ha pronunciato la seguente Sentenza nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 74, primo comma, e 78, primo comma, del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 (Testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali), promosso con ordinanza emessa il 13 giugno 1996 dal pretore di Trento sul ricorso proposto da Lever Marta contro INAIL iscritta al n. 900 del registro ordinanze 1996 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 39, prima serie speciale, dell'anno 1996. Visti gli atti di costituzione di Lever Marta e dell'INAIL nonche' l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri; Udito nell'udienza pubblica del 17 giugno 1997 il giudice relatore Fernando Santosuosso; Uditi gli avvocati Franco Agostini per Lever Marta, Antonino Catania per l'INAIL e l'avvocato dello Stato Gian Paolo Polizzi per il Presidente del Consiglio dei Ministri. Ritenuto in fatto 1. - Nel corso di una controversia previdenziale nei confronti dell'Istituto nazionale assicurazione infortuni sul lavoro, il pretore di Trento ha sollevato questione di legittimita' costituzionale - in riferimento all'art. 38, secondo comma, della Costituzione - degli artt. 74, primo comma, e 78, primo comma, del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 (Testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali). Premesso che la ricorrente ha contratto, nell'esercizio della propria attivita' di parrucchiera, una forma di dermatite da contatto conseguente all'uso quotidiano di sostanze irritanti, il pretore rimettente prende atto che, in sede di valutazione percentuale dell'inabilita' ai fini del calcolo della rendita, l'art. 74 citato, viene costantemente interpretato dalla Corte di cassazione nel senso che l'espressione "attitudine al lavoro" vada intesa come capacita' di lavoro generica anziche' specifica, con conseguente irrilevanza del rapporto esistente tra il tipo di malattia professionale e l'effettiva attivita' svolta dal lavoratore o la sua qualificazione professionale. Ne consegue che le percentuali di invalidita' previste dalle tabelle allegate sono da ritenersi tassative in base all'art. 78 del medesimo testo unico, sicche' e' precluso al giudice riconoscere al lavoratore una percentuale di inabilita' diversa da quella gia' prevista dalla legge. In tale rigidita' del sistema di calcolo delle rendite il giudice a quo ravvisa violazione dell'art. 38, secondo comma, Cost. Per cio' che riguarda il profilo della rilevanza, il pretore rimettente osserva che, nel caso di specie, seguendo il sistema di valutazione risultante dalla giurisprudenza della Cassazione, la domanda della ricorrente dovrebbe essere rigettata o, comunque, accolta solo in misura parziale, potendosi riconoscere alla stessa una percentuale di inabilita' inferiore a quella che le sarebbe dovuta assumendo come parametro la capacita' di lavoro specifica. In ordine alla non manifesta infondatezza, il giudice a quo dopo aver richiamato una serie di pronunce di questa Corte sull'art. 38 Cost., rileva che la tutela previdenziale in favore dei lavoratori deve essere piu' pregnante di quella prevista, in via assistenziale, a tutti i cittadini inabili al lavoro. Da cio' deriva che il concetto di capacita' di lavoro generica - che e' ancora riferito solo alla vecchia classificazione del lavoro agricolo o industriale - va considerato ormai superato. Con la conseguenza che, secondo questo concetto di capacita' generica di lavoro - tralaticiamente seguito dalla stessa Corte di cassazione in tema di assicurazione obbligatoria a carico dell'INAIL - le norme impugnate si porrebbero in contrasto con l'art. 38, secondo comma, Cost., che impone di assicurare ai lavoratori forme di previdenza che garantiscano mezzi adeguati alle loro esigenze di vita. 2. - Nel giudizio davanti alla Corte costituzionale si e' costituita la lavoratrice, chiedendo l'accoglimento della questione ovvero una pronuncia interpretativa in grado di superare l'orientamento giurisprudenziale della Corte di cassazione. Tale orientamento, si osserva, non puo' ritenersi vincolante sulla base del testo delle norme impugnate, poiche' gli artt. 74 e 78 del citato t.u. consentono, piuttosto, una valutazione personalizzata dell'inabilita', alla stregua di quanto previsto da altre norme circa le prestazioni erogate per effetto d'inabilita'. 3. - Si e' costituito in giudizio anche l'INAIL, osservando che la questione deve preliminarmente ritenersi inammissibile per difetto di rilevanza; a suo parere il giudice rimettente, avendo fatto svolgere la consulenza tecnica d'ufficio finalizzata a quantificare la percentuale di inabilita' della lavoratrice con riguardo alla capacita' specifica, era in possesso di tutti gli elementi necessari per decidere, eventualmente anche discostandosi dall'orientamento della giurisprudenza dominante. Nel merito, l'INAIL rileva che questa Corte ha gia' dimostrato di condividere, in precedenti pronunce, il concetto di attitudine al lavoro indicato dalla Cassazione; il che dovrebbe condurre ad una pronuncia di infondatezza. 4. - Nel giudizio e' intervenuto anche il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione venga dichiarata inammissibile o, comunque, infondata. Sostiene la difesa erariale che la giurisprudenza della Cassazione, nell'interpretare le norme impugnate nel senso censurato dal giudice a quo non preclude totalmente al giudice di merito la possibilita' di una diversa valutazione del caso concreto, purche' sul punto vi sia un'adeguata motivazione; sicche' la prospettata questione si traduce in una mera questione di interpretazione. Del tutto irrilevante sarebbe, poi, il fatto che in altre forme di assicurazione sociale assuma rilievo un diverso concetto di incapacita' lavorativa, anche perche' il rimettente non ha indicato come parametro l'art. 3 Cost. 5. - In prossimita' dell'udienza hanno presentato memorie la lavoratrice e l'INAIL, insistendo rispettivamente nelle diverse conclusioni gia' rassegnate. La parte privata, in particolare, ha fatto ancora presente che il concetto di capacita' di lavoro generica assunto come parametro dalla giurisprudenza di legittimita' e' superato ed ormai inaccettabile, anche alla luce delle sentenze nn. 87, 356 e 485 del 1991 di questa Corte. L'ente previdenziale, invece, ha insistito soprattutto sul fatto che il sistema vigente, cosi' come interpretato dalla costante giurisprudenza della Cassazione, si risolve spesso a vantaggio del lavoratore, consentendogli di ottenere una rendita anche in caso di menomazioni che, in concreto, non si traducono in una diminuzione della capacita' specifica di lavoro. Considerato in diritto 1. - Il pretore di Trento dubita che gli artt. 74, primo comma, e 78, primo comma, del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 - interpretati, secondo il diritto vivente, nel senso che per "attitudine al lavoro", la cui perdita totale o parziale da' diritto alle prestazioni INAIL, debba intendersi la "capacita' di lavoro generica" riferita a qualunque lavoro manuale medio e non la "capacita' di lavoro specifica", o quella capacita' riferita al tipo di lavoro confacente alla qualificazione attitudinale dell'assicurato - siano in contrasto con l'art. 38, secondo comma, Cost., in quanto non consentono una protezione previdenziale adeguata al caso concreto. 2. - Occorre preliminarmente rilevare che e' infondata l'eccezione di inammissibilita', sollevata dall'Avvocatura dello Stato e dall'INAIL, relativamente alla possibilita' per il giudice rimettente di decidere la controversia nel merito, dissentendo dall'interpretazione fornita dalla giurisprudenza dominante. Pur essendo indubbio che nel vigente sistema non sussiste un obbligo per il giudice di merito di conformarsi agli orientamenti della Corte di cassazione (salvo che nel giudizio di rinvio), e' altrettanto vero che quando questi orientamenti sono stabilmente consolidati nella giurisprudenza - al punto da acquisire i connotati del "diritto vivente" - e' ben possibile che la norma, come interpretata dalla Corte di legittimita' e dai giudici di merito, venga sottoposta a scrutinio di costituzionalita', poiche' la norma vive ormai nell'ordinamento in modo cosi' radicato che e' difficilmente ipotizzabile una modifica del sistema senza l'intervento del legislatore o di questa Corte. In altre parole, in presenza di un diritto vivente non condiviso dal giudice a quo perche' ritenuto costituzionalmente illegittimo, questi ha la facolta' di optare tra l'adozione, sempre consentita, di una diversa interpretazione, oppure - adeguandosi al diritto vivente - la proposizione della questione davanti a questa Corte; mentre e' in assenza di un contrario diritto vivente che il giudice rimettente ha il dovere di seguire l'interpretazione ritenuta piu' adeguata ai principi costituzionali (cfr., ex plurimis sentenze n. 226 del 1994, n. 296 del 1995 e n. 307 del 1996). Nel presente caso la giurisprudenza assolutamente maggioritaria, oltre che la dottrina prevalente, intendono il concetto di attitudine al lavoro, in riferimento alle norme impugnate, nel senso di capacita' lavorativa generica anziche' specifica; per cui la prospettata questione va affrontata nel merito, sussistendo anche il requisito della rilevanza nel giudizio a quo. 3. - La questione e' infondata. Non puo' negarsi che il nostro ordinamento conosca alcune situazioni nelle quali vengono in considerazione i diversi concetti di capacita' lavorativa specifica e di capacita' attitudinale. Cosi' la stessa disciplina degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali prevede, nei casi di inabilita' temporanea (artt. 66 e 68 del decreto del Presidente della Repubblica n. 1124 del 1965), che l'indennita' sia calcolata "nella misura del sessanta per cento della retribuzione giornaliera", riferita cioe' all'attivita' specificamente svolta. Ne' mancano ipotesi di particolari tipi di lavori nei quali ad esempio anche il solo danno estetico - che pure di norma non porta ad alcuna riduzione della capacita' lavorativa generica - puo' tradursi in una menomazione della "attitudine al lavoro" prevista dalla legge e quindi viene ritenuta patrimonialmente apprezzabile ai fini dell'indennizzo assicurativo, in considerazione delle specifiche qualita' fisiche richieste a chi svolge quei lavori. Inoltre, in ambiti diversi da quello dell'assicurazione obbligatoria per infortuni sul lavoro e malattie professionali, i concetti di capacita' specifica o attitudinale vengono assunti come parametri esplicitamente dal legislatore. Al riguardo, vanno segnalati soprattutto l'art. 1 della legge 12 giugno 1984, n. 222, e l'art. 3 del d. lgs. 23 novembre 1988, n. 509. Il primo stabilisce che, ai fini dell'assicurazione obbligatoria per l'invalidita', la vecchiaia ed i superstiti, si faccia riferimento alla capacita' di lavoro dell'assicurato "in occupazioni confacenti alle sue attitudini"; il secondo, nel quadro dell'invalidita' civile, da' rilievo anche "alla eventuale specifica attivita' lavorativa svolta ed alla formazione tecnico-professionale" dell'avente diritto. 4. - Tutto cio' premesso per l'esatto e completo inquadramento del problema, questa Corte ritiene opportuno anzitutto ribadire che, nell'ambito del nostro sistema previdenziale, l'assicurazione obbligatoria per gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali ha delle peculiarita' che non confliggono con gli obiettivi di cui all'art. 38 Cost. Com'e' noto, infatti, tale tipo di assicurazione non e' sorto con intenti propriamente risarcitori, ma piuttosto al fine di liberare rapidamente il lavoratore dallo stato di bisogno conseguente all'infortunio o alla malattia (v. sentenza n. 100 del 1991), sulla base di una logica da piu' parti definita transattiva. Questa e' confermata dalle rispettive posizioni del trilaterale rapporto assicurativo: da un lato il datore di lavoro - sul quale grava la parte piu' consistente dei contributi - che, per contropartita, viene di regola esonerato dalla responsabilita' civile conseguente all'infortunio (artt. 10 e 11 del decreto del Presidente della Repubblica cit.); dall'altra l'ente previdenziale, che paga le rendite secondo un ammontare - predeterminabile per gli opportuni calcoli statistici sui costi di gestione - con eventuale diritto di regresso verso il datore o di surroga verso i terzi; in ultimo il lavoratore, il quale, con una ridotta partecipazione agli oneri contributivi, viene ad usufruire delle prestazioni fornite dall'INAIL in modo quasi automatico, nel contesto di una esclusione dal completo risarcimento secondo le regole della responsabilita' civile. Nel sistema cosi' disegnato dal legislatore anche il riferimento al concetto di capacita' lavorativa generica consente - tramite il criterio delle percentuali tabellate - di determinare in anticipo sia gli oneri che l'INAIL dovra' sopportare, sia i corrispondenti contributi dei datori di lavoro e le rendite alle quali avranno diritto i lavoratori in modo uguale per tutti, quale effetto delle stesse malattie. 5. - Cosi' come attualmente strutturato, tale sistema potrebbe apparire inadeguato, anche per effetto dell'evoluzione delle tecnologie, della scienza medico-legale, nonche' della sensibilita' sociale verificatasi nel lungo periodo di tempo trascorso dall'entrata in vigore del testo unico del 1965, sicche' si comprende l'auspicio - espresso da piu' parti - dell'introduzione di nuovi criteri che tengano conto piu' da vicino delle diverse situazioni in cui si trovano i soggetti coinvolti. In particolare, si e' sottolineato che vi sono ipotesi di persone che, perdendo la capacita' di svolgere attivita' confacenti alle loro speciali attitudini, non sono concretamente in grado di assolvere a generici lavori manuali, e restano quindi disoccupate. In questa direzione, del resto, nell'ottica di una progressiva personalizzazione dell'indennizzo dell'effettivo danno subi'to dal lavoratore, si e' mossa anche questa Corte, in particolare con la sentenza n. 179 del 1988, riconoscendo al lavoratore la possibilita' di provare la genesi professionale anche di malattie non ricomprese negli elenchi allegati al testo unico, in tal modo assecondando anche precise indicazioni espresse dalla Commissione delle Comunita' europee (raccomandazione n. 66/462/CEE del 20 luglio 1966). Nel contempo, sulla spinta delle nuove frontiere del danno civile costituite dalla figura emergente del danno biologico, la Corte (v. sentenze nn. 87, 356 e 485 del 1991) ha segnalato al legislatore il tendenziale contrasto della normativa vigente rispetto alle norme costituzionali, nella parte in cui le prestazioni economiche rese dall'INAIL non esauriscono i diritti dei lavoratori; in questa linea, le citate sentenze hanno riconosciuto il diritto ad un autonomo risarcimento di questa nuova voce di danno, con conseguente modifica della struttura delle azioni di regresso e di surroga dell'assicuratore sociale, superando quella logica transattiva sopra ricordata. Ed e' anche vero, d'altra parte, che talvolta altri rimedi ad una condizione di inabilita' allo svolgimento di particolari lavori vanno ricercati, in una prospettiva sempre piu' aperta, non tanto nella corresponsione di una somma da parte dell'assicuratore (sociale o privato che sia), quanto piuttosto in diversi strumenti, quali la flessibilita' delle mansioni rispetto alle nuove tecniche, la mobilita' nei posti di lavoro e la riqualificazione professionale, in considerazione anche del diritto-dovere di lavorare sancito dall'art. 4 Cost. 6. - Da tutte le considerazioni fin qui svolte emerge che la prospettata questione involge una molteplicita' di profili e di possibili conseguenze, che richiederebbero un intervento legislativo. Tanto piu' che la mera sostituzione del concetto di capacita' generica con quelli di capacita' specifica o di capacita' attitudinale, prescindendosi da piu' articolate modulazioni normative, non sempre potrebbe risolversi in un vantaggio per il lavoratore. Va ribadito, comunque, che a questa Corte non e' demandato il compito di bilanciare le contrapposte esigenze in materia e dettare quelle regole che appartengono propriamente alla discrezionalita' del legislatore, quanto esclusivamente quello di scrutinare la costituzionalita' delle norme impugnate alla luce dei parametri indicati nell'ordinanza di rimessione. Il problema proposto non si configura come autentica questione di illegittimita' costituzionale. Da un lato, infatti, l'interpretazione assunta in termini di diritto vivente, pur presentando margini di opinabilita', non lede il parametro di cui all'ordinanza di rimessione, ove si consideri che assicurare ai lavoratori i "mezzi adeguati alle loro esigenze di vita" (art. 38, secondo comma, Cost.) non impone necessariamente che agli stessi debba essere riconosciuto l'indennizzo anche quando sia provato che l'infortunio o la malattia professionale si siano tradotti in una lesione della capacita' lavorativa specifica maggiore della lesione di quella generica. Dall'altro, per tutte le ragioni esposte in precedenza, questa Corte osserva che l'accoglimento della questione in esame andrebbe ad alterare in maniera assai sensibile il sistema risultante dall'attuale assetto normativo, finendo col tradursi in un vero e proprio intervento riformatore surrettiziamente sostitutivo del compito affidato alle scelte legislative. 7. - Le conclusioni ora raggiunte in termini di infondatezza della questione, peraltro, non esimono la Corte dal segnalare - come gia' e' avvenuto in altre occasioni, particolarmente con la citata sentenza n. 87 del 1991 - l'opportunita' di una rivisitazione della vecchia disciplina. Nella sentenza ora citata si evidenzio' l'esigenza di ricomprendere nell'ambito delle prestazioni erogate dall'INAIL anche lo specifico risarcimento del danno biologico, attesa la valenza costituzionale del diritto alla salute. Oggi - ferma restando l'attualita' di quell'invito, rimasto ancora inascoltato - occorre auspicare, oltre che il piu' frequente aggiornamento delle tabelle da parte dell'Istituto, un intervento legislativo volto ad adeguare la struttura di questa forma di assicurazione obbligatoria al passo evolutivo della moderna societa' civile, tenendo anche in considerazione il fatto che nel settore non appaiono piu' esaustive le tradizionali classificazioni di massa (agricoltori, operai, impiegati etc.), richiedendosi invece una piu' dettagliata individuazione delle diverse categorie delle attivita' lavorative.