IL PRETORE Nelle cause riunite, in materia di previdenza ed assistenza, obbligatoria, r.g. n. 642/1997 e n. 643/1997, promosse dall'Azienda U.S.S.L. n. 15, con sede in Breno, in persona del commissario straordinario e legale rappresentante dott. Marco Teggia Droghi, nonche' dal prof. Comensoli Paolo Franco, residente in Cividate Camuno, e dal prof. Bonomelli Alessandro, tutti elettivamente domiciliati in Brescia presso l'avv. Federico Nobili, rappresentati e difesi dagli avv.ti Federico Nobili e Giovanni Pedretti i quali li rappresentano e difendono in forza di mandati in calce agli atti introduttivi dei giudizi, opponenti; Contro l'I.N.P.S. - Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, con sede in Roma, in persona del suo Presidente pro-tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Giorgio Lauria per procura notarile alle liti depositata in cancelleria, con domicilio eletto in Brescia, via Cefalonia, n. 49, opposto; Il pretore di Brescia in funzione di giudice del lavoro visti: gli atti difensivi delle parti; l'art. 13 della legge n. 498 del 1992, come sostituito dall'art. 6-bis della legge 18 marzo 1993, n. 67, di conversione con modificazioni del d.-l. 18 gennaio 1993, n. 9; l'art. 74 del d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, come sostituito dall'art. 38 del d.lgs 23 dicembre 1993, n. 546; la legge delega 23 ottobre 1992, n. 421; la sentenza della Corte costituzionale 23-31 marzo 1994, n. 115; l'ordinanza 14-24 luglio 1998, n. 329 della Corte costituzionale; l'art. 23 della legge ordinaria 11 marzo 1953, n. 87; l'art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1; l'art. 1 della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1; gli artt. 3, 76, 77, 134, 136 e 137 della Costituzione; Nella pubblica udienza del 19 ottobre 1998, ha pronunciato, dandone integrale lettura la seguente ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale di questione di legittimita' costituzionale, rilevata d'ufficio, ai sensi dell'art. 134 della Costituzione, dell'art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, e dell'art. 23 della legge ordinaria 11 marzo 1953, n. 87. 1. - Con due distinti atti introduttivi dei giudizi, depositati entrambi in cancelleria in data 17 marzo 1997 e poi riuniti, gli opponenti chiedono, con identiche argomentazioni, che venga dichiarata l'illegittimita' delle ordinanze ingiunzione n. 19/97 e n. 20/97, emesse in data 12 febbraio 1997 dal direttore della sede I.N.P.S. di Brescia e, comunque, il loro annullamento o revoca, perche' viziate nei presupposti di legittimita' e di merito e, comunque, perche' infondate in fatto ed in diritto; gli opponenti negano, contestando cosi' alla radice gli atti ingiuntivi dell'I.N.P.S., la natura subordinata del rapporto di lavoro intercorso con il sig. Bruno Ghitti nel periodo complessivamente compreso tra il febbraio 1991 ed il dicembre 1995. A sostegno di tali conclusioni, la difesa degli opponenti richiama l'art. 13 della legge n. 498 del 1992, come sostituito dall'art. 6-bis della legge 18 marzo 1993, n. 67, di conversione con modificazioni del decreto-legge 18 gennaio 1993, n. 9, ricordando la costante giurisprudenza dell'adito pretore che, in chiaro contrasto con la sentenza n. 115/94 della Corte costituzionale, interpreta la suddetta norma nel senso che essa pone una presunzione juris et de jure di inesistenza di rapporti di lavoro subordinato in presenza di contratti di lavoro autonomo e libero-professionale stipulati dai soggetti individuati nella stessa norma, cosicche', in caso di mancata contestazione sull'esistenza in se' dei contratti di lavoro autonomo e libero professionale, e' preclusa ogni attivita' probatoria ed e' vietata ogni interpretazione sulla vera natura dei rapporti di lavoro, restando ferma per espressa volonta' di legge la natura non subordinata di tali rapporti. Gli opponenti svolgono, in via subordinata, difese in linea di fatto, negando, comunque, in concreto, l'esistenza delle caratteristiche della subordinazione nel rapporto di lavoro di cui trattasi. L'I.N.P.S., ritualmente costituito nei due giudizi, poi riuniti, resiste alle avverse domande, concludendo per il rigetto delle opposizioni. L'istituto nelle memorie difensive, aventi lo stesso contenuto, non offre argomenti di rilievo per quanto concernente l'interpretazione dell'art. 13 della legge n. 498 del 1992, come sostituito dall'art. 6-bis della legge 18 marzo 1993, n. 67, di conversione con modificazioni del d.-l. 18 gennaio 1993, n. 9, limitandosi a negare che ad escludere la subordinazione possa valere il nomen iuris dato dalle parti al rapporto, ne' la volonta' di escludere la stessa. L'I.N.P.S. non contesta l'esistenza del contratto di lavoro libero professionale tra l'opponente ed il sig. Ghitti Bruno, ma afferma e pretende di provare che, in realta', nel rapporto di lavoro in discussione si rinvengono gli elementi caretteristici del rapporto di subordinazione. Gli altri aspetti di merito della controversia non devono essere ricordati, poiche' sono del tutto ininfluenti ai fini della valutazione sulla sussistenza dei requisiti della non manifesta infondatezza e della rilevanza in causa delle questioni di legittimita' costituzionale oggetto della presente ordinanza. 2. - Come si e' appena detto, la principale tesi difensiva degli opponenti richiama la giurisprudenza del giudice adito sull'art. 6-bis del d.-l. 18 gennaio 1993, n. 9, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge n. 67 del 18 marzo 1993, che sostituisce l'art. 13 della legge 23 dicembre 1992, n. 498, legge finanziaria 1993, ed e' chiaro che - pur restando sempre salvo ogni possibile mutamento interpretativo - la giurisprudenza di questo pretore dovrebbe condurre alla definizione della controversia, in senso favorevole agli opponenti, senza necessita' di attivita' istruttoria. Ogni spazio per confermare il proprio orientamento e', pero', oggi precluso a questo giudice, poiche' l'art. 6-bis del d.-l. 18 gennaio 1993, n. 9, convertito, con modificazioni, nella legge n. 67/1993, che sostituisce l'art. 13 della legge 23 dicembre 1992, n. 498, risulta essere stato abrogato dall'art. 74 del d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, come sostituito dall'art. 38 del d.lgs. 23 dicembre 1993, n. 546. 3. - Poiche' questo giudice ravvisa plurime e gravi violazioni della Costituzione nella disposizione abrogatrice sopra indicata, deve essere rilevata d'ufficio questione di legittimita' costituzionale a carico dello stesso art. 74 del d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, come sostituito dall'art. 38 del d.lgs. 23 dicembre 1993, n. 546. Tutte le censure d'incostituzionalita' che verranno qui esposte sono ben note alla Corte costituzionale, giacche' esse sono state gia' evidenziate nel ricorso per conflitto di attribuzione, proposto da questa autorita' giudiziaria nei confronti del Consiglio dei Ministri, deciso dalla Corte con l'ordinanza 14-24 luglio 1998, n. 329, dichiarativa dell'inammissibilita' del conflitto. Tuttavia, poiche' e' direttamente nota a questo pretore l'inflessibile giurisprudenza della Corte che afferma l'inammissibilita' delle questioni di legittimita' costituzionale motivate solo per relationem, risulta necessario ribadire, ripercorrendoli e rinnovandoli, anche gli stessi argomenti sviluppati nel ricorso per conflitto di attribuzione sopra citato, ad esclusione di quelle parti che risultano palesemente ultronee in questa sede. 4. - Vizi di incompetenza ed incostituzionalita' dell'art. 74 del d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, come sostituito dall'art. 38 del d.lgs. 23 dicembre 1993, n. 546. L'art. 76 della Costituzione prevede che "l'esercizio della funzione legislativa non puo' essere delegato al Governo, se non con determinazione di principi e criteri direttivi e soltanto per tempo limitato e per oggetti definiti". A sua volta l'art. 77, primo comma, della Costituzione dispone che "il Governo non puo', senza delegazione delle Camere, emanare decreti che abbiano valore di legge ordinaria". Da tali precetti si deve, obbligatoriamente, dedurre l'illegittimita' costituzionale - per difetto assoluto di competenza del Consiglio dei Ministri - delle norme contenute nel decreto legislativo delegato che non trovino riscontro nei principi e criteri direttivi fissati dalla legge delega, con riferimento ad oggi definiti. E' il caso dell'art. 74 del d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, come sostituito dall'art. 38 del d.lgs. 23 dicembre 1993, n. 546, giacche', dall'esame complessivo di tutta la legge delega 23 ottobre 1992, n. 421, emerge con evidenza che non e' previsto e definito, in nessuna sua disposizione, tra quelli per i quali viene attribuito al Governo il potere di legiferare, un oggetto inerente i rapporti di lavoro autonomo e professionale, dal che consegue il difetto di competenza del Consiglio dei Ministri, per aver ecceduto dai limiti della delega e, dunque, il vizio di legittimita' costituzionale della disposizione normativa che ha abrogato l'art. 13 della legge n. 498/1992, come sostituito dall'art. 6-bis della legge 18 marzo 1993, n. 67, per violazione degli artt. 76 e 77, primo comma, della Costituzione. 4.-a. - Anche sotto un altro aspetto deve ravvisarsi il medesimo vizio sopra individuato, a carico sempre della suddetta norma abrogatrice: poiche' la legge delega 23 ottobre 1992, n. 421 e' precedente all'entrata in vigore dell'art. 13 della legge 23 dicembre 1992, n. 498, ed, ovviamente, anche dell'art. 6-bis (che ha sostituito l'art. 13 della legge n. 498/1992) della legge 18 marzo 1993, n. 67, di conversione con modificazioni del d.-l. 18 gennaio 1993, n. 9, appare palese che il Consiglio dei Ministri, con l'art. 74 del d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29 come sostituito dall'art. 38 del d.lgs. 23 dicembre 1993, n. 546, ha abrogato una disposizione di legge che non esisteva nell'ordinamento all'epoca dell'emanazione della legge delega e, dunque, ha superato in senso assoluto i limiti impliciti per un corretto esercizio della funzione legislativa delegata, non essendo razionalmente concepibile che le due Camere del Parlamento intendessero attribuire al Governo il potere di abrogare disposizioni non ancora approvate e, cosi', di mettere nel nulla le scelte future del legislatore. 4.-b. - L'assoluta ed evidente irragionevolezza dell'abrogazione - attuata, come si e' visto, con il decreto legislativo n. 546/1993, traente la sua legittimazione dalla legge delega n. 421 del 1992 - della norma di legge, successivamente approvata dalle due Camere (art. 13, legge n. 498/1992 nella prima formulazione e nella nuova e definitiva, quale espressa nell'art. 6-bis della legge n. 67/1993), determina anche il vizio di costituzionalita', a carico della disposizione abrogatrice, per violazione del principio di ragionevolezza, immanente nell'art. 3 della legge fondamentale della Repubblica. 5. - Ulteriore censura a carico dell'art. 74 del d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, come sostituito dall'art. 38 del d.lgs. 23 dicembre 1993, n. 546, per violazione dell'art. 3 della costituzione. Anche sotto un altro profilo, pero', risulta gravemente violato l'art. 3 della Costituzione, nel principio di razionalita'-ragionevolezza, dall'art. 74 del d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, come sostituito dall'art. 38 del d.lgs. 23 dicembre 1993, n. 546: tale norma, ovviamente nella sola parte che ha abrogato l'art. 13 della legge n. 498/1992, come sostituito dall'art. 6-bis della legge 18 marzo 1993, n. 67, risulta irrazionale ed irragionevole per la sua, accertata, inidoneita' ad essere conosciuta ed applicata, come dimostrato dalle considerazioni di fatto e di diritto esposte nell'ordinanza-ricorso, emessa in data 23 gennaio 1998, con la quale questo giudice, ha proposto il (gia' ricordato) conflitto di attribuzione nei confronti del Consiglio dei Ministri, chiedendo alla Corte, previa dichiarazione dell'ammissibilita' del conflitto ai sensi dell'art. 37 della legge n. 87/53 ed attuazione dei successivi adempimenti previsti dalla medesima disposizione, di accogliere il ricorso e, per l'effetto, ai sensi dell'art. 38 della stessa legge, di dichiarare la spettanza in via esclusiva all'autorita' giudiziaria della funzione giurisdizionale ed in particolare dell'attribuzione che le impone di conoscere ed applicare la legge, attribuzione lesa nella sua credibilita' interna ed esterna dall'inidoneita' dell'art. 74 del decreto legislativo n. 29/1993, come sostituito dall'art. 38 del decreto legislativo n. 546/1993, ad essere conosciuto ed applicato, annullando nel contempo la disposizione appena citata, atto avente forza di legge (causa del conflitto) viziato da incompetenza, con specifico riferimento alla previsione dell'abrogazione dell'art. 13 della legge n. 498/1992, come sostituito dall'art. 6-bis della legge n. 67/1993. Nelle premesse del suddetto ricorso questo giudice evidenziava: che con l'art. 13 della legge 23 dicembre 1992, n. 498, venne esclusa la soggezione delle province, dei comuni, delle comunita' montane o dei loro consorzi e delle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza (I.P.A.B.), "relativamente ai contratti d'opera o per prestazioni professionali a carattere individuali da essi stipulati, all'adempimento di tutti gli obblighi derivanti dalle leggi in materia di previdenza ed assistenza, non ponendo in essere, i contratti stessi, rapporti di subordinazione."; che il predetto art. 13 della legge n. 498/1992, venne eccessivamente sostituito dall'art. 6-bis della legge 18 marzo 1993, n. 67, di conversione con modificazioni del d.lgs. 18 gennaio 1993, n. 9: in particolare, nel secondo comma, l'ambito soggettivo di applicazione della norma venne esteso anche "agli enti non commerciali senza scopo di lucro che svolgono attivita' socio-assistenziali" e alle "istituzioni sanitarie oeranti nel Servizio sanitario nazionale"; che la normativa predetta, oggetto di numerose questioni incidentali di legittimita' costituzionale, venne giudicata conforme alla Costituzione dal giudice delle leggi con la sentenza interpretativa di rigetto 23-31 marzo 1994, n. 115; che, confidando sulla vigenza dell'art. 13 della legge n. 498/1992, come sostituito dall'art. 6-bis della legge 18 marzo 1993, n. 67, questo pretore ne ha sempre dato applicazione in numerose controversie in materia previdenziale contributiva, prevalentemente in giudizi di opposizione a decreti ingiuntivi concessi all'I.N.P.S.; che tutti i giudici del lavoro di Brescia, sia in primo grado, sia in sede d'appello, hanno sempre applicato, ritenendola vigente, la disposizione di legge in discorso, pur se con interpretazioni differenziate; che la medesima disposizione risulta essere stata abrogata espressamente, dall'art. 74 del d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, come sostituito dall'art. 38 del d.lgs. 23 dicembre 1993, n. 546; che questo giudice e' venuto a conoscenza dell'abrogazione di cui trattasi, per pura casualita', dopo circa quattro anni, ed esattamente nell'udienza del 16 dicembre 1997, nella causa in opposizione ad ordinanza ingiunzione, r.g. n. 173/1997, proposta da Gnutti Piercarlo e Gnutti Carlo S.p.a. contro l'Ispettorato provinciale del lavoro di Brescia, quando, nello studio degli atti difensivi delle parti, ai fini della decisione sulla rilevanza e sulla non manifesta infondatezza di un'eccezione di legittimita' costituzionale, sollevata dalla parte opponente a carico dell'art. 1 della legge 23 ottobre 1960, n. 1369, ne ha avuto per la prima volta notizia dalla lettura della memoria difensiva dell'Ispettorato del lavoro. 5.-a. - Poste tali premesse di fatto, questo giudice ricorrente, al fine di evidenziare sotto ogni profilo l'estrema particolarita' della vicenda, invero sconcertante, affermava: che non puo' certo parlarsi di uno strano fenomeno locale di "oblio" della disposizione abrogatrice, circoscritto alla sola realta' giudiziaria bresciana, posto che la stessa Corte costituzionale ha affermato la legittimita' costituzionale dell'art. 13 della legge n. 498/1992, come sostituito dall'art. 6-bis della legge 18 marzo 1993, n. 67, se interpretato nel senso proposto nella sentenza n. 115/1994, senza rilevarne l'intervenuta abrogazione; che non sembra possibile mettere in dubbio che anche la Corte abbia ritenuto vigente la norma abrogata, poiche', se e' certamente vero che sussisteva la necessita' di una pronuncia sulla legittimita' costituzionale della disposizione di legge imputata di incostituzionalita', benche' gia' abrogata, e' altrettanto vero che la totale assenza, nella sentenza n. 115/1994, di qualsivoglia riferimento all'avvenuta abrogazione dimostra che lo stesso giudice delle leggi non era a conoscenza dell'esistenza dell'art. 74 del d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, come sostituito dall'art. 38 del d.lgs. 23 dicembre 1993, n. 546; che il fatto che neppure il giudice delle leggi si sia avveduto dell'abrogazione in discorso e' estremamente significativo per dimostrare la particolarita' della vicenda; che (fatto ancora piu' incredibile ed inverosimile da porre nella dovuta luce) lo stesso Presidente del Consiglio dei Ministri, dopo meno di due mesi dal d.lgs. 23 dicembre 1993, n. 546, ignorava l'esistenza della disposizione abrogatrice: infatti, benche' intervenuto in uno dei giudizi incidentali di legittimita' costituzionale (riuniti e decisi con la sentenza n. 115/1994), e benche' udito nell'udienza pubblica dell'8 febbraio 1994, in persona dell'Avvocato generale dello Stato, rappresentante e difensore ex lege (ai sensi dell'art. 20, terzo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87) del Presidente del Consiglio dei Ministri, in nessun modo fece rilevare dinanzi alla Corte costituzionale l'avvenuta abrogazione dell'art. 13 della legge n. 498 del 1992, come sostituito dall'art. 6-bis della legge 18 marzo 1993, n. 67: il paradosso e' assoluto: lo stesso rappresentante del potere dello Stato (Consiglio dei Ministri) autore del provvedimento ignorava del tutto l'esistenza dell'art. 74 del d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, come sostituito dall'art. 38 del d.lgs. 23 dicembre 1993, n. 546. 5.-b. - In forza delle superiori premesse e considerazoni, questo pretore giungeva a denunciare alla Corte costituzionale i gravi effetti dannosi gia' causati dalla situazione sopra descritta ed a rappresentare la sua idoneita' a determinarne altri, forse ancora piu' rilevanti. Nei seguenti termini: il danno gia' prodotto e' agevolmente individuabile nella perdita di credibilita', interna ed esterna, di questa autorita' giudiziaria, la quale ha applicato per anni una norma abrogata e, cosi', ha violato il principio costituzionale che le impone di rispettare la legge e, dunque, di conoscere la legge vigente ed applicabile; tale stesso danno si e' verificato anche per tutti gli altri giudici del lavoro, di primo e secondo grado, di Brescia e, con altissima probabilita', per molti altri magistrati del lavoro di tutta la Repubblica; inoltre, la Corte costituzionale e lo stesso Consiglio dei Ministri, subiscono, in via immediata, gli stessi effetti dannosi; il danno potenziale si rappresenta ancora piu' grave, infatti: a) vi e' il concreto rischio che la vicenda possa, sia pure in via indiretta, produrre effetti delegittimanti simili a quelli sopra descritti anche a carico di altri fondamentali organi dello Stato, dal Presidente della Repubblica alle due Camere del Parlamento, il primo per aver promulgato il decreto legislativo n. 546/1993, le seconde per non aver svolto alcun controllo sul corretto esercizio della potesta' legislativa delegata al Consiglio dei Ministri; b) soprattutto, pero', la prospettiva di pericolo appare devastante a carico della legge, poiche' la situazione di fatto in esame evidenzia che non e' solo astratto timore, ma e' realmente possibile, a causa dello stato patologico nel quale versa il nostro sistema normativo, che rimanga ignota l'esistenza della norma di legge, o degli atti aventi forza di legge, con conseguente perdita dei requisiti essenziali di affidabilita' e fiducia nella certezza della legge, cardini della credibilita' dell'ordinamento giuridico e della stessa legalita' in uno Stato di diritto. A proposito di quanto messo in luce alla lettera b) deve notarsi che la gravita' di tale rischio non e' ignota e neppure e' sottovalutata, se e' vero, com'e' vero, che a livello politico, senza distinzioni di "fede" e di schieramento, si denuncia, ormai da tempo e con crescente preoccupazione, sia l'"ipertrofia" del corpo delle leggi e degli atti aventi forza di legge e la stratificazione caotica della normativa, sempre piu' orfana di organicita' e priva di codici e testi unici nelle differenti materie, sia la stessa formulazione delle norme di legge e degli atti aventi forza di legge, perche' di difficile lettura e comprensibilita', anche perche' frequentemente costruita con numerosi richiami e rinvii ad altre disposizioni. 5.-c. - Il conflitto di attribuzione e' stato dichiarato inammissibile dalla Corte costituzionale, con ordinanza 14-24 luglio 1998, n. 329, perche' la situazione sopra descritta e' stata ritenuta dalla Corte "una situazione di puro fatto, insuscettibile ex se di dar vita ad un conflitto di attribuzione fra poteri dello Stato", con conseguente inesistenza, sotto il profilo oggettivo, della materia di un conflitto "in quanto il ricorso non prospetta alcuna lesione di un'attribuzione costituzionalmente garantita". Preso atto della volonta' della Corte e ritenuto che in'assenza di ulteriori e realmente diverse ragioni da rappresentare, stante il divieto d'impugnazione delle decisioni della Corte, previsto dall'art. 137, terzo comma, della Costituzione, un nuovo ricorso per conflitto di attribuzione, nei confronti del Governo ed, altresi', nei confronti dello stesso giudice delle leggi, sui fatti gia' decisi si appalesa, in concreto, come forma vietata di impugnazione, e' necessario chiarire che, benche' quella che si e' descritta costituisca solo una situazione di mero fatto - il che e', in questa sede, come lo era in sede di conflitto di attribuzione, del tutto pacifico -, essa, pero', costituisce la prova piu' evidente dell'inidoneita' della disposizione censurata ad essere conosciuta ed applicata, non solo dal cittadino inesperto nel campo del diritto, ma anche dall'organo dello Stato al quale e' affidata la responsabilita' di decidere sulla legittimita' delle leggi e degli atti aventi forza di legge. In breve, questo pretore afferma che la norma abrogatrice in discorso, in concreto rimasta ignota per anni, sia da ritenere "geneticamente" inidonea ad essere conosciuta, a causa della sua stessa collocazione e della sua "anonimita'" - la disposizione abrogata che qui interessa e' inserita in un elenco di altre disposizioni di vario genere, abrogate anch'esse, senza alcun riferimento ai loro contenuti, idoneo a consentire ai destinatari della norma di, almeno, intuire, se non comprendere pienamente, "cosa" veniva abrogato -, violi gravemente l'art. 3 della Costituzione, nel suo immanente principio di ragionevolezza-razionalita', poiche' le disposizioni di legge ed aventi forza di legge devono possedere il requisito della conoscibilita' erga omnes e, quando questo requisito e' assente, assente e' anche la ragionevolezza-razionalita' interna della norma, perche' priva dell'essenziale capacita' di dettare regole valide erga omnes nell'ordinamento. 6. - Sui requisiti della rilevanza in causa e della non manifesta infondatezza della rilevata questione di legittimita' costituzionale. La questione di legittimita' costituzionale sopra sviluppata, in tutte le sue articolazioni e diffuse argomentazioni, e', all'evidenza, non manifestamente infondata ed e' anche rilevante, giacche' il presente giudizio non puo' "essere definito indipendentemente" dalla sua risoluzione. La dichiarazione della illegittimita' costituzionale dell'art. 74 d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, come sostituito dall'art. 38 del d.lgs. 23 dicembre 1993, n. 546, restituirebbe vigenza all'art. 13 della legge n. 498 del 1992, come sostituito dall'art. 6-bis della legge 18 marzo 1993, n. 67, di conversione con modificazioni del d.-l. 18 gennaio 1993, n. 9, e poiche' e' del tutto palese che assume rilievo essenziale, ai fini della decisione della causa, la definizione della natura del rapporto di lavoro intercorso tra l'Azienda opponente ed il Ghitti, e poiche', inoltre, nell'interpretazione sinora accolta dalla costante giurisprudenza di questo pretore - qualsiasi accertamento in linea di fatto relativo al detto rapporto e' precluso dal testo dell'art. 13 della legge n. 498 del 1992, come sostituito dall'art. 6-bis della legge 18 marzo 1993, n. 67, di conversione con modificazioni del decreto legge 18 gennaio 1993, n. 9, non possono sussistere dubbi sulla rilevanza nel giudizio a quo della questione di legittimita' costituzionale qui sollevata d'ufficio. 7. - Ai sensi dell'art. 23 della legge ordinaria 11 marzo 1953, n. 87, questo giudizio deve essere sospeso e deve ordinarsi la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e la notifica della presente ordinanza al Presidente del Consiglio dei Ministri, oltre alla comunicazione ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.