Ricorso della Regione Lombardia, in persona  del  Presidente  della
 Giunta  regionale pro-tempore. on. Roberto Formigoni, autorizzato con
 delibera  di  Giunta  regionale  n.  41097  del  22   gennaio   1999,
 rappresentato  e difeso, come da mandato a margine del presente atto,
 dal prof, avv. Beniamino Caravita di Toritto e presso il  suo  studio
 elettivamente domiciliato in Roma, via di Porta Pinciana, 6;
   Contro  il Presidente del Consiglio dei Ministri pro-tempore per la
 dichiarazione di illegittimita'  costituzionale  di  alcuni  articoli
 della  legge  23  dicembre  1998,  n. 448, recante "Misure di finanza
 pubblica per  la  stabilizzazione  e  lo  sviluppo",  pubblicata  nel
 supplemento  ordinario  n.  210/L  alla  Gazzetta  Ufficiale  - serie
 generale - n.  302 del 29 dicembre 1998.
   La legge 23 dicembre 1998,  n.  448,  recante  "Misure  di  finanza
 pubblica  per  la  stabilizzazione  e  lo  sviluppo",  pubblicata nel
 supplemento ordinario  n.  210/L  alla  Gazzetta  Ufficiale  -  serie
 generale  -  n.   302 del 29 dicembre 1998 e' composta di due titoli,
 recanti, rispettivamente  "Disposizioni  in  materia  di  entrata"  e
 "Disposizioni in materia di spesa".
   All'interno del Titolo I vengono dettate disposizioni in materia di
 imposte indirette, di accertamento, di riscossione e di altre entrate
 dello Stato.
   Il  Titolo  II  detta norme in materia di personale, di federalismo
 fiscale,    di    previdenza,    prevede,    inoltre,    misure    di
 razionalizzazione, misure dirette a favorire e sostenere lo sviluppo,
 nonche' misure in materia di politiche sociali e del lavoro.
   Nel  coacervo  di  disposizioni  contenute  nella  legge n. 448, la
 regione Lombardia ha individuato una serie di previsioni direttamente
 e immediatamente lesive della propria autonomia, che qui  di  seguito
 vengono impugnate.
   1. - Violazione, da parte dell'art. 3, commi 4, 5 e 6, dell'art.  3
 della Costituzione, in relazione agli artt. 92 e 93 del Trattato CEE,
 nonche'  alle  decisioni  della Commissione delle comunita' europee 2
 marzo 1988, 88/318/CEE e 1 marzo 1995, n. 455, recante  "disposizioni
 in  materia di riduzioni nel Mezzogiorno degli oneri sociali a carico
 delle imprese e di fiscalizzazione di alcuni di tali oneri".
   L'art. 3 del collegato alla finanziaria prevede gli "incentivi alle
 imprese". Si tratterebbe di una previsione  meritoria,  nel  contesto
 dell'attuale  situazione dell'occupazione in Italia, se non fosse che
 ai commi 4, 5 e 6 ritorna un istituto gravemente discriminatorio  per
 la  regione Lombardia che, si riteneva, fosse ormai sepolto e - cosi'
 come strutturato - non piu' utilizzabile.
   Prevede testualmente il comma 5 di quell'articolo:
   "Per  i  nuovi  assunti  negli anni 1999, 2000 e 2001 ad incremento
 delle unita' effettivamente occupate al 31 dicembre 1998, a  tutti  i
 datori  di  lavoro  privati ed agli enti pubblici economici, operanti
 nelle regioni  Campania,  Basilicata,  Sicilia,  Puglia,  Calabria  e
 Sardegna e' riconosciuto lo sgravio contributivo in misura totale dei
 contributi  dovuti  all'Istituto  nazionale  della previdenza sociale
 (INPS) a loro carico, per un  periodo  di  tre  anni  dalla  data  di
 assunzione  del singolo lavoratore, sulle retribuzioni assoggettate a
 contribuzione  per  il  Fondo  pensioni  lavoratori  dipendenti.   Il
 beneficio  si intende riconosciuto anche alle societa' cooperative di
 lavoro, relativamente ai nuovi soci  lavoratori  con  i  quali  venga
 instaurato  un rapporto di lavoro dipendente assimilabile a quello di
 lavoratori dipendenti. Nelle regioni Abruzzo e Molise le disposizioni
 del presente  comma  si  applicano  limitatamente  ai  nuovi  assunti
 nell'anno  1999.  Le  agevolazioni  di cui al presente comma non sono
 cumulabili, in  capo  al  medesimo  lavoratore,  con  quella  di  cui
 all'art. 4, comma 1 della legge 27dicembre 1997, n. 449".
   Si  tratta  quindi  degli  sgravi  contributivi (INPS) totali per i
 nuovi assunti negli anni 1999, 2000 e 2001 nelle regioni meridionali.
   Il comma 6 del medesimo articolo  detta  le  condizioni  a  cui  e'
 subordinato il riconoscimento dello sgravio contributivo.
   Il  comma 4 prevede invece modificazioni all'art. 4, comma 17 della
 legge  27  dicembre  1997,   n.   449,   recante   "Misure   per   la
 stabilizzazione della finanza pubblica" (finanziaria 1998); si tratta
 in sostanza della proroga temporale (fino al 2001) e dell'aumento del
 contributo   degli   sgravi  contributivi  parziali  previsti  per  i
 lavoratori gia' occupati al 1 dicembre  1997,  sempre  nelle  regioni
 meridionali.
   Il  comma 7 subordina l'efficacia della misura all'autorizzazione e
 ai vincoli della Commissione delle comunita' europee, ai sensi  degli
 articoli 92 e seguenti del trattato CEE.
   Questa  previsione  normativa  colpisce  in  maniera gravissima gli
 interessi  della  regione  Lombardia,  discriminandola  negativamente
 sotto   due   diversi  profili:  da  un  lato,  perche'  induce  allo
 spostamento di produzioni ed attivita' industriali in altre parti del
 Paese;  dall'altro  lato,  perche'  gli  sgravi   contributivi,   non
 corrispondendo  ad  una  effettiva  diminuzione del costo del lavoro,
 graveranno sulla fiscalita' generale e, quindi, anche  sulla  regione
 Lombardia e sui cittadini italiani residenti nella regione.
   Si  tratta  peraltro  di  misure,  non solo discriminatorie, bensi'
 anche incongrue ed impertinenti, viziate -  a  dire  poco|  -  da  un
 gravissimo  difetto  di  istruttoria:  i dati piu' recenti dimostrano
 come nel 1998 - e quindi, come si vedra', in un periodo in cui  erano
 assenti  gli sgravi contributivi| - l'occupazione nel Mezzogiorno sia
 aumentata (fonte: "Informazioni Svimez", 1998, nn. 6-7, p. 3, secondo
 cui  vi  e'  "una  lieve  ripresa  dell'occupazione  meridionale  che
 recupera  16.000 posti di occupati rispetto ad aprile 1997"; nn. 8-10
 p. 3, secondo cui "l'occupazione  meridionale  cresce  e  recupera  i
 livelli   del  1994");  la  stessa  relazione  alla  legge  impugnata
 presentata al senato ha riconosciuto che "per la prima volta  i  dati
 di  formazione  di  nuove  imprese  ha  visto  alcune regioni del Sud
 superare le regioni del Nord" (p.4).
   Si  continua, invece, a non intervenire laddove sarebbe necessario,
 abbassando ad esempio i costi amministrativi che  le  imprese  devono
 sopportare  e  rendono  problematico  l'aumento  dell'occupazione (v.
 sempre "Informazioni Svimez", 1998, n. 5, p. 18), secondo  cui  sulle
 imprese  italiane  e'  gravato  un  costo  medio  di  26  milioni per
 adempimenti amministrativi (piu' alto al Nord che al Sud|).
   La discriminazione in danno della Lombardia e' tanto piu' grave  se
 si  tiene  presente  che  l'art.  3  della  legge  viola  palesemente
 pregresse  decisioni  comunitarie,  che   avevano   gia'   dichiarato
 illegittimo il regime italiano degli sgravi contributivi alle imprese
 del Mezzogiorno.
   All'esito  di  una  articolata  decisione  della  Commissione delle
 comunita' europee (decisione  del  l  marzo  1995,  n.  455,  recante
 "disposizioni  in  materia  di  riduzioni nel Mezzogiorno degli oneri
 sociali a carico delle imprese e di fiscalizzazione di alcuni di tali
 oneri"; vedila in "Riv.giur.Mezzogiorno",  1995,  4,  1249  ss.),  la
 Commissione  era stata "costretta a constatare che tutte le riduzioni
 di cui hanno beneficiato finora le imprese nel Mezzogiorno a  partire
 dal  l  dicembre  1991  per  quanto concerne le riduzioni degli oneri
 sociali gia' dalla legge n. 64/1986 ed a partire dal  l  luglio  1990
 per   quanto  concerne  il  differenziale  di  fiscalizzazione,  sono
 illegali in  quanto  accordate  in  violazione  dell'art.  93.3.  del
 Trattato CEE. ... tenuto conto delle preoccupazioni gia' espresse sul
 mantenimento del tessuto produttivo delle regioni interessate e della
 difficolta'  di  identificare  l'importo  dei  vantaggi  ricevuti  da
 ciascun beneficiario, non e' opportuno ordinare allo Stato membro  di
 procedere  al  recupero degli aiuti incompatibili versati ..." (punti
 16 e 17 della decisione).  Infatti, secondo la decisione (punto  10),
 "quale  che sia l'obiettivo economico o sociale perseguito, le misure
 di riduzione selettiva degli oneri sociali ... costituiscono aiuti ai
 sensi dell'art. 92, paragrafo 1 del Trattato, poiche' hanno l'effetto
 di ridurre a favore delle imprese situate  nel  Mezzogiorno  i  costi
 degli  oneri  sociali che gravano normalmente sulle imprese italiane.
 Esse falsano quindi la concorrenza e  sono  suscettibili,  stante  la
 loro  destinazione  a  tutte  le imprese di tali regioni, di incidere
 sugli scambi. Di conseguenza, esse costituiscono aiuti,  di  per  se'
 stessi  vietati dall'art. 92, paragrafo 1, del Trattato".  Sulla base
 di questi  argomenti,  l'art.  1  prevedeva  che  gli  esoneri  e  le
 riduzioni  di  oneri  sociali  nelle  regioni del Mezzogiorno fossero
 considerati aiuti, da  ritenersi  compatibili  alle  sole  condizioni
 previste  dalla  decisione.  L'art.  2  della decisione prevedeva che
 "L'esonero annuale degli oneri sociali per ogni nuovo impiego  creato
 e'  limitato  ai  nuovi  impieghi  creati entro il 31 dicembre 1997";
 mentre l'art. 3 imponeva di azzerare le riduzioni globali degli oneri
 sociali a partire dal l dicembre 1997; e l'art. 4 imponeva di ridurre
 il differenziale di fiscalizzazione degli oneri sociali delle regioni
 meridionali rispetto a quelle del Centro-Nord al --1% nel 1999 e allo
 0% nel 2000.  Tutte le previsioni della  decisione  comunitaria  sono
 violate, a detrimento della regione Lombardia, dall'art. 3, commi 4 e
 5,  della  legge  impugnata.  Insomma,  mentre  la  Commissione aveva
 introdotto  nella  decisione  del  1995  il  concetto  -   favorevole
 all'Italia  - del "ritmo ragionevole di smantellamento" del regime di
 aiuti incriminato e aveva imposto un "calendario di uscita"  graduale
 dal  sistema,  piuttosto  che  il  suo  repentino abbandono (cosi' R.
 Sapienza, sulla decisione della Commissione  dell'Unione  europea  in
 materia  di  riduzioni  nel  mezzogiorno degli oneri sociali a carico
 delle imprese e di fiscalizzazione  di  alcuni  di  tali  oneri",  in
 "Rivista  giuridica  del  Mezzogiorno",  1995,  4,  1088),  lo  Stato
 italiano, giunto ormai alla  scadenza  di  tale  calendario,  appunto
 graduale  e  ragionevole,  invece  di  apprestare rimedi di riduzione
 generalizzata del costo del lavoro  e  di  individuare  altri  rimedi
 compatibili  con  la  disciplina comunitaria, altro non ha trovato di
 cercare di ripristinare quegli strumenti di intervento discriminatori
 e lesivi, gia' sanzionati negativamente dalla Commissione|  Non  vale
 d'altra  parte  ne'  il  richiamo  al  fatto  che simili misure erano
 previste nella finanziaria 1998 (art. 4, commi 17, 18 e 21), giacche'
 li'  si  trattava  di  misure  annuali,  che  pur  potevano  apparire
 giustificate,  in  quanto proroga una tantum di un regime transitorio
 di graduale e ragionevole uscita dal sistema degli  esoneri  e  delle
 fiscalizzazioni,  mentre  qui  si  introducono  misure triennali, che
 lasciano pensare ad un tentativo di reintrodurre in  via  stabile  un
 simile   strumento;   ne'  vale  il  richiamo  alla  discrezionalita'
 legislativa che pur la Corte ha sempre operato  laddove  venivano  in
 considerazione   misure   di   favor   per  il  Mezzogiorno:  qui  la
 discrezionalita'  legislativa  deve  fare   i   conti   con   precise
 determinazioni   comunitarie  che  si  tenta  invece  di  violare  o,
 comunque, di forzare|
   2. - Violazione dell'art. 119 della Costituzione da parte dell'art.
 6.
   L'art. 6 apporta una serie di  modifiche  all'art.  3,  comma  144,
 lett.  e),  delle  legge  23 dicembre 1996, n. 662 nella parte in cui
 detta i principi e criteri direttivi cui il legislatore delegato deve
 ispirarsi  ai  fini  dell'istituzione  dell'imposta  regionale  sulle
 attivita'  produttive  di cui all' art. 3, comma 143, lett. a). Viene
 ora riconosciuto alle  regioni  il  "potere  di  variare  l'aliquota"
 dell'IRAP (sempre fino ad un massimo di un punto percentuale), mentre
 in  base  all'art.  3,  comma  143,  lett. a), legge n. 662/1996 esse
 potevano  solo  maggiorarla;  inoltre  le  amministrazioni  pubbliche
 possono ora fissare la suddetta aliquota "in misura tale da garantire
 il medesimo gettito derivante dai contributi per il S.S.N." anziche',
 come  disponeva  la norma ora modificata, "nella misura vigente per i
 contributi dovuti per il S.S.N. con preclusione per le regioni  della
 facolta'  di  maggiorarla".    Le  modifiche  apportate  dal  comma 2
 dell'art. 6 riguardano, invece, l'art. 3, comma 147  della  legge  n.
 662/1996,  nella  parte  in cui detta i principi e i criteri cui deve
 essere ispirata la disciplina transitoria da predisporsi al  fine  di
 garantire  la graduale sostituzione del gettito dei tributi soppressi
 all'art. 3, comma  143,  lett.  a)  e  la  previsione  di  meccanismi
 perequativi  fra le regioni finalizzati al riequilibrio degli effetti
 finanziari derivanti dalla istituzione  dell'IRAP.    In  particolare
 l'art.  3,  comma  147,  alla  lett.  b),  vietava  alle  regioni  di
 maggiorare l'aliquota base dell'IRAP.  L'art. 6, comma 2,  lett.  a),
 interviene  su  tale  norma,  proibendo  alle  regioni  di  "variare"
 l'aliquota di tale imposta.   Il comma 2,  inoltre,  alla  lett.  b),
 aggiunge  la  lett. e-bis) all'art.  3, comma 147, legge n. 662/1996,
 disponendo che "il gettito dell'IRAP, ai  fini  della  determinazione
 del  fondo  sanitario di cui alla lett.  d), e delle eccedenze di cui
 alla lett. e), viene ricalcolato considerando l'aliquota base di  cui
 al  comma  144 lett. e)".  L'art. 3, comma 144, lett. e), della legge
 n.  662/1996  fissa l'aliquota base dell'IRAP.  La lett. d) dell'art.
 3,  comma  147  stabilisce  che,   ai   fini   della   determinazione
 dell'entita'  del  fondo  sanitario, vanno considerate come dotazioni
 proprie  delle  regioni  il  gettito  dell'addizionale  IRPEF  e  una
 percentuale  tra  il  65 e il 90 per cento del gettito IRAP, al netto
 della quota attribuita allo Stato di cui alla lett. o) del comma 144.
 La lett. e) prevede la decurtazione dei trasferimenti (alle  regioni)
 ad  altro  titolo  di un importo pari al residuo gettito dell'IRAP al
 netto delle devoluzioni a province e comuni di cui alla lett. q)  del
 comma  144  e, qualora il residuo gettito sia superiore all'ammontare
 di detti trasferimenti, la devoluzione allo  Stato  delle  eccedenze.
 Per  effetto  dell'art.  6, comma 2, lett. b) della legge n. 448/1998
 l'aliquota base viene a costituire il criterio  per  il  calcolo  del
 gettito IRAP ai fini della determinazione delle dotazioni proprie del
 fondo  sanitario  di  cui  al  comma  147,  lett.  d)  della legge n.
 662/1996 e delle eccedenze di cui alla lett. e). Le dotazioni proprie
 del Fondo sanitario e le eccedenze dovute allo Stato verranno in  tal
 modo  calcolate  con  riferimento ad un parametro maggiore rispetto a
 quelli considerati in passato.    Tale  parametro  e',  infatti,  ora
 costituito  dall'intero  gettito dell'IRAP anziche' come stabiliscono
 le lett. d) ed e) dell'art.  3, comma 147, legge n. 662/1996, da  una
 percentuale  di esso.   Quanto al Fondo sanitario, l'art. 6, comma 2,
 lett. b),  nell'imporre  un  ricalcolo  in  aumento  della  dotazione
 propria  delle  regioni, produce quale effetto indotto la conseguente
 diminuzione  dei  trasferimenti  statali  alle  regioni  destinati  a
 finanziare  il  servizio  sanitario  regionale.  Anche ai fini di cui
 all'art. 3, comma 147, lett. "e), legge n. .662/1996, calcolando, per
 effetto della disposizione impugnata, il  gettito  IRAP  prendendo  a
 parametro l'aliquota base, il "residuo gettito IRAP", di cui al comma
 147,  risultera' sicuramente di entita' superiore rispetto al passato
 con la duplice conseguenza di  una  maggiore  decurtazione,  a  danno
 delle  regioni,  di  altri  trasferimenti  statali e di una piu' alta
 probabilita' della sussistenza di eccedenze da riversarsi allo Stato.
   3. - Violazione degli artt. 117, e 97 Cost.
   L'art. 65, inserito nel Capo VI,  recante  "Misure  in  materia  di
 politiche  sociali  e  del lavoro", nel prevedere, ai commi 1 e 2, la
 corresponsione  di  assegni  per  i  nuclei  familiari  composti   da
 cittadini  italiani  residenti  con  tre  o piu' figli tutti con eta'
 inferiore ai 18 anni  e  in  possesso  di  determinati  requisiti  di
 reddito,  attribuisce  ai  comuni  la  competenza  all'erogazione dei
 suddetti assegni.
   Allo scopo di garantire tale corresponsione, al comma  5,  inoltre,
 si  istituisce  un  apposito Fondo presso la Presidenza del Consiglio
 dei Ministri.  Il comma 6, inoltre, prevede l'emanazione da parte del
 Ministro per la solidarieta' sociale di concerto con i  Ministri  del
 lavoro  della  previdenza  sociale  e del tesoro del bilancio e della
 programmazione economica di norme  regolamentari  per  l'applicazione
 concreta  delle  disposizioni dell'art. 65.  L'attribuzione ai comuni
 del potere di erogare l'assegno, nonche' dei compiti  informativi  di
 cui  al  comma 2, appare fortemente lesiva delle competenze regionali
 in  materia  di   servizi   sociali,   cosi'   come   definitivamente
 riconosciute, in attuazione degli artt. 117 e 118 della Costituzione,
 dal  d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112 emanato dal Governo a seguito della
 delega disposta dal Capo I della legge n.  59/1997.   L'art. 128  del
 d.lgs.  n. 112/1998, al comma 2, stabilisce che per "servizi sociali"
 si intendono tutte le attivita' relative alla predisposizione e  alla
 erogazione  di  servizi,  gratuiti  ed  a pagamento, o di prestazioni
 economiche destinate a rimuovere e superare le situazioni di  bisogno
 e  di  difficolta'  che la persona umana incontra nel corso della sua
 vita, escluse soltanto quelle assicurate dal sistema previdenziale  e
 da   quello   sanitario,   nonche'   quelle  assicurate  in  sede  di
 amministrazione della giustizia".  L'art. 131 del d.lgs. n.  112/1998
 stabilisce  che "Sono conferiti alle regioni e agli enti locali tutte
 le funzioni e i compiti amministrativi  nella  materia  dei  "servizi
 sociali",  salvo  quelli espressamente mantenuti allo Stato dall'art.
 129 e di  quelli  trasferiti  all'INPS  dall'articolo  130".    Dalla
 lettura  degli  articoli  129 e 130 non risulta che la corresponsione
 degli assegni  familiari  rientri  nelle  competenze  dello  Stato  o
 dell'INPS.
   A  cio'  si aggiunga che, se e' vero che il secondo comma dell'art.
 131 attribuisce ai comuni i compiti di erogazione dei servizi e delle
 prestazioni sociali, e' anche vero che l'art. 132 affida alle regioni
 il compito di individuare le funzioni trasferite o delegate agli enti
 locali minori.
   Ai sensi del  primo  comma  dell'art.  132,  infatti,  "Le  regioni
 adottano, ai sensi dell'art. 4, comma 5 della legge n. 59/1997, entro
 sei  mesi  dall'emanazione del presente decreto legislativo, la legge
 di puntuale individuazione delle funzioni trasferite  o  delegate  ai
 comuni ed agli enti locali e di quelle mantenute in capo alle regioni
 stesse".   Dunque, pur essendo obbligate dallo stesso d.lgs. n. 112 a
 conferire agli enti locali le funzioni ed  i  compiti  amministrativi
 concernenti  i  servizi  sociali, spetta in ogni caso alle regioni, e
 solo ad esse, individuare le modalita' attraverso le quali effettuare
 il suddetto conferimento ed organizzare i relativi servizi.  La norma
 impugnata, al contrario, nell'attribuire direttamente  tali  funzioni
 ai  comuni,  non tiene assolutamente conto delle competenze regionali
 in  materia  e  si  dimostra,  pertanto,  irrispettosa   dell'assetto
 organizzativo  dato  ai servizi sociali dalle leggi regionali emanate
 in attuazione dell'art. 132 d.lgs. n. 112/1998.  L'art. 65, comma  2,
 si  pone,  pertanto, in aperta contraddizione con gli artt. 117 e 118
 della Costituzione in relazione a quanto previsto dal Titolo IV, Capo
 II, d.lgs. n. 112/1998.   E  si'  vero  che  il  d.lgs.  n.  112  non
 costituisce   nuovo   parametro  costituzionale;  purtuttavia,  esso,
 insieme alla legge n. 59 del 1997, sicuramente integra  il  parametro
 degli  artt. 117 e 118 della Costituzione:  non e' dunque ammissibile
 che il legislatore, con interventi estemporanei,  disorganici  e  non
 supportati  da  una peculiare motivazione, possa mettere nel nulla le
 prescrizioni del d.lgs. n. 112 e, dunque, anche l'attivita' regionale
 di attuazione di esso.
   4. - Violazione degli artt. 117, 118 e 97 della Costituzione.
   L'art. 66, nel prevedere la corresponsione di assegni di maternita'
 a favore delle madri che facciano parte di nuclei familiari  composti
 da  non  meno  di  tre  membri e che siano in possesso di determinati
 requisiti di reddito, attribuisce ai comuni la competenza ad  erogare
 i  suddetti  assegni.    Ai sensi del comma 1, inoltre, i comuni sono
 deputati allo  svolgimento  di  tutte  le  incombenze  inerenti  alla
 corresponsione dei suddetti assegni (ad es. compiti informativi).  Il
 comma 5 istituisce presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri un
 apposito  Fondo  e  prevede  l'obbligo  per  lo Stato di rimborsare i
 comuni delle somme anticipatamente erogate.   Il  comma  6,  inoltre,
 prevede  l'emanazione  da  parte  del  Ministro  per  la solidarieta'
 sociale di concerto  con  i  Ministri  del  lavoro  della  previdenza
 sociale  e  del tesoro, del bilancio e della programmazione economica
 di norme regolamentari per l'applicazione concreta delle disposizioni
 dell'art. 66.  Anche per la disposizione del comma 1, nella parte  in
 cui  stabilisce  che  "l'assegno e' erogato dai comuni con decorrenza
 dalla  data  del  parto.  I  comuni  provvedono  ad   informare   gli
 interessati  invitandoli  a  certificare  il  possesso  dei requisiti
 all'atto di iscrizione all'anagrafe comunale dei nuovi nati", valgono
 le stesse censure mosse sub par.  3 all'art. 65, comma 2.
   L'art. 66, comma 1, risulta, pertanto, lesivo degli artt. 117 e 118
 della Costituzione in relazione a quanto previsto dal Titolo IV, Capo
 II, del d.lgs n. 112/1998.
   5. - Violazione  dell'art.  119  della  Costituzione  in  relazione
 all'art.    1  della  legge 23 ottobre 1992, n. 421 e all'art. 11 del
 d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502 da parte dell'art. 68, commi 1  e  2.
 L'art.  68,  ai  commi  1  e  2,  detta  disposizioni  in ordine alla
 riduzione dei ticket.    Il  comma  1  stabilisce  che,  nel  periodo
 compreso  tra  il  primo gennaio 1999 e il momento in cui verra' data
 attuazione all'art. 3 del d.lgs.  n. 124/1998, gli  assistiti  esenti
 sono  esonerati  dall'obbligo  di  corrispondere  la  quota fissa per
 ricetta per le prescrizioni relative alle prestazioni di  diagnostica
 strumentale   e   di   laboratorio   e   per   le  altre  prestazioni
 specialistiche erogate in regime ambulatoriale.  Si dispone, inoltre,
 l'esonero degli assistiti dal pagamento della quota fissa per ricetta
 per le  prescrizioni  diagnostiche  e  specialistiche  relative  alla
 certificazione  di  idoneita'  per il servizio civile presso gli enti
 convenzionati con il Ministero della difesa.
   Il comma 2 sostituisce l'ultimo periodo del comma 9 dell'art. 3 del
 d.lgs. n. 124/1998 nel modo seguente "La quota fissa per ricetta  non
 e'   dovuta   per   le  prescrizioni  relative  alle  prestazioni  di
 diagnostica strumentale e di laboratorio e per le  altre  prestazioni
 specialistiche erogate in regime ambulatoriale di cui al comma 3. Per
 le  prescrizioni  relative alle restanti tipologie di prestazioni, di
 cui ai commi 4, 5, 6, e 7, la quota fissa  dovuta  dagli  assistititi
 totalmente esenti e' pari a lire 6.000".
   Il  comma  9  dell'art. 3 del d.lgs. n. 124/1998, su cui interviene
 tale modifica, si riferisce esclusivamente agli assistiti  totalmente
 esenti,  stabilendo,  nell'ultimo  periodo,  che  "Per le prestazioni
 relative alle restanti tipologie di prestazione di cui ai  precedenti
 commi,  la  quota fissa per ricetta dovuta dagli assistiti totalmente
 esenti e' pari a 6.000 lire".  Dal combinato disposto dei commi 1 e 2
 risulta  che  per  le  prescrizioni  relative  alle  prestazioni   di
 diagnostica  strumentale  e di laboratorio e per le altre prestazioni
 specialistiche erogate in regime ambulatoriale, gli assistiti  esenti
 e  quelli  totalmente esenti sono esonerati dall'obbligo di pagare la
 quota fissa, che in precedenza ammontava a lire 6.000; mentre per  le
 prestazioni  di  ricovero  diurno  per  accertamenti  diagnostici, di
 assistenza termale, di assistenza riabilitativa extraospedaliera e di
 pronto soccorso, di cui all'art. 3, commi da 4 a 7  del  d.lgs.    n.
 124/1998,  la  quota  fissa  dovuta dagli assistiti totalmente esenti
 resta di lire 6.000.  I commi 1 e 2 dell'art. 68, nel prevedere  tali
 forme   di   esenzione,   decurtano  entrate  di  indubbia  spettanza
 regionale.  Gia', infatti, la legge 23 ottobre 1992, n. 421,  recante
 "Delega  al  Governo  per  la  razionalizzazione e la revisione delle
 discipline in materia di sanita', di pubblico impiego, di  previdenza
 e  di  finanza territoriale", all'art. 1, comma 1, lett. i), delegava
 il Governo a prevedere l'attribuzione, a decorrere dal primo  gennaio
 1993,  alle  regioni  e  alle province autonome dei contributi per le
 prestazioni  del  S.S.N.  localmente  riscossi  con  riferimento   al
 domicilio fiscale".  In attuazione della legge n. 421/1992, il d.lgs.
 n.  502/1992, all'art.  11, comma 9, stabilisce che "I contributi per
 le prestazioni del S.S.N. e le altre  somme  ad  essi  connesse  sono
 attribuiti  alle  regioni in relazione al domicilio fiscale posseduto
 al primo gennaio di ciascun anno  dall'iscritto  al  S.S.N.".    Tali
 disposizioni,  riducendo  le  entrate regionali, risultano indubbiame
 nte idonee a ledere l'autonomia finanziaria  regionale,  riconosciuta
 dall'art.  119 della Costituzione.
   A  tal  proposito  questa ecc.ma Corte ha affermato il principio in
 base al quale "Lo Stato, una volta trasferiti e determinati  i  mezzi
 finanziari  di cui vi e' disponibilita', puo' rifiutare di addossarsi
 gli ulteriori disavanzi per spese  estranee  alle  proprie  scelte  o
 dipendenti   da  determinazioni  degli  enti  gestori,  ma  non  puo'
 addossare al bilancio regionale oneri relativi alla  spesa  sanitaria
 che  derivano  da  decisioni  non  imputabili alle regioni stesse ...
 Pertanto e' evidente che  una  norma,  che  impone  alle  regioni  di
 provvedere  al ripiano dei disavanzi di gestione anche in relazione a
 scelte legislative dello  Stato,  viola  l'autonomia  finanziaria  di
 bilancio  e di spesa delle regioni" (sent. 416/1995; cfr. anche sent.
 452/1989).
   6. - Violazione degli articoli 117 e  118  della  Costituzione,  in
 relazione  all'art.  8  del  decreto legislativo 30 dicembre 1992, n.
 502 da parte dell'art. 68, commi 3, 4, 5, 7, e 9.
   L'art. 68, al comma 3, stabilisce  che  le  eccedenze  della  spesa
 farmaceutica,  individuata dai commi 15 e 16 dell'art. 36 della legge
 n. 449/1997, vanno calcolate regione per  regione,  tenuto  conto  di
 vari  indicatori  quale  la  popolazione  residente.    Il  comma  4,
 nell'individuare i meccanismi di calcolo  delle  suddette  eccedenze,
 stabilisce  che  le  Regioni  e le Province autonome sono obbligate a
 trasmettere per il tramite  della  Agenzia  per  i  servizi  sanitari
 regionali  i  dati  relativi  ai  medicinali  venduti  nel rispettivo
 territorio con  oneri  a  carico  del  S.S.N..    Tale  disposizione,
 inoltre,  individua l'entita' dei contributi dovuti, rispettivamente,
 dalle  imprese   titolari   dell'autorizzazione   all'immissione   in
 commercio,  dalle  imprese  distributrici  e dalle farmacie aperte al
 pubblico per coprire parte delle eccedenze della spesa  farmaceutica.
 Il  comma 5 attribuisce alla Commissione prevista dall'art. 36, comma
 16, legge n. 449/1997, una serie di funzioni quali quella di proporre
 al Ministro  della  Sanita'  misure  idonee  ad  assicurare  che  sia
 rispettato  il limite di spesa farmaceutica di cui all'art. 36, comma
 15,  legge  n.  449,   quella   di   verificare   il   raggiungimento
 dell'obiettivo del risparmio di spesa pari al 60% dell'anno 1998 e di
 comunicarne l'eventuale esito negativo al Ministro della Sanita'.  Il
 comma   7   istituisce   l'Osservatorio  nazionale  sull'impiego  dei
 medicinali con le seguenti funzioni: a) raccogliere ed elaborare dati
 di consumo, di impiego e di  spesa,  sia  dei  medicinali  erogati  o
 direttamente   utilizzati   dal   S.S.N.,  sia  di  quelli  a  carico
 dell'assistito; b) svolgere le funzioni - quali la raccolta dei  dati
 sui  prezzi  dei  beni  e  dei  servizi  offerti  dal  S.S.N.  - gia'
 attribuite dall'art.  1, comma 30, legge n. 662/1996 all'osservatorio
 centrale degli acquisti e dei prezzi;  c)  redigere  un  rapporto  al
 Ministero  della  Sanita',  finalizzato  a confrontare la spesa per i
 medicinali erogati direttamente dal S.S.N., attraverso  le  farmacie,
 con quella sostenuta per i medicinali erogati con sistemi alternativi
 o direttamente impiegati in ambito ospedaliero.
   Il comma 9 stabilisce l'obbligo per le farmacie pubbliche e private
 di  fornire  al  Dipartimento  per la valutazione dei medicinali e la
 farmacovigilanza dati di vendita dei medicinali a carico del S.S.N.
   Tale  disposizione  impone,  inoltre,  alle  strutture  del  S.S.N.
 pubbliche   o   private   o   accreditate   di  fornire  al  predetto
 Dipartimento, su richiesta, dati in proprio possesso  utili  ai  fini
 dell'assolvimento    dei    compiti    dell'Osservatorio    nazionale
 sull'impiego dei medicinali.
   Dalla lettura di tali disposizioni appare evidente come le  Regioni
 risultino totalmente estromesse sia dal procedimento di calcolo delle
 eccedenze  della  spesa  sanitaria,  sia  dal  calcolo dei contributi
 dovuti dai produttori  e  distributori  farmaceutici  ai  fini  della
 copertura  delle  eccedenze  della  spesa  farmaceutica.    Quanto al
 calcolo delle eccedenze, le Regioni sono  chiamate  esclusivamente  a
 fornire  al  Dipartimento  per  la  valutazione  dei  medicinali e la
 farmacovigilanza i dati relativi alla vendita da parte delle farmacie
 di tutti i medicinali erogati a carico del S.S.N..
   Si tratta di una partecipazione limitativa  a  fronte  delle  ampie
 competenze  attribuite alle Regioni dall'art. 8, comma 2, del decreto
 legislativo n. 502/1992. Quanto  al  calcolo  dei  contributi  dovuti
 dalle   aziende   farmaceutiche,  le  Regioni  vengono  completamente
 estromesse da tale attivita'.   E' principio generale  della  materia
 sanitaria  ed  assistenziale  che  le  Regioni  siano sempre messe in
 condizione di ottenere tutte  le  informazioni  relative  alla  spesa
 sanitaria  ed assistenziale e non possano essere estromesse in favore
 dell'amministrazione  centrale:     ove  cio'  accada,   come   nella
 fattispecie,   si  e'  di  fronte  ad  una  palese  violazione  delle
 competenze costituzionalmente garantite alle Regioni.
   7. - Violazione degli articoli 117  e  118  della  Costituzione  in
 relazione  al decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, all'art.  2
 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e all'art. 114  del
 decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 da parte dell'art.  71.
   L'art.  71  prevede  lo  stanziamento di somme di denaro al fine di
 riorganizzare  e  riqualificare  l'assistenza  sanitaria  nei  grandi
 centri  urbani,  da  individuarsi,  su  proposta  del  Ministro della
 Sanita',  dalla  Conferenza   Unificata,   tenendo   in   particolare
 considerazione quelli situati nelle aree centro-meridionali.
   Tali  interventi  sono  finalizzati  ad assicurare ai cittadini: a)
 standard di salute, di qualita' ed efficienza  dei  servizi  indicati
 nel  Piano  sanitario  nazionale 1998-2000; b) il miglioramento degli
 strumenti di coordinamento della rete dei servizi dei  cittadini;  c)
 il potenziamento qualitativo e quantitativo delle dotazioni sanitarie
 strutturali   e   tecnologiche,   con   particolare   riguardo   alla
 accessibilita', alla sicurezza ed alla umanizzazione dell'assistenza;
 d)   la   riqualificazione   delle   strutture   sanitarie;   e)   la
 territorializzazione   dei   servizi  (lett.  e).     Nella  fase  di
 realizzazione di tali interventi ampio spazio e' concesso dal comma 2
 ai comuni: questi, infatti,  debbono  essere  sentiti  dalle  regioni
 nell'elaborazione  dei progetti, inoltre l'Associazione nazionale dei
 comuni italiani partecipa all'istruttoria, essendo  rappresentata  in
 misura  paritetica  con  le regioni e il Ministero della sanita' alla
 Commissione istituita presso la Conferenza permanente per i  rapporti
 fra   lo  Stato,  le  Regioni  e  le  provincie  autonome,  che  cura
 l'istruttoria stessa  dei  progetti.    Gli  stessi  comuni  possono,
 decorso  inutilmente  il  termine  previsto  per la presentazione dei
 progetti di intervento da parte delle Regioni, sottoporne di  propri.
 Al  Ministro  della Sanita', d'intesa con la Conferenza Unificata, e'
 attribuito il compito di  individuare,  sulla  base  dell'istruttoria
 compiuta  dalla  Commissione,  i progetti ammessi al cofinanziamento.
 La disposizione impugnata appare fortemente lesiva  delle  competenze
 riconosciute  alle  Regioni in materia sanitaria dagli articoli 117 e
 118, primo comma, della Costituzione sia per aver essa  coinvolto  la
 Conferenza  Unificata  in  decisioni che spettano essenzialmente alle
 Regioni, e quindi alla Conferenza permanente per i  rapporti  tra  lo
 Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano; sia per
 il  ruolo  attribuito  ai comuni nella procedura di distribuzione dei
 finanziamenti da essa introdotta.
   7.1. - Quanto al primo profilo di illegittimita',  va  sottolineato
 come   l'attribuzione   alla  Conferenza  Unificata  del  compito  di
 individuare i centri urbani nei quali realizzare  gli  interventi  di
 riorganizzazione  e  riqualificazione dell'assistenza sanitaria (art.
 71, comma 1), nonche' la previsione in base alla  quale  il  Ministro
 della  Sanita'  individua  i  progetti  da ammettere al finanziamento
 "d'intesa con la citata Conferenza Unificata"  (art.  71,  comma  2),
 sminuiscono   le   competenze  costituzionalmente  riconosciute  alle
 Regioni in ordine alla riorganizzazione del sistema sanitario.   Tale
 disposizione   viola,   inoltre,   quanto  disposto  in  ordine  alle
 competenze della Conferenza Stato-Regioni dal decreto legislativo  28
 agosto  1997, n. 281, cosi' come interpretato da questa Ecc.ma Corte.
 Il decreto legislativo n.  281/1997,  infatti,  nel  disciplinare  le
 funzioni   della  Conferenza  Stato-Regioni,  all'art.  2,  comma  3,
 stabilisce  espressamente  che   la   Conferenza   Stato-Regioni   e'
 obbligatoriamente sentita in ordine agli schemi di disegno di legge e
 di  decreto legislativo o di regolamento del Governo nelle materie di
 competenza delle Regioni.
   Nella sentenza 408/1998, la Corte cosi' commenta tale  disposizione
 "L'art.  2,  comma  3,  del decreto legislativo n. 281 stabilisce che
 essa (la Conferenza Stato-Regioni) e'  obbligatoriamente  sentita  in
 ordine agli schemi di legge e di decreto legislativo o di regolamento
 del  Governo nelle materie di competenza delle Regioni generalizzando
 la   partecipazione   consultiva   obbligatoria    sull'attivita    e
 sull'iniziativa normativa del Governo nelle materie regionali".
  Quanto alle competenze della Conferenza Unificata, l'art. 9, comma 2
 del  decreto legislativo n. 281/1997 stabilisce che essa "e' comunque
 competente in tutti i casi in cui regioni, comuni e comunita' montane
 ovvero la  Conferenza  Stato-Regioni  e  la  Conferenza  Stato-citta'
 debbano  esprimersi  sul medesimo oggetto".   L'art. 2, inoltre, alla
 lett. a), nello specificare le competenze della Conferenza Unificata,
 stabilisce che essa esprime parere sul disegno di legge finanziaria e
 sui  disegni  di  legge  collegati;  sul  disegno  di  programmazione
 economica e finanziaria, sugli schemi di decreto legislativo adottati
 in base all'art. 1 della legge n. 59/1997.
   Anche alla  luce  di  quanto  stabilito  dall'art.  2  del  decreto
 legislativo  n.  281/1997,  dunque,  una  competenza in materia della
 Conferenza Unificata deve ritenersi esclusa.
   Ne',  d'altra  parte,  e'  possibile  ritenere   sussistente   tale
 competenza  della  Conferenza Unificata sulla base di quanto previsto
 dalla prima parte del comma 2 dell'art. 9, del decreto legislativo n.
 281/1997,  dove  si  stabilisce  che  la  Conferenza   Unificata   e'
 competente   quando  la  Conferenza  Stato-Regioni  e  la  Conferenza
 Stato-citta' "debbano esprimersi sul medesimo oggetto".
   Dalla lettura del comma 5 dell'art. 9, che disciplina  le  funzioni
 della  Conferenza  Stato-citta'  non e' possibile desumere competenze
 della stessa in materia di assistenza sanitaria: tale norma, infatti,
 riconduce le competenze della Conferenza Stato-citta'  essenzialmente
 alla sfera degli interessi che fanno capo alle autonomie locali.
   D'altra parte, se e' vero che questa Ecc.ma Corte, nel pronunciarsi
 in  ordine  alla  questione  di legittimita' costituzionale sollevata
 dalla Regione Puglia in ordine  alla  unificazione  della  Conferenza
 Stato-Regioni  con la Conferenza Stato-citta', attuata con il decreto
 legislativo n. 281/1997, ha  riconosciuto  che  la  previsione  della
 Conferenza   Unificata  costituisce  "una  scelta  discrezionale  del
 legislatore non in contrasto con la Costituzione", e' anche vero  che
 questa  Ecc.ma Corte ha ritenuto la legittimita' costituzionale della
 Conferenza Unificata "quale  strumento  di  raccordo  fra  Governo  e
 autonomie,  allorche'  siano  in  discussione  argomenti di interesse
 comune vuoi delle regioni vuoi degli enti locali" (sent. 408/1998).
   E la materia dell'assistenza sanitaria, in quanto rientrante  nella
 competenza  delle  Regioni,  non  sembra  possa  ritenersi, se non in
 maniera molto limitata, di interesse comune  delle  Regioni  e  degli
 Enti locali.
   7.2. - Quanto al secondo profilo di illegittimita', va sottolineato
 come l'attribuzione ai comuni delle competenze elencate nell'art.  71
 si  pone  in  aperta  contraddizione  con  le competenze regionali in
 materia di organizzazione sanitaria attribuite  alle  Regioni,  dagli
 artt.  117  e  118,  primo  comma, della Costituzione, e riconosciute
 nella giurisprudenza di questa Ecc.ma  Corte  (cfr.  sent.  355/1993)
 Come   e'  noto,  l'art.  117  della  Costituzione  attribuisce  alla
 competenza delle  Regioni  la  materia  dell'assistenza  sanitaria  e
 ospedaliera  e  l'art.  118,  comma  1,  attribuisce  alle  stesse le
 funzioni amministrative per le materie elencate dall'art. 117.   Tale
 competenza e' stata riaffermata dall'art. 2 del decreto legislativ  o
 30  dicembre  1992,  n.  502,  recante  "Riordino della disciplina in
 materia sanitaria, a norma dell'art. 1 della legge 23  ottobre  1992,
 n. 421", nonche' da ultimo dal decreto legislativo n. 112/1998.
   Tale  decreto  legislativo, in attuazione della delega disposta dal
 Capo I della legge n. 59/1997, all'art.  114,  dispone  espressamente
 che  "Sono  conferiti  alle Regioni, secondo le modalita' e le regole
 fissate dagli articoli del presente Capo, tutte le funzioni e compiti
 amministrativi in tema di salute umana e sanita'  veterinaria,  salvo
 quelle espressamente mantenute allo Stato".
   Di  recente questa Ecc.ma Corte ha ribadito il principio in base al
 quale la "potesta' di emanare norme per l'organizzazione, la gestione
 e il funzionamento delle U.S.L. e dei loro  servizi,  come  anche  il
 generale  potere di vigilanza sulle stesse strutture, rientrano nella
 materia  dell'"assistenza  sanitaria  e  ospedaliera"  di  competenza
 regionale  ex  art.  117  Cost.".  E  ha  precisato che "La struttura
 organizzativa, intesa come articolazione degli uffici e  dei  compiti
 delle  citate  unita'  sanitarie, deve, pertanto ritenersi ricompresa
 tra quelle competenze che fanno capo alla Regione  (sent.  174/1991),
 come  anche  il  generale potere di vigilanza sulle stesse strutture"
 (sent. 156/1996).
   Gli  enti  regionali  costituiscono,  pertanto,  gli  interlocutori
 privilegiati  dello  Stato  in  materia  di assistenza sanitaria e di
 organizzazione della stessa.
   Un eventuale coinvolgimento dei comuni ha, quindi, un senso solo in
 quanto disposto dalle Regioni,  quali  enti  titolari  di  competenza
 legislativa  propria  in  materia  di assistenza sanitaria, e da esse
 organizzato nell'esercizio delle relative potesta' amministrative.
   Spetta, dunque, alle Regioni individuare le modalita'  concrete  di
 una  eventuale  partecipazione dei comuni alla redazione dei progetti
 per la realizzazione degli interventi di cui  al  comma  1  dell'art.
 71.
   Anche  la norma che dispone la partecipazione di una rappresentanza
 dell'Associazione nazionale  dei  comuni  italiani  alla  Commissione
 deputata   all'istruttoria   dei   progetti   di  intervento  risulta
 fortemente lesiva delle competenze regionali in materia.
   Se, infatti, puo' ritenersi giustificato, purche' nei limiti in cui
 venga ammesso dalle Regioni e con la modalita' da esse stabilite,  il
 coinvolgimento  dei  comuni  nella  predisposizione dei progetti, del
 tutto irrispettosa delle competenze regionali in  materia  appare  la
 previsione  relativa  alla  partecipazione  dei  comuni all'attivita'
 istruttoria.
   Spetta, infatti, esclusivamente alle Regioni, quali organi deputati
 all'organizzazione dell'assistenza sanitaria,  partecipare  a  quelle
 attivita',  quale  l'istruttoria  dei  progetti  di riorganizzazione,
 nelle quali sono direttamente coinvolte le loro competenze.
   A cio' si aggiunga che la stessa legge n.  448,  nell'istituire  la
 Commissione  presso  la  Conferenza  permanente per i rapporti tra lo
 Stato, le Regioni e le Province autonome, riconosce la spettanza alle
 Regioni delle relative competenze.
   Fortemente lesiva delle  competenze  regionali  in  materia  appare
 inoltre, la disposizione del comma 2 dell'art. 71, in base alla quale
 nell'ipotesi   in  cui  le  Regioni  non  presentino  i  progetti  di
 finanziamento nei termini stabiliti da un  decreto,  da  emanarsi  da
 parte  del  Ministro  della Sanita', "i comuni di cui al comma 1, nei
 successivi trenta  giorni,  possono  presentare  al  Ministero  della
 Sanita' propri progetti, trasmettendone copia alla Regione".
   Con  tale disposizione si attua addirittura uno scavalcamento delle
 competenze regionali a favore dei comuni ai quali viene attribuito il
 potere di predisporre direttamente i progetti.