ha pronunciato la seguente
                               Sentenza
 nel  giudizio  promosso  con  ricorso  della  Regione Emilia-Romagna,
 notificato  il  4  marzo  1997,  depositato  in  Cancelleria  il   13
 successivo  per conflitto di attribuzione sorto a seguito del decreto
 del Direttore generale dell'Ufficio centrale  per  i  beni  culturali
 ambientali  e  paesaggistici  del  Ministero  per  i beni culturali e
 ambientali, emesso il 18 dicembre  1996  recante  "Decentramento  dei
 poteri di tutela ambientale e paesaggistica" ed iscritto al n. 10 del
 registro conflitti 1997.
   Visto  l'atto  di  costituzione  del  Presidente  del Consiglio dei
 Ministri;
   Udito nell'udienza pubblica del 2 giugno 1998 il  giudice  relatore
 Riccardo Chieppa;
   Uditi  gli avvocati Giandomenico Falcon e Fabio Dani per la Regione
 Emilia-Romagna e l'Avvocato dello Stato Pier  Giorgio  Ferri  per  il
 Presidente del Consiglio dei Ministri.
                           Ritenuto in fatto
   1.  -  Con  ricorso notificato in data 4 marzo 1997 e depositato in
 data 13 marzo 1997, la Regione Emilia-Romagna ha sollevato  conflitto
 di  attribuzione  nei  confronti dello Stato in ordine al decreto del
 Direttore generale dell'Ufficio centrale  per  i  beni  ambientali  e
 paesaggistici  del  Ministero  per  i beni culturali e ambientali  18
 dicembre 1996, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 4 gennaio 1997, n.
 3,  recante  "Decentramento  dei  poteri  di  tutela   ambientale   e
 paesaggistica"  con  il  quale  e'  stato  delegato ai soprintendenti
 territorialmente competenti, sia pure limitatamente  agli  interventi
 interessanti il territorio di un unico comune, l'esercizio dei poteri
 di  autorizzazione  in  via  surrogatoria  e  di  annullamento  delle
 autorizzazioni rilasciate dalle Regioni, nell'ambito del rapporto  di
 delega  dallo Stato, ai sensi dell'art. 7 della legge 29 giugno 1939,
 n. 1497.
   Preliminarmente, la ricorrente afferma la propria legittimazione  a
 sollevare  il  conflitto  - a prescindere dal carattere, traslativo o
 libero, della delega concessa alle Regioni nella materia  di  cui  si
 tratta  -  fondata  sull'interesse ad esercitare le funzioni delegate
 nel rispetto del quadro previsto dalla Costituzione per  il  rapporto
 di  delega,  interesse  il cui fondamento costituzionale non potrebbe
 essere negato.
   Nel merito, si lamenta nel ricorso che la delega ai  soprintendenti
 territorialmente competenti dell'esercizio dei poteri ministeriali di
 autorizzazione   in   via   surrogatoria   e  di  annullamento  delle
 autorizzazioni rilasciate dalle Regioni assoggetterebbe  l'azione  di
 queste   ultime  al  controllo  di  organi  di  livello  territoriale
 addirittura inferiore a quello regionale, stravolgendo  il  principio
 costituzionale, desumibile dalla Costituzione (artt. 118 e 121), alla
 stregua  del quale i poteri statali in ordine alle attivita' delegate
 sarebbero necessariamente di competenza del Governo centrale,  e  non
 potrebbero essere tramutati in funzioni di organi periferici locali.
   Tale  "statuto  costituzionale" del rapporto di delega emergerebbe,
 in particolare, dall'art.  121,  ultimo  comma,  della  Costituzione,
 secondo  il  quale  il  Presidente  della  Giunta regionale dirige le
 funzioni  amministrative   delegate   dallo   Stato   alla   Regione,
 conformandosi  alle istruzioni del "Governo centrale", trovando, poi,
 conferma nella legislazione  attuativa  del  dettato  costituzionale.
 Cosi',  gia' l'art.   2 della legge n. 382 del 1975 prevedeva che, in
 caso di  persistente  inattivita'  delle  Regioni  nell'esercizio  di
 funzioni  delegate,  qualora  si trattasse di atti da assumersi entro
 termini  necessari,  il  Consiglio  dei  Ministri,  su  proposta  del
 Ministro  competente, disponesse il compimento degli atti relativi in
 sostituzione della Regione. Parimenti, la legge n. 400 del 1988 (art.
 2, comma 3,  lettera  e)),  da  una  parte  ribadisce  la  competenza
 governativa  per le direttive da impartire tramite il Commissario del
 Governo per l'esercizio delle funzioni amministrative  delegate  alle
 Regioni;  dall'altra,  dispone  che  lo stesso Commissario segnala al
 Governo la mancata adozione,  da  parte  delle  Regioni,  degli  atti
 delegati,  e  provvede al compimento dei relativi atti sostitutivi in
 esecuzione delle deliberazioni del Consiglio dei Ministri.
   In ossequio al predetto principio costituzionale, l'art.  82,  nono
 comma,  del  d.P.R.  n.  616  del  1977  dispone che le Regioni diano
 comunicazione delle autorizzazioni rilasciate al Ministro per i  beni
 culturali  e  ambientali,  e  che  il  Ministro  possa  annullare con
 provvedimento motivato  tali  autorizzazioni,  o  provvedere  in  via
 sostitutiva  in caso di inerzia delle Regioni. In tal caso, le regole
 sui rapporti  generali  inerenti  alle  deleghe  sono  adattate  alla
 situazione  specifica,  prevedendosi  la  competenza  non del Governo
 nella sua collegialita', ma del Ministro competente, ma  resta  salvo
 il principio sopra enunciato, secondo il quale le relazioni tra Stato
 delegante  e  Regioni  delegate  sono rapporti tra queste e il centro
 governativo. Fra l'altro, nel caso in esame, la  violazione  di  tale
 principio   non   avverrebbe   neppure  ad  opera  del  Ministro,  ma
 addirittura del direttore generale dell'Ufficio centrale per  i  beni
 ambientali  e  paesaggistici,  privo  di un potere costituzionalmente
 riconosciuto.
   Inoltre, la delega ai soprintendenti dell'esercizio dei  poteri  in
 questione    violerebbe    il    principio    di    buon    andamento
 dell'amministrazione, di  cui  all'art.  97  della  Costituzione,  in
 quanto  il passaggio dei poteri statali dall'organo centrale a quello
 periferico  comporterebbe  il  venire  meno  di  quella  funzione  di
 coordinamento   e   di  unificazione  dei  comportamenti  degli  enti
 delegati,  che  costituisce  una  delle  fondamentali  ragioni  della
 previsione del potere di cui si tratta.
   Parimenti,   risulterebbe   violato  il  principio  di  equilibrata
 concorrenza e di cooperazione delle competenze statali  e  di  quelle
 regionali  in  materia  di  tutela del paesaggio, sancito dalla Corte
 costituzionale  con  la  sentenza  n.  302  del   1988,   in   quanto
 l'attribuzione  di un potere di sindacato nei confronti delle Regioni
 ad un organo  di  livello  territoriale  inferiore  comporterebbe  un
 effetto    di    delegittimazione    delle   stesse,   contraddicendo
 irrazionalmente la stessa delega di funzioni.
   Infine, la ricorrente denuncia la violazione del principio di leale
 collaborazione tra Stato e  Regioni,  essendo  stato  il  decreto  in
 questione   emanato  in  assenza  di  una  previa  valutazione  delle
 posizioni delle Regioni, titolari delle potesta' delegate in materia.
   2.  - Nel giudizio si e' costituito il Presidente del Consiglio dei
 Ministri con il patrocinio dell'Avvocatura generale dello Stato,  che
 ha  preliminarmente  eccepito la inammissibilita' del conflitto, alla
 stregua del rilievo che il provvedimento  impugnato  attiene  ad  una
 materia,  in  ordine  alla quale la Regione e' titolare di competenze
 soltanto delegate, con permanenza in capo allo  Stato  di  poteri  di
 intervento diretto a tutela del paesaggio.
   Inoltre,  rileva  l'Avvocatura,  il  decreto  di  cui  si tratta ha
 finalita'  e  contenuti  meramente  organizzatori  dell'esercizio  di
 competenze statali, non presentando, quindi, alcuna diretta incidenza
 nella  sfera  della Regione. Ne' varrebbe il rilievo della ricorrente
 secondo il  quale,  ai  sensi  dell'art.  121,  ultimo  comma,  della
 Costituzione,  sarebbe  solo  il  Governo  centrale a poter impartire
 istruzioni al Presidente della Regione per l'esercizio delle funzioni
 delegate.  Secondo l'Avvocatura, infatti, il  decreto  impugnato  non
 riguarderebbe    funzioni    riconducibili   al   predetto   disposto
 costituzionale.
   Nel merito, il conflitto sarebbe infondato, vertendosi  in  materia
 di  poteri  decentrati,  specificamente  preordinati  a realizzare la
 garanzia   estrema   del   valore   estetico-culturale,   sotto    la
 responsabilita'  ultima  dello  Stato,  cui, pertanto, spetterebbe di
 regolare ed organizzare l'esercizio  nel  rispetto  delle  norme  che
 disciplinano il funzionamento delle amministrazioni statali.
   3.  -  Nell'imminenza della data fissata per l'udienza pubblica, la
 Regione Emilia-Romagna ha depositato una memoria nella quale  insiste
 per l'accoglimento del ricorso, soffermandosi ancora, in particolare,
 sulla  tesi  secondo  la quale poteri di amministrazione attiva dello
 Stato, che riguardino le questioni delegate alle Regioni,  dovrebbero
 essere  esercitati  a livello di governo centrale. Ne', in contrario,
 potrebbe valere, secondo la  ricorrente,  il  richiamo  all'art.  125
 della  Costituzione,  ai sensi del quale il controllo di legittimita'
 sugli  atti  della  Regione  e'  esercitato  dallo  Stato  in   forma
 decentrata,  versandosi,  nella  fattispecie,  in  un caso diverso da
 quello della funzione di controllo,  cui  si  riferisce  la  predetta
 norma  costituzionale.    Infatti,  i poteri statali in questione non
 obbediscono ad uno scopo di controllo, ma piuttosto ad una  finalita'
 di amministrazione attiva a salvaguardia dell'interesse pubblico alla
 tutela del paesaggio.
                         Considerato in diritto
   1.   -   Il  conflitto  di  attribuzione  sollevato  dalla  Regione
 Emilia-Romagna nei confronti dello Stato in  ordine  al  decreto  del
 Direttore  generale  dell'Ufficio  centrale  per  i beni ambientali e
 paesaggistici del Ministero per i beni  culturali  ed  ambientali  18
 dicembre 1996, recante "Decentramento dei poteri di tutela ambientale
 e  paesaggistica"  con  il  quale e' stato delegato ai soprintendenti
 territorialmente competenti - sia pure limitatamente agli  interventi
 interessanti  il  territorio  di  un  unico  comune - l'esercizio dei
 poteri di autorizzazione in via surrogatoria e di annullamento  delle
 autorizzazioni  rilasciate,  nell'ambito del rapporto di delega dallo
 Stato alle Regioni, ai sensi dell'art.  7 della legge 29 giugno 1939,
 n. 1497, denuncia la violazione degli artt. 118 e 121, ultimo  comma,
 della  Costituzione  anche in relazione all'art. 2 della legge n. 382
 del 1975, all'art. 2, comma 3, lettera e), della  legge  n.  400  del
 1988,  e  all'art.  82  del  d.P.R.  n. 616 del 1977, come modificato
 dall'art. 1 del d.l.  27  giugno  1985,  n.    312,  convertito,  con
 modificazioni,  nella legge 8 agosto 1985, n.  431; nonche' dell'art.
 97 della Costituzione e del principio  di  leale  collaborazione  tra
 Stato e Regioni.
   2.   -   Preliminarmente  deve  essere  esattamente  inquadrato  il
 provvedimento  impugnato  nel  sistema   di   organizzazione   e   di
 ripartizione  delle competenze nell'ambito dei principi relativi alle
 amministrazioni pubbliche, quale introdotto dal decreto legislativo 3
 febbraio 1993, n.  29  (Razionalizzazione  dell'organizzazione  delle
 amministrazioni  pubbliche e revisione della disciplina in materia di
 pubblico impiego, a norma dell'art. 2 della legge 23 ottobre 1992, n.
 421), che ha separato "i compiti di direzione politica  e  quelli  di
 direzione   amministrativa",   con   "l'affidamento  ai  dirigenti  -
 nell'ambito  delle  scelte  di  programma  degli  obiettivi  e  delle
 direttive  fissate  dal  titolare dell'organo - di autonomi poteri di
 direzione, di vigilanza e di controllo" (art. 2 della legge-delega n.
 421  del  1992),  di  modo  che  "gli  organi  di  governo"   restano
 affidatari, tra l'altro, delle funzioni di definire gli obiettivi e i
 programmi  da  attuare  e  di verificare la rispondenza dei risultati
 della gestione amministrativa (art. 3, comma 1, del d.lgs. n. 29  del
 1993):  la  espressione "organi di governo" deve essere intesa non in
 senso proprio giuridico-costituzionale, come limitata a Consiglio dei
 ministri e ministri, ma come riferimento agli organi di  direzione  e
 di  guida  (politico-amministrativa)  in  quanto riguardanti tutte le
 amministrazioni dello  Stato  compresi  gli  istituti  e  scuole,  le
 aziende  ed  amministrazioni  statali  ad  ordinamento  autonomo,  le
 Regioni, le Province, i comuni e tutti gli  altri  enti  pubblici  ed
 istituzioni indicati nell'art. 1 del d.lgs. n. 29 del 1993.
   Di  contro  ai  dirigenti spetta la gestione finanziaria, tecnica e
 amministrativa,  compresa  l'adozione  degli   atti   che   impegnano
 l'amministrazione  verso  l'esterno  (art.  3,  comma  2,  del d.lgs.
 citato). Con la conseguenza che - come del resto conferma la prassi -
 "gli atti di gestione di  competenza  dell'organo  di  Governo  prima
 dell'entrata  in  vigore  della  riforma  spettano  ora  ai dirigenti
 preposti alle strutture di piu' elevato livello", di modo  che  sulla
 base  dell'indicato  criterio  si ritengono, ad esempio, demandati al
 dirigente generale i provvedimenti di vincolo previsti dalla legge  1
 giugno  1939,  n. 1089, nonche' quelli di annullamento ai sensi della
 legge 8 agosto 1985, n. 431, e al  Direttore  generale  gli  atti  di
 annullamento e quelli surrogatori ai sensi della legge 8 agosto 1985,
 n.  431  (d.m.  dei  beni  culturali ed ambientali 24 maggio 1994, in
 Gazzetta  Ufficiale  3  giugno  1994,  n.  128).  I   profili   della
 organizzazione  e  della  conseguente  ripartizione  delle competenze
 interne nell'ambito di ciascuna amministrazione sono  affidati,  come
 esercizio  di  potere  di organizzazione, alle stesse amministrazioni
 pubbliche che  "assumono  ogni  determinazione  per  l'organizzazione
 degli  uffici  al  fine  di  assicurare la economicita', speditezza e
 rispondenza al pubblico interesse dell'azione  amministrativa"  (art.
 4, comma 1, del d.lgs. n. 29 del 1993).
   Tale  sistema  e'  stato  sviluppato  dai  sopravvenuti  interventi
 legislativi di cui alla legge 15 marzo 1997, n. 59 - art. 11, comma 4
 - e al d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80, che ha ulteriormente  chiarito  e
 precisato  in particolare le fonti del potere di organizzazione delle
 amministrazioni pubbliche, che "definiscono secondo principi generali
 fissati da disposizione di legge e, sulla base dei medesimi, mediante
 atti-organizzativi   secondo   i  rispettivi  ordinamenti,  le  linee
 fondamentali dell'organizzazione degli uffici". Resta  confermata  la
 spettanza  ai  dirigenti  dell'adozione  degli  "atti e provvedimenti
 amministrativi, compresi gli  atti  che  impegnano  l'amministrazione
 verso  l'esterno"  con  conseguente  assunzione  di  responsabilita'.
 Infine,   vengono   chiariti   espressamente   sia   il   potere   di
 organizzazione  dei  dirigenti  di uffici dirigenziali generali dello
 Stato (il Capo  II  del  d.lgs.  n.  29  del  1993  e'  ora  limitato
 nell'applicazione  alle  sole  amministrazioni  dello Stato, anche ad
 ordinamento autonomo), sia le funzioni degli altri dirigenti, i quali
 "svolgono tutti gli altri compiti  ad  essi  delegati  dai  dirigenti
 degli  uffici  dirigenziali  generali"  (art.  17 del d.lgs n. 29 del
 1993, nel testo sostituito dall'art. 12 del d.lgs. n. 80  del  1998),
 secondo  i  principi  previgenti  in materia di delega amministrativa
 interna nella amministrazione dello Stato.
   Detta delega e' in effetti una semplice esplicitazione della  norma
 di  carattere  generale  gia'  introdotta  dall'art. 14 del d.P.R. 30
 giugno 1972, n. 748,  che  prevedeva  tra  l'altro  espressamente  la
 facolta'  di  delega  di  attribuzioni  da  organi centrali ad organi
 periferici.
   3. -  Cosi'  inquadrato  l'atto  denunciato  con  il  conflitto  di
 attribuzione,  deve  escludersi la idoneita' dello stesso a ledere la
 sfera di competenza costituzionalmente assegnata alla Regione (ed  e'
 questo,  nella specie, il profilo che in ipotesi potrebbe legittimare
 la proposizione di  un  conflitto  di  attribuzione  da  parte  della
 Regione stessa).
   Il  provvedimento impugnato riguarda esclusivamente - per i profili
 che qui interessano - una scelta organizzativa statale nell'esercizio
 di una parte di funzioni rimaste allo Stato all'atto del conferimento
 della delega da Stato a Regioni, ed in particolare la  individuazione
 della competenza, tra gli organi statali, per l'autorizzazione in via
 surrogatoria   e   l'annullamento   delle  autorizzazioni  rilasciate
 nell'ambito del rapporto di delega Stato-Regioni, ai sensi  dell'art.
 7  della legge 29 giugno 1939, n. 1497, limitatamente agli interventi
 interessanti il territorio di un unico comune.
   La Regione contesta non gia' la titolarita' da  parte  dello  Stato
 del  suddetto  potere  di  autorizzazione  in  via  surrogatoria o di
 annullamento, ma che questo venga esercitato, anziche' da  un  organo
 statuale  di  governo centrale, da un organo periferico o addirittura
 di livello territoriale inferiore alle Regioni.
   In  sostanza,  la  controversia  tra  Regione  e   Stato   riguarda
 esclusivamente  un elemento organizzatorio di un potere pacificamente
 spettante allo Stato, nell'ambito della sfera  di  funzioni  ad  esso
 riservate  all'atto  della  disciplina  del conferimento della delega
 alle Regioni.
   Poiche' le anzidette funzioni  statali  riguardano  l'esercizio  di
 attivita'   tecnico-amministrativa   -  al  di  fuori  di  compiti  e
 responsabilita' di direzione politica - in materia non  riservata  ad
 organi  costituzionalmente  rilevanti  in  funzione  di  garanzia dei
 rapporti tra Stato e Regioni (sentenza n. 270 del 1998)  deve  essere
 esclusa  l'ammissibilita'  del  conflitto  da  parte della Regione in
 relazione  ad   atto   statale   che   abbia   individuato   l'organo
 dell'amministrazione   statale   affidatario   dell'esercizio   delle
 funzioni stesse, secondo una scelta non contrastante con  i  criteri,
 fissati  dalla  legge,  di  economicita', speditezza e rispondenza al
 pubblico interesse.
   Non  e'   possibile,   infatti,   ravvisare   nell'anzidetto   atto
 organizzatorio  del  potere  statale  ne'  invasione, ne' menomazione
 della  sfera  regionale,  difettando  quell'interesse   a   ricorrere
 qualificato   dalla  finalita'  di  ripristinare  l'integrita'  delle
 competenze regionali (argomentando anche da sentenze n. 244 del 1997,
 n. 25 del 1996, n. 29 del 1995, ancorche'  relative  a  questioni  di
 legittimita'  proposte  in  via  principale),  che  e'  comune sia ai
 giudizi di legittimita' costituzionale  proposti  in  via  principale
 dalle  Regioni (art. 2 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n.
 1), sia ai conflitti di attribuzione tra Regioni  e  Stato  (art.  39
 della legge 11 marzo 1953, n. 87).
   Con  cio' non si nega, in radice ed in via generale, che la Regione
 possa avvalersi del conflitto di attribuzione in materia  oggetto  di
 delega  anche  al  di  fuori  delle  ipotesi  di  delega propriamente
 traslativa, quando si possa ravvisare  una  sorta  di  statuto  della
 delega  costituzionalmente  rilevante  ai  fini della sfera garantita
 alla Regione, ma  si  esclude  che,  in  relazione  alla  particolare
 conformazione  della  delega  cui si riferisce il presente conflitto,
 sia configurabile una riserva di poteri statali in capo al  Ministro,
 quale  organo responsabile politico a garanzia dei rapporti tra Stato
 e Regione, dipendendo  invece  la  titolarita'  dell'esercizio  delle
 funzioni  tecnico-amministrative  da  una  scelta organizzativa dello
 Stato, modificata con un intervento del legislatore statale,  che  ha
 innovato  trasferendo  in  via  generale  la  gestione amministrativa
 dall'area ministeriale a quella dirigenziale.