LA COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE Ha emesso la seguente ordinanza sull'appello r.g. appelli 1082/96 depositato il 22 settembre 1995, avverso la sentenza n. 104/11/95, emessa dalla Commissione tributaria provinciale di Firenze da Casanuova Maria Augusta, residente a Firenze, in via Mattonaia n. 21, difesa dall'avv. Colombo Carlo, residente a Firenze, in piazza Goldoni n. 2; controparti: D.R.E. Toscana (sez. Firenze), atti impugnati 6/rif su I. rimb - Irpef, 1991. Con ricorso presentato alla commissione tributaria di primo grado di Firenze il 28 ottobre 1994 la signora Maria Augusta Casanuova chiedeva la condanna della pubblica ammnistrazione a restituire la somma di lire 15 milioni pagata a titolo di imposta, che asseriva non dovuta, con interessi legali; cio' a seguito del silenzio-rifiuto avverso la richiesta di rimborso da lei avanzata in sede non contenziosa. Esponeva la ricorrente di avere ricevuto dal comune di Firenze in data 29 dicembre 1989 la somma di lire 150 milioni per indennita' di espropriazione e interessi a fronte di una procedura di esproprio di terreno destinato ad opera pubblica e sito in zona omogenea F di cui al d.m. 2 aprile 1968 (G.U. n. 97 del 16 aprile 1968); che in data 30 giugno 1992 essa ricorrente aveva effettuato il versamento di lire 15 milioni, pari alla meta' dell'imposta sostitutiva dovuta; assumeva che, a seguito della mancata conversione in legge del d.-l. 28 febbraio 1992, n. 174 e successive reiterazioni - non essendo i terreni siti in zona omogenea F piu' compresi quali oggetto di imposizione ai fini dell'imposta sostitutiva in questione - l'imposta versata risultava non dovuta. La D.R.E. della Toscana, con nota depositata il 24 marzo 1995 chiedeva il rigetto del ricorso per inammissibilita' ex art. 15 del d.P.R. n. 636/1972. Con decisione n. 104 del 6 aprile 1995 depositata il 1 giugno 1995, e notificata alle parti il 6 giugno 1995, la Commissione tributaria di primo grado di Firenze, sezione 11, respingeva il ricorso a motivo del fatto che l'art. 1 della legge 24 marzo 1993, n. 75, aveva sanato gli effetti prodotti dai decreti-legge nn. 174, 269 e 319 del 1992. Parte contribuente ha ritualmente appellato, cosi' motivando: A) la norma di cui all'art. 1 della legge n. 75/9 va interpretata in senso favorevole al contribuente, e deve escludere dall'efficacia delle norme nel tempo di vita dei decreti-legge non convertiti e decaduti la nuova imposta poi scomparsa nel d.-l. n. 16/1993 e nella sua legge di conversione; cio' ad evitare l'irrazionalita' della sua disciplina legale; B) se cosi' non fosse, se cioe' la legge in questione andasse intepretrata nel senso che essa non consente tale esclusione, ne emergerebbe un evidente contrasto con gli artt. 3, 53 e 77 della Costituzione. Concludeva per la riforma della decisione appellata e la condanna della p.a. a restituire la somma di lire 15 milioni versata e non dovuta, con interessi legali. La D.R.E per la Toscana, con memoria depositata il 23 dicembre 1997, eccepiva: a) in via pregiudiziale l'inammissibilita' dell'appello per mancata sottoscrizione della copia destinata all'amministrazione finanziaria; b) nel merito, che la vigente normativa e' stata correttamente applicata dai primi giudici in quanto anche la Corte costituzionale ha affermato fra l'altro la tassabilita' delle indennita' di esproprio; che la stessa Corte ha inoltre sottolineato con le sentenze nn. 14 e 410 del 1995 l'infondatezza della questione della decorrenza, e la discrezionalita' spettante nel merito al legislatore. Chiedeva in via pregiudiziale declaratoria di inammissibilita' dell'appello; in subordine la conferma della decisione appellata, in linea di diritto e di merito, con vittoria di spese e onorari. Parte appellante con memoria del 10 gennaio 1998 sosteneva l'ammissibilita' dell'appelio in quanto la previgente disciplina del contenzioso tributario consentiva l'invio dell'atto di appello con allegata copia in carta semplice non firmata, citando in proposito giurisprudenza favorevole al proprio assunto ed insistendo sui temi trattati in appello. Nell'odierna udienza tenutasi in forma pubblica, le parti si sono riportate alle rispettive difese. Questa Commissione, visti gli atti e udite le parti, O s s e r v a La questione pregiudiziale posta dall'amministrazione finanziaria sulla inammissibilita' dell'appello di parte contribuente risulta inconsistente; infatti, sia la previgente normativa sul contenzioso tributario che la costante interpretazione in proposito esistente escludevano l'obbligo della firma sulla copia dell'atto destinata all'ufficio. Nel merito, appare opportuno preliminarmente riassumere i termini della questione. La tassabilita' dell'indennita' di esproprio era stata prevista, per la prima volta, dall'art. 11 della legge 30 dicembre 1991, n. 413, con efficacia retroattiva dal 1 gennaio 1989; esso tuttavia concerneva i terreni destinati ad opere pubbliche o ad infrastrutture urbane all'interno delle zone omogenee di tipo A, B, C, D, di cui al d.m. 2 aprile 1968. Successivamente il d.-l. n. 174 del 28 febbraio 1992, modificava il citato art. 11 estendendo la tassazione alle indennita' di esproprio concernenti i terreni di cui alla lettera F del citato d.m. Il contribuente aveva quindi effettuato il primo pagamento previsto dalla norma (il d.-l. n. 174) che veniva a modificare una norma retroagente al 1 gennaio 1989, e che pertanto sottoponeva a tassazione i terreni della zona F prima esclusi dalla norma modificata (legge n. 413/1991). Due decreti-legge consecutivi, il n. 269 del 27 aprile 1992 e il n. 319 del 25 giugno 1992, reiteravano il citato d.-l. n. 174; ma la norma veniva poi a decadere a causa della mancata conversione in legge del terzo decreto citato. In data 23 gennaio 1993 veniva emanato un quarto decreto, il n. 16, convertito con legge 24 marzo 1993, n. 75, che non recava piu' la norma in questione. Tuttavia la legge di conversione provvedeva a disciplinare anche gli effetti giuridici prodotti dai tre decreti-legge decaduti, disponendo in tal senso con l'art. 1, comma 2. In sostanza, la legge n. 413/1991 escludeva dalla tassazione i terreni della zona omogenea F; tre decreti consecutivi la introducevano, ma venivano a decadere per mancata conversione; il successivo decreto n. 16/1993 non reiterava piu' tale norma, ma la legge di conversione salvava gli effetti della norma cosi' scomparsa. La mancanza di coerenza di un tale modo di operare e' di tutta evidenza; verrebbe quindi da pensare che la legge di conversione, nel fare salvi gli effetti dei decreti decaduti, intendesse riferirsi solo a quelli prodotti dalle disposizioni in materia di definizione di pendenze tributarie e di versamenti connessi che costituivano il nerbo del loro contenuto; anche perche' la norma relativa alla tassazione delle indennita' di esproprio dei terreni inclusi nella zona F e' norma di carattere sostanziale, diversa quindi dalle altre che fissavano nuovi e diversi termini per le dichiarazioni e i versamenti dell'imposta. In tale ipotesi apparirebbe logico e razionale l'aver fatto salvi esclusivamente gli effetti di dichiarazioni e versamenti di imposte mantenute in vigore anche per il futuro. Tuttavia, la lettura dell'art. 1, comma 2, della legge n. 75/1993, non lascia spazio per una interpretazione di questo tipo, ed in tal senso si sono orientati i primi giudici; appare peraltro a questo Collegio che siano da formulare dubbi sulla legittimita' della disciplina prevista da tale articolo in rapporto agli artt. 3, 53 e 77 della Costituzione. Il primo aspetto da esaminare e quello della violazione dell'art. 53 della Costituzione sotto il profilo della non attualita' della capacita' contributiva in relazione alla retroattivita' della norma. Si osserva subito che la disciplina dettata dall'art. 1, comma 2 della legge n. 75/1993 ha natura retroattiva, in quanto regola gli effetti dei tre decreti-legge decaduti di cui innanzi, perche' non convertiti. Orbene, sul punto la Corte ha piu' volte chiarito che per determinare se una legge retroattiva sia o meno costituzionale e' necessario vedere di volta in volta se nel tempo intercorso fra il momento di riferimento patrimoniale e l'emanazione si sia modificata la capacita' contributiva del soggetto; in buona sostanza, la norma tributaria retroattiva si puo' considerare costituzionalmente legittima quando breve e' il tempo previsto fra l'emanazione e della norma e i suoi effetti, e se prevedibile tale norma risulta. Nel caso in esame, sono trascorsi quattro anni dalla percezione dell'indennita' di esproprio (1989) e l'anno (1993) in cui la legge n. 71 ha fatto salvi gli effetti della tassazione. Non appare quindi esistente il requisito della brevita'. Non si puo' nemmeno ritenere tale tassazione prevedibile, dal momento che la legge n. 413/1991, con effetto del 1989, aveva escluso la tassabilita' della fattispecie considerata; esclusione del resto confermata con l'emanazione del d.-l. 16/1993 e della legge di conversione n. 75/1993 che non prevedevano piu' la tassazione delle indennita' per i terreni in zona omogenea F. Tale tassazione, come si e' visto, successivamente abbandonata, costituisce per la natura dei terreni che ne erano oggetto, una deroga ai principi ispiratori della tassazione delle altre aree A, B, C, D; come tale non poteva quindi prevedersi da parte del soggetto. La Corte costituzionale si e' piu' volte riservato il diritto di censurare la discrezionalita' di cui gode il legislatore fiscale quando essa porta a scelte irrazionali o arbitrarie; cio' anche se, in un caso analogo concernente una disposizione legislativa con cui si facevano salvi gli effetti prodotti da un decreto-legge non convertito, la stessa Corte ha respinto la censura di irrazionalita', sostenendo la razionalita' della norma in quanto essa mirava a regolare i rapporti sorti in base al decreto non convertito; in tale caso pero' la disposizione di legge aveva si' fatti salvi gli effetti del decreto non convertito, ma ne aveva anche recepito l'intera disciplina. Nel caso in esame, invece, si verifica un fatto molto diverso: la tassazione e' stata prima esclusa, poi prevista in tre decreti-legge consecutivi, poi decaduti; infine nuovamente esclusa, facendo pero' salvi i rapporti giuridici sorti in base ad una norma decaduta con l'ultimo dei tre decreti-legge reiterati e non rinnovati. Questo procedimento a dir poco contradditorio ha certamente determinato ingiustificate disparita' di trattamento, la cui sostanza ben puo' opporsi alla considerazione che essa disparita' e' un effetto connaturato alla successione delle leggi nel tempo. Infatti qui la disciplina impositiva non si giustifica nel sistema normativo cui i decreti-legge fatti salvi facevano riferimento. Da qui l'ipotesi di violazione degli artt. 3 e 53 della Costituzione per irrazionalita' della norma e per la disparita' di trattamento dei soggetti. Un ulteriore vizio potrebbe ravvisarsi in rapporto all'art. 77 della Costituzione ponendo mente al fatto che i tre decreti-legge, poi decaduti, erano relativi quasi del tutto a scadenza di dichiarazioni e versamenti di imposta per le quali potevano si' ravvisarsi quei presupposti straordinari di "necessita' ed urgenza" che invece non trovavano la loro minima giustificazione nell'introduzione di nuova materia imponibile; cio' e' tanto vero che il nuovo oggetto di tassazione fu successivamente abbandonato. Orbene, questo vizio dei decreti-legge non puo' non investire la legge che sana i loro effetti; come anche la Corte costituzionale ha recentemente dichiarato, la mancanza di un requisito di validita' costituzionale di un decreto-legge comporta un vizio di illegittimita' costituzionale anche della legge di conversione; e questa interpretazione puo' bene estendersi alla legge n. 75/1993 il cui art. 1, comma 2, ha sanato gli effetti dei decreti non convertiti ex art. 77, terzo comma, ultimo periodo della Costituzione.