ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nei  giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 6, terzo comma,
 del d.-l. 12 settembre 1983, n. 463, convertito in legge 11  novembre
 1983,  n.  638 (Misure urgenti in materia previdenziale e sanitaria e
 per il contenimento  della  spesa  pubblica,  disposizioni  per  vari
 settori  della pubblica amministrazione e proroga di taluni termini),
 promossi con ordinanze emesse il 13 gennaio 1996 dal pretore di Lecce
 sul ricorso proposto da Greco Assunta contro l'I.N.P.S., iscritta  al
 n.  236  del  registro  ordinanze  1996  e  pubblicata nella Gazzetta
 Ufficiale della Repubblica n. 12,  prima  serie  speciale,  dell'anno
 1996  ed  il  25  settembre 1996 dal tribunale di Firenze sul ricorso
 proposto da Carnevali Giuseppa contro l'I.N.P.S., iscritta al n.   21
 del  registro  ordinanze  1997  e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
 della Repubblica n. 6, prima serie speciale, dell'anno 1997;
   Visti gli atti di costituzione dell'I.N.P.S., di Greco Assunta e di
 Carnevali Giuseppa nonche' gli atti di intervento del Presidente  del
 Consiglio dei Ministri;
   Udito nell'udienza pubblica del 28 ottobre 1997 il giudice relatore
 Fernanda Contri;
   Uditi  gli  avvocati Carlo De Angelis per l'I.N.P.S., Gabriella Del
 Rosso per Carnevali Giuseppa e l'Avvocato dello Stato Giuseppe  Stipo
 per il Presidente del Consiglio dei Ministri.
                           Ritenuto in fatto
   1.  -  Nel  corso  di  un  giudizio - iniziato da Assunta Greco nei
 confronti dell'I.N.P.S. per ottenere  l'integrazione  al  trattamento
 minimo  della  pensione  diretta,  con conseguente riconoscimento del
 diritto alla pensione di riversibilita' nella misura del sessanta per
 cento di quella, gia' integrata, spettante al suo dante  causa  -  il
 pretore  di  Lecce,  con  ordinanza  emessa  il  13  gennaio 1996, ha
 sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di
 legittimita' costituzionale dell'art. 6, comma  3,  periodo  secondo,
 ultima  parte, del d.-l. 12 settembre 1983, n. 463 (Misure urgenti in
 materia previdenziale e sanitaria e per il contenimento  della  spesa
 pubblica,    disposizioni    per    vari   settori   della   pubblica
 amministrazione e proroga di taluni termini), convertito nella  legge
 11 novembre 1983, n. 638, nella sua interezza, o per la parte in  cui
 non  prevede  la  necessita'  di  una  domanda  dell'interessato  per
 l'integrazione al trattamento minimo della pensione di riversibilita'
 costituita per effetto di un numero  di  settimane  di  contribuzione
 obbligatoria non inferiore a 781.
   Al  fine  di  stabilire  quale  fra  le due pensioni - inferiori al
 trattamento minimo ed a carico della stessa gestione - spettanti alla
 ricorrente fosse da integrare, l'I.N.P.S. aveva applicato  l'art.  6,
 terzo   comma,  il  quale,  dopo  aver  premesso  che  "nel  caso  di
 titolarita' di pensioni dirette  ed  ai  superstiti  a  carico  della
 stessa  gestione  inferiori  al trattamento minimo, l'integrazione al
 trattamento minimo e' garantita sulla sola pensione diretta"  (sempre
 che  non  risultino superati i limiti di reddito di cui ai precedenti
 commi dell'art. 6), recita:   "nel caso in  cui  una  delle  pensioni
 risulti   costituita  per  effetto  di  un  numero  di  settimane  di
 contribuzione obbligatoria, effettiva  e  figurativa  con  esclusione
 della  contribuzione  volontaria  e  di  quella  afferente  a periodi
 successivi alla data di decorrenza della pensione,  non  inferiore  a
 781,  l'integrazione  al  trattamento  minimo  spetta su quest'ultima
 pensione".
   Osserva il  giudice  rimettente  che  il  criterio  risultante  dal
 combinato  disposto  della  prima e della seconda parte del riportato
 periodo secondo del comma 3 dell'art. 6 del d.-l. 12 settembre  1983,
 n.  463,  impone  di  integrare  al trattamento minimo la pensione di
 riversibilita' costituita per effetto di un numero  di  settimane  di
 contribuzione  non  inferiore  a 781, qualora questa concorra con una
 pensione diretta costituita per effetto di  un  numero  inferiore  di
 settimane di contribuzione.
   Il  giudice  a quo dubita della costituzionalita' dell'ultima parte
 del secondo  periodo  -  correttamente,  ad  avviso  del  rimettente,
 applicata dall'I.N.P.S. per determinare il trattamento spettante alla
 ricorrente,  cio'  che  consente  di  affermare  la  rilevanza  della
 questione - isolatamente considerata, ovvero  in  combinato  disposto
 con   la   prima   parte  del  medesimo  periodo,  in  considerazione
 dell'apparente assenza di una ragione giustificatrice della deroga da
 tale ultima parte introdotta al criterio -  ritenuto  dal  rimettente
 dotato  di  valore generale - stabilito nella prima parte del periodo
 secondo, che, ai fini dell'integrazione in  caso  di  titolarita'  di
 pensioni  diretta  ed  ai superstiti inferiori al trattamento minimo,
 privilegia la prima.
   La  scelta  legislativa  di  integrare  al  trattamento  minimo  la
 pensione ai superstiti qualora risulti l'unica costituita per effetto
 di  un  numero  di  settimane  di  contribuzione  non inferiore a 781
 potrebbe, ad avviso del pretore rimettente, portare ad un trattamento
 pensionistico complessivo migliore o peggiore di quello spettante per
 l'ipotesi di integrazione della pensione diretta, "a seconda  di  una
 circostanza  non  considerata  dalla  norma  e per questo alla stessa
 indifferente,  quale  appunto  il  numero,  molto  distante  o  molto
 prossimo a 781, dei contributi  settimanali  da  far  valere  per  il
 calcolo della pensione diretta".
   Dall'applicazione     del    criterio    censurato    deriverebbero
 ingiustificate    disparita'    di    trattamento    tra     soggetti
 "plurititolari",   ed   altresi'  conseguenze  irrazionali,  potendo,
 "contro ogni  logica  equitativa  (che  deve  premiare  chi  ha  piu'
 contribuito)", il titolare di pensione diretta notevolmente inferiore
 al  trattamento  minimo  nell'importo  "a  calcolo"  e di pensione ai
 superstiti costituita con un numero  di  settimane  di  contribuzione
 inferiore  a  781  trovarsi  a  godere  di un trattamento complessivo
 migliore di quello che gli sarebbe spettato qualora  sulla  posizione
 assicurativa  del  suo  dante causa fossero stati versati piu' di 780
 contributi settimanali. Nell'ordinanza di rimessione si aggiunge  che
 "l'assurdita'"  di  integrare al minimo la pensione di riversibilita'
 tutte le volte che questa sia stata costituita per effetto  di  oltre
 780  settimane di contribuzione appare ancora piu' evidente alla luce
 della sentenza della Corte costituzionale n. 495  del  1993,  che  ha
 dichiarato  costituzionalmente  illegittimo l'art. 22 della legge  21
 luglio 1965, n. 903, nella parte in cui non prevede che  la  pensione
 di  riversibilita'  sia  calcolata  proporzionalmente  alla  pensione
 diretta integrata al trattamento minimo gia'  liquidata,  o  comunque
 spettante, al dante causa del pensionato.
   2.   -  Nel  giudizio  davanti  alla  Corte  costituzionale  si  e'
 costituito  l'I.N.P.S.  per  chiedere  il  rigetto  della  questione,
 deducendo   la   razionalita'  della  disciplina  denunciata  sia  in
 considerazione dei particolari benefici riconosciuti dal d.P.C.M.  16
 dicembre  1989 alle pensioni dell'assicurazione generale obbligatoria
 dei lavoratori dipendenti  liquidate  con  piu'  di  780  contributi,
 purche' integrate al trattamento minimo; sia perche' l'impugnato art.
 6,  comma  3, per i vari casi di plurititolarita', specifica soltanto
 su quale pensione e' dovuta l'integrazione, senza  alcun  riferimento
 al  trattamento  complessivo  in conseguenza spettante, scegliendo di
 privilegiare il trattamento minimo di importo piu' elevato, ma non il
 trattamento complessivo piu' favorevole; sia, infine,  in  quanto  la
 normativa  introdotta  dall'art.  6 del decreto-legge n. 463 del 1983
 trae  origine  da  una   necessita'   di   riordino   della   materia
 dell'integrazione al minimo e di contenimento della spesa pubblica.
   3.  -  E'  intervenuto  il  Presidente  del Consiglio dei Ministri,
 rappresentato  dall'Avvocatura   dello   Stato,   per   chiedere   la
 declaratoria  di  manifesta  infondatezza  della  questione. Si legge
 nell'atto di intervento che "una volta affermato  il  principio,  che
 appare  del  tutto  ragionevole,  secondo  il quale l'integrazione al
 trattamento minimo della pensione di riversibilita' e' dovuta  quando
 il  dante causa del titolare della pensione medesima abbia provveduto
 ai versamenti contributivi per un numero di settimane non inferiore a
 781, non si comprende la necessita'  della  domanda  dell'interessato
 per  ottenere  il predetto beneficio".   La circostanza poi che nelle
 liquidazioni  possano   verificarsi   trattamenti   diversi   sarebbe
 determinata da situazioni differenziate, e l'affermazione del giudice
 a  quo, per cui la norma denunciata "tende a favorire preferibilmente
 chi  abbia  meno  lavorato  e,   quindi,   meno   contribuito",   non
 risulterebbe fondata su concrete e specifiche indicazioni.
   4.  -  La  ricorrente  nel  procedimento civile a quo ha depositato
 tardivamente   l'atto   di   costituzione   nel   presente   giudizio
 costituzionale.
   5.  -  In  prossimita'  dell'udienza,  l'I.N.P.S. ha depositato una
 memoria illustrativa ad  integrazione  di  quanto  gia'  dedotto  con
 l'atto di costituzione.
   L'Istituto  premette  che  l'interpretazione letterale dell'art. 6,
 comma 3, del decreto-legge n. 463 del 1983, che impone di distinguere
 tra pensioni appartenenti a diverse  gestioni  e  pensioni  a  carico
 della  stessa  gestione,  appare  esatta  fino  all'entrata in vigore
 dell'art.   7 della legge n.  140  del  1985,  che  ha  parificato  i
 trattamenti minimi.  Dopo l'equiparazione dei trattamenti minimi, non
 vi sarebbe piu' ragione di sottrarre alla speciale disciplina dettata
 per  l'ipotesi  di  concorso  di  pensione  diretta  con  pensione di
 riversibilita'  il  caso  che  dette  pensioni  gravino  su  gestioni
 diverse.  Anche  in  quest'ultimo  caso il criterio di determinazione
 della  pensione  da  integrare  sarebbe  quello   che   comporta   il
 riconoscimento  del  trattamento minimo sulla pensione diretta, salvo
 il caso della pensione assistita  da  un  requisito  contributivo  di
 almeno 781 settimane.
   D'altro  canto,  quanto  al criterio sussidiario previsto dal primo
 periodo  del  denunciato  terzo   comma,   l'I.N.P.S.   insiste   nel
 sottolineare  come  non sia affatto certo che la pensione piu' remota
 sia quella di importo piu' basso, e che quindi l'applicazione di tale
 criterio sussidiario comporti  sempre  un  trattamento  pensionistico
 complessivo   piu'   favorevole;   vantaggio,  quest'ultimo,  che  il
 legislatore non si e' peraltro mai preoccupato di garantire.
   In  ordine  alla  richiesta  di   intervento   additivo   formulata
 nell'ordinanza di rimessione del pretore di Lecce, l'I.N.P.S. osserva
 infine  che sarebbe privo di razionale giustificazione il criterio di
 rimettere al pensionato la scelta della pensione da integrare,  tanto
 piu'  che  tale  facolta'  verrebbe  riconosciuta  solo  nell'ipotesi
 considerata nell'ultima parte del terzo comma  e  resterebbe  esclusa
 nelle  altre,  ove pure la mancanza di scelta non si accompagna ad un
 trattamento complessivo necessariamente piu' favorevole.
   6. - Questioni  parzialmente  analoghe  sono  state  sollevate  dal
 tribunale  di  Firenze  nel corso di un giudizio promosso da Giuseppa
 Carnevali contro l'I.N.P.S., per chiedere la riforma in appello della
 sentenza con la quale il pretore di Firenze aveva respinto la domanda
 volta ad ottenere l'integrazione  al  trattamento  minimo  della  sua
 pensione  diretta,  con  conseguente  riconoscimento del diritto alla
 pensione di riversibilita' nella misura del  sessanta  per  cento  di
 quella   spettante   al  dante  causa,  comprensiva  della  quota  di
 integrazione al trattamento minimo.  Il  tribunale  di  Firenze,  con
 ordinanza  emessa  il  25  settembre 1996, ha sollevato, in relazione
 agli articoli 3 e 29 della Costituzione,  questione  di  legittimita'
 costituzionale  dell'art. 6, comma 3, del d.-l. 12 settembre 1983, n.
 463, convertito nella legge 11 novembre 1983, n. 638, nella parte  in
 cui  stabilisce,  in  caso di cumulo tra piu' pensioni, ai fini della
 individuazione di quella da integrare al trattamento minimo,  criteri
 ingiustificatamente  diversi  tra  pensioni  appartenenti  a  diverse
 ovvero ad un'unica  gestione,  e  meno  favorevoli  per  quest'ultima
 ipotesi,  sacrificando  in  tal  caso  la  funzione della pensione di
 riversibilita'.
   Anche  in  questo  caso,  al  fine  di  stabilire  quale fra le due
 pensioni - inferiori al trattamento minimo ed  a carico della  stessa
 gestione  -  spettanti  all'appellante fosse da integrare, l'I.N.P.S.
 aveva applicato l'art. 6, comma 3, periodo secondo, del decreto-legge
 n. 463 del 1983.
   Ad avviso del tribunale rimettente, la ragione che giustificava  la
 deroga al criterio volto a privilegiare la pensione diretta e' venuta
 meno  con  l'abolizione,  ad opera del d.P.C.M. 16 dicembre 1989, dei
 benefici che l'art. 14-quater del d.-l. 30 dicembre 1979,  n.    663,
 nonche'  la  legge  15 aprile 1985, n. 140, garantivano alle pensioni
 liquidate per effetto di almeno 781 contributi settimanali. L'attuale
 quadro normativo sarebbe diverso da quello  presupposto  dal  disegno
 originario del legislatore del 1983, con la conseguenza che, oggi, le
 stesse      disposizioni     allora     approvate,     risulterebbero
 ingiustificatamente discriminatorie in danno delle  pensioni  erogate
 da  un'unica gestione, rispetto a quelle erogate da gestioni diverse,
 per le quali la  prima  parte  del  denunciato  terzo  comma  prevede
 differenti e piu' favorevoli criteri di individuazione della pensione
 da integrare al trattamento minimo.
   Il  criterio  applicabile  nell'ipotesi, che ricorre nel giudizio a
 quo, di concorso di piu' pensioni a carico della stessa gestione (che
 impone l'integrazione della pensione di riversibilita' ove solo  essa
 - e non anche la pensione diretta - risulti costituita per effetto di
 un  numero  di  contributi  settimanali  superiori  a  780), che puo'
 apparire svantaggioso, sotto il profilo del trattamento pensionistico
 complessivamente spettante, specialmente qualora la pensione  diretta
 risulti  basata  su di una contribuzione modesta, potrebbe, ad avviso
 del giudice a quo, essere ritenuto razionale in considerazione  delle
 finalita'  di  contenimento della spesa pubblica che sono all'origine
 del decreto-legge n. 463 del 1983. Senonche', la violazione dell'art.
 3 della  Costituzione  non  verrebbe  meno,  in  quanto  il  criterio
 previsto  in caso di concorso di pensioni erogate da gestioni diverse
 non sembra sottintendere una  analoga  ratio  di  contenimento  della
 spesa previdenziale.
   Un  ulteriore  profilo  d'incostituzionalita' viene individuato dal
 tribunale rimettente nel contrasto  della  disciplina  impugnata  con
 l'art.   29   della  Costituzione.  Nell'argomentare  tale  ulteriore
 profilo,  il  giudice  a  quo  muove  dalla  sentenza   della   Corte
 costituzionale  n. 495 del 1993, che ha dichiarato illegittimo l'art.
 22 della legge 21 luglio 1965, n. 903, nella parte in cui non prevede
 che la pensione di  riversibilita'  sia  calcolata  proporzionalmente
 alla pensione diretta integrata al trattamento minimo gia' liquidata,
 o comunque spettante, al dante causa del pensionato.
   Il  rimettente  osserva  che  la  considerazione posta a fondamento
 della   menzionata   decisione    costituzionale,    peraltro    gia'
 precedentemente  espressa  nella  sentenza n. 926 del 1988, e' che la
 pensione di reversibilita' attua,  per  il  coniuge  superstite,  una
 specie  di  proiezione oltre la morte della funzione di sostentamento
 assolta in vita dal reddito del de cuius,  perseguendo  lo  scopo  di
 porre  il  superstite  al  riparo  dalla  eventualita' dello stato di
 bisogno che potrebbe derivargli dalla morte del  coniuge.  La  dubbia
 compatibilita'  della  disciplina  denunciata  con  l'art.  29  della
 Costituzione discenderebbe dalla  circostanza  che  il  trasferimento
 della  integrazione  al  trattamento  minimo dalla pensione diretta a
 quella di reversibilita', che gia' incorpora la quota di  trattamento
 minimo  spettante  al  de  cuius (per il coniuge pari al sessanta per
 cento),  potrebbe  comportare  una  "compressione   del   trattamento
 complessivo,   rispetto   alla  situazione  in  vita  del  de  cuius,
 attraverso un intervento sulla pensione diretta, che viene  riportata
 a calcolo, lesivo della funzione della pensione di riversibilita'".
   7.  - Nel giudizio davanti a questa Corte si e' costituita la parte
 appellante nel procedimento a quo per chiedere  l'accoglimento  della
 questione sollevata dal tribunale di Firenze e per svolgere deduzioni
 volte  ad  evidenziare  l'irrazionalita'  nonche'  l'iniquita'  della
 disciplina denunciata, specie in se'guito alle modifiche  legislative
 successivamente  intervenute, che hanno eliminato i benefici previsti
 per i titolari di pensioni costituite per effetto  di  un  numero  di
 contributi settimanali non inferiori a 781. La violazione dell'art. 3
 della  Costituzione  si  profilerebbe,  ad avviso della parte privata
 costituita, sia  perche'  il  legislatore  avrebbe  adottato  criteri
 diversi  in  base  ad  un  elemento, la liquidazione della pensione a
 carico della stessa gestione  o  di  gestioni  diverse,  cui  non  fa
 riscontro  alcuna  differenza  di  carattere sostanziale; sia perche'
 l'erogazione automatica dell'integrazione al  minimo  sulla  pensione
 liquidata   con   piu'   di   780   contributi   determinerebbe   una
 ingiustificata disparita' di trattamento nei  confronti  di  soggetti
 che  si  trovano  in  identica  posizione:  i  pensionati titolari di
 pensione diretta e di pensione ai superstiti a  carico  della  stessa
 gestione.    Sulla base di un dato del tutto casuale, quale il numero
 dei contributi accreditato sulla pensione diretta, la norma  potrebbe
 portare,  in  certi  casi,  ad  accordare  al  pensionato titolare di
 pensione di riversibilita' liquidata con meno di  780  contributi  un
 trattamento  migliore  rispetto  a  quello  che  gli sarebbe spettato
 qualora sulla posizione assicurativa del dante  causa  fossero  stati
 versati piu' di 780 contributi settimanali, "favorendo in definitiva,
 contro ogni logica equitativa, coloro che hanno contribuito in misura
 minore".
   8.  -  Nel giudizio di legittimita' costituzionale si e' costituito
 anche l'I.N.P.S., chiedendo il rigetto della questione sollevata  dal
 tribunale di Firenze.
   Secondo  la  parte  appellata nel procedimento civile a quo, non e'
 univoca nella giurisprudenza di merito l'interpretazione da cui muove
 il  giudice  rimettente,  in  base  alla  quale  i  criteri  previsti
 espressamente  dalla disposizione impugnata per l'ipotesi di concorso
 di pensioni erogate dalla stessa gestione non si  applicherebbero  in
 caso di concorso di pensioni a carico di gestioni diverse. In secondo
 luogo,  l'I.N.P.S.    contesta la lamentata disparita' di trattamento
 tra titolari di pensioni a carico della stessa gestione e di gestioni
 diverse, osservando che  il  criterio  sussidiario  di  scelta  della
 pensione  da  integrare  applicabile a questi ultimi (pensione avente
 decorrenza piu' remota) non e' sempre il piu' favorevole, "in  quanto
 non  e'  affatto  certo  che  la  pensione  piu' remota sia quella di
 importo piu' basso". Nell'atto di costituzione l'I.N.P.S. rileva  poi
 che,  per i lavoratori dipendenti, la circostanza che la pensione sia
 costituita  sulla  base  di  un  numero  di  contributi   settimanali
 superiore  a  780  ed abbia diritto all'integrazione al minimo assume
 rilievo, ai fini dell'attribuzione  di  determinati  benefici,  anche
 successivamente    all'abrogazione   della   maggiorazione   prevista
 dall'art. 14-quater del decreto-legge n.  663  del  1979,  convertito
 nella  legge  n.  33  del  1980. Al riguardo l'Istituto rileva che le
 pensioni riliquidate per effetto dell'art. 1 del d.P.C.M. 16 dicembre
 1989, come quelle riliquidate ex art. 4 della legge n. 140 del  1985,
 sono  divenute  in  linea di massima superiori al minimo, per cui, in
 presenza di altra pensione inferiore al minimo, quest'ultima  avrebbe
 titolo  all'integrazione (sempre che i redditi del titolare risultino
 inferiori ai limiti previsti). Quanto alla  lamentata  lesione  della
 funzione  della  pensione di riversibilita', l'I.N.P.S. osserva che i
 criteri individuati  dal  legislatore  nascono  da  una  sua  precisa
 scelta,  con  la quale non si e' ritenuto di garantire il trattamento
 complessivo piu' favorevole, ma si e' di volta  in  volta  stabilito,
 indipendentemente  dall'importo  complessivo,  quale pensione dovesse
 essere integrata.
   9. - Tramite l'Avvocatura dello Stato, e' intervenuto il Presidente
 del Consiglio dei Ministri chiedendo, come  gia'  in  relazione  alla
 questione   sollevata  dal  pretore  di  Lecce,  la  declaratoria  di
 manifesta infondatezza della questione. Nell'atto  di  intervento  si
 osserva  come  la  circostanza  che  il  legislatore  abbia stabilito
 criteri diversi nella determinazione dell'integrazione al trattamento
 minimo, nel caso di concorso di pensioni appartenenti a diverse o  ad
 un'unica  gestione,  non  comporti  automaticamente situazioni piu' o
 meno favorevoli a causa dell'operativita' di un sistema piuttosto che
 di un altro.  In particolare, la scelta del criterio  della  pensione
 avente  decorrenza piu' remota, secondo l'Avvocatura, avrebbe origine
 nella necessita' di  rendere  piu'  semplice  l'individuazione  della
 pensione  sulla quale applicare l'integrazione. Quanto alla lamentata
 contrazione del trattamento complessivo, nell'atto di  intervento  si
 rileva  che  l'eventuale riduzione della pensione diretta e' naturale
 conseguenza del principio che l'integrazione  al  trattamento  minimo
 puo'  essere  concessa su una sola pensione, spettando al legislatore
 la scelta del criterio da  adottare  per  la  relativa  liquidazione,
 tenendo  sempre  presente  l'esigenza  di  contenimento  della  spesa
 pubblica.
                         Considerato in diritto
   1. - Con  due  distinte  ordinanze,  il  pretore  di  Lecce  ed  il
 tribunale di Firenze prospettano dubbi di legittimita' costituzionale
 dell'art.    6,  terzo  comma,  del  d.-l.  12 settembre 1983, n. 463
 (Misure urgenti  in  materia  previdenziale  e  sanitaria  e  per  il
 contenimento  della  spesa  pubblica,  disposizioni  per vari settori
 della  pubblica  amministrazione  e  proroga  di   taluni   termini),
 convertito  nella  legge 11 novembre 1983, n. 638, nella parte in cui
 disciplina i  criteri  di  scelta  della  pensione  da  integrare  al
 trattamento  minimo,  nell'ipotesi  di  titolarita' di piu' pensioni,
 inferiori al minimo, erogate dalla stessa gestione I.N.P.S.
   Il pretore  di  Lecce  dubita,  in  riferimento  all'art.  3  della
 Costituzione,  della  legittimita'  costituzionale dell'art. 6, terzo
 comma, del d.-l.   12 settembre 1983, n. 463,  nella  parte  in  cui,
 derogando  senza  apparente  giustificazione  al  criterio,  ritenuto
 prioritario,   che   privilegia   la   pensione   diretta,    prevede
 l'integrazione  al minimo della pensione ai superstiti costituita per
 effetto di un numero di settimane di contribuzione  non  inferiore  a
 781,  qualora  la pensione diretta risulti basata su di una provvista
 contributiva piu' esigua, provocando in tal  modo  -  ad  avviso  del
 rimettente - disparita' nel trattamento pensionistico complessivo dei
 soggetti iscritti alla stessa gestione I.N.P.S.
   Il  tribunale  di  Firenze  dubita, in riferimento all'art. 3 della
 Costituzione, della legittimita' costituzionale  dell'art.  6,  terzo
 comma,  del  d.-l.  12  settembre  1983,  n.  463, nella parte in cui
 prevede il  criterio  sussidiario  dell'integrazione  della  pensione
 costituita per effetto di un numero di settimane di contribuzione non
 inferiore  a  781  -  oltre che sotto il profilo gia' prospettato dal
 pretore di Lecce - in quanto suscettibile di produrre  disparita'  di
 trattamento  tra  titolari di pensioni a carico della stessa gestione
 I.N.P.S.   e titolari di pensioni erogate  da  gestioni  diverse,  ai
 quali  il  primo  periodo  dell'impugnato  comma  3 riserverebbe piu'
 favorevoli criteri di individuazione della pensione da integrare.
   Il tribunale di Firenze dubita inoltre, in riferimento all'art.  29
 della Costituzione, della legittimita' costituzionale della  medesima
 disposizione,  giacche'  i  criteri  da  essa  previsti  in  caso  di
 plurititolarita'  di  pensioni  a  carico   della   stessa   gestione
 comporterebbero talora una compressione del trattamento pensionistico
 complessivo, lesiva della funzione della pensione di riversibilita'.
   2. - Le due ordinanze prospettano questioni in parte analoghe ed in
 parte  oggettivamente  connesse.  I relativi giudizi possono pertanto
 essere riuniti e definiti con un'unica pronuncia.
   3. - La questione sollevata dal pretore di Lecce non e' fondata.
   Al pretore rimettente, l'ultima parte del comma impugnato appare in
 contrasto con il principio di eguaglianza, giacche' darebbe origine a
 disparita' nel trattamento  pensionistico  complessivo  dei  soggetti
 contestualmente titolari di pensione diretta ed ai superstiti erogate
 dalla  stessa gestione ed inferiori al minimo nell'importo a calcolo.
 In particolare, risulterebbe penalizzato, tra i plurititolari  aventi
 diritto  a una pensione diretta molto modesta nell'importo a calcolo,
 il superstite titolare di una pensione di  riversibilita'  costituita
 per  effetto  di  una  contribuzione  maggiore,  mentre  risulterebbe
 favorito il coniuge superstite  destinatario  di  un  trattamento  di
 riversibilita'  costituito  per  effetto di un numero di settimane di
 contribuzione inferiore  a  781,  che  ottiene  l'integrazione  della
 pensione  diretta,  in  aggiunta al sessanta per cento della pensione
 del dante causa, gia' integrata.
   Il  criterio  censurato  si  inserisce  in  un  articolato  sistema
 preordinato all'individuazione della pensione da integrare, delineato
 dall'impugnato  terzo  comma  ed  organizzato intorno al principio in
 base al quale, fermi  restando  i  limiti  di  reddito  previsti  dai
 precedenti  commi  dell'art.  6  del  decreto-legge  n. 463 del 1983,
 l'integrazione spetta una  sola  volta.  Si  tratta  di  un  congegno
 normativo  complesso, frutto di uno sforzo di razionalizzazione della
 disciplina dell'integrazione al minimo  delle  pensioni,  che  questa
 Corte  ha  gia'  ritenuto  nel  suo  insieme rispondente ai princi'pi
 costituzionali  come  precisati   dalla   precedente   giurisprudenza
 costituzionale (v. sentenze nn. 418 del 1991 e 184 del 1988).
   La scelta di liquidare l'integrazione sulla pensione costituita per
 effetto  di  almeno  781  contribuzioni  settimanali, qualora l'altra
 pensione risulti sorretta da una base contributiva piu' modesta,  non
 costituisce  una  deroga  ingiustificata  al  criterio  che impone di
 privilegiare la pensione diretta, indicato per primo nella parte  del
 denunciato  terzo  comma  che riguarda il caso di plurititolarita' di
 pensioni erogate dalla medesima gestione I.N.P.S., ne' puo' ritenersi
 in  se'  irragionevole,  a  causa  dell'asserito venir meno della sua
 ratio originaria.
   A  parte  l'opinabilita'  della  scelta  interpretativa   volta   a
 riconoscere  carattere  di regola generale al criterio che privilegia
 la pensione diretta, non v'e'  ragione,  al  fine  di  scrutinare  la
 legittimita'  costituzionale della disposizione censurata, di entrare
 nel merito della questione concernente la persistenza  o  meno  della
 sua ratio originaria, rispetto alla quale il rimettente e l'I.N.P.S.,
 solidale  su  questo  punto con l'Avvocatura dello Stato, prospettano
 opinioni opposte.
   Non  occorre,  ai   presenti   fini,   accertare   se   all'origine
 dell'introduzione  del  criterio  denunciato  come  (divenuto  ormai)
 irrazionale ed ingiustificato vi sia esclusivamente il proposito  del
 legislatore  previdenziale  di  garantire  l'erogazione del beneficio
 accordato dall'art. 14-quater del d.-l. 30  dicembre  1979,  n.  663,
 convertito  nella  legge  29  febbraio 1980, n. 33, che prevedeva una
 maggiorazione mensile in favore delle pensioni  integrate  al  minimo
 costituite  per effetto di un numero di contribuzioni settimanali non
 inferiore    a    781    (il    cosiddetto    superminimo    per    i
 "settecentottantunisti"),  successivamente  assorbita  dall'art.    4
 della legge 15 aprile 1985, n. 140 e  dall'art.  1  del  d.P.C.M.  16
 dicembre  1989,  ne'  occorre  valutare  se  la  riliquidazione  piu'
 favorevole prevista dalle stesse disposizioni citate da ultimo per le
 pensioni assistite dal medesimo  requisito  contributivo  sostituisca
 adeguatamente    il    beneficio    della    maggiorazione    mensile
 originariamente concessa, dimostrando, come  ritengono  l'I.N.P.S.  e
 l'Avvocatura, la persistente razionalita' del criterio censurato.
   La  circostanza  che  una disposizione legislativa smarrisca la sua
 ratio  originaria  non  comporta   necessariamente,   di   per   se',
 l'illegittimita'   costituzionale   sopravvenuta  della  disposizione
 stessa.
   In se' considerato, il criterio di scelta in questione  non  limita
 alcuna  posizione  soggettiva  garantita  dall'ordinamento  a livello
 costituzionale o, eventualmente, legislativo. In particolare,  nessun
 principio   costituzionale   -   ne',   del   resto,   la  disciplina
 previdenziale nel suo  complesso  -  accordano  tutela  alla  pretesa
 dell'assicurato   al   trattamento   pensionistico  complessivo  piu'
 favorevole. I princi'pi costituzionali, al contrario, su questo punto
 correttamente attuati dalla normativa censurata,  non  predeterminano
 la scelta, rimessa alla discrezionalita' del legislatore, dei criteri
 per  la  ragionevole  individuazione  della  pensione  da  integrare,
 bensi',   piuttosto,   impongono   al    legislatore    previdenziale
 l'integrazione  di  (almeno)  una  pensione, attraverso un'erogazione
 ulteriore rispetto  al  trattamento  dovuto  in  base  ai  contributi
 versati,  al  quale  si  aggiunge  per  assicurare  al  lavoratore in
 quiescenza il reddito minimo considerato necessario  per  far  fronte
 alle  esigenze  di  vita  del titolare della pensione (v., da ultimo,
 sentenza n. 127 del 1997).
   Una   disparita'   nel   trattamento   pensionistico   complessivo,
 svantaggiosa  per  i  titolari  di  pensione  diretta  costituita per
 effetto di un numero di contribuzioni settimanali inferiore a  781  e
 di  pensione  di  riversibilita'  invece  assistita da tale requisito
 contributivo, puo' riscontrarsi specialmente qualora  particolarmente
 esiguo  sia  l'importo  a calcolo della pensione diretta, ed in forma
 tanto  piu' accentuata quanto piu' irrisorio risulti tale importo. In
 questi casi, il plurititolare riceverebbe un trattamento  complessivo
 piu'  favorevole  ove  fosse  la  pensione  diretta la prestazione da
 integrare, come previsto in favore del titolare di pensione diretta e
 di pensione di riversibilita' entrambe basate su di una contribuzione
 inferiore (o superiore) a quella prescritta. Si tratta, peraltro,  di
 una disparita' di mero fatto, derivante da circostanze contingenti ed
 accidentali, riferibili non gia' alla norma impugnata considerata nel
 suo  contenuto  precettivo  -  preordinato  all'individuazione  della
 pensione da  integrare  -  ma  semplicemente  alla  sua  applicazione
 concreta,  dato  il  concorso  di  talune premesse di ordine fattuale
 occasionalmente ricorrenti; di tal genere di disparita', questa Corte
 ha in piu' occasioni escluso la  rilevanza  ai  fini  della  verifica
 della  legittimita'  costituzionale  delle  discipline denunciate per
 contrasto con l'art. 3 della Costituzione (v., da ultimo, sentenza n.
 417 del 1996, e ordinanza n. 92 del 1997).
   Il criterio censurato dal  rimettente,  applicato  in  presenza  di
 pensioni  dirette  molto  modeste  nell'importo  a  calcolo,  risulta
 svantaggioso dal punto di vista - privo,  come  si  e'  chiarito,  di
 rilievo  costituzionale  - del trattamento complessivo, soprattutto a
 partire dalla sentenza n. 495 del 1993, con la quale questa Corte  ha
 inteso  garantire che la percentuale del sessanta per cento liquidata
 al coniuge superstite fosse calcolata sulla pensione del dante  causa
 nell'importo  comprensivo  dell'integrazione al minimo a quest'ultimo
 spettante.
   Con la citata pronuncia, questa Corte ha  inteso  salvaguardare  la
 funzione  che  i  princi'pi costituzionali assegnano alla pensione di
 riversibilita', assicurando che il suo importo non scenda al di sotto
 di una  soglia  minima.  La  circostanza  che,  in  se'guito  a  tale
 decisione   costituzionale,   si   riscontri   in  qualche  caso  una
 duplicazione di garanzie in favore dell'assicurato -  importo  minimo
 garantito  della pensione di riversibilita' ed eventuale integrazione
 al trattamento minimo della  stessa,  in  applicazione  del  criterio
 censurato dal rimettente, con assorbimento della prima garanzia nella
 seconda  -  non  comporta un obbligo del legislatore di modificare la
 disciplina dell'integrazione al minimo per garantire, o eventualmente
 consentire su richiesta dell'interessato, come ipotizza il giudice  a
 quo, la combinazione piu' vantaggiosa dei due istituti  di  sicurezza
 sociale, tra loro indipendenti e preordinati a fini eterogenei: da un
 lato,   salvaguardare   comunque   la   funzione  della  pensione  di
 riversibilita',  anche,  eventualmente,   in   favore   del   coniuge
 superstite   che   non  abbia  diritto  all'integrazione  al  minimo;
 dall'altro, assicurare al lavoratore in quiescenza un reddito minimo.
   E' pertanto priva di  rilievo,  ai  fini  della  valutazione  della
 legittimita'   costituzionale   della   disposizione   impugnata,  la
 circostanza che (non gia' a causa, ma) successivamente alla ricordata
 decisione costituzionale,  l'integrazione,  anziche'  della  pensione
 diretta,  della  pensione di riversibilita', comunque assistita dalla
 garanzia introdotta dalla sentenza n. 495 del  1993,  risulti  talora
 svantaggiosa  ed  anzi  penalizzante,  a  fronte del trattamento piu'
 favorevole riservato al coniuge superstite titolare di  una  pensione
 di riversibilita' basata su di una minore
  contribuzione  (in  favore  del quale opera, da un lato, il criterio
 che privilegia la  pensione  diretta  ai  fini  della    liquidazione
 dell'integrazione al minimo, dall'altro, il principio affermato dalla
 menzionata sentenza della Corte costituzionale).
   Il   sistema  dei  criteri  di  individuazione  della  pensione  da
 integrare al trattamento minimo, certo suscettibile di  correzioni  e
 perfezionamenti,   e'   frutto   di   valutazioni  discrezionali  del
 legislatore  che,  nonostante  talune  asimmetrie  riscontrabili  nel
 momento applicativo, non possono ritenersi palesemente irrazionali.
   4.  -  La  questione  sollevata  dal  tribunale  di  Firenze non e'
 fondata.
   Sotto  un  primo  profilo,  il  collegio  rimettente   dubita,   in
 riferimento   all'art.   3  della  Costituzione,  della  legittimita'
 costituzionale dell'art. 6, terzo comma, del d.-l. 12 settembre 1983,
 n. 463 - oltre che sotto il profilo gia' prospettato dal  pretore  di
 Lecce   -   nella  parte  in  cui  prevede  il  criterio  sussidiario
 dell'integrazione della pensione costituita per effetto di un  numero
 di  settimane  di  contribuzione  non inferiore a 781, apparentemente
 diretto al contenimento della spesa pubblica,  in  quanto  diverso  e
 meno  favorevole,  sotto  il  profilo  del  trattamento  complessivo,
 rispetto ai criteri previsti in caso di plurititolarita' di  pensioni
 erogate da gestioni diverse, ai quali pare estranea la preoccupazione
 di  contenere  la  spesa  previdenziale.    Quest'ultima  ipotesi  e'
 contemplata dal primo periodo del denunciato terzo comma, che prevede
 l'integrazione della pensione a carico della gestione  che  eroga  il
 trattamento  minimo  di importo piu' elevato o, a parita' di importo,
 della pensione avente decorrenza piu' remota.
   Il giudice a quo sottolinea come il criterio  della  pensione  piu'
 remota  sia  in  realta'  l'unico applicabile nel caso di concorso di
 pensioni liquidate da gestioni diverse, in  se'guito  all'entrata  in
 vigore dell'art. 7 della legge 15 aprile 1985, n. 140, che prevede la
 parificazione dei trattamenti minimi erogati da gestioni diverse.  Ad
 avviso del collegio rimettente, cio' comporterebbe l'applicazione, in
 via generale e non piu' sussidiaria, del criterio della pensione piu'
 remota, che opererebbe sempre in senso piu' favorevole all'assicurato
 rispetto a quello, che fa riferimento al requisito dei 781 contributi
 settimanali, previsto dall'ultima parte del terzo comma.
   La  lamentata disparita' di trattamento non sussiste. Per un verso,
 e'   condivisibile   il    rilievo,    avanzato    dall'I.N.P.S.    e
 dall'Avvocatura,  che  la pensione piu' remota non e' necessariamente
 la piu' esigua nell'importo a calcolo, e  non  comporta  pertanto  la
 maggior  quota  di  integrazione da liquidare. Per un altro verso, ai
 fini del controllo di costituzionalita' alla stregua del principio di
 eguaglianza, a parte quanto gia' sottolineato al punto precedente  in
 ordine   all'insussistenza   di   una   garanzia  costituzionale  del
 trattamento complessivo piu' favorevole, non e' consentito  comparare
 due regimi dell'integrazione al minimo come quelli posti a raffronto.
 Si   tratta   infatti   di   discipline  eterogenee,  originariamente
 delineate, dal legislatore che ha operato la  riforma  del  1983,  in
 funzione  di  esigenze differenti, riguardanti l'integrazione in caso
 di  plurititolarita',  rispettivamente,  di  pensioni  erogate  dalla
 stessa gestione e di pensioni a carico di gestioni diverse:  ipotesi,
 quest'ultima,  che  ha  consigliato  al  legislatore previdenziale di
 privilegiare criteri di individuazione della pensione da integrare di
 piu' agevole applicazione.
   5.  -  Anche  sotto  il secondo profilo, la questione sollevata dal
 tribunale di Firenze e' priva di fondamento.
   Il tribunale di Firenze dubita, in riferimento  all'art.  29  della
 Costituzione,  della  legittimita'  costituzionale dell'art. 6, terzo
 comma, del d.-l. 12 settembre  1983,  n.  463,  nella  parte  in  cui
 prevede  il  trasferimento  dell'integrazione  al  trattamento minimo
 dalla pensione diretta,  costituita  per  effetto  di  un  numero  di
 contribuzioni   settimanali   inferiore   a  781,  alla  pensione  di
 riversibilita' che soddisfi il predetto  requisito  contributivo  (la
 quale,  in  se'guito  alla  sentenza n. 495 del 1993, non puo' essere
 inferiore, per il coniuge  superstite,  al  sessanta  per  cento  del
 trattamento minimo spettante al dante causa), in quanto comporterebbe
 una compressione del trattamento pensionistico complessivo attraverso
 un  intervento sulla pensione diretta, che viene riportata a calcolo,
 lesivo della funzione della pensione di riversibilita'.
   In  quanto  diretto  a  individuare  la  pensione  sulla  quale  va
 liquidata   l'integrazione   al  minimo,  il  meccanismo  legislativo
 censurato non puo'  ripercuotersi  negativamente  sulla  pensione  di
 riversibilita'  in  se'  considerata, ne' comprometterne la funzione,
 che, secondo la giurisprudenza costituzionale, consiste nell'attuare,
 per il coniuge superstite, una specie di proiezione  oltre  la  morte
 della  funzione  di  sostentamento  assolta  in  vita  dal  de cuius,
 perseguendo  lo  scopo  di  porre  il  superstite  al  riparo   dalla
 eventualita'  dello  stato  di  bisogno che potrebbe derivargli dalla
 scomparsa del coniuge (sentenze nn. 495 del 1993 e 926 del 1988).
   Il meccanismo legislativo censurato puo', date  certe  premesse  di
 ordine fattuale e contingente, risultare meno favorevole dal punto di
 vista  del  trattamento  pensionistico  complessivo.  Senonche', tale
 circostanza  non  interferisce  negativamente  con  il  regime  della
 pensione  di  riversibilita',  mentre  l'eventualita'  che un diverso
 criterio di scelta della pensione da integrare possa in  taluni  casi
 comportare  la  liquidazione,  da  parte  della  stessa gestione o di
 gestioni diverse, di un trattamento complessivo piu'  favorevole,  di
 per  se'  -  come  sopra  ampiamente si e' detto - non rileva ai fini
 della   valutazione   della   legittimita'    costituzionale    della
 disposizione impugnata.
   D'altro  canto,  non  solo non puo' interferire con il regime della
 pensione ai superstiti il  criterio  di  scelta  dell'unica  pensione
 integrabile  in  caso  di  plurititolarita',  ma la stessa disciplina
 dell'integrazione al  minimo  della  pensione  di  riversibilita'  va
 tenuta  distinta  dalla  disciplina  di quest'ultima prestazione, che
 richiede, ai fini della quantificazione della pensione  spettante  al
 superstite,  di  tener conto dell'integrazione della pensione diretta
 del dante causa. Le due discipline si  collocano  su  piani  diversi,
 come  questa Corte ha gia' avuto occasione di chiarire, affermando la
 legittimita'  del  cumulo  tra  la  cosiddetta  "percentualizzazione"
 dell'integrazione  al  minimo  della pensione diretta spettante al de
 cuius e l'autonomo diritto all'integrazione al minimo della  pensione
 di  riversibilita':  i due piani non si incontrano, poiche' si tratta
 in realta' di distinti  momenti  e  di  diverse  pensioni  cui  hanno
 diritto i rispettivi titolari (sentenza n. 495 del 1993).