IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 2500/97, proposto da Pruiti Ciarello Rosario, rappre-sentato e difeso dall'avv. Antonio Verde, presso il cui studio, in Catania, via Milano n. 97, e' elettivamente domiciliato; Contro la provincia regionale di Catania, in persona del presidente pro-tempore, costituita in giudizio, rappresentata e difesa dall'avv. Carmelo Finocchiaro, elettivamente domiciliata in Catania, via Umberto n. 265; Per l'annullamento dell'atto di diniego dell'autorizzazione provinciale, in conversione di precedente licenza di P.S., per affari con disbrigo di pratiche automobilistiche, di cui alla legge 8 agosto 1991, n. 264, adottato il 25 febbraio 1997, n. 139 prot., notificato l'indomani; Visto il ricorso con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'amministrazione provinciale di Catania; Visti gli atti tutti della causa; Designato relatore per la camera di consiglio del 12 giugno 1997 il consigliere Biagio Campanella; udito l'avv. A. Verde per il ricorrente; Ritenuto in fatto e in diritto quanto segue: F a t t o Il sig. Pruiti Ciarello Rosario, con istanza del 30 luglio 1996, chiedeva all'amministrazione provinciale di Catania la conversione, in autorizzazione provinciale, della licenza di P.S. con la quale era stato abilitato alla gestione di un'agenzia d'affari con disbrigo di pratiche automobilistiche, in Misterbianco, a decorrere dal 25 luglio 1988. Tale diniego, motivato per la mancanza dei requisiti previsti dall'art. 3, comma 1, punto c), della legge 8 agosto 1991, n. 264, essendo stato il sig. Pruiti condannato, in data 24 febbraio 1989, alla pena di L. 1.000.000 di multa per il reato di emissione di assegni a vuoto, viene impugnato con il presente ricorso, notificato il 28 aprile 1997 e depositato il 28 maggio successivo. Il ricorso e' affidato ai seguenti motivi di censura: 1. - Eccesso di potere per difformita' di valutazione e contraddittorieta' manifesta; violazione dell'art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale. Si afferma che il provvedimento impugnato appare lesivo del principio di irretroattivita' della legge, fissato dall'art. 11 delle preleggi, il quale fa salvi gli effetti delle posizioni giuridiche acquisite sotto l'impero della legge precedente. 2. - Illegittimita' costituzionale della disposizione di cui all'art. 3, comma 1, punto c), nell'inciso "per il delitto di emissione di assegno senza provvista di cui all'art. 2 della legge 15 dicembre 1990, n. 386", in relazione agli artt. 4, 29 e 30 della Costituzione. Con tale motivo di censura, proposto in via subordinata, si deduce, in particolare, l'incostituzionalita' della disposizione epigrafata, nella parte in cui non limita nel tempo l'efficacia impeditiva del "delitto di emissione di assegno senza provvista". Si sottolinea, in proposito, che tale reato non suscita alcun allarme sociale, che, nel caso concreto, e' limitato ad un solo episodio risalente nel tempo a circa nove anni fa, e che tale sanzione si tradurrebbe in una sorta di pena accessoria, in una capitis deminutio permanente, con pregiudizio irreparabile della posizione giuridica conseguita nella vigenza della precedente normativa. La provincia regionale di Catania si e' costituita in giudizio chiedendo la reiezione del ricorso. D i r i t t o 1. - Come gia' esposto nelle premesse di fatto, con il ricorso indicato in epigrafe, notificato il 28 aprile 1997 e depositato il 28 maggio successivo, il sig. Pruiti Ciarello Rosario impugna l'atto di diniego dell'autorizzazione provinciale, in conversione di precedente licenza di P.S. per affari con disbrigo di pratiche automobilistiche, di cui alla legge 8 agosto 1991, n. 264, adottato il 25 febbraio 1997, n. 139 di protocollo, per eccesso di potere e violazione dell'art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale (irretroattivita' della legge). In via subordinata, il ricorrente deduce l'illegittimita' costituzionale di cui all'art. 3, comma 1, punto c), nell'inciso "per il delitto di emissione di assegno senza provvista di cui all'art. 2 della legge 15 dicembre 1990, n. 386", in relazione agli artt. 4, 29 e 30 della Costituzione, laddove non viene limitata nel tempo l'efficacia impeditiva del "delitto di emissione di assegno senza provvista". 2. - Questa terza sezione, con ordinanza n. 1552/1997, adottata il 12 giugno 1997, valutando la sussistenza dei presupposti del fumus boni juris e del danno grave ed irreparabile, richiesti dall'art. 21, ultimo comma, della legge n. 1034/1971 per l'erogazione della tutela cautelare nel processo amministrativo, ha ritenuto, quanto al primo, che alla luce dell'art. 3, comma 1, punto c), della legge 8 agosto 1991, n. 264 - della cui legittimita' costituzionale appunto si dubita - l'istanza cautelare avrebbe dovuto essere respinta per carenza del prescritto fumus boni juris; quanto al secondo, ne ha ritenuto la sussistenza. Il collegio, riconosciuta la sussistenza dei presupposti della rilevanza e della non manifesta infondatezza, ha deciso di sollevare, con la presente separata ordinanza, deliberata in pari data (12 giugno 1997), la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 1, punto c), legge 8 agosto 1991, n. 264, nella parte in cui non limita nel tempo l'efficacia dell'inibizione a svolgere un'attivita' economica discendente dalla commissione del reato di emissione di assegno a vuoto. Pertanto il collegio ha accolto temporaneamente la domanda di sospensione dell'impugnato provvedimento negativo, ordinando alla provincia regionale di Catania di riesaminare la situazione controversa regolandola nuovamente a titolo provvisorio, e cioe' rilasciando la richiesta autorizzazione od anche, ove ne ricorressero i presupposti, negando nuovamente il richiesto provvedimento ampliativo qualora sussistessero altre legittime ragioni ostative non evidenziate con l'impugnato provvedimento negativo, e cio' non oltre 70 (settanta ) giorni dalla notificazione dell'ordinanza di sospensione, rinviando l'ulteriore e definitiva trattazione della questione cautelare alla prima camera di consiglio utile dopo la restituzione degli atti del giudizio da parte della Corte costituzionale dopo la decisione della questione di costituzionalita' suindicata. 3. - Cio' premesso, deve anzitutto osservarsi che il collegio ritiene che la predetta questione di costituzionalita' sia rilevante ai fini del decidere e non manifestamente infondata ai sensi e per gli effetti dell'art. 1 della legge costituzionale n. 1/1948, e dell'art. 23/2 della legge n. 87/1953, e cio' nei limiti e per le considerazioni che seguono. 4. - Quanto alla rilevanza della questione indicata al punto 2, indubbiamente l'applicazione delle norme ivi richiamate comporterebbe il rigetto dell'istanza cautelare (e, poi, nel merito, il rigetto del ricorso). Alla luce di dette norme, infatti, dovrebbe escludersi la sussistenza di quel fumus boni juris necessario per la concessione del rimedio cautelare, in quanto gia' ad un primo esame le censure dedotte dovrebbero essere ritenute infondate, ed i provvedimenti impugnati, che di quelle norme hanno fatto applicazione, dovrebbere essere ritenuti legittimi: pur in presenza del danno grave ed irreparabile che ne deriverebbe al ricorrente, pertanto, l'esecuzione di essi non potrebbe essere sospesa. Non potrebbe essere accolto, infatti. il motivo di gravame con il quale si deduce il vizio di eccesso di potere in quanto la norma in questione non lascia alcun margine d'apprezzamento alla p.a. in presenza di condanna per emissione di assegno a vuoto, ed e' risaputo come un tale vizio non puo' concernere gli atti vincolati. Ne' potrebbe condividersi, poi, il motivo di censura con il quale si deduce la violazione dell'art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale, ossia del principio dell'irretroattivita' della legge. Rileva, invero, il collegio che l'irretroattivita' della legge non costituisce un principio assoluto, salvo che per i rapporti giuridici gia' esauriti. Un tale principio riveste un valore inderogabile soltanto allorche' si verta in materia di disposizioni di carattere penale, le quali si identificano tanto nelle disposizioni che configurano un nuovo reato, quanto in quelle che aggravano la pena relativa ad un reato gia' previsto nell'ambito dell'ordinamento giuridico. Per il caso di specie, il collegio osserva che la normativa in questione, almeno nei limiti che interessano il presente giudizio, non introduce alcuna pena ne' alcuna misura di prevenzione per comportamenti anteriori la sua entrata in vigore. Essa si limita a fissare, con efficacia, peraltro, successiva alla sua entrata in vigore, dei limiti e delle preclusioni all'attivita' imprenditoriale; tale disposizione, in sostanza, non presenta un'efficacia retroattiva, ma si limita a stabilire determinati effetti in relazione ad una situazione che si reputa ostativa a che possa svolgersi un'attivita' imprenditoriale, di indubbio pubblico interesse. Del resto, non mancano i casi in cui la legge sopravvenuta richiede la sussistenza di requisiti, prima non richiesti, perche' sia possibile ottentere determinati benefici, e cio', certamente, non significa dare effetti retroattivi alla legge, ma semplicemente considerare certi status, anche se determinati da eventi interiori, attualmente rilevanti per l'applicazione di notevoli restrizioni alla libera attivita' imprenditoriale. Va, infine, osservato che soltanto la declaratoria di illegittimita' parziale della disposizione di legge denunciata consentira' al collegio di pronunciarsi definitivamente e positivamente sulla domanda cautelare proposta dal ricorrente (temporaneamente accolta, come si e' gia' precedentemente accennato in narrativa, sino alla prima camera di consiglio utile dopo la restituzione degli atti del giudizio da parte della Corte costituzionale a seguito della decisione in ordine alla sollevata questione di costituzionalita'; In proposito, poi, e' appena il caso di osservare: 1) che il requisito della rilevanza permane, ovviamente, anche nei casi (come quello in esame) in cui il giudice amministrativo disponga con separata ordinanza - contemporaneamente all'ordinanza di rimessione alla Corte - la sospensione provvisoria e temporanea dei provvedimenti impugnati fino alla ripresa del giudizio cautelare dopo l'incidente di costituzionalita', posto che una tale pronuncia, per la sua natura meramente temporanea ed interinali, non determina l'esaurimento del potere cautelare del giudice a quo (cfr., fra le altre, Corte costituzionale, sentenza n. 336/1991, punto 2 della motivazione, sentenza n. 444/1990, punto 3 della motivazione; 2) e che la sussistenza della predetta rilevanza va valutata allo stato degli atti al momento dell'emanazione dell'ordinanza di rimessione, restando quindi ininfluenti le eventuali pronunce adottande o adottate successivamente dal giudice d'appello (fra le altre, la predetta sentenza n. 357/1991, ibidem). Per tutte le considerazioni ora svolte, la questione appare rilevante ai fini della definizione della fase cautelare del giudizio instaurato con il ricorso in epigrafe. 5. - Quanto al requisito della non manifesta infondatezza della questione di costituzionalita' di cui si discute, la normativa della quale l'amministrazione ha fatto applicazione nella fattispecie si pone in contrasto, ad avviso del collegio, con l'art. 3 della Costituzione sotto il duplice profilo della violazione del principio di ragionevolezza e della violazione del principio di uguaglianza, nonche' con gli artt. 4/1 e 35/1 della Costituzione (tutela del lavoro), come meglio sara' specificato in seguito. 5.1. - Il collegio non ignora che, per una questione che presenta una notevole affinita' con la vicenda oggetto del presente giudizio, la Corte costituzionale si e' pronunciata sulla questione di costituzionalita' del combinato disposto degli artt. 11, ultimo comma, e 138, n. 4, T.U.L.P.S. sollevata dal t.a.r. Campania con ordinanza del 24 marzo 1994, concludendo per l'infondatezza della questione stessa. Tuttavia, ad avviso del collegio, la questione specifica deve essere riconsiderata alla luce di una ricostruzione globale della problematica dell'automatismo sanzionatorio, tenendo conto della coerenza complessiva dell'intero settore normativo di cui si tratta. La ragionevolezza, in generale, delle disposizioni che prevedono riverberi automatici di condanne penali sul rapporto di lavoro (subordinato od autonomo) consiste nella mancata previsione di meccanismi che rendano possibile l'adeguamento (anche nel senso della limitazione temporale) della reazione dell'ordinamento alla effettivita' del reato commesso. Tali meccanismi, in astratto, possono funzionare in uno dei seguenti modi: a) esclusione normativamente predefinita di ipotesi delittuose meno gravi, individuate attraverso la fissazione di un limite di pena; b) previsione di un potere di valutazione discrezionale da parte dell'autorita' di pubblica sicurezza; c) (soluzione intermedia) fissazione di un limite (sotto il profilo della misura della pena o sotto il profilo della tipologia dei reati) al di sopra del quale la reazione dell'ordinamento e' automatica, e al di sotto del quale, invece, e' lasciato all'autorita' di pubblica sicurezza un margine di apprezzamento discrezionale. Tutte le soluzioni prospettate contengono un minimo o un massimo di modulazione della reazione dell'ordinamento in ragione dell'entita' della devianza dalla legalita'; e' invece del tutto irrazionale la previsione di conseguenze identiche rispetto a fatti di natura incommensurabilmente diversa sotto il duplice profilo dell'allarme sociale che provocano e della potenzialita' criminosa del soggetto che esprimono (si pensi, per un'esemplificazione degli estremi opposti, alla partecipazione a banda armata, all'associazione per delinquere semplice e di stampo mafioso, all'omicidio doloso, da un lato, ed all'emissione di assegno a vuoto - come nel caso di specie - ovvero ai delitti colposi, dall'altro). 5.2. - Peraltro, il contrasto di ogni automatismo sanzionatorio con il principio di ragionevolezza contenuto nell'art. 3 della Costituzione e' stato a volte posto dalla Corte costituzionale a fondamento di pronunce con le quali sono state eliminate le disposizioni che - a fronte di un fatto illecito dal quale scaturissero conseguenze sanzionatorie di tipo disciplinare - non consentivano di adeguare la risposta punitiva all'entita' dell'illecito stesso. Per una panoramica delle questioni incentrate sulla violazione del principio di proporzione, si ricordano la sentenza n. 971/1988 (incostituzionalita' dell'art. 85, lett. a), del t.u. n. 3/1957 - ed anche dell'art. 236 D.L.P.R.S. n. 6/1995 - per violazione degli artt. 3, 4, 25 e 97 della Costituzione, relativamente alla previsione della destituzione di diritto del condannato per taluni delitti specificamente indicati), la sentenza n. 40/1990 (incostituzionalita' dell'art. 139 della legge n. 89/1913, per violazione dell'art. 3 della Costituzione, nella parte in cui prevede l'inabilitazione di diritto del notaio condannato per alcuno dei reati indicati nell'art. 5, n. 3, della stessa legge notarile, con sentenza non ancora passata in giudicato), la sentenza n. 158/1990 (incostituzionalita' dell'art. 38 della legge n. 1067/1953, per violazione dell'art. 3 della Costituzione, nella parte in cui prevede la destituzione di diritto, senza apertura del procedimento disciplinare, in ipotesi di condanna per delitto previsto dall'ordinamento professionale), la sentenza n. 16/1991 (incostituzionalita', per violazione dell'art. 3 della Costituzione, della destituzione di diritto contro la p.a., prevista dalla legge della regione Lombardia n. 44/1983, art. 26/1, lett. a), la sentenza n. 197/1993 (illegittimita' dell'art. 15, comma 4-octies, della legge n. 55/1990, introdotto dall'art. 1 della legge n. 16/1992, nella parte in cui, mediante rinvio al comma 4-quinquies, prevede la destituzione di diritto, anzicche' lo svolgimento del procedimento disciplinare ai sensi dell'art. 9 della legge n. 19/1990, nei confronti dei dipendenti pubblici condannati per taluni reati), la sentenza n. 220/1995 (incostituzionalita' dell'art. 1258/1 del codice della navigazione, per contrasto con gli artt. 3, 4 e 35 della Costituzione, relativamente alla previsione della cancellazione dal registro dei lavoratori portuali come effetto automatico di una condanna che comporti l'incapacita' all'iscrizione). Il sistema sanzionatorio, come delineato dagli interventi della Corte costituzionale ora richiamati, deve essere ispirato ai principi di proporzione e del contraddittorio, strettamente connessi fra loro. Illuminante in proposito appare il passaggio della piu' recente pronuncia fra quelle sopra citate, secondo cui "in generale l'esercizio di un potere disciplinare riferito allo svolgimento di qualsiasi rapporto di lavoro subordinato (di diritto privato o di pubblico impiego) ovvero di lavoro autonomo o professionale - potere che implica un rapporto di supremazia per cui un soggetto (normalmente, ma non necessariamente, il datore di lavoro) puo', con un suo atto unilaterale, determinare conseguenze in senso lato negative (quali quelle insite nelle sanzioni disciplinari) nella sfera soggettiva di un altro soggetto (il prestatore di lavoro) in ragione di un comportamento negligente o colpevole di quest'ultimo - deve rispondere al principio di proporzione e alla regola del contraddittorio. Il primo - che rappresenta una diretta espressione del generale canone di ragionevolezza (ex art. 3 della Costituzione), coniugato alla tutela del lavoro e della dignita' del lavoratore (artt. 4 e 35 della Costituzione) - implica che il potere deve estrinsecarsi in modo coerente al fatto addebitato che quindi deve necessariamente essere valutato e ponderato, nel contesto delle circostanze che in concreto hanno connotato il suo accadimento, per commisurare ad esso, ove ritenuto sussistente, la sanzione da irrogare parametrandola alla sua maggiore o minore gravita'. 6. - La normativa in esame si pone, altresi', ad avviso del collegio, in contrasto con gli artt. 4/1 e 35/1 della Costituzione (tutela del lavoro), in quanto la gravissima sanzione dell'impossibilita' di intraprendere l'esercizio di un'attivita' economica puo' conseguire anche a comportamenti illeciti non particolarmente gravi, che non sono espressione di una particolare potenzialita' criminosa del soggetto, comportando il sacrificio di un bene ritenuto di preminente importanza dalla Costituzione senza adeguata giustificazione (giustificazione che potrebbe rinvenirsi soltanto nell'esigenza di tutelare altri valori di rango costituzionale). L'illegittimita' di ogni disposizione che non limiti nel tempo le sanzioni che si indentificano nella cancellazione dagli albi, nelle radiazioni, ecc., e' stata anche riconosciuta dagli organi di giustizia sportiva, solitamente poco propensi ad adeguarsi ai nuovi principi, quali vengono di volta involta pronunciati dagli organi della giustizia ordinaria, amministrativa e contabile; cio' e' avvenuto, praticamente per la prima volta, nei confronti di alcuni calciatori coinvolti nello scandalo del c.d. calcioscommesse. 7. - Qualche ulteriore spunto di riflessione, infine, puo' trarsi anche - in modo piu' indiretto, ma con argomentazioni per certi versi forse piu' vistose - dalla recente pronuncia con la quale la Corte, sulla base dei principi contenuti negli artt. 2, 3, e 51 della Costituzione, ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 15/1, lett. e), della legge n. 55/1990, come modificato dall'art. 1 della legge n. 16/1992, nella parte in cui prevede la non candidabilita' alle elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali per i quali, in relazione ai delitti indicati nella precedente lett. a), e' stato disposto il giudizio, ovvero per coloro che sono stati presentati o citati a comparire in udienza per il giudizio, e dello stesso art. 15, lett. a), b), c) e d), nella parte in cui prevede la non candidabilita' alle elezioni predette di coloro i quali siano stati condannati, per i delitti indicati, con sentenza non ancora passata in giudicato, nonche' lett. f), nella parte in cui prevede la ripetuta incandidabilita' di coloro nei cui confronti il tribunale ha applicato una misura di prevenzione quando il relativo provvedimento non abbia carattere definitivo. Non sfuggono al collegio gli elementi di profonda diversita' tra la fattispecie prevista dal combinato disposto delle norme che interessano la controversia in trattazione. Pur nella consapevolezza di tutto cio', e senza, peraltro, volere instaurare improponibili parallelismi fra la normativa dichiarata incostituzionale con la sentenza n. 141/1996, e quella oggetto della presente questione di costituzionalita', il collegio ritiene purtuttavia che alcune conseguenze di ordine generale possano trarsi dalla sentenza della Corte appena richiamata. Innanzitutto, detta sentenza ben si colloca in un clima culturale meno influenzato dalle diverse "emergenze" succedutesi, come e' noto, nel Paese negli ultimi anni, che', anzi, da tutti e' avvertita - e non soltanto nelle istituzioni, ma anche, diffusamente, dai cittadini - la necessita' di ridurre al minimo gli interventi ispirati alla logica, appunto, dell'emergenza, che implica il ricorso a misure gravi, che certamente si giustificano sul piano dell'urgenza di tutelare beni e valori primari (credibilita' delle istituzioni, fiducia del cittadino nella stessa trasparenza nell'esercizio dei pubblici poteri) con inevitabile sacrificio di altri beni e valori primari, sacrificio che, tuttavia, deve essere rigorosamente ammesso "solo nei limiti indispensabili a tutela di altri interessi di rango costituzionale" (sentenza n. 141/1996). Orbene, ad avviso del collegio, nella fattispecie disciplinata dalla normativa di cui si sospetta l'incostituzionalita', nulla giustifica il sacrificio dei diritti tutelati dagli artt. 3/1, 4/1 e 35 della Costituzione. Pur nella consapevolezza, si ripete, delle rilevanti differenze strutturali fra le due ipotesi, non puo' non apparire irragionevole che l'essere stati condannati, sia pure non definitivamente, per delitti di una certa gravita', non osti alla possibilita' di divenire consiglieri regionali, comunali o provinciali, e di instaurare con l'amministrazione detto rapporto onorario, mentre l'aver riportato condanna ad una mite pena pecuniaria impedisce invece di ottenere l'autorizzazione all'esercizio di un'agenzia d'affari per disbrigo di pratiche automobilistiche. 8. - Conclusivamente, atteso che le descritte questioni di costituzionalita' appaiono rilevanti per la decisione del ricorso, anche in sede cautelare, e non manifestamente infondate, si rende necessario sospendere il presente giudizio, in atteso che la Corte costituzionale si pronunci sull'eccezione d'anticostituzionalita', per violazione degli artt. 3/1, 4/1 e 35/1 della Costituzione, dell'art. 3, comma 1, punto c), della legge 8 agosto 1991, n. 264, laddove prevede che chi abbia riportato una condanna per delitto di emissione di assegno a vuoto non possa svolgere, senza alcun limite temporale, l'attivita' di consulenza per la circolazione dei mezzi di trasporto.