LA COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE
   Ha emesso la seguente ordinanza sull'appello r.g.  appelli  5263/96
 spedito  il  21  giugno  1993  avverso la sentenza n. 59/32/92 emessa
 dalla Commissione tributaria provinciale di Milano da: Codosan s.r.l.
 amm.re. U. Antonio Bevilacqua residente a  Salerno  in  via  Raffaele
 Conforti,  17; controparti Ufficio registro di Milano 1 privati, atti
 impugnati: avv. di liquid. n. art. 771 - Invim.
                        Svolgimento del processo
   Con appello principale presentato in data 26 giugno 1993 presso  la
 Commissione  tributaria  di primo grado di Milano la societa' Codosan
 s.r.l. ha impugnato la decisione della Commissione  stessa,  con  cui
 era  stato respinto il suo ricorso contro l'avviso di liquidazione n.
 771/res., emesso dall'Ufficio del  registro  di  Milano  per  imposte
 complementari  di  cui  all'atto  registrato  l'11 gennaio 1988 al n.
 1534.
   L'appellante sostiene che non possa essere condivisa  la  decisione
 della   Commissione   tributaria   di  primo  grado  di  Milano,  che
 risulterebbe carente di motivazione, e richiama le doglianze  esposte
 nel ricorso di primo grado.
   L'Ufficio   del   registro   di  Milano  1,  privati  ha  sostenuto
 l'inammissibilita' e, comunque, l'infondatezza del ricorso.
   All'udienza pubblica del 6 febbraio 1997 la  causa  e'  passata  in
 decisione.
                              M o t i v i
   1.  -  Il Collegio ritiene che la decisione sul merito dell'appello
 in esame non possa essere adottata senza la previa soluzione  di  una
 questione di legittinita' costituzionale.
   2.  - Va premesso, in punto di fatto, che nel presente giudizio non
 e'  stata  chiesta,  con  apposita  istanza,  la  discussione   della
 controversia  in  pubblica  udienza  ai  sensi dell'art. 33, comma 1,
 d.lgs. 31 dicembre 1992 n. 546.
   3. - La questione di  legittimita'  costituzionale,  rilevante  nel
 presente  giudizio  in quanto necessaria per stabilire la correttezza
 delle modalita' di  svolgimento  dell'udienza,  riguarda  proprio  la
 legittimita' costituzionale dell'art. 33, comma 1, d.lgs. 31 dicembre
 1992  n. 546, laddove subordina la pubblicita' dell'udienza in cui si
 svolge la trattazione della causa alla previa, tempestiva istanza  di
 almeno una delle parti.
   Questa  norma appare in contrasto con l'art. 101, comma primo della
 Costituzione, secondo l'interpretazione che  ne  ha  dato  la  stessa
 Corte costituzionale con la sentenza 16 febbraio 1989 n. 50, la quale
 ha  dichiarato  illegittimo  l'art. 39, comma primo d.P.R. 26 ottobre
 1972 n. 636, nella parte in cui impediva la pubblicita' delle udienze
 avanti le Commissioni tributarie di primo e di secondo grado.
   In quell'occasione la Corte, ribadendo quanto gia' espresso con  la
 sentenza  n.  12 del 1971, ha affermato che poiche' l'amministrazione
 della giustizia trova  fondamento  nella  sovranita'  popolare  (art.
 101,  comma  primo  della Costituzione), deve ritenersi implicita nei
 principi   costituzionali   che   disciplinano   l'esercizio    della
 giurisdizione  la  regola generale della pubblicita' dei dibattimenti
 giudiziari,  che  puo'  subire   eccezioni   solo   per   determinati
 procedimenti, quando vi sia un'obbiettiva giustificazione.
   La  Consulta  ha altresi' aggiunto che per i procedimenti tributari
 non  solo  non  sussiste  alcuna  ragione  che   possa   giustificare
 l'eccezione  e, quindi, la non pubblicita' dei relativi dibattimenti,
 ma che, anzi, sono ravvisabili  peculiari  esigenze  a  favore  della
 pubblicita'  delle  udienze,  dal  momento  che, "in base all'art. 53
 della Costituzione, l'imposizione tributaria e'  soggetta  al  canone
 della  trasparenza, i cui effetti riguardano anche la generalita' dei
 cittadini, nonche' ai principi di universalita' ed uguaglianza,  onde
 la  posizione  del contribuente non e' esclusivamente personale e non
 e' tutelabile con il segreto".
   La Corte, infine, ha sottolineato che "la generale conoscenza delle
 controversie tributarie puo' giovare  alla  concreta  attuazione  del
 sistema  tributario e concorre a ridurre il numero degli inadempienti
 e degli evasori in genere".
   Le argomentazioni esposte nella citata sentenza  dalla  Consulta  a
 sostegno  della  pubblicita'  delle  udienze  avanti  le  Commissioni
 tributarie portano a ritenere illegittima la  formulazione  dell'art.
 33,  comma  1,  d.lgs.  31 dicembre 1992 n. 546, laddove subordina la
 pubblicita' dell'udienza in cui si svolge la trattazione della  causa
 alla previa, tempestiva istanza di almeno una delle parti.
   Non  v'e'  dubbio  che se il riconoscimento della necessita' che le
 udienze avanti le Commissioni tributarie  siano  pubbliche  si  basa,
 oltre che sul principio generale, secondo cui l'amministrazione della
 giustizia trova fondamento nella sovranita' popolare (art. 101, comma
 primo  della Costituzione), anche sul rilievo particolare, in base al
 quale  l'imposizione  tributaria  e'   soggetta   al   canone   della
 trasparenza,  dal  momento  che  i  suoi  effetti riguardano anche la
 generalita' dei cittadini (art. 53, comma primo della  Costituzione),
 non  appare  legittimo  sul  piano  costituzionale che la pubblicita'
 delle relative udienze sia  rimessa  alla  valutazione  discrezionale
 delle  parti  costituite  e  rientri  nella loro piena disponibilita'
 cosi' come previsto dall'art.  33, comma 1 d.lgs. 31 dicembre 1992 n.
 546.
   Se si afferma, infatti, cosi' come ha affermato la Corte  che,  sul
 piano   costituzionale,   "la   posizione  del  contribuente  non  e'
 esclusivamente personale e non e'  tutelabile  con  il  segreto",  in
 quanto  l'esigenza  di pubblicita' dell'udienza discende dai principi
 di  universalita'  ed  uguaglianza,  non  e'  poi  possibile ritenere
 compatibile con la normativa costituzionale  un  sistema  che  affidi
 alla   disponibilita'  delle  parti,  proprio  la  pubblicita'  delle
 udienze.
   4. - La questione di legittimita' costituzionale cosi'  individuata
 si  appalesa  ancora  piu' pregnante nel vigore della nuova normativa
 che regola il processo tributario, ove si  consideri  che  gli  artt.
 33,  comma  secondo  e  35  comma  1, d.lgs. 31 dicembre 1992 n. 546,
 escludono che, in caso di trattazione  in  camera  di  consiglio,  le
 parti possano essere presenti e possano, quindi, essere sentite.
   L'art. 33, comma secondo, nel precisare le modalita' di trattazione
 in camera di consiglio, dispone che: "Il relatore espone al collegio,
 senza  la  presenza  delle  parti,  i  fatti  e  le  questioni  della
 controversia".
   L'art. 35, comma primo dispone che: "Il collegio giudicante, subito
 dopo la discussione in pubblica udienza o, se questa non vi e' stata,
 subito dopo l'esposizione del  relatore,  delibera  la  decisione  in
 segreto nella camera di  consiglio".
   Dal  tenore delle due norme risulta che, nel caso di trattazione in
 camera di consiglio (che costituisce, come  si  e'  visto,  l'ipotesi
 normale di svolgimento della controversia, in assenza dell'istanza di
 discussione  in  pubblica  udienza)  le  parti,  sia  in proprio, sia
 mediante il  loro  difensore  abilitato,  non  possono  comparire  in
 udienza per svolgere le proprie difese.
   La mancata previsione del principio della pubblicita' delle udienze
 si  configura,  quindi, anche come una violazione dell'art. 24, comma
 secondo, secondo cui: "La difesa e' diritto inviolabile in ogni stato
 e grado del procedimento", dal momento che  la  presenza  in  udienza
 delle  parti  costituite,  viene,  di  fatto,  ostacolata,  in quanto
 subordinata  alla  presentazione  dell'istanza  di   discussione   in
 pubblica  udienza,  la quale e' sottoposta a termine di decadenza (10
 giorni liberi prima della data di trattazione) entro  il  quale  deve
 essere   notificata   alle   parti   costituite  e  depositata  nella
 segreteria.
   Questo trattamento riservato dal legislatore alle parti costituite,
 appare  quanto  mai  singolare  alla  luce  anche   della   pregressa
 giurisprudenza  tributaria  che  aveva  sottolineato  la  particolare
 rilevanza ai fini della  decisione  della  presenza  delle  parti  in
 udienza,   giungendo  ad  individuare  l'obbligo  del  presidente  di
 rinviare la discussione, pena la nullita' della decisione, quando  il
 rappresentante  dell'ufficio non abbia potuto partecipare all'udienza
 di discussione a  causa  dell'astensione  dal  lavoro  del  personale
 dell'amministrazione  finanziaria (Comm.  centrale imposte, sez. XII,
 4 ottobre 1979 n. 9420).
   Il collegio osserva che non e' ravvisabile alcun serio  motivo  che
 giustifichi  un  meccanismo che ostacoli o, addirittura, impedisca la
 presenza delle parti all'udienza, ove potrebbero dare  un  contributo
 alla   definizione   della   controversia  sia  illustrando  le  loro
 argomentazioni, sia fornendo  chiarimenti  e  precisazioni,  tali  da
 evitare   decisioni   istruttorie,  nel  rispetto  del  principio  di
 economicita' del giudizio.
   5.  -  La questione di legittimita' costituzionale sopra illustrata
 si appalesa, oltre che non  manifestamente  infondata,  rilevante  in
 questo  giudizio  in  cui,  non  essendo  stata presentata istanza di
 discussione in pubblica udienza,  la  trattazione  si  e'  svolta  in
 regime  di non pubblicita' e la decisione nel merito, senza il previo
 esame di detta questione, verrebbe adottata in assenza dei canoni  di
 trasparenza, gia' ritenuti essenziali dalla Corte  costituzionale.