IL TRIBUNALE Ha emesso la seguente ordinanza nel procedimento ex art. 318 c.p.p. promosso dal difensore nell'interesse di Fanni Piergiorgio nato a Cagliari il 10 novembre 1929; assistito e difeso di fiducia dall'avv. Andrea Fares; con atto depositato il 2 maggio 1997 avverso l'ordinanza emessa dal tribunale di Milano, sez. penale VII, datata 18 aprile 1997 con la quale veniva respinta la richiesta di sequestro conservativo nei confronti degli imputati e dei responsabili civili nel procedimento a carico di Mantini Franco e Federici Paolo. Letti gli atti pervenuti richiesti il 3 maggio 1997 e pervenuti il 13 maggio 1997. Preliminarmente deve essere esaminata la questione di legittimita' costituzionale sollevata contestualmente nel medesimo atto di impugnazione dal difensore della parte civile Fanni Pier Giorgio. Il difensore infatti, nell'eventualita' in cui il tribunale del riesame dichiarasse inammissibile il suddetto appello - ha contestualmente sollevato questione di legittimita' costituzionale, per violazione degli artt. 3, 24 e 76 Cost., del combinato disposto degli artt. 318, 322-bis e 325 c.p.p. nella parte in cui non prevedono alcun mezzo di impugnazione avverso il provvedimento di diniego del sequestro conservativo. In relazione a tale impugnazione anche l'imputato Mantini Franco ha proposto appello incidentale avverso la medesima ordinanza del tribunale di Milano in data 16 maggio 1997 chiedendo innanzi tutto che il gravame fosse dichiarato inammissibile - non essendo prevista impugnazione per tali provvedimenti - ed in subordine chiedendo il rigetto nel merito. La questione di legittimita' costituzionale appare rilevante e deve essere preliminarmente esaminata, posto che, dalla decisione sulla stessa discende la possibilita' per i tribunale di esaminare nel merito l'appello avverso l'ordinanza di rigetto dell'istanza di applicazione del sequestro conservativo. In base alle argomentazioni della difesa la questione non appare manifestamente infondata. Invero, le norme in materia di sequestro conservativo nel processo penale contemplano esclusivamente l'impugnazione contro il provvedimento che accolga la richiesta di applicazione della cautela reale. Infatti, unico mezzo di gravame espressamente disciplinato e' il riesame ai sensi dell'art. 318 c.p.p. che e' esperibile, secondo l'interpretazione costante di dottrina e giurisprudenza, solo nei confronti dell'ordinanza applicativa del sequestro. Prima del decreto legislativo n. 12/1991, tale vuoto normativo caratterizzava anche la disciplina dell'altra misura cautelare reale: il sequestro preventivo. Il legislatore peraltro, rilevata la mancanza di uno specifico gravame avverso i provvedimenti di rigetto dell'istanza di sequestro o di restituzione, in armonia con la disciplina dettata per le misure cautelari personali, ha previsto, sotto il nuovo art. 322-bis c.p.p., l'istituto dell'appello quale rimedio contro le decisioni che il giudice adotta in materia di sequestro preventivo e contro il decreto di revoca del sequestro emesso dal p.m. In materia di seguestro penale, pur con differenti modalita', alle parti e' consentita comunque l'impugnazione avverso i provvedimenti di rigetto delle istanze di dissequestro. Contro il decreto motivato del p.m. emesso nel corso delle indagini preliminari, infatti, gli interessati (e quindi non solo l'imputato) possono proporre opposizione al g.i.p. che provvede a norma dell'art. 127 c.p. L'ordinanza del g.i.p. a sua volta, puo' essere impugnata in cassazione nel termine di 15 giorni. Solo in materia di sequestro conservativo, dunque, la parte civile e' totalmente priva di tutela nel caso di mancato accoglimento dell'istanza. Tale disciplina appare, soprattutto dopo la novella del 1991, ingiustificatamente isolata all'interno del sistema complessivo delle impugnazioni avverso le misure cautelari personali e reali, che offre sempre la possibilita' di appellare i provvedimenti di diniego. Proprio sotto tale profilo la difesa ha sollevato questione di illegittimita' costituzionale delle norme in commento, precisando che tra le diverse parti processuali l'accusa e' sicuramente quella piu' penalizzata: il p.m. e' infatti totalmente "disarmato" rispetto all'ordinanza di rigetto disposta dal giudice, anche la' dove questa si rivelasse palesemente erronea. A tale proposito la difesa della parte civile ha sostenuto la violazione dell'art. 76 della Costituzione, per il mancato rispetto del principio di parita' tra accusa e difesa statuito dal punto 3 dell'art. 2 della legge-delega. Infatti, mentre l'imputato puo' proporre richiesta di riesame ex art. 318 c.p.p. avverso il provvedimento che dispone il sequestro conservativo, il p.m., in caso di rigetto, non ha alcuna possibilita' di impugnazione. Pur condividendo le doglianze sollevate, va osservato che, sotto tale profilo, la questione non e' rilevante, dal momento che nell'attuale procedimento l'istanza di sequestro e' stata avanzata dalla sola parte civile. Sono invece rilevanti e non appaiono manifestamente infondati, i dubbi di illegittimita' costituzionale sollevati in merito alla lesione del diritto alla tutela giurisdizionale della parte civile garantito dall'art. 24 della Costituzione. E' noto a questo tribunale il contenuto dell'ordinanza n. 334 dell'11 luglio 1992, con cui la Corte costituzionale, nel decidere una questione sollevata in materia di sequestro preventivo - laddove non si prevede che la richiesta della misura cautelare possa essere avanzata anche dalla persona offesa querelante - ha statuito che "il predetto interesse non deve necessariamente trovare la sua garanzia; seppure indiretta; negli strumenti del processo penale, (...) perche' appare comunque sufficientemente tutelato dalle misure cautelari esperibili nel processo civile". Orbene, il tribunale ritiene che le argomentazioni sviluppate nella suddetta pronuncia non possano valere anche nell'ipotesi in cui venga rigettata una richiesta di sequestro conservativo sui beni dell'imputato. Diversamente opinando, invero, si costringerebbe la persona offesa dal reato, che gia' si e' costituita parte civile nel processo penale, a iniziare una autonoma azione in sede civile per ottenere quanto ingiustamente negatole dal giudice penale, con evidente compromissione del suo diritto alla tutela giurisdizionale. Infatti, costringere la parte a rivolgersi al giudice civile per ottenere un sequestro conservativo sui beni dell'imputato, equivale ad innescare un sistema alquanto complesso che rischia, soprattutto, di compromettere le ragioni creditorie della stessa. L'inizio di un'autonoma azione in sede civile, dopo che vi e' gia' stata costituzione nel processo penale, determina, invero (in base al disposto degli artt. 75 comma 3 e 82 comma 2 c.p.p.) da un lato, la revoca dell'avvenuta costituzione e, dall'altro, la sospensione del processo civile fino alla pronuncia della sentenza penale irrevocabile. A cio' si aggiunge un'ulteriore considerazione. La persona offesa che ha scelto di costituirsi nel processo penale anche in considerazione della mancanza dei limiti che caratterizzano il regime della prova nel processo civile (si pensi ad ipotesi di contratti simulati), si vede costretta, per ottenere la tutela cautelare negatale dal giudice penale, ad intraprendere una via che anche sotto questo profilo si rivela ben piu' difficile. Sarebbe quindi piu' logico, ma anche piu' coerente con l'intero sistema delle impugnazioni sui provvedimenti cautelari, consentire alla parte civile (o al p.m.) di impugnare il provvedimento di rigetto dell'istanza di sequestro conservativo davanti al giudice penale che naturalmente e' deputato al controllo di tutti i provvedimenti in materia di misure cautelari: il tribunale del riesame. Ne' potrebbe affermarsi che l'ordinanza di rigetto, essendo emanata nel corso di un procedimento in camera di consiglio ex art. 127 c.p.p., sia impugnabile direttamente in Cassazione. Infatti nel caso di specie si tratta di provvedimento emanato dopo che e' iniziata la fase dibattimentale, e pertanto trova applicazione la disciplina dell'art. 586 c.p.p., secondo la quale l'ordinanza deve essere impugnata unitamente alla sentenza pronunciata all'esito del dibattimento. Anche in tal caso, dunque, risulta chiaro il pericolo di compromettere irrimediabilmente le ragioni creditorie della parte civile. Infatti si tratterebbe dell'unica ipotesi di misura cautelare, personale o reale, in relazione alla quale non e' normativamente prevista una impugnazione immediata del provvedimento giurisdizionale di accoglimento o di rigetto, con previsione di termini acceleratori per la sua definizione. Alla luce di tali considerazioni appare evidente la lesione del diritto alla tutela giurisdizionale della parte civile e la conseguente violazione dell'art. 24 della Costituzione. Invero la disarmonia di tale disciplina e' testimoniata altresi' dal contenuto della legge delega (pur non potendo integrare la violazione dell'art. 76 della Costituzione non costituendo un eccesso rispetto al contenuto della legge delegata). La parte civile infatti, conformemente alla direttiva di cui al punto 20 dell'art. 2 della legge delega, ha visto disciplinata nel codice di rito la sua partecipazione al processo penale al fini delle restituzioni e del risarcimento del danno cagionato da reato. Tale disciplina riguarda anche la materia cautelare in quanto l'art. 316.2 c.p.p. ha espressamente previsto la possibilita' della parte civile di formulare (come e' avvenuto nel caso in esame) autonoma richiesta di sequestro conservativo. Ma la tutela degli interessi della parte civile secondo il sistema della legge delega disponeva al punto 87 dell'art. 2 "previsione e disciplina delle impugnazioni della parte civile ai fini della tutela dei suoi interessi civili. E' quindi piu' logico e coerente col principio costituzionale che il rimedio sia previsto nell'ambito dello stesso procedimento nel quale la parte civile ha scelto di esercitare il proprio diritto e quindi avanti al giudice penale che naturalmente e' deputato al controllo di tutti i provvedimenti in materia di misure cautelari personali e reali: il tribunale del riesame. Resta quindi assorbito il profilo sollevato con riferimento alla violazione dell'art. 3 della Costituzione per la irragionevole disparita' che, dopo la novella del 1991, caratterizza il sistema delle impugnazioni del sequestro preventivo e di quello conservativo, pur avendo gli stessi identica natura cautelare.