IL TRIBUNALE
   Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza nel processo penale contro
 Balgera Marco e De Giovannetti Livio, rinviati a giudizio con decreto
 della Corte  d'appello  di  Milano  in  data  19  novembre  1997  per
 rispondere  (capo A) il Balgera del reato di cui agli artt. 110, 323,
 476  c.p.     per  avere  nella   qualita'   di   funzionario   della
 Motorizzazione  civile  di  Sondrio  in  concorso  col De Giovannetti
 abusato del proprio ufficio, alterando le copie veline delle carte di
 circolazione intestate a terze persone,  presentate  tardivamente  al
 p.r.a.  di  Sondrio per la prima immatricolazione dal De Giovannetti,
 apponendo a  fianco  alla  postilla  "si  conferma  23  luglio  1994"
 aggiunta da De Giovannetti il timbro di Stato di cui era assegnatario
 al  fine  di  conferire autenticita' alla postilla, sanare la tardiva
 presentazione, ed avvantaggiare patrimonialmente  il  De  Giovannetti
 evitandogli di corrispondere le previste penalita' per ogni pratica.
   Accertato in Sondrio il 25 novembre 1995; il De Giovannetti (capi B
 e  C)  dei  reati  di  cui agli artt. 110, 323, 476 c.p. per avere in
 concorso col Balgera alterato con la  margherita  in  dotazione  alla
 propria  macchina  da  scrivere  il  contenuto  delle  suddette copie
 veline, presentate tardivamente al p.r.a., apponendo su  ciascuna  la
 postilla  "si  conferma  23  luglio 1994" ratificata ad attestarne la
 regolarita' dal timbro n. 7 assegnato al Balgera al fine di rientrare
 nei  termini  di  presentazione  e  non  corrispondere  le   previste
 penalita',  nonche'  dell'art.  482 in relazione al 476 c.p. per aver
 commesso l'alterazione sopra descritta. Accertato in  Sondrio  il  25
 novembre  1995;  il Collegio, in relazione alle questioni preliminari
 sollevate dalle parti, osserva quanto segue.
   A norma dell'art. 129, comma 1, c.p.p. "in ogni stato e  grado  del
 processo,  il  giudice,  il  quale  riconosce  che... il fatto non e'
 previsto dalla  legge  come  reato...  lo  dichiara  di  ufficio  con
 sentenza".
   Prima  di  procedere  nell'ulteriore  corso del processo, pertanto,
 occorre verificare se, in seguito alla  modifica  normativa  de  qua,
 ricorrono i presupposti per pronunciare sentenza di n.d.p. perche' il
 fatto non e' (piu') previsto dalla legge come reato.
   Siffatta   verifica,   ovviamente,  deve  precedere  l'esame  della
 eventuale questione di legittimita' costituzionale  prospettata  alle
 parti  in  sede  di  questioni  preliminari  giacche'  -  in  caso di
 riscontro positivo - la questione stessa difetterebbe  del  requisito
 della rilevanza.
   Ed  invero,  non  avendo  lo  jus superveniens di cui alla legge 16
 luglio 1997, n. 234 operato una abolitio criminis del  reato  di  cui
 all'art. 323 c.p., bensi' la sostituzione dell'originaria fattispecie
 incriminatrice con altra, di diversa formulazione ed ampiezza ("salvo
 che il fatto costituisca un piu' grave reato, il pubblico ufficiale o
 l'incaricato  di  pubblico  servizio  che,  nello  svolgimento  delle
 funzioni o del servizio,  in  violazione  di  norme  di  legge  o  di
 regolamento,   ovvero  omettendo  di  astenersi  in  presenza  di  un
 interesse proprio o di un  prossimo  congiunto  o  negli  altri  casi
 prescritti,  intenzionalmente  procura  a  se' o ad altri un ingiusto
 vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un  danno  ingiusto  e'
 punito...")  non puo' tout court ritenersi che i reati contestati sub
 capi A) e B) agli imputati  (di  cui  all'art.  323  c.p.  nel  testo
 antevigente)  costituisca  fatto non (piu') previsto dalla legge come
 reato, ma deve verificarsi se il medesimo possa essere sussunto anche
 nella nuova fattispecie incriminatrice.
   Nella specie, dunque, opera il disposto di cui all'art. 2,  c.p.v.,
 c.p.,  in  forza  del  quale "nessuno puo' essere punito per un fatto
 che,  secondo  una  legge  posteriore,  non  costituisce  reato":  ne
 consegue  che  la verifica che le condotte ascritte agli imputati non
 possano  essere  inquadrate  nella  fattispecie  incriminatrice  come
 attualmente  vigente  -  neppure  in  astratto, e fatta salva la piu'
 penetrante verifica in sede di decisione  all'esito  dell'istruttoria
 dibattimentale,  in  caso  di  esito  negativo  di  siffatta verifica
 delibativa operata ai sensi e per gli effetti  di  cui  all'art.  129
 cit.  -  implicherebbe  l'immediata  pronuncia  di sentenza di n.d.p.
 perche' il fatto non e' (piu') previsto dalla legge come reato.
   Soltanto  nell'ipotesi  di  verifica  della  sussumibilita'  -   in
 astratto  -  delle  condotte ascritte agli imputati anche nella nuova
 fattispecie incriminatrice (e peraltro anche  dell'insussistenza  dei
 presupposti per pronunciare sentenza di n.d.p. - ex art. 129, commi 1
 e 2, c.p.p.  - per estinzione del reato per intervenuta prescrizione,
 stante  la  diminuzione  dei  termini di prescrizione conseguita alla
 modifica normativa de qua), acquisterebbe eventualmente rilevanza nel
 presente giudizio la questione di legittimita' costituzionale de qua.
 Ed invero in siffatta ipotesi, giusta il disposto di cui all'art.  2,
 comma  1, c.p. ("nessuno puo' essere punito per un fatto che, secondo
 la legge del tempo in cui fu commesso, non costituiva  reato")  e  di
 cui  all'art.  2,  comma  3,  c.p.  ("se la legge del tempo in cui fu
 commesso il reato e le posteriori sono diverse, si applica quella  le
 cui  disposizioni  sono  piu' favorevoli al reo..."), la norma di cui
 all'art. 323 c.p.   antevigente troverebbe  necessaria  applicazione,
 dovendo  in tale ipotesi il Collegio rispettivamente verificare se la
 condotta ascritta  agli  imputati  rientri  anche  nella  antevigente
 fattispecie incriminatrice e, in caso positivo, quale delle due norme
 sia  piu'  favorevole  per i rei. In tale ipotesi, e soltanto in tale
 ipotesi,  la  questione  diventerebbe  rilevante,  poiche'   il   suo
 eventuale   accoglimento   (con   conseguente   espunzione   ex  tunc
 dall'ordinamento giuridico dell'art.  323 c.p. nel testo antevigente)
 determinerebbe - a norma del richiamato  art.  2,  comma  1,  c.p.  -
 l'emanazione  di  sentenza di n.d.p. perche' il fatto non e' previsto
 dalla legge come reato.
   L'opzione ermeneutica accolta dal  Collegio  trova  conforto  nella
 giurisprudenza  di  legittimita',  che  ha  affermato  - nell'analoga
 circostanza dell'abrogazione dell'art. 324 c.p. operata con legge  n.
 86/1990  -  che anche dopo l'abrogazione "la condotta che prima della
 suddetta  novella  veniva  punita  come  interesse  privato  in  atti
 d'ufficio,  conserva  rilevanza,  sul  piano  penale, se ed in quanto
 comprenda tutti gli estremi per la configurabilita'  del  delitto  di
 abuso  di ufficio, cosi' come descritti nel nuovo testo dell'art. 323
 c.p." (cosi' Cass.  6587 del 13 giugno 1991).
   Come gia'  osservato,  nella  presente  sede  detta  verifica  deve
 necessariamente  essere  operata in astratto, al fine di accertare se
 tutti gli elementi costitutivi dell'illecito  penale  come  descritto
 nel  nuovo  testo  dell'art.    323  c.p.  "siano  stati  ritualmente
 descritti  nell'imputazione  o  altrimenti  contestati  all'imputato"
 (cosi'  Cass.  553  del  25  gennaio  1993), o comunque se gia' dalla
 stessa  formulazione del capo d'imputazione si evinca l'insussistenza
 di almeno un elemento costitutivo del nuovo reato in oggetto.
   Ritenuto che, nel caso di specie, non sussistono i presupposti  per
 l'emanazione  della  sentenza di NDP suddetta, poiche' dall'esame dei
 capi di imputazione sub A) e B) risulta che negli stessi  sono  state
 contestate  agli imputati condotte di abuso astrattamente sussumibili
 nel nuovo testo dell'art. 323 c.p.,  essendo  la  condotta  descritta
 come   avvenuta   nell'esercizio   delle   mansioni  del  Balgera  di
 funzionario della  Motorizzazione  civile,  non  potendosi  escludere
 nella  presente  sede  che  l'abuso come contestato sia consistito in
 violazione di  legge  (consistita  nel  falso  come  contestato),  ed
 essendo  descritto  nei  capi  di  imputazione l'evento dell'ingiusto
 vantaggio patrimoniale a terzi (gli  intestatari  delle  pratiche  in
 questione).
   Essendosi,  poi,  i  reati  come  contestati consumati nel novembre
 1995,  non  sussistono  neppure  i  presupposti  per  dichiarare   la
 sopravvenuta prescrizione dei reati.
   Risulta  evidente  pertanto  - giusta quanto sopra argomentato - la
 rilevanza della questione di legittimita' costituzionale in  oggetto,
 osservando  ulteriormente  che  la  norma  di  cui  all'art. 323 c.p.
 antevigente trova necessaria applicazione sin dalla presente fase del
 giudizio (ad esempio al fine di decidere  in  ordine  alla  rilevanza
 delle richieste istruttorie delle parti).
   In  relazione  alla  non  manifesta  infondatezza  della questione,
 osserva il Collegio:
     che il principio di  tassativita'  cui,  a  norma  dell'art.  25,
 secondo  comma,  Cost.,  devono  conformarsi  le norme incriminatrici
 penali,   esprime   l'esigenza    di    evitare    la    genericita',
 l'indeterminatezza  della  fattispecie astratta, in modo tale che sia
 assicurata  l'individuazione,  a  mezzo  con  degli   usuali   metodi
 ermeneutici, della condotta penalmente rilevante;
     che  l'interpretazione  corrente  della  norma de qua ricomprende
 nella  condotta  dell'abuso  ogni  "violazione   del   parametro   di
 doverosita'   come  risulta  dalle  regole  normative  improntate  ai
 principi di legalita', imparzialita' e  buon  andamento  della  p.a."
 (cosi'  Cass.  9730/1992), e "qualsivoglia comportamento del pubblico
 ufficiale  esplicantesi  in  una   illecita   deviazione   dai   fini
 istituzionali  della  p.a." (cosi' Cass. 5340/1993), nonche' gli atti
 viziati da eccesso di potere;
     che la suddetta interpretazione, che costituisce diritto  vivente
 non   consente   di   escludere   dubbi  sull'indeterminatezza  della
 fattispecie penale di cui trattasi, stante la aleatorieta' di  figure
 quali  "parametro di doverosita'" e "fini istituzionali", e l'assenza
 di una definizione normativa della figura dell'eccesso di  potere,  i
 cui  contenuti sono stati individuati soltanto ex post dalla dottrina
 e dalla giurisprudenza amministrativa ed e' figura il  cui  contenuto
 e' in costante evoluzione e cambiamento;
     che  conseguentemente  appare  non  manifestamente  infondata  la
 questione di legittimita' costituzionale come sopra prospettata;
   Ritenuta la riunione dei reati sub capi A), B) e  C)  assolutamente
 necessaria ai fini dell'accertamento dei fatti, in quanto trattasi di
 circostanze di fatto sostanzialmente unitarie.