IL PRETORE Ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento penale a carico di Giuseppe Danova imputato del reato di cui agli artt. 81 c.p.v. c.p. e 37, legge 24 novembre 1981, n. 689, per avere, nella qualita' di titolare dell'impresa "Danova Giuseppe", con piu' azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, omesso di presentare la denuncia obbligatoria di cui al DM/10/M all'Inps di Milano per il periodo dall'ottobre 1993 al gennaio 1994 al fine di omettere in tutto od in parte il versamento dei contributi dovuti per una somma eccedente i cinque milioni mensili. Rilevato in fatto Con decreto di citazione ritualmente notificato il 3 febbraio 1998, Giuseppe Danova veniva rinviato a giudizio innanzi a questo pretore per rispondere del reato di cui in epigrafe. Alla prima udienza la difesa ha chiesto che il giudice emanasse sentenza dichiarativa dell'avvenuta estinzione del reato ai sensi del combinato disposto del secondo comma dell'art. 4 d.-l. 28 marzo 1997 n. 79 e del comma 230, dell'art. 1, legge 23 dicembre 1996 n. 662, cosi come richiamato dal sesto comma dell'art. 4 predetto. Ha rilevato il difensore che il sig. Danova aveva omesso di presentare la denuncia obbligatoria di cui al DM/10/M per il periodo in contestazione non potendo provvedere, a cagione della precaria condizione finanziaria della ditta, al pagamento dei contributi e che, in conseguenza di cio', l'Inps di Milano aveva chiesto ed ottenuto l'emissione di decreto ingiuntivo a suo carico, decreto notificato il 6 settembre 1996. L'imputato, con dichiarazione in data 11 settembre 1996, aveva rappresentato all'istituto di non essere in grado di corrispondere il dovuto in unica soluzione ed, effettuato un primo pagamento con assegno circolare, si era impegnato a versare ratealmente la somma residua. Ciononostante l'Inps di Milano, in data 9 ottobre 1996, aveva trasmesso alla competente Procura della Repubblica presso la pretura circondariale la comunicazione relativa alle omissioni di cui ci si occupa, comunicazione che ha dato origine al presente giudizio. Il sig. Danova aveva presentato, nel dicembre 1996, una prima domanda per avvalersi delle agevolazioni previste dall'art. 2, d.-l. 23 ottobre 1996 n. 538 e, nel marzo 1997, una seconda richiesta per fruire dei vantaggi concessi dall'art. 4 d.-l. 28 marzo 1997 n. 79, prevedendo una regolarizzazione in trenta rate bimestrali consecutive di uguale importo e provvedendo, da allora, al regolare pagamento. Il difensore ha sostenuto che la lettura comparata delle due norme in precedenza citate consentiva di affermare che la regolarizzazione della posizione contributiva, dalla quale dipendeva l'estinzione del reato, doveva "intendersi perfezionata con la semplice presentazione della domanda, che ha l'effetto di sostituire alla sanzione penale una diversa sanzione amministrativa" ed ha, percio', chiesto che il pretore emettesse sentenza dichiarativa di tale avvenuta estinzione. L'istanza della difesa e' stata proposta nella fase degli atti preliminari ed il p.m. si e' opposto al suo accoglimento: la richiesta e' stata, percio', respinta poiche' l'art. 469 c.p.p. espressamente prevede che, fuori dei casi indicati dall'art. 129 comma 2 c.p.p., il giudice possa pronunciare sentenza predibattimentale di non doversi procedere per estinzione del reato dopo aver sentito l'imputato ed il p.m. e se questi non si oppongono. La scrivente, peraltro, ha ritenuto inaccoglibile nel merito l'istanza rilevando che la regolarizzazione cui fa riferimento la norma deve essere necessariamente completa, intendendosi con cio' l'integrale pagamento del debito contributivo e delle altre somme previste dalla legge sicche', pur apparendo provata dalla documentazione prodotta dalla difesa, la sussistenza in fatto della situazione prospettata, non poteva farsi luogo ad una sentenza di non doversi procedere per estinzione del reato. Per la trattazione del procedimento e' stata, quindi, fissata l'odierna udienza e la difesa ha chiesto che il giudice promuovesse la questione di illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 230, legge 23 dicembre 1996, n. 662, richiamato dall'art. 4, comma 6, d.-l. 28 marzo 1997, n. 79, nella parte in cui non prevede la sospensione del procedimento penale in attesa della completa regolarizzazione della posizione contributiva, per violazione del principio di eguaglianza sancito dall'art. 3 della Carta costituzionale. Considerato in diritto La questione non appare manifestamente infondata. L'art. 4 d.-l. 79/1997, convertito con legge 140/1997, reca disposizioni in materia di condono previdenziale e ammette i soggetti tenuti al versamento dei contributi e dei premi previdenziali ed assistenziali, debitori per contributi omessi o pagati tardivamente, a regolarizzare la propria posizione mediante il versamento agli enti impositori di quanto dovuto a titolo di contributi e premi maggiorati degli interessi del 10% annuo. La regolarizzazione puo' avvenire in trenta rate bimestrali consecutive di eguale importo ed, in tale caso, l'importo delle rate comprensive degli interessi nella misura del 7% annuo e' calcolato applicando al debito un coefficiente indicato dalla tabella A) allegata al decreto. Il sesto comma della norma fa salve le disposizioni contenute nell'art. 1, commi 228, 230 e 232 legge 662/1996. Il comma 230 della legge citata stabilisce che "la regolarizzazione estingue i reati previsti da leggi speciali in materia di versamento di contributi e di premi e le obbligazioni per sanzioni amministrative, e per ogni altro onere accessorio, connessi con le violazioni sulle norme sul collocamento, nonche' con la denuncia e con il versamento dei contributi e dei premi medesimi". Non vi e' dubbio, quindi, che la regolarizzazione ha effetto estintivo anche del reato oggi contestato all'imputato, cui viene contestato di non aver presentato la denuncia obbligatoria ex DM/10/M al fine di omettere il versamento dei contributi dovuti. Il sig. Danova, tuttavia, pur avendo presentato regolare domanda di condono previdenziale, essendo stato ammesso dall'ente impositore al pagamento rateale ai sensi di legge ed avendo provveduto al versamento delle scadenze sino ad ora maturate, si trova esposto a dover subire il procedimento penale senza poter far valere il realizzarsi della causa estintiva. Ritiene, invero, il pretore che, come gia' osservato nella parte introduttiva della presente ordinanza, la speciale causa di estinzione in esame si realizza unicamente con l'avvenuta regolarizzazione della posizione contributiva, poiche' in tal senso depone anche il tenore letterale della norma che afferma che "la regolarizzazione estingue i reati", mentre diversamente avrebbe riconosciuto la medesima efficacia alla domanda di regolarizzazione, ovvero al pagamento anche parziale. Va, in proposito, osservato che quando il legislatore ha inteso disciplinare diversamente gli effetti della domanda di regolarizzazione, lo ha esplicitamente stabilito come ad esempio in materia di condono edilizio prevedendo che l'effetto estintivo del reato conseguisse alla presentazione della domanda ed al pagamento della somma autodeterminata dall'imputato, anche ove questa fosse, in ipotesi, inferiore al dovuto poiche', nel silenzio della p.a. che non richiedeva il conguaglio nei termini di legge, detto effetto si realizzava egualmente. Il sig. Danova, quindi, deve subire il procedimento penale, ne' puo chiedere che lo stesso sia sospeso in attesa della regolarizzazione della sua posizione contributiva. Nel vigente codice di rito, infatti, non esistono ipotesi di sospensione diverse da quelle espressamente indicate e l'indicazione deve ritenersi tassativa. Nessuna previsione in tal senso e', poi, contenuta nell'art. 1, comma 230, legge 662/1996 che, invece, stabilisce unicamente la sospensione dei provvedimenti di esecuzione per effetto della presentazione della domanda di regolarizzazione e subordinatamente al pagamento delle somme alle scadenze previste. La mancata previsione della sospensione del procedimento ha un particolare rilievo ai fini che qui interessano, poiche' impedisce il realizzarsi degli effetti sostanziali e procedurali che da tale previsione conseguirebbero. Ci si riferisce, in particolare, all'effetto sospensivo del corso della prescrizione attribuito, dall'art. 159 c.p., alle cause di sospensione del procedimento previste o imposte da particolari disposizioni di legge. Il problema non e' di secondaria importanza poiche' la mancata previsione della sospensione del procedimento e la conseguente impossibilita' di ritenere sospeso il corso della prescrizione impone al giudice di procedere per evitare che il reato, che non puo' essere dichiarato estinto non essendosi perfezionata la pratica di condono previdenziale, si estingua per prescrizione. Giova, in proposito, ricordare che le modalita' di pagamento previste dal d.-l. 79/1997 (trenta rate bimestrali) facoltizzano il debitore ad effettuare il versamento in un termine, quello di cinque anni, che coincide con quello ordinario di prescrizione dei delitti configurabili in materia. La situazione prospettata induce il giudicante a ritenere sussistenti alcuni profili di incostituzionalita' delle norme in esame. Va, invero, evidenziato che il sistema cosi come ricostruito ha l'effetto di realizzare una ingiustificata disparita' di trattamento tra cittadini sulla base delle condizioni economiche, disparita' che si traduce in una diversa possibilita' di far valere le proprie ragioni in giudizio. E' pur vero, infatti, che la scelta di effettuare il pagamento nei termini massimi previsti dalla legge anziche' in unica soluzione ovvero in tempi piu' brevi e', appunto, una scelta che e' lasciata al debitore che ben puo' decidere di versare subito quanto dovuto ottenendo l'estinzione del reato. E' pero' altresi' vero che la necessita' di richiedere il pagamento rateale massimo deriva molto spesso dalle condizioni economiche del debitore che non e' in grado di adempiere diversamente, cosi come e' avvenuto nel caso di specie avendo l'imputato, ben prima di presentare domanda di condono, rappresentato all'Inps la sua impossibilita' di pagare in unica soluzione. La disparita' di cui si discute, a parere della scrivente, si risolve anche in un trattamento ingiustificatamente diverso dei cittadini in sede giurisdizionale, ed induce a richiamare i principi affermati dalla Corte costituzionale con le sentenze 67/1960 e 21/1961 con le quali fu dichiarata l'illegittimita' costituzionale degli istituti della cautio pro expensis e del solve et repete. Certamente gli istituti di cui si discute avevano natura diversa da quelli oggi in esame perche' subordinavano la possibilita' per il cittadino di esperire l'azione giudiziaria al preventivo pagamento di una somma, mentre l'ipotesi di cui si parla nel presente giudizio non condiziona l'esercizio della tutela giurisdizionale. In tal senso puo' dirsi che la fattispecie in esame e' in qualche modo assimilabile all'istituto dell'oblazione, sottoposto al vaglio di costituzionalita' della Corte per profili analoghi a quelli oggi evidenziati. Va, pero', osservato che, a differenza del predetto istituto, il condono previdenziale integra, spesso, gli estremi di una sorta di autodenuncia: il cittadino per ottenere l'estinzione del reato deve portare a conoscenza dell'ente impositore l'avvenuta consumazione dello stesso ed e' a cio' tenuto anche se l'organo di controllo non ha ancora accertato il fatto o contestato la violazione, dovendo la domanda essere presentata comunque nei termini di legge. Presentata la domanda il debitore che non e' in grado di adempiere in tempi brevi al pagamento subisce il procedimento penale mentre colui che puo' versare il dovuto in unica soluzione puo' beneficiare della causa estintiva. Puo', pertanto, convenirsi col difensore quando osserva che "tra tutti i soggetti che hanno avuto accesso al condono previdenziale, da un lato vi sono coloro i quali, regolarizzata la propria posizione contributiva attraverso l'integrale pagamento, si sono potuti giovare dell'estinzione del reato, vi sono poi, dall'altro, coloro che, pur regolarizzando ratealmente la propria posizione contributiva, non possono giovarsi dell'estinzione del reato e non hanno, quindi, alcuna possibilita' di sottrarsi alla condanna penale per un fatto riconosciuto con lo stesso deposito della domanda di regolarizzazione contributiva". L'avvenuta estinzione del reato per condono potra', ovviamente, essere fatta valere anche in grado di appello, ma non vi e' chi non veda come sia diversa la situazione dell'imputato che definisce la propria posizione in primo grado, rispetto a chi deve affrontare il giudizio di secondo grado. Come evidenziato dalla difesa nessun rilievo puo', infatti, attribuirsi alla circostanza che, una volta intervenuto il pagamento, "l'imputato condannato potrebbe vedere cessati gli effetti della condanna" poiche' "comunque nel tempo in cui la condanna trova esecuzione, la posizione di chi deve subirne gli effetti, anche se solo temporanei, e' palesemente peggiore rispetto a quella di chi si e' invece giovato di una pronuncia di estinzione del reato". La disparita' di cui si e' detto appare del tutto irragionevole. In proposito giova ricordare che l'art. 3, comma 9, d.-l. 103/1991 convertito con legge 166/1991 prevedeva la sospensione, dalla data di entrata in vigore del decreto, di tutti i procedimenti penali relativi a reati previsti da leggi speciali in materia di versamenti di contributi o premi e che l'art. 18, comma 15, legge 724/1994 prevedeva che l'accoglimento della domanda di pagamento agevolato sospendesse "i provvedimenti di merito e di esecuzione in corso in qualsiasi fase e grado, fino al totale pagamento delle somme determinate alle relative scadenze". Le leggi suddette prevedevano un pagamento rateale meno dilazionato di quello autorizzato dal d.-l. 79/1997 e, quindi, meno favorevole per i cittadini non abbienti e tuttavia facevano salva la possibilita' per detti cittadini di ottenere sin dal primo grado di giudizio una sentenza dichiarativa dell'estinzione del reato, prevedendo la sospensione dei procedimenti in corso. La nuova normativa, che pure concede una piu' ampia dilazione di pagamento e si pone, in conseguenza, in un'ottica di maggior favore nei confronti dei non abbienti, irragionevolmente poi li penalizza non consentendo loro di ottenere la sospensione del procedimento e far valere sin dal primo grado di giudizio la speciale causa di estinzione del reato. Ne' consegue che la stessa materia e' stata in passato diversamente disciplinata con le stesse finalita' oggi perseguite dal legislatore ma senza introdurre elementi di disparita' basati sulle condizioni economiche dei cittadini. La questione di costituzionalita' appare rilevante nel presente giudizio. La difesa ha formulato istanza di sospensione del procedimento in corso, istanza che allo stato non potrebbe trovare accoglimento. Dalla risoluzione della questione dipende, altresi', la possibilita' per l'imputato di far valere, all'esito del pagamento rateale cui e' stato ammesso dall'ente impositore, l'avvenuta estinzione del reato.