IL TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA Ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento di sorveglianza chiamato all'udienza del giorno 2 dicembre 1998, relativo a Caruso Luigi nato a Noto il 10 febbraio 1973, detenuto nella C.R. Alessandria, domiciliato presso il Serv. Centrale Protezione ed instaurato ai sensi degli artt. 666, 678 C.P.P., 47, 47 ter, 54 L. 354/1975, 13 ter L. 82/1991 (Oggetto: detenzione domiciliare, affidamento in prova e liberazione anticipata); Titolo in espiazione: sentenza Corte Appello Catania 28 aprile 1997; Dec. pena: 26 gennaio 1995; Fine pena: 26 gennaio 2004; Fatto e diritto Caruso Luigi, titolare di speciale programma di protezione ai sensi della legge n. 82/1991, ha proposto istanze di detenzione domiciliare, affidamento in prova e liberazione anticipata con riferimento al titolo riportato in epigrafe mentre si trovava ristretto nella C.R. Alessandria, ove e' ancora detenuto. Pregiudiziale, ad avviso del collegio, e' la verifica della sussistenza della competenza territoriale di questo tribunale relativamente alle domande per cui e' procedimento. Gia' con ordinanza 18 marzo 1998 questo stesso tribunale, premessa un'ampia ricognizione in merito alla evoluzione storica della normativa riguardante la materia in oggetto, ha rilevato con indicazione condivisa pienamente da questo collegio come - per effetto di un consolidato orientamento della Suprema Corte di Cassazione - si debba reputare diritto vivente l'interpretazione che attribuisce in via esclusiva al tribunale di sorveglianza di Roma la cognizione nella materia in esame. Con la medesima ordinanza di rimessione degli atti alla Corte costituzionale del 18 marzo 1998 si e' osservato, peraltro: "La norma in esame, come cristallizzata in una competenza esclusiva per tutto il territorio nazionale di un solo tribunale e giudice di sorveglianza, in una certa misura ratione materiae ma soprattutto ratione personae sulla base dei soggetti giudicabili, si configura come norma eccezionale come nessun'altra; sotto l'aspetto strutturale e tecnico-giuridico assolutamente anomala e di rottura del sistema; priva di un fondamento di ragionevolezza; clamorosamente al di fuori in modo singolare dalle previsioni e dalla disciplina dell'ordinamento giudiziario che regola numero, sedi circoscrizioni territoriali degli uffici giudiziari e cosi' dei tribunali e magistrati di sorveglianza; introduttiva di una competenza suscettibile di essere modificata da atto non legislativo. Sono le ragioni del contrasto con precetti e principi costituzionali. L'esaminata competenza territoriale esclusiva del tribunale e del magistrato di sorveglianza di Roma costituisce una previsione unica e senza precedenti nel nostro ordinamento. Un giudice di merito di primo grado - salvo rari casi d'appello - in materia penale, regolarmente inserito dall'ordinamento giudiziario in una distribuzione territoriale su base distrettuale (tribunale) e circondariale o pluricircondariale (magistrato di sorveglianza) per la trattazione di misure attinenti all'esecuzione della pena, delle misure di sicurezza e altro, previste dal codice penale, dall'ordinamento penitenziario e da altre leggi, e preminentemente di misure trattamentali e alternative alla detenzione previste dal capo VI titolo 1 dell'O.P., che diviene, nell'applicazione di queste stesse misure nei confronti di una determinata categoria di persone giudicabili un giudice unico ed esclusivo per tutto il territorio nazionale. Cio' contrasta con piu' norme della Costituzione. Sotto un primo profilo, con l'art. 102, comma 1, che attribuisce l'esercizio della funzione giurisdizionale a magistrati ordinari istituiti e regolati dalle norme dell'ordinamento giudiziario, che stabilisce sedi e circoscrizioni territoriali di ogni ufficio (art. 5, in relaz. art. 1 ord. giud.) E l'art. 102 della Costituzione non fa richiamo semplicemente alla legge ordinaria, ma nella sua prima norma sulla funzione giurisdizionale, anche di una certa solennita', fa richiamo specifico all'ordinamento giudiziario (richiamato ancora dai successivi art. 105, 106, 107 e 108 della Costituzione) quale legge fondamentale che regola la struttura organica e l'articolazione dei giudici, operante a mezzo del Consiglio Superiore della Magistratura, organo di rilevanza costituzionale, che ne assicura l'applicazione nel rispetto delle finalita' di giustizia, di indipendenza, di corretto esercizio della giurisdizione, di efficienza. ordinamento giudiziario che non e' stato modificato. Un giudice unico nel territorio che ha competenza esclusiva per i procedimenti riguardanti una certa categoria di giudicabili, i collaboratori di giustizia titolari di speciale programma di protezione, si configura per cio' stesso quale "giudice straordinario", la cui istituzione e' espressamente vietata dal 2 comma dell'art. 102 della Costituzione. Il carattere di straordinarieta' e' rafforzato ove si consideri che accanto alla competenza ratione personae c'e' anche una, sia pure sfumata, competenza per materia, non essendo dubitabile che l'applicazione delle misure alternative e trattamentali a detti collaboratori si caratterizza per una specifica carenza e una diversita' di elementi sostanziali; per la deroga ai limiti di pena (illimitata); la deroga a carattere generale alle "vigenti disposizioni" relative ai requisiti e ad ogni altro elemento ordinariamente richiesto per la concedibilita' della misura; per la stessa condizione del soggetto giudicabile di collaborante esposto a rischio e con protezione speciale che qualifica in modo particolare il giudizio; per l'intervento di merito della commissione centrale attraverso il previsto parere obbligatorio e altre indicazioni e determinazioni che puo' inviare al giudice. Sotto certi profili un siffatto giudice puo' qualificarsi anche "giudice speciale" essendo spesso il confine molto tenue ed incerto, come evidenziato dalla maggiore dottrina: giudice speciale la cui istituzione e' parimenti vietata dall'art. 102 2 comma della Costituzione, che riconosce soltanto quelli gia' esistenti per i quali la VI disposizione transitoria della Costituzione prevedeva una revisione, salvo quelli contemplati dalla stessa Costituzione. Ed in effetti v'e' stata tutta una serie di decisioni della Corte costituzionale che ha fatto cadere molte giurisdizioni speciali. Il divieto di istituzione di giudici straordinari - al pari di quelli speciali - ha carattere assoluto, in quanto viene a contraddire - assieme allo specifico precetto costituzionale - i principi basilari della nostra civilta' giuridica, dal generale divieto di discriminazioni alle regole proprie del "processo giusto", al rispetto dell'unita' della giurisdizione. Non e' peraltro ipotizzabile che trattasi non di un giudice straordinario o speciale ma di una sezione specializzata per una determinata materia, la cui istituzione presso gli organi giudiziari ordinari e' consentita dal 2 comma dell'art. 102 della Costituzione. Non occorrono molte parole per evidenziare l'assoluta diversita' sia per ragioni strutturali e ordinamentali che per quelle attinenti alla materia. Le sezioni specializzate che hanno previsione legislativa sono proprie del ramo civile, inserite in un maggiore e ordinario ufficio giudiziario, generalmente prive di una normativa che le disciplina, costituite da giudici di quell'ufficio per la trattazione della specifica materia, e non danno luogo a questioni di competenza ma al piu' a questioni di composizione di carattere tabellare. In materia penale, l'unica sezione specializzata puo' ravvisarsi nelle sezioni per i reati ministeriali, con sede distrettuale previste dalla legge costituzionale 16 gennaio 1995 n. 1. Quanto al tribunale e magistrato di sorveglianza non sussistono gli elementi strutturali, - organizzativi ne una specialita' di "materia" perche' si possa configurare come una sezione specializzata. I procedimenti nei confronti dei collaboratori, pur con alcuni menzionati elementi di diversita', non si differenziano dai procedimenti per le stesse misure nei confronti degli altri soggetti giudicabili; tant'e' che non sono previsti appositi collegi o giudici ne' dalla legge ne' in sede tabellare non richiedendo tali giudizi una particolare specializzazione. E sarebbe davvero singolare configurare un tribunale come sezione specializzata per materia soltanto in funzione di una competenza allargata a tutto il territorio nei confronti di determinati soggetti giudicabili. Contrasto della norma col principio della ragionevolezza della scelta legislativa. La Corte costituzionale ha ampiamente sviluppato il tema della incompatibilita' di una norma con i principi costituzionali quando la scelta del legislatore sia priva di ragionevolezza e contrasti percio' con la buona tutela dell'interesse protetto, in questo caso con il buon andamento della giustizia. Nella scelta che ci occupa non e' ravvisabile alcuna ragione che giustifichi una deroga cosi' rivoluzionante e totalizzante agli ordinari criteri di competenza e agli assetti previsti dall'ordinamento giudiziario. Esponendo in sintesi, manca una particolare specificita' dei giudici di sorveglianza di Roma perche' sia demandato soltanto a loro il giudizio sulle misure da irrogare ai collaboratori. Il restringere la cognizione di tali giudizi ad un solo giudice limita l'evolversi della giurisprudenza ed elimina i pur produttivi contrasti, con danno all'elaborazione del diritto e quindi alla giustizia, cui si accompagna il rischio di sclerotizzare le prassi procedimentali. Puo' determinare, piu' o meno inconsapevolmente e indirettamente, un particolare centro di potere e di rapporti con altre autorita' centrali, con potenziale lesione della indipendenza e dell'immagine del giudice. Non realizza una maggiore protezione del collaboratore a rischio rispetto ad altre possibili soluzioni, neppure determinando, attraverso la designazione di un solo giudice competente, una apprezzabile maggiore difficolta' di individuare il luogo ove il collaboratore vive ed e' tenuto. A parte il fatto che ormai e' dato verificare che molti collaboratori protetti conducono una vita regolare e aperta, in regime di misura alternativa o non, nella localita' di origine o dove sono stati trasferiti; cosi' come molti altri sono ristretti in istituti carcerari quand'anche titolari di programmi di protezione. E' allora esigibile che, tra le tante possibili, venisse adottata una scelta adeguata al fine da realizzare, senza intaccare i principi fondamentali dell'ordinamento. Degli elementi sopra indicati, e tanto piu' dal loro combinarsi, derivano o possono attendibilmente derivare da parte dei giudici diversita' di soluzioni e quindi di trattamento nei giudizi e nell'applicazione delle misure rispetto ai giudizi svolti in un assetto non "turbato" dalla competenza esclusiva, e rispetto alle soluzioni adottate senza turbative dagli altri tribunali e giudici di sorveglianza. E cio' sia nei confronti dei collaboratori che degli altri condannati. Cosa che comporta disparita' di trattamento in violazione dell'art. 3 della Costituzione. Una ulteriore situazione anomala, collegabile al tema della ragionevolezza e della congruita', e' l'orientamento da qualche tempo adottato dalla commissione centrale e in progressiva accentuazione di fare espiare in carcere consistenti periodi di pena anche ai collaboratori con programma di protezione. E cio' anche in correlazione al noto dibattito che c'e' stato nel Paese a seguito di eclatanti inammissibili comportamenti tenuti da alcuni pentiti, e sui trattamenti "d'oro" fatti a tanti collaboratori. Ne consegue che, sempre di piu', le misure richieste e adottate da questo tribunale e magistrato riguardano collaboratori con programma in stato di detenzione carceraria. Anche il presente procedimento per l'applicazione della detenzione domiciliare attiene a un collaboratore detenuto nel carcere di Alessandria. Viene allora da considerare che senso ha che questo tribunale debba avere competenza a giudicare i detenuti che trovansi in un carcere del Piemonte, delle Venezie, delle Puglie, quando non sussiste una ragione di segretezza sul luogo in cui il collaboratore si trova, ne' alcuna altra ragione che giustifichi una deroga agli ordinari criteri di competenza; ed una deroga al criterio fondamentale che il detenuto va giudicato dal magistrato che ha giurisdizione e esercita la sorveglianza sull'istituto carcerario in cui egli si trova, che puo' seguirne l'osservazione della personalita' e i progressi trattamentali, che spesso ne ha conoscenza personale e intrattiene con lui colloqui, e quanto altro attiene all'opera sostanziale di trattamento e risocializzazione. Elementi sui quali la Corte costituzionale si e' sempre pronunziata per la loro essenzialita' nella funzione rieducativa della pena, dando con le sue pronunzie un indirizzo di continua maggiore evoluzione in questo senso. Tutto cio' viene irrazionalmente tralasciato e "tradito" dalla norma in esame; la quale poteva quanto meno essere congegnata in modo da escludere dalla competenza territoriale di questo giudice di Roma coloro che fossero detenuti al di fuori della sua giurisdizione, e in modo che non fossero "distolti" dalla ordinaria competenza del giudice del luogo di detenzione, che e' il suo giudice naturale precostituito per legge. Ne consegue, per questa parte, un ulteriore profilo di incostituzionalita' per violazione degli artt. 25, secondo comma, e 27, terzo comma della Costituzione. Infine, un rilievo di grande importanza che inverte ancora il precetto del giudice naturale precostituito per legge. L'art, 13-ter, terzo comma, come interpretato, attribuisce la competenza territoriale nei confronti dei collaboratori titolari di programma di protezione al giudice di sorveglianza del luogo ove ha sede la commissione centrale. Tale norma, con la sua formulazione, e' di per se' inidonea a determinare la precostituzione di un giudice "per legge" e soltanto attraverso la legge. La legge, invero, non indica il luogo ove ha sede la Commissione, ne' tale luogo e' desumibile da altre disposizioni di legge; ne' ancora alcuna disposizione di legge dispone che tale sede non possa essere cambiata e trasferita altrove. Sicche' la legge non indica quale sia il giudice stabilmente competente per territorio. La commissione centrale attualmente ha di fatto sede a Roma; di fatto siede presso il Ministero dell'interno. Nulla esclude che di fatto, o per atto amministrativo, trasferisca altrove la sua sede, per le piu' svariate ragioni che non spetta qui esaminare. In tal caso, il giudice fornito di competenza territoriale esclusiva nei confronti dei collaboratori cesserebbe di essere il giudice di Roma passando tale competenza al giudice della nuova sede, in ipotesi Firenze, Perugia, e cosi' via. Sussiste allora violazione della riserva di legge in materia, e del dettato del giudice naturale precostituito per legge. E il criterio di collegamento attraverso cui si determina la competenza e' inidoneo in quanto non contiene collegamento su un dato stabile, ma su un dato variabile. Peraltro, che la commissione centrale possa mutare sede non e' un'astrazione; e' un accadimento umano del tutto possibile. E le ragioni organizzative, gestionali, di scelta politica per le piu' svariate ragioni, come per le ragioni dirette a volere proprio trasferire la competenza da un giudice ad altro, sono tutte qui irrilevanti. Rileva solo che la norma di cui all'art. 13 ter, comma 3 si pone in contrasto con il principio del giudice naturale precostituito per legge sancito dall'art. 25 della Costituzione. A tali articolate motivazioni questo collegio ritiene d'aderire pienamente, facendole proprie. Per queste ragioni il tribunale solleva d'ufficio questione di legittimita' costituzionale come in dispositivo.