  la  cassazione  del  provvedimento  impugnato,  perche'  il
 difetto del requisito della differenza di eta' impedirebbe egualmente
 la  dichiarazione  di  efficacia del provvedimento straniero ai sensi
 della lettera a) dell'art. 32 (sentenza n. 7439/1991 e Corte cost. n.
 303/1996, 148/1992 cit.), rimanendo con cio' preclusa ogni  ulteriore
 valutazione,  sia  della sussistenza in concreto di una differenza di
 eta' idonea a riprodurre la differenza biologica  che  ordinariamente
 intercorre  tra  genitori  e figli, sia della difficolta' di reperire
 un'altra coppia di genitori in  possesso  dei  requisiti  legali,  in
 relazione alla circostanza che gli adottandi sono ormai grandicelli.
   2.   -  Non  puo'  essere  seguita  neppure  l'ulteriore  tesi  dei
 ricorrenti secondo i quali la differenza minima di eta' tra adottanti
 e adottando dovrebbe essere calcolata tenendo conto solo dell'anno di
 nascita e non invece anche in base  ai  mesi  e  ai  giorni  e  cioe'
 confrontando  le  rispettive  date  di  nascita.  Tesi  dalla quale i
 ricorrenti stessi fanno discendere la conseguenza  che,  sussistendo,
 secondo tale calcolo, il requisito della differenza minima rispetto a
 uno  ma  non  all'altro  dei  due fratelli, potrebbe giustificarsi la
 deroga all'art.  6  per  salvaguardare  l'unita'  familiare,  secondo
 quanto previsto da Corte cost. n. 148/1992.
   Infatti   l'art.   6   della   legge  n.  184/1983  non  stabilisce
 direttamente le regole per calcolare la differenza di eta'  e  quindi
 deve farsi ricorso alla regola generale per il calcolo dell'eta' che,
 in  conformita'  con la tradizione romanistica, segue la computazione
 naturale a momento ad momentum (v. anche art. 71 ord. stato  civile);
 inoltre  la  disposizione usa una terminologia ("diciotto anni" e non
 "diciottesimo    anno")   talmente   puntuale,   che   non   consente
 all'interprete di aggiungere o togliere neppure un giorno al  divario
 di eta' esattamente indicato (Cass.  n. 7439/1991, n. 1266/1993).
   3.  -  Per il caso in cui, come si profila nella specie, il ricorso
 non potesse essere accolto, il procuratore generale,  ha  prospettato
 il  dubbio  di  costituzionalita',  della  previsione  della assoluta
 inderogabilita' del  limite  minimo  della  differenza  di  eta'  tra
 adottanti e adottando, con riferimento all'art. 31 Cost.
   La questione e' certamente rilevante, perche', come gia' osservato,
 il disposto dell'art. 6 della legge n. 184/1983 deve essere osservato
 non  solo  nella  fase  di  dichiarazione  di  idoneita' all'adozione
 prevista dall'art. 30, ma anche in sede di dichiarazione di efficacia
 del  provvedimento  straniero   di   adozione   (o   di   affidamento
 preadottivo),  di  cui  all'art.  32. Anzi, come ha gia' precisato la
 Corte costituzionale con la sentenza n. 148 del 1992, la  valutazione
 della  sussistenza  del requisito della differenza di eta', nel (sub)
 procedimento di dichiarazione di idoneita', in assenza di  un  minore
 al quale tale differenza debba essere rapportata, non puo' che essere
 sempre  ipotetica  ed  eventuale,  con la conseguente che l'eventuale
 dubbio di legittimita'  costituzionale  non  potrebbe  in  tale  fase
 essere  mai rilevante. Al contrario la questione di costituzionalita'
 diventa  rilevante  quando  la  valutazione  della  sussistenza   del
 requisito  del  divario  di eta' diventa concreta e puntuale, e cioe'
 nella fase di dichiarazione di efficacia del provvedimento  straniero
 in cui viene messa a raffronto la generica dichiarazione di idoneita'
 con il singolo minore da adottare.
   4.  -  Quanto  alla  valutazione di non manifesta infondatezza deve
 premettersi che la Corte costituzionale, gia' con la sentenza n.   11
 del  1981  (che  ha  dichiarato l'illegittimita' costituzionale della
 norma  che  prevedeva  l'automatica   cessazione   dello   stato   di
 adottabilita'   per  effetto  dell'adozione  ordinaria  dello  stesso
 minore),  ha  affermato  che,  essendo  la  tutela  dei  fondamentali
 interessi  del  minore  il  vero  centro  di  gravita'  dell'istituto
 dell'adozione, alla stregua degli artt. 2 e 30, primo e secondo comma
 Cost.,  l'individuazione  della  famiglia  sostitutiva  deve   essere
 condotta  tenendo  conto  delle  condizioni  particolari  del minore,
 secondo un criterio (gia' enunciato nella sentenza n. 145 del 1969 e)
 che la successiva sentenza n. 198 del 1986 ha sinteticamente indicato
 come di "adeguatezza in concreto"  della  soluzione  prescelta.  Tale
 criterio  comporta,  secondo  la  sentenza  da  ultimo citata, che il
 giudice abbia poteri sufficienti a  consentirgli  di  individuare  la
 soluzione  piu'  idonea a soddisfare gli interessi del minore e che i
 rapporti creatisi nel tempo tra il minore e  coloro  presso  i  quali
 egli  si  trova possano trovare adeguata tutela. Alla stregua di tale
 criterio la Corte costituzionale ha ritenuto quindi troppo rigido  il
 disposto  dell'art.  79, comma 1 della legge n. 184/1983, nella parte
 in  cui,  richiamando  l'art.  6  della  stessa   legge,   precludeva
 l'estensione degli effetti dell'adozione nei confronti degli adottati
 ai  sensi  dell'art. 291 c.c., precedentemente in vigore, nel caso in
 cui gli adottanti non fossero piu' uniti  in  matrimonio  al  momento
 della  domanda  di estensione predetta (anche se poi la dichiarazione
 di  illegittimita'  costituzionale  e'  stata  pronunciata   per   la
 specifica  ragione che la norma citata dettava una disciplina diversa
 da quella prevista per l'ipotesi omogenea  della  adozione  dall'art.
 25, comma 5 della legge n. 184/1983).
   La  successiva  giurisprudenza  della  Corte  costituzionale ha poi
 continuato  sempre  ad  essere  indirizzata  "al  superamento   della
 assoluta   rigidita'   delle   prescrizioni  normative,  quanto  alla
 differenza di eta' tra coniugi adottanti ed adottando"  (sentenza  n.
 303/1996),  secondo una ratio decidendi efficacemente riassunta dalla
 sentenza n. 148/1992: "Il divario di eta'  legislativamente  previsto
 non   si  pone  dunque  come  cosi'  assoluto  da  non  poter  essere
 ragionevolmente intaccato,  in  casi  rigorosamente  circoscritti  ed
 eccezionali,    per    consentire    l'affermazione   di   interessi,
 particolarmente attinenti al minore  e  alla  famiglia,  che  trovano
 radicamento  e  protezione  costituzionale  e  la  cui  esistenza  in
 concreto sia rimessa al rigoroso accertamento giudiziale".
   Alla stregua di tale principio la sentenza n. 183 del 1988,  avente
 ad  oggetto  una  fattispecie  analoga  a quella gia' esaminata dalla
 sentenza  n.   198   del   1986,   ha   dichiarato   l'illegittimita'
 costituzionale  dell'art.  79, comma 1 della legge n. 184/1983, nella
 parte in cui, richiamando l'art. 6, non consente  l'estensione  degli
 effetti  dell'adozione nei confronti dei minori adottati con adozione
 ordinaria quando la differenza  di  eta'  tra  adottanti  e  adottato
 superi  i 40 anni, per contrasto sia con l'art. 3, Cost., che con gli
 artt. 2 e 30, comma 1, in quanto la norma ostacolava la realizzazione
 del diritto inviolabile, sia della coppia adottante  che  del  minore
 adottato,  al  riconoscimento  pleno  jure  della  famiglia  da  essi
 costituita.
   Con la sentenza n. 44 del 1990 la Corte costituzionale  ha  inoltre
 dichiarato  l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  44,  comma 5
 della legge n. 184 del 1983, nella  parte  in  cui,  nell'ipotesi  di
 adozione  da parte del coniuge del genitore (lettera b), non consente
 di ridurre il divario minimo di diciotto anni, quando dall'attento  e
 severo  esame  delle  circostanze del caso emergano validi motivi per
 derogare a tale limite al fine di realizzare l'unita' della famiglia,
 che costituisce valore etico-sociale preminente (art. 30, comma  1  e
 2).  Lo  stesso  valore e' stato poi invocato, insieme a quello della
 protezione della personalita' dei minori (art. 2 e 31  Cost.)  e  del
 pari  trattamento  di  essi quando versano nella medesima condizione,
 per  giustificare  la  pronuncia  di  illegittimita'   costituzionale
 dell'art.    6, comma 2 della legge n. 184 del 1983 (applicabile, per
 effetto  del  rinvio  dell'art.  30,   a   un'ipotesi   di   adozione
 internazionale),  nella parte in cui non consente l'adozione di uno o
 piu' fratelli in stato di  adottabilita',  quando  per  uno  di  essi
 l'eta'   degli  adottanti  supera  di  piu'  di  quarant'anni  l'eta'
 dell'adottando e dalla separazione deriva ai minori  un  danno  grave
 per  il  venir  meno della comunanza di vita e di educazione. Infine,
 con la sentenza 303 del 1996 la Corte  costituzionale  ha  affermato,
 sempre    in    ipotesi    di   adozione   internazionale,   che   e'
 costituzionalmente illegittimo l'art. 6, comma 2 della legge  n.  184
 del  1983,  nella  parte  in  cui  non  prevede  che il giudice possa
 disporre l'adozione, quando  l'eta'  di  uno  dei  coniugi  adottanti
 superi di oltre quaranta anni l'eta' dell'adottando, pur rimanendo la
 differenza  di  eta'  compresa in quella che di solito intercorre tra
 genitori e figli, se cio' sia necessario, per evitare un danno  grave
 e   non altrimenti evitabile, e cioe' quando solo l'inserimento nella
 specifica famiglia di cui si tratta puo' soddisfare  l'interesse  del
 minore, tutelato dagli artt. 2 e 31 Cost.
   5.  -  Ora, anche nel caso di specie, puo' dubitarsi che l'assoluta
 rigidita'    della    prescrizione    normativa     possa     mettere
 ingiustificatamente  in pericolo preminenti valori costituzionali, in
 particolare il diritto (tutelato dagli artt. 2, 30, comma 1 e 2 e  31
 Cost.) del minore in situazione di abbandono a essere inserito in una
 famiglia   sostitutiva, in concreto, adeguata (Cort. cost. n. 145 del
 1969, 11 del 1981, 198 del 1986).
   Infatti, va innanzi rilevato che il requisito del divario minimo di
 eta' e' ampiamente rispettato riguardo  all'aspirante padre  adottivo
 e  che,  riguardo  alla  moglie, pur mancando circa tre mesi rispetto
 alla minore D ed F e circa due anni e due mesi rispetto  a  A  N,  si
 rimane  "nella  differenza  di eta' che puo' solitamente intercorrere
 tra genitori e figli" (sentenza  n.  303  del  1996),  tenendo  anche
 presente  che  lo  stesso legislatore ha fissato l'eta' minima per il
 riconoscimento a sedici anni  (art.  250,  ult.  comma,  c.c.)  e  ha
 avvertito  l'esigenza  di disciplinare   l'ipotesi (che dunque non e'
 eccezionale) di nascita di figlio di  genitore  infrasedicenne  (art.
 11, comma 3, legge  n.  184 del 1983).
   Inoltre entrambi i minori di cui si tratta sono stati dichiarati in
 situazione  di  abbandono  dall'autorita'  giudiziaria dello stato di
 origine. In tale situazione l'art.  30,  comma  2  Cost.,  impone  al
 legislatore  ordinario di provvedere all'inserimento del minore in un
 nucleo familiare perche', come rilevato  dalla  Corte  costituzionale
 nella  sentenza  n.  11  del  1981  "la  finalita'  di  un'educazione
 sostitutiva al  meglio  comporta  la  soddisfazione  del  bisogno  di
 famiglia  avvertito  con  forza  dal  minore, che richiede per la sua
 crescita normale affetti individualizzati e  continui,  ambienti  non
 precari,  situazioni non conflittuali". Dagli atti peraltro non sorge
 alcun dubbio che la famiglia Fella-Armani sia in concreto adeguata  a
 svolgere  la  funzione  di  famiglia  adottiva,  se  non altro per la
 particolare  oblativita'  dimostrata  nel  rendersi  disponibili   ad
 accogliere  (non  un  neonato  o  un bambino in tenera eta', al quale
 tutte le coppie della loro eta' normalmente aspirano) una  coppia  di
 fratelli gia' grandicelli (attualmente il maschio ha dodici anni e la
 femmina dieci). Questa circostanza peraltro impone anche di accertare
 se  l'inserimento  nella famiglia dei ricorrenti sia la sola in grado
 di soddisfare il diritto  dei  minori  a  una  famiglia  sostitutiva,
 essendo  notoria  la  scarsa  propensione  ad accettare facilmente la
 fatica dell'educazione di minori che  hanno  tratti  di  personalita'
 gia'  sufficientemente  definiti,  tanto  piu'  quando appartengono a
 culture  e  nazionalita'  diverse  e   quindi   incontrano   maggiori
 difficolta' di inserimento nel tessuto socio-culturale nazionale. Ne'
 per   superare   la  prevedibile  difficolta'  ora  individuata  puo'
 ipotizzarsi una separazione dei fratelli, perche'  come  rilevato  da
 Corte cost. n. 44 del 1990, cio' contrasterebbe con prevalenti valori
 costituzionali (unita' familiare e pari tutela dei minori in identica
 situazione di abbandono).
   D'altra  parte,  come  ebbe  a  rilevare  la  sentenza  della Corte
 costituzionale  n.  11  del  1981,  che  per   prima   ha   affermato
 l'illegittimita'  di  rigidi  automatismi  in  materia di adozione di
 minori il giudice deve "valutare sempre  la  consistenza  dei  legami
 affettivi  che  si siano creati col tempo tra il minore e la famiglia
 comunque affidataria", proprio perche'  in  materia  l'interesse  del
 minore,  per  il  combinato  disposto degli artt. 2 e 30, comma 1 e 2
 Cost., e' prevalente.
   6. - Deve quindi disporsi la sospensione del giudizio,  ordinandosi
 la   rimessione   degli  atti  alla  Corte    costituzionale,  con  i
 conseguenziali provvedimenti di cui al dispositivo.