Ricorso della Regione Lombardia, in persona del Presidente della Giunta regionale pro-tempore. on. Roberto Formigoni, autorizzato con delibera di Giunta regionale n. 41097 del 22 gennaio 1999, rappresentato e difeso, come da mandato a margine del presente atto, dal prof, avv. Beniamino Caravita di Toritto e presso il suo studio elettivamente domiciliato in Roma, via di Porta Pinciana, 6; Contro il Presidente del Consiglio dei Ministri pro-tempore per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale di alcuni articoli della legge 23 dicembre 1998, n. 448, recante "Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo", pubblicata nel supplemento ordinario n. 210/L alla Gazzetta Ufficiale - serie generale - n. 302 del 29 dicembre 1998. La legge 23 dicembre 1998, n. 448, recante "Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo", pubblicata nel supplemento ordinario n. 210/L alla Gazzetta Ufficiale - serie generale - n. 302 del 29 dicembre 1998 e' composta di due titoli, recanti, rispettivamente "Disposizioni in materia di entrata" e "Disposizioni in materia di spesa". All'interno del Titolo I vengono dettate disposizioni in materia di imposte indirette, di accertamento, di riscossione e di altre entrate dello Stato. Il Titolo II detta norme in materia di personale, di federalismo fiscale, di previdenza, prevede, inoltre, misure di razionalizzazione, misure dirette a favorire e sostenere lo sviluppo, nonche' misure in materia di politiche sociali e del lavoro. Nel coacervo di disposizioni contenute nella legge n. 448, la regione Lombardia ha individuato una serie di previsioni direttamente e immediatamente lesive della propria autonomia, che qui di seguito vengono impugnate. 1. - Violazione, da parte dell'art. 3, commi 4, 5 e 6, dell'art. 3 della Costituzione, in relazione agli artt. 92 e 93 del Trattato CEE, nonche' alle decisioni della Commissione delle comunita' europee 2 marzo 1988, 88/318/CEE e 1 marzo 1995, n. 455, recante "disposizioni in materia di riduzioni nel Mezzogiorno degli oneri sociali a carico delle imprese e di fiscalizzazione di alcuni di tali oneri". L'art. 3 del collegato alla finanziaria prevede gli "incentivi alle imprese". Si tratterebbe di una previsione meritoria, nel contesto dell'attuale situazione dell'occupazione in Italia, se non fosse che ai commi 4, 5 e 6 ritorna un istituto gravemente discriminatorio per la regione Lombardia che, si riteneva, fosse ormai sepolto e - cosi' come strutturato - non piu' utilizzabile. Prevede testualmente il comma 5 di quell'articolo: "Per i nuovi assunti negli anni 1999, 2000 e 2001 ad incremento delle unita' effettivamente occupate al 31 dicembre 1998, a tutti i datori di lavoro privati ed agli enti pubblici economici, operanti nelle regioni Campania, Basilicata, Sicilia, Puglia, Calabria e Sardegna e' riconosciuto lo sgravio contributivo in misura totale dei contributi dovuti all'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) a loro carico, per un periodo di tre anni dalla data di assunzione del singolo lavoratore, sulle retribuzioni assoggettate a contribuzione per il Fondo pensioni lavoratori dipendenti. Il beneficio si intende riconosciuto anche alle societa' cooperative di lavoro, relativamente ai nuovi soci lavoratori con i quali venga instaurato un rapporto di lavoro dipendente assimilabile a quello di lavoratori dipendenti. Nelle regioni Abruzzo e Molise le disposizioni del presente comma si applicano limitatamente ai nuovi assunti nell'anno 1999. Le agevolazioni di cui al presente comma non sono cumulabili, in capo al medesimo lavoratore, con quella di cui all'art. 4, comma 1 della legge 27dicembre 1997, n. 449". Si tratta quindi degli sgravi contributivi (INPS) totali per i nuovi assunti negli anni 1999, 2000 e 2001 nelle regioni meridionali. Il comma 6 del medesimo articolo detta le condizioni a cui e' subordinato il riconoscimento dello sgravio contributivo. Il comma 4 prevede invece modificazioni all'art. 4, comma 17 della legge 27 dicembre 1997, n. 449, recante "Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica" (finanziaria 1998); si tratta in sostanza della proroga temporale (fino al 2001) e dell'aumento del contributo degli sgravi contributivi parziali previsti per i lavoratori gia' occupati al 1 dicembre 1997, sempre nelle regioni meridionali. Il comma 7 subordina l'efficacia della misura all'autorizzazione e ai vincoli della Commissione delle comunita' europee, ai sensi degli articoli 92 e seguenti del trattato CEE. Questa previsione normativa colpisce in maniera gravissima gli interessi della regione Lombardia, discriminandola negativamente sotto due diversi profili: da un lato, perche' induce allo spostamento di produzioni ed attivita' industriali in altre parti del Paese; dall'altro lato, perche' gli sgravi contributivi, non corrispondendo ad una effettiva diminuzione del costo del lavoro, graveranno sulla fiscalita' generale e, quindi, anche sulla regione Lombardia e sui cittadini italiani residenti nella regione. Si tratta peraltro di misure, non solo discriminatorie, bensi' anche incongrue ed impertinenti, viziate - a dire poco| - da un gravissimo difetto di istruttoria: i dati piu' recenti dimostrano come nel 1998 - e quindi, come si vedra', in un periodo in cui erano assenti gli sgravi contributivi| - l'occupazione nel Mezzogiorno sia aumentata (fonte: "Informazioni Svimez", 1998, nn. 6-7, p. 3, secondo cui vi e' "una lieve ripresa dell'occupazione meridionale che recupera 16.000 posti di occupati rispetto ad aprile 1997"; nn. 8-10 p. 3, secondo cui "l'occupazione meridionale cresce e recupera i livelli del 1994"); la stessa relazione alla legge impugnata presentata al senato ha riconosciuto che "per la prima volta i dati di formazione di nuove imprese ha visto alcune regioni del Sud superare le regioni del Nord" (p.4). Si continua, invece, a non intervenire laddove sarebbe necessario, abbassando ad esempio i costi amministrativi che le imprese devono sopportare e rendono problematico l'aumento dell'occupazione (v. sempre "Informazioni Svimez", 1998, n. 5, p. 18), secondo cui sulle imprese italiane e' gravato un costo medio di 26 milioni per adempimenti amministrativi (piu' alto al Nord che al Sud|). La discriminazione in danno della Lombardia e' tanto piu' grave se si tiene presente che l'art. 3 della legge viola palesemente pregresse decisioni comunitarie, che avevano gia' dichiarato illegittimo il regime italiano degli sgravi contributivi alle imprese del Mezzogiorno. All'esito di una articolata decisione della Commissione delle comunita' europee (decisione del l marzo 1995, n. 455, recante "disposizioni in materia di riduzioni nel Mezzogiorno degli oneri sociali a carico delle imprese e di fiscalizzazione di alcuni di tali oneri"; vedila in "Riv.giur.Mezzogiorno", 1995, 4, 1249 ss.), la Commissione era stata "costretta a constatare che tutte le riduzioni di cui hanno beneficiato finora le imprese nel Mezzogiorno a partire dal l dicembre 1991 per quanto concerne le riduzioni degli oneri sociali gia' dalla legge n. 64/1986 ed a partire dal l luglio 1990 per quanto concerne il differenziale di fiscalizzazione, sono illegali in quanto accordate in violazione dell'art. 93.3. del Trattato CEE. ... tenuto conto delle preoccupazioni gia' espresse sul mantenimento del tessuto produttivo delle regioni interessate e della difficolta' di identificare l'importo dei vantaggi ricevuti da ciascun beneficiario, non e' opportuno ordinare allo Stato membro di procedere al recupero degli aiuti incompatibili versati ..." (punti 16 e 17 della decisione). Infatti, secondo la decisione (punto 10), "quale che sia l'obiettivo economico o sociale perseguito, le misure di riduzione selettiva degli oneri sociali ... costituiscono aiuti ai sensi dell'art. 92, paragrafo 1 del Trattato, poiche' hanno l'effetto di ridurre a favore delle imprese situate nel Mezzogiorno i costi degli oneri sociali che gravano normalmente sulle imprese italiane. Esse falsano quindi la concorrenza e sono suscettibili, stante la loro destinazione a tutte le imprese di tali regioni, di incidere sugli scambi. Di conseguenza, esse costituiscono aiuti, di per se' stessi vietati dall'art. 92, paragrafo 1, del Trattato". Sulla base di questi argomenti, l'art. 1 prevedeva che gli esoneri e le riduzioni di oneri sociali nelle regioni del Mezzogiorno fossero considerati aiuti, da ritenersi compatibili alle sole condizioni previste dalla decisione. L'art. 2 della decisione prevedeva che "L'esonero annuale degli oneri sociali per ogni nuovo impiego creato e' limitato ai nuovi impieghi creati entro il 31 dicembre 1997"; mentre l'art. 3 imponeva di azzerare le riduzioni globali degli oneri sociali a partire dal l dicembre 1997; e l'art. 4 imponeva di ridurre il differenziale di fiscalizzazione degli oneri sociali delle regioni meridionali rispetto a quelle del Centro-Nord al --1% nel 1999 e allo 0% nel 2000. Tutte le previsioni della decisione comunitaria sono violate, a detrimento della regione Lombardia, dall'art. 3, commi 4 e 5, della legge impugnata. Insomma, mentre la Commissione aveva introdotto nella decisione del 1995 il concetto - favorevole all'Italia - del "ritmo ragionevole di smantellamento" del regime di aiuti incriminato e aveva imposto un "calendario di uscita" graduale dal sistema, piuttosto che il suo repentino abbandono (cosi' R. Sapienza, sulla decisione della Commissione dell'Unione europea in materia di riduzioni nel mezzogiorno degli oneri sociali a carico delle imprese e di fiscalizzazione di alcuni di tali oneri", in "Rivista giuridica del Mezzogiorno", 1995, 4, 1088), lo Stato italiano, giunto ormai alla scadenza di tale calendario, appunto graduale e ragionevole, invece di apprestare rimedi di riduzione generalizzata del costo del lavoro e di individuare altri rimedi compatibili con la disciplina comunitaria, altro non ha trovato di cercare di ripristinare quegli strumenti di intervento discriminatori e lesivi, gia' sanzionati negativamente dalla Commissione| Non vale d'altra parte ne' il richiamo al fatto che simili misure erano previste nella finanziaria 1998 (art. 4, commi 17, 18 e 21), giacche' li' si trattava di misure annuali, che pur potevano apparire giustificate, in quanto proroga una tantum di un regime transitorio di graduale e ragionevole uscita dal sistema degli esoneri e delle fiscalizzazioni, mentre qui si introducono misure triennali, che lasciano pensare ad un tentativo di reintrodurre in via stabile un simile strumento; ne' vale il richiamo alla discrezionalita' legislativa che pur la Corte ha sempre operato laddove venivano in considerazione misure di favor per il Mezzogiorno: qui la discrezionalita' legislativa deve fare i conti con precise determinazioni comunitarie che si tenta invece di violare o, comunque, di forzare| 2. - Violazione dell'art. 119 della Costituzione da parte dell'art. 6. L'art. 6 apporta una serie di modifiche all'art. 3, comma 144, lett. e), delle legge 23 dicembre 1996, n. 662 nella parte in cui detta i principi e criteri direttivi cui il legislatore delegato deve ispirarsi ai fini dell'istituzione dell'imposta regionale sulle attivita' produttive di cui all' art. 3, comma 143, lett. a). Viene ora riconosciuto alle regioni il "potere di variare l'aliquota" dell'IRAP (sempre fino ad un massimo di un punto percentuale), mentre in base all'art. 3, comma 143, lett. a), legge n. 662/1996 esse potevano solo maggiorarla; inoltre le amministrazioni pubbliche possono ora fissare la suddetta aliquota "in misura tale da garantire il medesimo gettito derivante dai contributi per il S.S.N." anziche', come disponeva la norma ora modificata, "nella misura vigente per i contributi dovuti per il S.S.N. con preclusione per le regioni della facolta' di maggiorarla". Le modifiche apportate dal comma 2 dell'art. 6 riguardano, invece, l'art. 3, comma 147 della legge n. 662/1996, nella parte in cui detta i principi e i criteri cui deve essere ispirata la disciplina transitoria da predisporsi al fine di garantire la graduale sostituzione del gettito dei tributi soppressi all'art. 3, comma 143, lett. a) e la previsione di meccanismi perequativi fra le regioni finalizzati al riequilibrio degli effetti finanziari derivanti dalla istituzione dell'IRAP. In particolare l'art. 3, comma 147, alla lett. b), vietava alle regioni di maggiorare l'aliquota base dell'IRAP. L'art. 6, comma 2, lett. a), interviene su tale norma, proibendo alle regioni di "variare" l'aliquota di tale imposta. Il comma 2, inoltre, alla lett. b), aggiunge la lett. e-bis) all'art. 3, comma 147, legge n. 662/1996, disponendo che "il gettito dell'IRAP, ai fini della determinazione del fondo sanitario di cui alla lett. d), e delle eccedenze di cui alla lett. e), viene ricalcolato considerando l'aliquota base di cui al comma 144 lett. e)". L'art. 3, comma 144, lett. e), della legge n. 662/1996 fissa l'aliquota base dell'IRAP. La lett. d) dell'art. 3, comma 147 stabilisce che, ai fini della determinazione dell'entita' del fondo sanitario, vanno considerate come dotazioni proprie delle regioni il gettito dell'addizionale IRPEF e una percentuale tra il 65 e il 90 per cento del gettito IRAP, al netto della quota attribuita allo Stato di cui alla lett. o) del comma 144. La lett. e) prevede la decurtazione dei trasferimenti (alle regioni) ad altro titolo di un importo pari al residuo gettito dell'IRAP al netto delle devoluzioni a province e comuni di cui alla lett. q) del comma 144 e, qualora il residuo gettito sia superiore all'ammontare di detti trasferimenti, la devoluzione allo Stato delle eccedenze. Per effetto dell'art. 6, comma 2, lett. b) della legge n. 448/1998 l'aliquota base viene a costituire il criterio per il calcolo del gettito IRAP ai fini della determinazione delle dotazioni proprie del fondo sanitario di cui al comma 147, lett. d) della legge n. 662/1996 e delle eccedenze di cui alla lett. e). Le dotazioni proprie del Fondo sanitario e le eccedenze dovute allo Stato verranno in tal modo calcolate con riferimento ad un parametro maggiore rispetto a quelli considerati in passato. Tale parametro e', infatti, ora costituito dall'intero gettito dell'IRAP anziche' come stabiliscono le lett. d) ed e) dell'art. 3, comma 147, legge n. 662/1996, da una percentuale di esso. Quanto al Fondo sanitario, l'art. 6, comma 2, lett. b), nell'imporre un ricalcolo in aumento della dotazione propria delle regioni, produce quale effetto indotto la conseguente diminuzione dei trasferimenti statali alle regioni destinati a finanziare il servizio sanitario regionale. Anche ai fini di cui all'art. 3, comma 147, lett. "e), legge n. .662/1996, calcolando, per effetto della disposizione impugnata, il gettito IRAP prendendo a parametro l'aliquota base, il "residuo gettito IRAP", di cui al comma 147, risultera' sicuramente di entita' superiore rispetto al passato con la duplice conseguenza di una maggiore decurtazione, a danno delle regioni, di altri trasferimenti statali e di una piu' alta probabilita' della sussistenza di eccedenze da riversarsi allo Stato. 3. - Violazione degli artt. 117, e 97 Cost. L'art. 65, inserito nel Capo VI, recante "Misure in materia di politiche sociali e del lavoro", nel prevedere, ai commi 1 e 2, la corresponsione di assegni per i nuclei familiari composti da cittadini italiani residenti con tre o piu' figli tutti con eta' inferiore ai 18 anni e in possesso di determinati requisiti di reddito, attribuisce ai comuni la competenza all'erogazione dei suddetti assegni. Allo scopo di garantire tale corresponsione, al comma 5, inoltre, si istituisce un apposito Fondo presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Il comma 6, inoltre, prevede l'emanazione da parte del Ministro per la solidarieta' sociale di concerto con i Ministri del lavoro della previdenza sociale e del tesoro del bilancio e della programmazione economica di norme regolamentari per l'applicazione concreta delle disposizioni dell'art. 65. L'attribuzione ai comuni del potere di erogare l'assegno, nonche' dei compiti informativi di cui al comma 2, appare fortemente lesiva delle competenze regionali in materia di servizi sociali, cosi' come definitivamente riconosciute, in attuazione degli artt. 117 e 118 della Costituzione, dal d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112 emanato dal Governo a seguito della delega disposta dal Capo I della legge n. 59/1997. L'art. 128 del d.lgs. n. 112/1998, al comma 2, stabilisce che per "servizi sociali" si intendono tutte le attivita' relative alla predisposizione e alla erogazione di servizi, gratuiti ed a pagamento, o di prestazioni economiche destinate a rimuovere e superare le situazioni di bisogno e di difficolta' che la persona umana incontra nel corso della sua vita, escluse soltanto quelle assicurate dal sistema previdenziale e da quello sanitario, nonche' quelle assicurate in sede di amministrazione della giustizia". L'art. 131 del d.lgs. n. 112/1998 stabilisce che "Sono conferiti alle regioni e agli enti locali tutte le funzioni e i compiti amministrativi nella materia dei "servizi sociali", salvo quelli espressamente mantenuti allo Stato dall'art. 129 e di quelli trasferiti all'INPS dall'articolo 130". Dalla lettura degli articoli 129 e 130 non risulta che la corresponsione degli assegni familiari rientri nelle competenze dello Stato o dell'INPS. A cio' si aggiunga che, se e' vero che il secondo comma dell'art. 131 attribuisce ai comuni i compiti di erogazione dei servizi e delle prestazioni sociali, e' anche vero che l'art. 132 affida alle regioni il compito di individuare le funzioni trasferite o delegate agli enti locali minori. Ai sensi del primo comma dell'art. 132, infatti, "Le regioni adottano, ai sensi dell'art. 4, comma 5 della legge n. 59/1997, entro sei mesi dall'emanazione del presente decreto legislativo, la legge di puntuale individuazione delle funzioni trasferite o delegate ai comuni ed agli enti locali e di quelle mantenute in capo alle regioni stesse". Dunque, pur essendo obbligate dallo stesso d.lgs. n. 112 a conferire agli enti locali le funzioni ed i compiti amministrativi concernenti i servizi sociali, spetta in ogni caso alle regioni, e solo ad esse, individuare le modalita' attraverso le quali effettuare il suddetto conferimento ed organizzare i relativi servizi. La norma impugnata, al contrario, nell'attribuire direttamente tali funzioni ai comuni, non tiene assolutamente conto delle competenze regionali in materia e si dimostra, pertanto, irrispettosa dell'assetto organizzativo dato ai servizi sociali dalle leggi regionali emanate in attuazione dell'art. 132 d.lgs. n. 112/1998. L'art. 65, comma 2, si pone, pertanto, in aperta contraddizione con gli artt. 117 e 118 della Costituzione in relazione a quanto previsto dal Titolo IV, Capo II, d.lgs. n. 112/1998. E si' vero che il d.lgs. n. 112 non costituisce nuovo parametro costituzionale; purtuttavia, esso, insieme alla legge n. 59 del 1997, sicuramente integra il parametro degli artt. 117 e 118 della Costituzione: non e' dunque ammissibile che il legislatore, con interventi estemporanei, disorganici e non supportati da una peculiare motivazione, possa mettere nel nulla le prescrizioni del d.lgs. n. 112 e, dunque, anche l'attivita' regionale di attuazione di esso. 4. - Violazione degli artt. 117, 118 e 97 della Costituzione. L'art. 66, nel prevedere la corresponsione di assegni di maternita' a favore delle madri che facciano parte di nuclei familiari composti da non meno di tre membri e che siano in possesso di determinati requisiti di reddito, attribuisce ai comuni la competenza ad erogare i suddetti assegni. Ai sensi del comma 1, inoltre, i comuni sono deputati allo svolgimento di tutte le incombenze inerenti alla corresponsione dei suddetti assegni (ad es. compiti informativi). Il comma 5 istituisce presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri un apposito Fondo e prevede l'obbligo per lo Stato di rimborsare i comuni delle somme anticipatamente erogate. Il comma 6, inoltre, prevede l'emanazione da parte del Ministro per la solidarieta' sociale di concerto con i Ministri del lavoro della previdenza sociale e del tesoro, del bilancio e della programmazione economica di norme regolamentari per l'applicazione concreta delle disposizioni dell'art. 66. Anche per la disposizione del comma 1, nella parte in cui stabilisce che "l'assegno e' erogato dai comuni con decorrenza dalla data del parto. I comuni provvedono ad informare gli interessati invitandoli a certificare il possesso dei requisiti all'atto di iscrizione all'anagrafe comunale dei nuovi nati", valgono le stesse censure mosse sub par. 3 all'art. 65, comma 2. L'art. 66, comma 1, risulta, pertanto, lesivo degli artt. 117 e 118 della Costituzione in relazione a quanto previsto dal Titolo IV, Capo II, del d.lgs n. 112/1998. 5. - Violazione dell'art. 119 della Costituzione in relazione all'art. 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421 e all'art. 11 del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502 da parte dell'art. 68, commi 1 e 2. L'art. 68, ai commi 1 e 2, detta disposizioni in ordine alla riduzione dei ticket. Il comma 1 stabilisce che, nel periodo compreso tra il primo gennaio 1999 e il momento in cui verra' data attuazione all'art. 3 del d.lgs. n. 124/1998, gli assistiti esenti sono esonerati dall'obbligo di corrispondere la quota fissa per ricetta per le prescrizioni relative alle prestazioni di diagnostica strumentale e di laboratorio e per le altre prestazioni specialistiche erogate in regime ambulatoriale. Si dispone, inoltre, l'esonero degli assistiti dal pagamento della quota fissa per ricetta per le prescrizioni diagnostiche e specialistiche relative alla certificazione di idoneita' per il servizio civile presso gli enti convenzionati con il Ministero della difesa. Il comma 2 sostituisce l'ultimo periodo del comma 9 dell'art. 3 del d.lgs. n. 124/1998 nel modo seguente "La quota fissa per ricetta non e' dovuta per le prescrizioni relative alle prestazioni di diagnostica strumentale e di laboratorio e per le altre prestazioni specialistiche erogate in regime ambulatoriale di cui al comma 3. Per le prescrizioni relative alle restanti tipologie di prestazioni, di cui ai commi 4, 5, 6, e 7, la quota fissa dovuta dagli assistititi totalmente esenti e' pari a lire 6.000". Il comma 9 dell'art. 3 del d.lgs. n. 124/1998, su cui interviene tale modifica, si riferisce esclusivamente agli assistiti totalmente esenti, stabilendo, nell'ultimo periodo, che "Per le prestazioni relative alle restanti tipologie di prestazione di cui ai precedenti commi, la quota fissa per ricetta dovuta dagli assistiti totalmente esenti e' pari a 6.000 lire". Dal combinato disposto dei commi 1 e 2 risulta che per le prescrizioni relative alle prestazioni di diagnostica strumentale e di laboratorio e per le altre prestazioni specialistiche erogate in regime ambulatoriale, gli assistiti esenti e quelli totalmente esenti sono esonerati dall'obbligo di pagare la quota fissa, che in precedenza ammontava a lire 6.000; mentre per le prestazioni di ricovero diurno per accertamenti diagnostici, di assistenza termale, di assistenza riabilitativa extraospedaliera e di pronto soccorso, di cui all'art. 3, commi da 4 a 7 del d.lgs. n. 124/1998, la quota fissa dovuta dagli assistiti totalmente esenti resta di lire 6.000. I commi 1 e 2 dell'art. 68, nel prevedere tali forme di esenzione, decurtano entrate di indubbia spettanza regionale. Gia', infatti, la legge 23 ottobre 1992, n. 421, recante "Delega al Governo per la razionalizzazione e la revisione delle discipline in materia di sanita', di pubblico impiego, di previdenza e di finanza territoriale", all'art. 1, comma 1, lett. i), delegava il Governo a prevedere l'attribuzione, a decorrere dal primo gennaio 1993, alle regioni e alle province autonome dei contributi per le prestazioni del S.S.N. localmente riscossi con riferimento al domicilio fiscale". In attuazione della legge n. 421/1992, il d.lgs. n. 502/1992, all'art. 11, comma 9, stabilisce che "I contributi per le prestazioni del S.S.N. e le altre somme ad essi connesse sono attribuiti alle regioni in relazione al domicilio fiscale posseduto al primo gennaio di ciascun anno dall'iscritto al S.S.N.". Tali disposizioni, riducendo le entrate regionali, risultano indubbiame nte idonee a ledere l'autonomia finanziaria regionale, riconosciuta dall'art. 119 della Costituzione. A tal proposito questa ecc.ma Corte ha affermato il principio in base al quale "Lo Stato, una volta trasferiti e determinati i mezzi finanziari di cui vi e' disponibilita', puo' rifiutare di addossarsi gli ulteriori disavanzi per spese estranee alle proprie scelte o dipendenti da determinazioni degli enti gestori, ma non puo' addossare al bilancio regionale oneri relativi alla spesa sanitaria che derivano da decisioni non imputabili alle regioni stesse ... Pertanto e' evidente che una norma, che impone alle regioni di provvedere al ripiano dei disavanzi di gestione anche in relazione a scelte legislative dello Stato, viola l'autonomia finanziaria di bilancio e di spesa delle regioni" (sent. 416/1995; cfr. anche sent. 452/1989). 6. - Violazione degli articoli 117 e 118 della Costituzione, in relazione all'art. 8 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 da parte dell'art. 68, commi 3, 4, 5, 7, e 9. L'art. 68, al comma 3, stabilisce che le eccedenze della spesa farmaceutica, individuata dai commi 15 e 16 dell'art. 36 della legge n. 449/1997, vanno calcolate regione per regione, tenuto conto di vari indicatori quale la popolazione residente. Il comma 4, nell'individuare i meccanismi di calcolo delle suddette eccedenze, stabilisce che le Regioni e le Province autonome sono obbligate a trasmettere per il tramite della Agenzia per i servizi sanitari regionali i dati relativi ai medicinali venduti nel rispettivo territorio con oneri a carico del S.S.N.. Tale disposizione, inoltre, individua l'entita' dei contributi dovuti, rispettivamente, dalle imprese titolari dell'autorizzazione all'immissione in commercio, dalle imprese distributrici e dalle farmacie aperte al pubblico per coprire parte delle eccedenze della spesa farmaceutica. Il comma 5 attribuisce alla Commissione prevista dall'art. 36, comma 16, legge n. 449/1997, una serie di funzioni quali quella di proporre al Ministro della Sanita' misure idonee ad assicurare che sia rispettato il limite di spesa farmaceutica di cui all'art. 36, comma 15, legge n. 449, quella di verificare il raggiungimento dell'obiettivo del risparmio di spesa pari al 60% dell'anno 1998 e di comunicarne l'eventuale esito negativo al Ministro della Sanita'. Il comma 7 istituisce l'Osservatorio nazionale sull'impiego dei medicinali con le seguenti funzioni: a) raccogliere ed elaborare dati di consumo, di impiego e di spesa, sia dei medicinali erogati o direttamente utilizzati dal S.S.N., sia di quelli a carico dell'assistito; b) svolgere le funzioni - quali la raccolta dei dati sui prezzi dei beni e dei servizi offerti dal S.S.N. - gia' attribuite dall'art. 1, comma 30, legge n. 662/1996 all'osservatorio centrale degli acquisti e dei prezzi; c) redigere un rapporto al Ministero della Sanita', finalizzato a confrontare la spesa per i medicinali erogati direttamente dal S.S.N., attraverso le farmacie, con quella sostenuta per i medicinali erogati con sistemi alternativi o direttamente impiegati in ambito ospedaliero. Il comma 9 stabilisce l'obbligo per le farmacie pubbliche e private di fornire al Dipartimento per la valutazione dei medicinali e la farmacovigilanza dati di vendita dei medicinali a carico del S.S.N. Tale disposizione impone, inoltre, alle strutture del S.S.N. pubbliche o private o accreditate di fornire al predetto Dipartimento, su richiesta, dati in proprio possesso utili ai fini dell'assolvimento dei compiti dell'Osservatorio nazionale sull'impiego dei medicinali. Dalla lettura di tali disposizioni appare evidente come le Regioni risultino totalmente estromesse sia dal procedimento di calcolo delle eccedenze della spesa sanitaria, sia dal calcolo dei contributi dovuti dai produttori e distributori farmaceutici ai fini della copertura delle eccedenze della spesa farmaceutica. Quanto al calcolo delle eccedenze, le Regioni sono chiamate esclusivamente a fornire al Dipartimento per la valutazione dei medicinali e la farmacovigilanza i dati relativi alla vendita da parte delle farmacie di tutti i medicinali erogati a carico del S.S.N.. Si tratta di una partecipazione limitativa a fronte delle ampie competenze attribuite alle Regioni dall'art. 8, comma 2, del decreto legislativo n. 502/1992. Quanto al calcolo dei contributi dovuti dalle aziende farmaceutiche, le Regioni vengono completamente estromesse da tale attivita'. E' principio generale della materia sanitaria ed assistenziale che le Regioni siano sempre messe in condizione di ottenere tutte le informazioni relative alla spesa sanitaria ed assistenziale e non possano essere estromesse in favore dell'amministrazione centrale: ove cio' accada, come nella fattispecie, si e' di fronte ad una palese violazione delle competenze costituzionalmente garantite alle Regioni. 7. - Violazione degli articoli 117 e 118 della Costituzione in relazione al decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, all'art. 2 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e all'art. 114 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 da parte dell'art. 71. L'art. 71 prevede lo stanziamento di somme di denaro al fine di riorganizzare e riqualificare l'assistenza sanitaria nei grandi centri urbani, da individuarsi, su proposta del Ministro della Sanita', dalla Conferenza Unificata, tenendo in particolare considerazione quelli situati nelle aree centro-meridionali. Tali interventi sono finalizzati ad assicurare ai cittadini: a) standard di salute, di qualita' ed efficienza dei servizi indicati nel Piano sanitario nazionale 1998-2000; b) il miglioramento degli strumenti di coordinamento della rete dei servizi dei cittadini; c) il potenziamento qualitativo e quantitativo delle dotazioni sanitarie strutturali e tecnologiche, con particolare riguardo alla accessibilita', alla sicurezza ed alla umanizzazione dell'assistenza; d) la riqualificazione delle strutture sanitarie; e) la territorializzazione dei servizi (lett. e). Nella fase di realizzazione di tali interventi ampio spazio e' concesso dal comma 2 ai comuni: questi, infatti, debbono essere sentiti dalle regioni nell'elaborazione dei progetti, inoltre l'Associazione nazionale dei comuni italiani partecipa all'istruttoria, essendo rappresentata in misura paritetica con le regioni e il Ministero della sanita' alla Commissione istituita presso la Conferenza permanente per i rapporti fra lo Stato, le Regioni e le provincie autonome, che cura l'istruttoria stessa dei progetti. Gli stessi comuni possono, decorso inutilmente il termine previsto per la presentazione dei progetti di intervento da parte delle Regioni, sottoporne di propri. Al Ministro della Sanita', d'intesa con la Conferenza Unificata, e' attribuito il compito di individuare, sulla base dell'istruttoria compiuta dalla Commissione, i progetti ammessi al cofinanziamento. La disposizione impugnata appare fortemente lesiva delle competenze riconosciute alle Regioni in materia sanitaria dagli articoli 117 e 118, primo comma, della Costituzione sia per aver essa coinvolto la Conferenza Unificata in decisioni che spettano essenzialmente alle Regioni, e quindi alla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano; sia per il ruolo attribuito ai comuni nella procedura di distribuzione dei finanziamenti da essa introdotta. 7.1. - Quanto al primo profilo di illegittimita', va sottolineato come l'attribuzione alla Conferenza Unificata del compito di individuare i centri urbani nei quali realizzare gli interventi di riorganizzazione e riqualificazione dell'assistenza sanitaria (art. 71, comma 1), nonche' la previsione in base alla quale il Ministro della Sanita' individua i progetti da ammettere al finanziamento "d'intesa con la citata Conferenza Unificata" (art. 71, comma 2), sminuiscono le competenze costituzionalmente riconosciute alle Regioni in ordine alla riorganizzazione del sistema sanitario. Tale disposizione viola, inoltre, quanto disposto in ordine alle competenze della Conferenza Stato-Regioni dal decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, cosi' come interpretato da questa Ecc.ma Corte. Il decreto legislativo n. 281/1997, infatti, nel disciplinare le funzioni della Conferenza Stato-Regioni, all'art. 2, comma 3, stabilisce espressamente che la Conferenza Stato-Regioni e' obbligatoriamente sentita in ordine agli schemi di disegno di legge e di decreto legislativo o di regolamento del Governo nelle materie di competenza delle Regioni. Nella sentenza 408/1998, la Corte cosi' commenta tale disposizione "L'art. 2, comma 3, del decreto legislativo n. 281 stabilisce che essa (la Conferenza Stato-Regioni) e' obbligatoriamente sentita in ordine agli schemi di legge e di decreto legislativo o di regolamento del Governo nelle materie di competenza delle Regioni generalizzando la partecipazione consultiva obbligatoria sull'attivita e sull'iniziativa normativa del Governo nelle materie regionali". Quanto alle competenze della Conferenza Unificata, l'art. 9, comma 2 del decreto legislativo n. 281/1997 stabilisce che essa "e' comunque competente in tutti i casi in cui regioni, comuni e comunita' montane ovvero la Conferenza Stato-Regioni e la Conferenza Stato-citta' debbano esprimersi sul medesimo oggetto". L'art. 2, inoltre, alla lett. a), nello specificare le competenze della Conferenza Unificata, stabilisce che essa esprime parere sul disegno di legge finanziaria e sui disegni di legge collegati; sul disegno di programmazione economica e finanziaria, sugli schemi di decreto legislativo adottati in base all'art. 1 della legge n. 59/1997. Anche alla luce di quanto stabilito dall'art. 2 del decreto legislativo n. 281/1997, dunque, una competenza in materia della Conferenza Unificata deve ritenersi esclusa. Ne', d'altra parte, e' possibile ritenere sussistente tale competenza della Conferenza Unificata sulla base di quanto previsto dalla prima parte del comma 2 dell'art. 9, del decreto legislativo n. 281/1997, dove si stabilisce che la Conferenza Unificata e' competente quando la Conferenza Stato-Regioni e la Conferenza Stato-citta' "debbano esprimersi sul medesimo oggetto". Dalla lettura del comma 5 dell'art. 9, che disciplina le funzioni della Conferenza Stato-citta' non e' possibile desumere competenze della stessa in materia di assistenza sanitaria: tale norma, infatti, riconduce le competenze della Conferenza Stato-citta' essenzialmente alla sfera degli interessi che fanno capo alle autonomie locali. D'altra parte, se e' vero che questa Ecc.ma Corte, nel pronunciarsi in ordine alla questione di legittimita' costituzionale sollevata dalla Regione Puglia in ordine alla unificazione della Conferenza Stato-Regioni con la Conferenza Stato-citta', attuata con il decreto legislativo n. 281/1997, ha riconosciuto che la previsione della Conferenza Unificata costituisce "una scelta discrezionale del legislatore non in contrasto con la Costituzione", e' anche vero che questa Ecc.ma Corte ha ritenuto la legittimita' costituzionale della Conferenza Unificata "quale strumento di raccordo fra Governo e autonomie, allorche' siano in discussione argomenti di interesse comune vuoi delle regioni vuoi degli enti locali" (sent. 408/1998). E la materia dell'assistenza sanitaria, in quanto rientrante nella competenza delle Regioni, non sembra possa ritenersi, se non in maniera molto limitata, di interesse comune delle Regioni e degli Enti locali. 7.2. - Quanto al secondo profilo di illegittimita', va sottolineato come l'attribuzione ai comuni delle competenze elencate nell'art. 71 si pone in aperta contraddizione con le competenze regionali in materia di organizzazione sanitaria attribuite alle Regioni, dagli artt. 117 e 118, primo comma, della Costituzione, e riconosciute nella giurisprudenza di questa Ecc.ma Corte (cfr. sent. 355/1993) Come e' noto, l'art. 117 della Costituzione attribuisce alla competenza delle Regioni la materia dell'assistenza sanitaria e ospedaliera e l'art. 118, comma 1, attribuisce alle stesse le funzioni amministrative per le materie elencate dall'art. 117. Tale competenza e' stata riaffermata dall'art. 2 del decreto legislativ o 30 dicembre 1992, n. 502, recante "Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell'art. 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421", nonche' da ultimo dal decreto legislativo n. 112/1998. Tale decreto legislativo, in attuazione della delega disposta dal Capo I della legge n. 59/1997, all'art. 114, dispone espressamente che "Sono conferiti alle Regioni, secondo le modalita' e le regole fissate dagli articoli del presente Capo, tutte le funzioni e compiti amministrativi in tema di salute umana e sanita' veterinaria, salvo quelle espressamente mantenute allo Stato". Di recente questa Ecc.ma Corte ha ribadito il principio in base al quale la "potesta' di emanare norme per l'organizzazione, la gestione e il funzionamento delle U.S.L. e dei loro servizi, come anche il generale potere di vigilanza sulle stesse strutture, rientrano nella materia dell'"assistenza sanitaria e ospedaliera" di competenza regionale ex art. 117 Cost.". E ha precisato che "La struttura organizzativa, intesa come articolazione degli uffici e dei compiti delle citate unita' sanitarie, deve, pertanto ritenersi ricompresa tra quelle competenze che fanno capo alla Regione (sent. 174/1991), come anche il generale potere di vigilanza sulle stesse strutture" (sent. 156/1996). Gli enti regionali costituiscono, pertanto, gli interlocutori privilegiati dello Stato in materia di assistenza sanitaria e di organizzazione della stessa. Un eventuale coinvolgimento dei comuni ha, quindi, un senso solo in quanto disposto dalle Regioni, quali enti titolari di competenza legislativa propria in materia di assistenza sanitaria, e da esse organizzato nell'esercizio delle relative potesta' amministrative. Spetta, dunque, alle Regioni individuare le modalita' concrete di una eventuale partecipazione dei comuni alla redazione dei progetti per la realizzazione degli interventi di cui al comma 1 dell'art. 71. Anche la norma che dispone la partecipazione di una rappresentanza dell'Associazione nazionale dei comuni italiani alla Commissione deputata all'istruttoria dei progetti di intervento risulta fortemente lesiva delle competenze regionali in materia. Se, infatti, puo' ritenersi giustificato, purche' nei limiti in cui venga ammesso dalle Regioni e con la modalita' da esse stabilite, il coinvolgimento dei comuni nella predisposizione dei progetti, del tutto irrispettosa delle competenze regionali in materia appare la previsione relativa alla partecipazione dei comuni all'attivita' istruttoria. Spetta, infatti, esclusivamente alle Regioni, quali organi deputati all'organizzazione dell'assistenza sanitaria, partecipare a quelle attivita', quale l'istruttoria dei progetti di riorganizzazione, nelle quali sono direttamente coinvolte le loro competenze. A cio' si aggiunga che la stessa legge n. 448, nell'istituire la Commissione presso la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome, riconosce la spettanza alle Regioni delle relative competenze. Fortemente lesiva delle competenze regionali in materia appare inoltre, la disposizione del comma 2 dell'art. 71, in base alla quale nell'ipotesi in cui le Regioni non presentino i progetti di finanziamento nei termini stabiliti da un decreto, da emanarsi da parte del Ministro della Sanita', "i comuni di cui al comma 1, nei successivi trenta giorni, possono presentare al Ministero della Sanita' propri progetti, trasmettendone copia alla Regione". Con tale disposizione si attua addirittura uno scavalcamento delle competenze regionali a favore dei comuni ai quali viene attribuito il potere di predisporre direttamente i progetti.