IL PRETORE Ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento penale in epigrafe, a carico di Conte Andrea, imputato del delitto di cui agli artt. 624, 625 n. 7 c.p., perche', al fine di trarne profitto, si impossessava dell'autovettura Fiat Tipo tg. AQ 259785, sottraendola a Creati Carmine che la deteneva parcheggiata nella pubblica via, con l'aggravante di aver commesso il fatto su cosa esposta per consuetudine alla pubblica fede, in Avezzano, l'8 aprile 1992. Ritenuto in fatto Con decreto di citazione, ritualmente notificato in data 22 aprile 1994, Conte Andrea era tratto a giudizio di questo pretore, per rispondere del delitto di cui in epigrafe. All'udienza dibattimentale del 19 febbraio 1996 il medesimo veniva sottoposto ex art. 70 c.p.p. a perizia psichiatrica, affidata al medico legale Lorenzo Cianciusi, il quale, a seguito di visita e di esame di documentazione clinica, rispondendo oralmente ai quesiti posti, affermava che il Conte "e' affetto da grave insufficienza mentale in epilettico con turbe del comportamento e delle funzioni psichiche superiori, tale patologia si e' palesata in epoca perinatale a seguito verosimilmente di insufficiente irrorazione placentare" e concludeva il perito per l'incapacita' attuale dell'imputato di partecipare coscientemente al processo, per la sua incapacita' di intendere e volere al momento del fatto, per la sua non pericolosita' sociale. Questo pretore, di conseguenza, in applicazione dell'art. 71 c.p.p., con ordinanza adottata all'udienza, designato il curatore speciale, sospendeva il processo. Alla scadere del sesto mese successivo, questo pretore ordinava i nuovi accertamenti peritali sullo stato di mente dell'imputato previsti dall'art. 72, comma 1, c.p.p. Il perito, previa visita, depositava in data 6 novembre1996 la sua relazione, in cui si confermava totalmente la precedente diagnosi, e con essa, per quanto ora rileva, l'incapacita' di partecipare coscientemente al processo, e si precisava, dietro specifico quesito, che la condizione clinica del Conte "appare non soltanto stabile nel tempo, ma certamente immodificabile in senso migliorativo, riconoscendo, appunto, cause precocissime che hanno determinato un danno organico permanente; analogamente, appaiono permanenti anche le conseguenze del suddetto danno, ovvero la perdita della capacita'... di stare coscientemente in giudizio". Essendo ormai da allora decorso un ulteriore periodo di sei mesi, trovasi questo pretore a dover fare nuovamente applicazione del citato art. 72, comma 1, che impone di procedere, finche' non venga a cessare lo stato patologico ed a meno che non possa medio tempore decretarsi il proscioglimento, a ripetuti accertamenti peritali di natura psichiatrica, a scadenza regolare di sei mesi. Il giudicante dubita tuttavia della legittimita' costituzionale delle disposizioni in oggetto, sotto i profili e per le motivazioni che si verranno ora ad esporre, e, prima di ulteriormente applicarle, intende rimetterne il relativo scrutinio a codesta Corte costituzionale, a norma dell'art. 1 della legge cost. 9 febbraio 1948, n. 1. Considerato in diritto I) In punto di non manifesta infondatezza. Non e' dubbio che il combinato disposto delle norme citate porti nel caso di specie ad una stasi processuale che contiene in se' la certezza della sua illimitata durata (stasi aggravata dal prescritto periodico espletamento di incombenti costosi per l'erario, e privi di utilita' processuale alcuna). Da un lato, difatti, l'ultimo accertamento peritale ha messo in evidenza come la malattia del Conte non sia suscettibile, allo stato attuale delle conoscenze della scienza medica, di favorevole evoluzione, e lo stesso perito ha segnalato l'inutilita' di ulteriori verifiche, essendo impossibile che l'imputato in futuro possa acquisire uno stato mentale tale da consentirne la cosciente partecipazione al giudizio. Dall'altro, anche in siffatta circostanza, la legge processuale impone di mantenere la sospensione del giudizio e di continuare (vanamente), a scadenza semestrale, a saggiare la consistenza di un quadro patologico di natura mentale ormai acclarato nella sua triste immutabilita'. Tutto cio' fin quando non possa pervenirsi ad un proscioglimento, legato ormai soltanto - salve sempre possibili amnistie, la cui piena operativita' in tale ambito si presenta peraltro problematica - alla prospettiva della morte del prevenuto (con relativa pronuncia di estinzione del reato), rimanendo nelle more sospeso il corso della prescrizione ex art. 159 comma 1 c.p. e non potendosi pervenire a declaratorie di difetto di imputabilita' (di cui nella specie pure sussisterebbero le condizioni), avendo codesta Corte gia' autorevolmente chiarito che siffatte pronunce implicano un'implicita affermazione di responsabilita' e inducono o possono indurre conseguenze sfavorevoli (iscrizione nel casellario giudiziale, applicazione di misure di sicurezza etc.) incompatibili con la condizione di minorita' dell'imputato. Tale normativa, e gli effetti che da essa si producono, gia' in se' carichi di irrazionalita', sembrano confliggere con il principio d'eguaglianza, ex art. 3, primo comma, Cost. Codesta Corte, nella sentenza n. 281/1995, ha gia' dichiarato infondata analoga questione, sollevata in relazione al medesimo parametro, osservando non potersi equiparare la posizione di chi e' in grado di partecipare coscientemente al processo a quella di chi invece non lo e' (posizione quest'ultima assunta a tertium comparationis nel relativo giudizio). In questa sede si vuole riproporre la questione di possibile conflitto con l'art. 3 Cost., assumendo tuttavia a tertium comparationis, rispetto alla posizione odierna del soggetto irreversibilmente non in grado di partecipare coscientemente al giudizio, quella del soggetto vittima della medesima incapacita' ma per causa transitoria, o comunque non certamente definitiva. Il principio di eguaglianza implica, accanto al divieto per il legislatore di regolare in modo discriminatorio fattispecie eguali, la direttiva di regolare in modo (sia pure non arbitrariamente) differenziato fattispecie che presentino ontologiche diversita'. Le due posizioni sopra illustrate sono strutturalmente e funzionalmente diverse. Il malato di mente la cui patologia non sia certamente irreversibile e' persona non in grado di esercitare il diritto fondamentale di autodifesa in prospettiva anche solo tendenzialmente transitoria, ed e' allora massimamente opportuno, e costituzionalmente doveroso, tutelarlo per tutto il tempo necessario (tramite appunto la sospensione del processo) da possibili lesioni riconducibili alla mancata sua liberta' di autodeterminazione. E' consequenziale in siffatti casi prevedere controlli periodici ravvicinati del suo stato mentale, addivenendosi alla ripresa del giudizio se e non appena risulti cessata la condizione di minorata difesa (allorche' ritorna prevalente il diritto-dovere statuale all'accertamento ed alla persecuzione dei crimini, e, se si vuole, lo stesso eventuale diritto dell'interessato di essere giudicato). L'affetto da patologia psichiatrica immodificabile in senso migliorativo, ed in questo senso irreversibile (nell'accezione che il termine riveste in medicina), e' persona che giammai, per tutta la sua vita, potra' piu' difendersi nel senso pieno voluto dalle disposizioni processuali in discorso, ed allora rispetto a lui e' privo di senso logico, prima ancora che giuridico, mantenere per il medesimo tempo in piedi un procedimento ormai svuotato di ogni reale finalizzazione, destinato a concludersi solamente una volta intervenuta la morte dell'interessato, eventualmente a distanza di moltissimi anni (il Conte ne ha solo 25, e la malattia potrebbe, auspicabilmente, non ripercuotersi sulla sua attesa di vita); come priva di senso in questo caso - e nuovamente irragionevole ne e' la parificazione con l'altro gia' preso in esame - risulta l'imposizione, per lo piu' nella veste formale della perizia, di accertamenti ex ante noti nel loro unico possibile contenuto, e oltretutto con riflessi d'ordine finanziario del tutto privi di base giustificativa (senza tener conto dell'ancorche' modesto aggravio di lavoro dell'ufficio giudiziario, anche nel suo aspetto organizzatorio). Esiste, a giudizio dello scrivente, una soluzione costituzionalmente obbligata - come tale desumibile da principi generali di sistematicita' e coerenza interna dell'ordinamento, che assurgono in quanto tali a valore costituzionalmente apprezzabile - per ripristinare, diversificando la risposta normativa di fronte a situazioni cosi' radicalmente difformi, l'efficienza del principio d'eguaglianza, nel suo aspetto per cosi' dire negativo. Soluzione che consiste nell'integrare, grazie ai poteri additivi spettanti alla Corte, la previsione normativa, attribuendo al giudice il potere-dovere, in fattispecie quali quella oggetto di questo processo, di definire quest'ultimo con pronuncia di mero rito, attestante il difetto rebus sic stantibus di una condizione del procedere, con conseguente riproponibilita' dell'azione penale (salva l'incidenza della prescrizione) ex art. 345 c.p.p. ove il presupposto dell'improcedibilita' (l'irreversibilita' della malattia mentale) dovesse in prosieguo - magari per errore della posta iniziale diagnosi, o per qualsiasi altra causa - venire meno. Il risolvere le fattispecie di cui sopra, regolandole quali cause di improcedibilita' dell'azione penale, e' in definitiva soluzione che discende dal sistema, una volta chiarita la funzione che l'istituto di protezione ex artt. 70 ss. c.p.p. assolve nel processo e la dinamica peculiare che nel suo ambito viene a determinarsi allorche' l'esigenza di protezione assume carattere di permanenza e immodificabilita'. Il "minus" rappresentato dalla sospensione non puo' in tale caso che evolversi e tradursi nella piu' radicale soluzione dell'improcedibilita' allo stato, che salvauarda in termini di maggiore razionalita' la tenuta ordinamentale complessiva. II) In punto di rilevanza. La questione che cosi' si solleva e' certamente rilevante nel presente giudizio, giacche', in caso di suo accoglimento, questo troverebbe il suo epilogo nei modi e nelle forme innanzi suggeriti, mentre la reiezione della questione medesima, lasciando invariata la normativa processuale vigente, aprirebbe immediatamente la via ad ulteriore perizia psichiatrica, terza della lunga (inane) prevedibile serie cadenzata dalle ricordate scansioni temporali.