IL TRIBUNALE PER I MINORENNI Ha emesso la seguente ordinanza nel procedimento relativo al minore R. M., nato il 27 maggio 1998 in Sulmona. Letti gli atti; Osserva in fatto e diritto Con decreto in data 27 gennaio 1999 questo tribunale, all'esito delle indagini previste dall'art. 74, legge n. 184/1983, che inducevano a ritenere non veridico il riconoscimento quale figlio naturale del minore R. M. operato da R. M., disponeva l'apertura della procedura di adottabilita', la sospensione della potesta' dei genitori; l'allontanamento del piccolo M. dall'abitazione dei coniugi R. ed il suo ricovero nell'istituto "Madre Ester" di Scerne di Pineto; nominava al minore il curatore speciale per la proposizione dell'impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicita' e disponeva la trasmissione degli atti al procuratore della Repubblica presso il tribunale di Sulmona per l'esercizio dell'azione penale ai sensi degli artt. 333 c.p.p. e 567 c.p. Con decreto in data 23 febbraio 1999 questo tribunale disponeva l'affidamento provvisorio del minore, in vista di futura adozione, a coppia idonea, ai sensi dell'art. 10 della legge n. 184/1983. Avviata la procedura di adottabilita', nel corso della stessa veniva contestato l'abbandono del minore ai genitori, i quali negavano di averlo abbandonato e, a specifica domanda, dichiaravano che erano disposti a sottoporsi a prove genetiche, ma soltanto davanti al giudice civile in sede di impugnazione del riconoscimento ai sensi dell'art. 263 c.c., per l'asserita incompetenza del tribunale per i minorenni a compiere accertamenti della paternita', una volta promosso il giudizio di cui all'art. 263 c.c. Con decreto in data 23 marzo 1999, pronunciato a seguito del reclamo proposto dai genitori del minore in data 1 e 4 febbraio 1999, la sezione minorenni della locale Corte d'appello, in totale riforma del decreto 27 gennaio 1999, disponeva il ripristino dei rapporti tra il minore ed il R. M., al quale affidava il bimbo in attesa dell'esito della impugnazione della veridicita' del riconoscimento, sull'assunto che nella specie trattavasi di una mera ipotesi di non veridicita' del riconoscimento; che non era configurabile uno stato di abbandono e che questo tribunale avrebbe dovuto, per logica, attendere l'esito del giudizio di impugnazione del riconoscimento prima di poter aprire la procedura di adottabilita'. Con istanza in data 6 aprile 1999 il R. chiedeva a questo tribunale di ottemperare al predetto decreto della Corte mediante la riconsegna immediata del minore all'istante o di indicargli le generalita' della famiglia affidataria. Chiesto il parere del P.M.M., questi in data odierna chiedeva il rigetto delle istanze del R. ed instava perche' questo tribunale sollevasse la stessa questione di illegittimita' costituzionale sollevata d'ufficio in una procedura analoga. Il tribunale deliberava in merito nella camera di consiglio del 7 aprile 1999, nella quale sollevava questione di illegittimita' costituzionale dei combinato disposto degli artt. 74, commi primo e secondo, legge n. 184/1983; dell'art. 71, commi 1, 3 e 5 legge n. 184/1983; e dell'art. 38, comma primo, D.A.C.C. (come sostituito dall'art. 68, legge n. 184/1983) in relazione agli artt. 269 c.c. e 737 ss. c.p.c., nella parte in cui tale art. 38, in maniera illogica e contraddittoria, non ha attribuito al tribunale per i minorenni anche la competenza ad accertare la falsita' del riconoscimento del minore, mentre ha attribuito al tribunale per i minorenni la competenza a dichiarare giudizialmente la paternita' in caso di minori (e cioe' una vera azione di stato). Secondo il prevalente e quasi pacifico orientamento dottrinario e giurisprudenziale, l'attribuzione al tribunale per i minorenni della competenza in tema di provvedimenti ex artt. 264 c.c., come risulta anche dall'art. 74, secondo comma, legge n. 184/1983, e' limitata alla nomina del curatore speciale, laddove il giudizio di impugnazione vero e proprio e' devoluto alla cognizione del tribunale ordinario (cfr. Cass. 21 ottobre 1987, n. 7760); risultando, cosi', l'azione de qua irragionevolmente spezzata in due tronconi o fasi, con conseguenze deleterie. Ritiene il Collegio di dovere, anzitutto, evidenziare che il decreto della Corte aquilana ha paralizzato qualsiasi intervento di questo tribunale, perche', riformando totalmente il decreto di questo tribunale in data 27 gennaio 1999, ha sospeso l'apertura della procedura di adottabilita' (che, quale doveroso atto di mero impulso processuale, non poteva essere sospeso) ed ha impedito altresi' che questo tribunale potesse nominare un C.T.U. per l'accertamento incidentale della genitura nel corso della procedura di adottabilita'. Inoltre tale decreto ha dato per scontato che i provvedimenti adottati da questo tribunale ai sensi dell'art. 10, legge n. 184/1983 siano reclamabili, mentre, secondo un consistente filone interpretativo, tali provvedimenti, per la loro natura cautelare, interinale e provvisoria, non sono reclamabili, in quanto il reclamo al giudice di secondo grado e' ammesso solo contro i provvedimenti che concludono in tutto o in parte l'attivita' del primo giudice (cfr. artt. 278, 279 e 340 c.p.c.) (cfr., in tal senso, trib. min. Roma 1 luglio 1986, in Dir. fam. 1986, 1121; sez. min. app. Roma 20 giugno 1986, in Giust. civ. 1987, 672; sez. min. app. Palermo 31 ottobre 1991, in Dir. fam. 1992, 659; Cass. 7 giugno 1985, n. 3403). Cio' premesso, rileva il Collegio che costituiscono principi pacifici, ripetutamente affermati e comunemente accolti, quelli secondo i quali ogni minore ha diritto al nome (prenome e cognome: art. 6 c.c.) come segno distintivo della propria persona (prenome) e di appartenenza ad una propria famiglia (cognome). Il nome e' un diritto assoluto ed inviolabile di ogni persona (l'art. 22 della Costituzione dice che nessuno puo' essere privato ... del nome per motivi politici), perche' e' un elemento essenziale della propria personalita', della propria identita' personale (senza la quale nessuno puo' intrattenere relazioni personali e sociali) e dell'appartenenza ad una propria famiglia, strumento essenziale dello sviluppo della personalita'. L'art. 2 della Costituzione sancisce espressamente che la personalita' dell'individuo si sviluppa e svolge in una formazione sociale (e, anzitutto, nella propria famiglia), poiche' l'uomo (secondo una celebre definizione) e' un animale politico, e cioe' un essere socievole, che vive e si sviluppa non da solo, ma integrato nella comunita' familiare e sociale. Ogni uomo appartiene ad una famiglia ed ha il diritto di conoscere le sue "radici", i suoi legami con la famiglia biologica (o di sangue), le persone dalle quali ha ricevuto la vita (e' noto il problema, molto controverso e non ancora risolto, del diritto o meno del minore adottato a conoscere le sue "radici"). E' pure affermazione pacifica che ogni minore ha il diritto di vivere nell'ambito della propria famiglia. A tal riguardo va ricordato che l'art. 1 della legge n. 184/1983 ha solennemente proclamato tale diritto, affermando: "Il minore ha diritto di essere educato nell'ambito della propria famiglia". E' stato opportunamente rilevato che, mentre prima della legge n. 184/1983 non esisteva nel nostro ordinamento un vero diritto del minore di essere educato dai genitori, in quanto l'art. 147 c.c. prevedeva l'obbligazione dei genitori di allevare i figli, invece con la legge n. 184 del 1983 vi e' stato un capovolgimento di prospettiva, nel senso che e' stato conosciuto un vero diritto soggettivo perfetto del minore ad essere educato nell'ambito della propria famiglia. Si e' detto che l'art. 1 cit. riconosce al minore due diritti: il diritto all'educazione (intesa non nel ristretto senso di ammaestramento, ma nell'accezione piu' ampia di complesso di condizioni che favoriscano il pieno sviluppo della personalita') ed il diritto ad una propria famiglia, ossia ad un ambiente sereno ed accogliente (foyer stable et harmonieux) che favorisca il pieno sviluppo della sua personalita'. E' pure affermazione ricorrente che i diritti del minore all'educazione e ad una propria famiglia sono diritti assoluti ed inviolabili, che trovano il fondamento e la matrice in varie norme della Costituzione (artt. 2, 3, 29, 30, 31 Cost.) (cfr. Corte app. Torino 20 luglio 1979, in Dir. fam. 1980, 731), in quanto il pieno sviluppo della persona umana (art. 3, comma 2, Cost.) costituisce un diritto inviolabile dell'uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali dove si svolge la sua personalita' (art. 2 Cost.). Si e' osservato che gli artt. 29 e 30 della Costituzione considerano la famiglia come luogo privilegiato di formazione della personalita' del minore; e che nel nostro ordinamento giuridico la famiglia biologica continua ad avere una considerazione preferenziale in ordine all'educazione della prole per la presunzione che i diritti del minore ricevano una migliore attuazione nell'ambito della famiglia di origine (cfr. Cass. n. 3420/74; n. 3425/74). Ma si e' anche precisato che la famiglia e' tutelata non in se', ma quale strumento dello sviluppo della personalita' dei suoi membri e che tale tutela e' indiretta e mediata, mentre la tutela diretta e' accordata al pieno sviluppo della personalita' dei suoi membri, con la conseguenza che la tutela riconosciuta alla famiglia deve cessare quando la stessa non garantisca o promuova lo sviluppo della personalita' dei suoi membri. L'art. 30 della Costituzione, infatti, dispone: "E' dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio. Nei casi di incapacita' dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti". I "diritti" dei genitori di educare i figli non sono veri diritti soggettivi perfetti, ma potesta' (poteri-doveri), che trovano la propria fonte esclusivamente nell'adempimento dei relativi doveri (cfr. Cass. 8 novembre 1974, n. 3420: "Alla stregua del fondamentale principio di tutela della persona umana e dei suoi diritti inviolabili, il nucleo familiare, fondato o meno sul sangue, viene tutelato dall'ordinamento giuridico nella misura in cui appare rispondente alla sua fondamentale funzione di assicurare lo sviluppo della personalita'"). Pertanto, mentre va ricordato che la Suprema Corte (cfr. Cass., 7 novembre 1983, n. 6564; Cass., 15 novembre 1985, n. 5607; Cass., 29 novembre 1985, n. 5952; Cass., 2 aprile 1986, n. 2234; Cass., 20 giugno 1986, n. 4110; Cass., 16 settembre 1986, n. 5619; Cass., 3 ottobre 1986, n. 5852; Cass., 13 gennalo 1988, n. 180; Cass., 9 aprile 1988, n. 2811 e numerose conformi) ha ribadito che nella nuova disciplina dell'adozione, mentre resta fermo il principio della netta prevalenza da accordare all'interesse del minore, viene accentuata l'esigenza di assicurarne, in difetto di specifiche ragioni ostative, la crescita e lo sviluppo nella famiglia di origine, considerata quale ambiente naturale, e almeno tendenzialmente, come migliore ambiente di crescita del minore stesso; non va dimenticato che l'interesse del minore e' definito prioritario ed esclusivo dalla legge e che esso e' prevalente su qualsiasi altro interesse con lo stesso contrastante (come riconosciuto dalle stesse sentenze prima citate nonche' da Cass. 8 maggio 1980, n. 3035, in Arch. civ. 1980, 947: "In tema di dichiarazione dello stato di adottabilita', il desiderio legittimo del genitore di ricevere affetto da parte del figlio, in tanto puo' essere preso in considerazione, in quanto da parte del genitore stesso vi sia un effettivo impegno a prendersi cura del bambino, dal momento che l'interesse dei genitori non e' ignorato dalla legge, ma dev'essere sacrificato qualora sia in contrasto con quello del minore". Nello stesso senso cfr. Cass., n. 3066/77; n. 4882/77; n. 5051/77; n. 2047/78; n. 2788/1980 ecc.). Puo' conclusivamente affermarsi che non vi sono diritti inviolabili o intangibili della famiglia a crescere i figli (cfr. Cass., n. 3420/74; n. 11/72), ma che l'unico diritto assoluto ed inviolabile e' quello del minore all'educazione in una propria idonea famiglia, che gli assicuri il pieno sviluppo della personalita'; onde, in caso di incapacita' dei genitori (art. 30 Cost.), il minore ha il diritto inviolabile ad una propria idonea famiglia sostitutiva, che gli assicuri un'effettiva, adeguata educazione. Il minore va, quindi, educato, anzitutto e preferibilmente, nella propria famiglia biologica; e, in caso di incapacita' o inidoneita' dei genitori, in un'idonea famiglia degli affetti. Costituisce pure ius receptum che il minore che versa in un'oggettiva situazione di abbandono o di mancanza di adeguate cure parentali deve essere prontamente inserito in un'idonea famiglia degli affetti scelta dal tribunale per i minorenni; che il tribunale per i minorenni deve adottare ogni provvedimento provvisorio ed urgente per porre fine alla pregiudizievole situazione di abbandono (Cass., 4 agosto 1977, n. 3464); che la posizione del minore abbandonato va accertata con tempestiva chiarezza e certezza (Cass., 22 gingno 1981, n. 4068); che il tribunale, quando e' configurabile una situazione di abbandono, deve subito aprire la procedura e dichiarare l'adottabilita', non avendo alcun potere discrezionale (cfr. Cass., 13 maggio 1983, n. 3298); che la procedura adozionale deve essere sollecitamente definita, in quanto "tutto il sistema dell'adozione speciale si ispira alla finalita' di raggiungere nel piu' breve tempo la certezza del nuovo status del minore, inserendolo definitivamente, per il suo esclusivo interesse, nella nuova famiglia" (cosi' Cass., 22 luglio 1980, n. 4787); che il tribunale per i minorenni ha la competenza esclusiva a scegliere, per il minore in stato di abbandono, la famiglia piu' idonea a soddisfare le sue esigenze (cfr. trib. min. Ancona 17 giugno 1973, in Giur. merito 1975, 369: "Qualora il minore non riceva un'adeguata educazione ne' dai genitori ne' dai parenti tenuti per legge agli alimenti, spetta unicamente al tribunale per i minorenni tutelare il diritto all'educazione del minore collocando quest'ultimo presso una famiglia anche pedagogicamente idonea"; Cass. 13 gennaio 1978, n. 156 in Foro it. 1978, I, 306: "Quando i genitori ed i parenti tenuti agli alimenti non possono o non vogliono allevare personalmente il minore, rientra nella competenza esclusiva del tribunale per i minorenni scegliere un'idonea famiglia, sostitutiva di quella biologica, nella quale inserire il minore. E nessuno puo' sostituirsi al tribunale per i minorenni in questo compito a garanzia d'un fondamentale diritto della personalita' del minore"); che l'affidamento privato o negoziale e definitivo del minore ad estranei a scopo adottivo integra di per se' l'abbandono (cfr. Cass., 7 marzo 1977, n. 941: "I genitori non sono arbitri di trasferire ad altri il loro potere-dovere educativo e, se lo fanno, possono dar luogo ad una situazione di abbandono; il legislatore, infatti, ha voluto che sia il giudice e non il genitore a vagliare l'idoneita' della nuova famiglia e che al minore sia assicurata la piena tranquillita' del focolare con il farlo entrare a tutti gli effetti a far parte della nuova famiglia"; trib. min. di Venezia 7 gennaio 1972, in Giur. it. 1973, I, 2, 93; tribunale min. di Milano 22 dicembre 1972, in Giust. civ. 1972, I, 534; trib. min. di Ancona 15 giugno 1973, in Giur. merito 1975, I, 372; Cass. 13 gennaio 1978, n. 156: "L'uso distorto dal suo fine della potesta' parentale non comporta solo la decadenza dalla potesta' medesima, ma piu' radicalmente puo' determinare l'interruzione dei rapporti giuridici fra genitore degenere e figlio, e la costituzione vicariante di nuovi rapporti familiari irreversibili ... Il genitore non puo' consegnare il figlio neonato per l'allevamento a terzi (sia pure in vista di un'adozione ordinaria), perche' cosi' procedendo compie un atto che non conviene al minore, sottraendolo al circuito dell'adozione speciale ed affidandolo definitivamente ad altri, la cui idoneita' a svolgere funzioni vicarianti viene a dipendere dal suo capriccio o vantaggio, mentre la legge vuole che sia vagliata esclusivamente dal giudice"); e che deve essere ritenuto moralmente inidoneo all'adozione colui che riesca ad ottenere l'affidamento d'un minore evitando il vaglio attitudinale del tribunale per i minorenni (cfr. trib. min. di Roma 1 luglio 1972, pres. est. Moro, in Giur. merito 1973, 259: "Operano in frode alla legge, e pertanto devono essere valutati negativamente ai fini del giudizio di idoneita' all'adozione speciale, i coniugi che riescano ad ottenere l'affidamento di un minore senza sottostare ai controlli dell'autorita' giudiziaria"; trib. min. Potenza 23 febbraio 1984, in Dir. fam. 1984, 660: "La falsita' del riconoscimento evidenzia l'inidoneita' dei coniugi all'adempimento della funzione genitoriale, apparendo essi privi di qualita' necessarie, quali l'attitudine alla ripulsa dei mezzi illeciti, un corretto senso del giusto e dell'ingiusto, la capacita' di rispettare le regole della civile convivenza e quindi di non ricorrere per la soddisfazione dei propri bisogni alla sopraffazione ed alla frode, un normale senso civico, senza le quali non si concorrerebbe validamente alla formazione di coloro cui la funzione educatrice e' indirizzata"). Occorre evidenziare che la violazione o l'aggiramento della disciplina dell'adozione speciale (mediante il traffico o mercato dei minori o l'affidamento negoziale a terzi o mediante il falso riconoscimento paterno) era diventato un fenomeno tanto diffuso che il legislatore del 1983 avverti' l'esigenza di combattere tale piaga (che vanificava l'intera disciplina dell'adozione) mediante apposite norme (artt. 71 e 74). Il falso riconoscimento paterno, invero, non solo esautora il tribunale per i minorenni dei suoi poteri, impedendogli l'effettiva valutazione comparativa attitudinale prevista dall'art. 22, legge n. 184/1983, ma danneggia anche le coppie idonee, che, rispettando la legge, attendono pazientemente l'affido preadottivo d'un minore da parte del tribunale per i minorenni; e, soprattutto, vanifica i diritti inviolabili del minore ad una propria idonea famiglia; alla propria identita' personale; al suo diritto inviolabile all'autenticita' e genuinita' del rapporto di filiazione, e cioe' ad intrattenere rapporti parentali con i suoi veri genitori e non con estranei, che si arrogano fraudolentemente diritti genitoriali loro non spettanti. Tutti sanno che i minori in stato di abbandono o adottabili sono molto pochi rispetto al gran numero di domande di adozione e che cio' favorisce il ricorso all'adozione internazionale. Ma, se i minori che il tribunale per i minorenni puo' dare in adozione sono pochi, cio' lo si deve anche alle manovre illecite (tra le quali i falsi riconoscimenti) con le quali molte persone si impossessano abusivamente dei minori (rifiutati dai genitori) in aperta violazione della normativa sull'adozione e senza alcun rispetto per la persona del minore, trattato alla stregua di un oggetto o di una merce di scambio. Giustamente il p.m.m. ha evidenziato che la "strada tracciata dalla Corte" aquilana e' dirompente dell'intera impalcatura della legge n. 184/1983 e costituisce un preoccupante precedente in materia, essendo evidente che il favorire tali manovre comporta una sostanziale abrogazione della legge sull'adozione, perche' ognuno puo' ritenersi autorizzato ad accaparrarsi liberamente e con ogni mezzo un minore senza osservare le pastoie poste dalla legge n. 184. La fondamentale importanza del diritto inviolabile del minore alla propria identita' biologica, personale, familiare e sociale, e' testimoniata dal fatto che tale diritto, tutelato dall'art. 2 Cost., e' stato concretamente attuato dalla disciplina degli artt. 263 e 264 c.c., la cui ratio e' quella di proteggere l'interesse del minore a non essere considerato figlio di colui che non ne e' il vero genitore biologico. E tale tutela (costituzionale ed ordinaria) esce rafforzata dalla previsione del reato di alterazione di stato, p. e p. dall'art. 567, comma 2 c.p., che commina la pena da 5 a 15 anni di reclusione a "chiunque, nella formazione di un atto di nascita, alteri lo stato civile di un neonato, mediante false certificazioni, false attestazioni o altre falsita'". Da tali premesse discende logicamente la conseguenza che l'autore del falso riconoscimento non dovrebbe avere alcun rapporto con il minore da lui falsamente riconosciuto come proprio figlio naturale, il quale dovrebbe essere allontanato subito dal sedicente padre (per impedire che consolidi con lo stesso profondi legami affettivi poi non recidibili senza traumi) ed essergli riaffidato solo dopo che sara' stata provata la veridicita' del riconoscimento. Ed invece avviene l'opposto, perche', tranne alcune voci contrarie, l'orientamento prevalente in dottrina e giurisprudenza afferma che in caso di sospetto falso riconoscimento il tribunale per i minorenni puo' soltanto nominare al minore un curatore speciale per la proposizione dell'azione di impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicita' (a norma dell'art. 264, comma 2, c.c.) ma non puo', dopo tale nomina, compiere altri accertamenti (tra i quali le prove ematologiche o del D.N.A.) o adottare a tutela del minore provvedimenti urgenti (apertura della procedura di adottabilita'; provvedimenti provvisori ed urgenti ai sensi dell'art. 10, legge n. 184/1983 ecc.), che puo' disporre solo dopo che la falsita' del riconoscimento sia stata accertata in meniera definitiva (onde medio tempore il minore deve essere affidato al sedicente padre), in quanto ogni altro accertamento e provvedimento da parte del tribunale per i minorenni dovrebbe essere necessariamente sospeso, ai sensi dell'art. 295, c.p.c., giacche' tra l'accertamento definitivo della falsita' in sede civile e penale ed i provvedimenti di competenza del tribunale per i minorenni vi sarebbe una necessaria pregiudizialita' logico-giuridica (cfr., in tal senso, Corte appello Palermo 10 febbraio 1984, in Dir. fam. 1984, 111; Corte appello Catania sez. min. 18 dicembre 1984, ivi, 1986, 555: "Sino all'esito definitivo del giudizio di impugnazione del riconoscimento, per difetto di veridicita', del figlio minore, lo stato di figlio naturale scaturente dalle risultanze formali dello stato civile non puo' essere modificato, ne' messo in discussione, con la conseguenza che il tribunale per i minorenni, ove abbia a dubitare della veridicita' del riconoscimento, puo' nominare un curatore speciale al fine di impugnarlo, ma non puo' dichiarare lo stato di adottabilita' del minore"; Cass., 12 ottobre 1987, n. 7527; Pres. Vela; rel. Vercellone; p.m. Lo Cascio (diff.): "L'art. 74 della legge n. 184 del 1983 attribuisce al tribunale per i minorenni il potere di nominare un curatore speciale per impugnare il riconoscimento del figlio naturale sospetto di falsita' per difetto di veridicita', ma non anche quello di accertare la non vericidita' del riconoscimento stesso, essendo tale accertamento di competenza del tribunale ordinario. Non puo', pertanto, il tribunale per i minorenni pervenire alla dichiarazione di adottabilita' di un minore, che sia adeguatamente assistito da colui che l'ha riconosciuto, sulla base di un proprio accertamento incidentale della non vericidita' di quel riconoscimento"). Tale tesi sembra trovare conforto nella disciplina della legge n. 184/1983. Ed invero, mentre l'art. 74, comma 1, della legge n. 184 stabilisce che "il tribunale dispone l'esecuzione di opportune indagini per accertare la veridicita' del riconoscimento", invece il secondo comma dello stesso art. 74 non sembra far corrispondere a tale ampio potere di indagini (peraltro irragionevolmente limitato all'ipotesi che il minore non sia stato riconosciuto da entrambi i genitori, perche', altrimenti, cessa anche il potere di indagini del tribunale per i minorenni) un altrettanto ampio potere di interventi del tribunale per i minorenni, in quanto esso si limita a disporre che, in caso di sospetto falso riconoscimento, il tribunale per i minorenni "assume, anche d'ufficio, i provvedimenti di cui all'art. 264, secondo comma, del codice civile". L'interpretazione letterale di tale norma induce a ritenere che, accertato il falso riconoscimento, il tribunale per i minorenni debba limitarsi alla nomina del curatore speciale per l'impugnazione del falso riconoscimento e non abbia altri poteri. Tale conclusione esce rafforzata dall'esame dell'art. 71 della legge n. 184, che recita: "Chiunque, in violazione delle norme di legge in materia di adozione, affida a terzi con carattere di definitivita' un minore (ovvero lo avvia all'estero perche' sia definitivamente affidato), e' punito con la reclusione da 1 a 3 anni (art. 71, comma primo). "Se il fatto e' commesso dal genitore la condanna comporta la perdita della relativa potesta' e l'apertura della procedura di adottabilita' .." (art. 71, comma terzo). "La pena stabilita nel primo comma del presente articolo si applica anche a coloro che, consegnando o promettendo denaro od altra utilita' a terzi, accolgono minori in illecito affidamento con carattere di definitivita'. La condanna comporta la inidoneita' ad ottenere affidamenti familiari o adottivi e l'incapacita' all'ufficio tutelare" (art. 71, comma quinto). Dall'esame di tali norme (in relazione agli artt. 264, comma secondo c.c., 295 c.p.c, art. 8, legge n. 184/1983, legge n. 184, 567 c.p.) sembra dedursi che il tribunale per i minorenni, nominato il curatore, non abbia altri poteri e non possa neppure aprire la procedura di adottabilita' o adottare provvedimenti provvisori ed urgenti a tutela del minore (ex art. 10, legge n. 184), perche' solo la condanna del genitore comporta l'apertura della procedura di adottabilita'. Inoltre, mentre prima della novella n. 184/1983 era insegnamento pacifico che il mero affidamento negoziale e definitivo d'un minore a terzi a scopo adottivo integrava l'abbandono e che colui che riusciva ad ottenere l'affidamento d'un minore privatamente aggirando la disciplina dell'adozione doveva ritenersi moralmente inidoneo all'adozione, dalla lettera dell'art. 71, comma 5, sembra dedursi che solo la condanna per tale affidamento (condanna che richiede la difficile o quali impossibile prova della dazione o promessa di denaro o altra utilita' al genitore) puo' comportare la Inidoneita' ad ottenere affidamenti familiari o adottivi. Ma la disciplina che risulta dal combinato disposto degli artt. 71 e 74 della legge n. 184 (che vuole combattere i falsi riconoscimenti paterni ed il mercato o traffico dei minori) interpretata in senso letterale secondo l'orientamento prevalente in dottrina e giurisprudenza, non si sottrae al sospetto di illegittimita' costituzionale per violazione dei principi sanciti negli artt. 2, 3, 30 e 31 Cost., rivelandosi illogica, contraddittoria e lesiva dei diritti assoluti ed inviolabili del minore ad una propria idonea famiglia; alla autenticita' e genuinita' del rapporto di filiazione ed alla stabilita' delle relazioni familiari, nonche' lesiva del diritto del minore abbandonato al pronto inserimento in un'idonea famiglia adottiva scelta dal tribunale per i minorenni. Sembra evidente che l'attribuzione al tribunale per i minorenni d'un ampio potere di indagini - finalizzato all'accertamento della falsita' del riconoscimento (e tale accertamento dovrebbe essere esteso anche all'ipotesi che entrambi i genitori abbiano riconosciuto il figlio) - al quale non corrispondesse o conseguisse un altrettanto ampio potere di interventi del tribunale per i minorenni per contrastare subito e con ogni mezzo (e, in primis, allontanando il minore dal sedicente padre e non restituendoglielo se non dopo l'accertamento definitivo della veridicita' del riconoscimento) i falsi riconoscimenti, rappresenterebbe un telum imbelle sine ictu, poiche' il tribunale per i minorenni (se dovesse limitarsi a nominare soltanto il curatore speciale) non avrebbe mezzi per combattere efficacemente i falsi riconoscimenti. E', invero, principio ripetutamente affermato che la discrezionalita' del legislatore nello scegliere i criteri di politica legislativa dallo stesso ritenuti piu' opportuni non impedisce il sindacato di legittimita' da parte di codesta Corte quando la disciplina giuridica in concreto adottata si riveli - come nella specie - manifestamente illogica ed irragionevole. Giova ribadire che, seguendo l'orientamento prevalente, la lotta ai falsi riconoscimenti diventa illusoria, impossibile e persa in partenza; che, anzi, tale orientamento addirittura costituisce un incentivo a violare la legge sull'adozine ed a compiere falsi riconoscimenti (in quanto l'autore del falso riconoscimento, anziche' essere punito, viene premiato facendogli conseguire il profitto del reato) e che, soprattutto, viene negato al minore il diritto inviolabile a crescere nella sua vera famiglia, a conoscere le proprie "radici" e ad evitare che estranei si arroghino maliziosamente e fraudolentemente diritti loro non spettanti se non mediante la violazione della legge. Seguendo l'orientamento prevalente in dottrina e giurisprudenza e l'interpretazione letterale del combinato disposto degli artt. 71 e 74 della legge n. 184 in relazione agli artt. 264, comma 2, c.c.; 295 c.p.c.; 1 e 8 legge n. 184/1983; 567 c.p.; dell'art. 38, comma 1, d.a.c.c. in relazione all'art. 269 c.c. e 737 c.p.c., tale disciplina si rivela illogica e contraddittoria, perche', mentre, da un lato, essa ha il dichiarato intento di voler combattere i falsi riconoscimenti paterni per garantire al minore il diritto inviolabile ad un'idonea famiglia e l'autenticita' del rapporto di filiazione; dall'altro, limitando, nell'art. 74, comma 2, l'azione del tribunale per i minorenni alla nomina d'un curatore speciale e non prevedendo, altresi', il potere del tribunale per i minorenni di compiere qualsiasi opportuno accertamento, di adottare ogni provvedimento provvisorio ed urgente a tutela del minore (ma, anzi, prevedendo l'apertura della procedura di adottabilita' solo dopo la condanna del genitore per l'illecito affidamento) e di accertare anche la falsita' o meno del riconoscimento, in effetti frustra la lotta ai falsi riconoscimenti, sancisce una sostanziale impunita' di fatto per l'autore del falso riconoscimento (essendo sommamente arduo raggiungere la prova della dazione o della promessa di denaro o altra utilita' al genitore e spesso difficile la prova del dolo nel reato di cui all'art. 567 c.p.) ed agevola e fa proliferare incontrollatamente il traffico o mercato dei minori o il falso riconoscimento (che pure, a parole, dice di voler combattere). La disciplina di cui al combinato disposto degli artt. 71 e 74 legge n. 184 e 38, comma 1, d.a.c.c., interpretata letteralmente nel senso propugnato dalla prevalente dottrina e giurisprudenza, si appalesa vana e priva di qualsiasi concretezza, in quanto, se il tribunale per i minorenni non avesse altri poteri (oltre alla nomina del curatore speciale per la proposizione dell'azione di cui all'art. 264, comma 2, c.c.) e non potesse compiere altri accertamenti o adottare subito tutti i provvedimenti urgenti a tutela del minore, ma dovesse attendere l'esito definitivo del giudizio sulla falsita' o meno del riconoscimento, la lotta ai falsi riconoscimenti sarebbe persa in partenza e le norme di cui al combinato disposto degli artt. 71 e 74, legge n. 184 si rivelerebbero del tutto inutili. E' evidente, invero, che, se per attivare i doverosi poteri di intervento del tribunale per i minorenni dovesse attendersi l'esito definitivo del giudizio civile o penale sulla falsita' del riconoscimento, l'accertamento definitivo della falsita' del riconoscimento (intervenuto a distanza di molti anni, dopo l'esaurimento dei tre gradi di giudizio in sede civile o penale) non servirebbe a nulla, perche' la definitivita' dell'accertamento (richiedendo tempi necessariamente lunghi) favorirebbe il consolidamento di profondi vincoli affettivi tra il minore ed il sedicente padre ed impedirebbe l'allontanamento dal falso padre del minore per non causargli traumi per il distacco dagli abusivi affidatari, ai quali verrebbe consentito di inserirlo per sempre nella loro famiglia pur non essendo figlio loro. La lotta ai falsi riconoscimenti sarebbe, cosi', frustrata e vanificata e l'autore del falso riconoscimento, anziche' punito, verrebbe premiato facendogli conseguire il profitto del reato di alterazione di stato ed il minore, non figlio del falso padre, sarebbe definitivamente inserito in una famiglia che non e' la sua e verrebbe trattato non come persona (titolare di diritti assoluti ed inviolabili), ma come cosa o oggetto di scambio o di mercimonio o di illecite ed ignobili trattative. Percio' la pretesa necessaria pregiudizialita' (tra il giudizio sul falso riconoscimento in sede civile e penale e le azioni e gli interventi del tribunale per i minorenni) e la sospensione necessaria degli interventi del tribunale per i minorenni sino all'esito del definitivo accertamento (in sede civile e penale) della falsita' del riconoscimento appaiono logicamente assurde e moralmente riprovevoli, in quanto, in caso di sospetto falso riconoscimento, dovrebbe essere riconosciuto al tribunale per i minorenni un ampio potere di accertamento e di interventi finalizzati ad impedire che il minore resti nella famiglia del falso padre; che metta radici in una famiglia che probabilmente non e' la sua; che consolidi legami affettivi con il falso padre e che, in definitiva, resti per sempre con lui. La tesi secondo la quale fino all'accertamento definitivo della falsita' del riconoscimento, tale riconoscimento non puo' essere disconosciuto appare illogica dal punto di vista giuridico e moralmente inaccettabile, perche' attribuisce irragionevolmente rilevanza alla mera apparenza della genitura e finisce con l'attribuire rilevanza decisiva e definitiva a tale falsa e formale apparenza, che consente al falso padre di tenere per sempre con se' il figlio anche quando, dopo molti anni (occorrenti per pervenire all'accertamento definitivo della falsita' o meno del riconoscimento), venga accertata la falsita' del riconoscimento. La frantumazione di competenze tra tribunale per i minorenni e tribunale ordinario (e cioe' la limitazione del tribunale per i minorenni alla nomina del curatore speciale e la mancata attribuzione allo stesso tribunale per i minorenni del potere di accertare la falsita' del riconoscimento) rende possibili conflitti di competenza, contrasti di giudicati e la paralisi totale dell'azione del tribunale per i minorenni, mentre l'attribuzione della cognizione dell'intero giudizio al tribunale per i minorenni ex artt. 263 e 264 c.c. (nomina del curatore speciale e giudizio di merito relativo alla veridicita' o falsita' del riconoscimento) avrebbe evitato gli inconvenienti lamentati e, soprattutto, avrebbe consentito al tribunale per i minorenni di accertare in tempi brevi, mediante l'utilizzazione del rito camerale contenzioso, la veridicita' o falsita' del riconoscimento senza attendere i tempi lunghi del rito civile contenzioso; senza sballottare il minore da una famiglia all'altra e senza permettere che lo stesso minore resti nella famiglia del sedicente padre consolidando profondi legami affettivi con lui. La frantumazione dell'azione de qua in due tronconi appare illogica sia in se' che, soprattutto, in relazione all'azione di cui all'art. 269 c.c., attribuita, in caso di minori, alla competenza del tribunale per i minorenni (sia per quanto riguarda l'aminissibilita' dell'azione ai cui all'art. 274 c.c. che per quanto concerne il giudizio di merito). Non si riesce a capire per qual motivo l'art. 38, comma 1, d.a.c.c. (come sostituito dall'art. 68, legge n. 184) abbia attribuito al tribunale per i minorenni la cognizione di una vera azione di stato, e cioe' la competenza in tema di dichiarazione giudiziale della paternita', in caso di minori, in entrambe le sue fasi (ammissibilita' e giudizio di merito) e non abbia, invece, senza una plausibile ragione, devoluto al tribunale per i minorenni la cognizione dell'intero giudizio di impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicita' (pur avendo attribuito al tribunale per i minorenni penetranti poteri di indagine previsti dall'art. 74, al quale non conseguono altrettanti ampi poteri di intervento), ma abbia spezzato tale azione in due tronconi, il primo (nomina del curatore ex art. 264 c.c.) attribuito alla competenza del tribunale per i minorenni, ed il secondo (giudizio di merito ex art. 263 c.c.) devoluto alla competenza del tribunale ordinario; laddove l'attribuzione dell'intero giudizio al tribunale per i minorenni (ex artt. 263 e 264 c.c.) avrebbe rappresentato un'efficace e seria lotta ai falsi riconoscimenti; lotta che risulta indebolita e vanificata da tale frantumazione della competenza. La paralisi dell'azione del tribunale per i minorenni (verificatasi anche nella specie, perche' il decreto della Corte ha sospeso l'apertura della procedura di adottabilita') sembra contrastare anche con il dovere imposto alla p.g. (e anche al giudice), dagli artt. 219 c.p.p. del 1930 e 55 c.p.p. del 1988, di impedire che il reato sia portato a conseguenze ulteriori; mentre la tattica dilatoria e temporeggiatrice accolta dal prevalente orientamento finisce con consentire all'autore del falso riconoscimento di assicurarsi il profitto del reato, cioe' il minore (oggetto del reato di cui all'art. 567 c.p.), trattato alla stregua di una cosa o merce di scambio. La pretesa incompetenza del tribunale per i minorenni a disporre accertamenti dopo l'inizio del giudizio civile (ex artt. 263 e 264 c.c.) per la ritenuta competenza esclusiva del giudice civile o penale ad accertare la falsita' del riconoscimento non considera che l'accertamento del giudice civile o penale e' fatto con efficacia del giudicato, mentre l'accertamento del tribunale per i minorenni e' svolto incidenter tantum, senza efficacia di giudicato ed al solo fine di poter adottare provvedimenti urgenti a tutela del minore contro i falsi riconoscimenti. Il tribunale per i minorenni dovrebbe, quindi, poter compiere tutti gli accertamenti ritenuti opportuni ed adottare tutti i provvedimenti cautelari a difesa del minore (apertura e definizione del procedimento di adottabilita'; adozione di provvedimenti provvisori a tutela del minore, ivi compresi l'allontanamento del minore dal falso padre, il suo affido a coppia idonea scelta dal tribunale per i minorenni, la sospensione del sedicente padre dalla potesta' ecc.), poiche' solo tali provvedimenti cautelari ed urgenti consentono un'efficace lotta ai falsi riconoscimenti ed impediscono che l'autore del falso riconoscimento, anziche' essere punito, venga premiato con il conseguimento del profitto del reato. Soltanto riconoscendo al tribunale per i minorenni il potere di compiere qualsiasi accertamento utile e di adottare tempestivamente ogni provvedimento a tutela del minore senza attendere i tempi lunghi del giudizio civile o penale relativo all'accertamento della paternita' e solo attribuendo al tribunale per i minorenni la competenza ad accertare anche la falsita' o meno del riconoscimento ai sensi dell'art. 263 c.c. si potrebbe evitare il ricorso a codesta on.le Corte. Ma, poiche' tali interventi sembrano preclusi al tribunale per i minorenni dalle disposizioni censurate, interpretate secondo il prevalente orientamento giurisprudenziale, non resta a questo collegio che sollevare eccezione di illegittimita' costituzionale delle predette disposizioni, nei sensi indicati in motivazione. Occorre aggiungere, infine, che la sollevata eccezione di illegittimita' costituzionale, oltre ad essere non manifestamente infondata, si appalesa, altresi', rilevante nel presente giudizio, poiche', in caso di dichiarazione della illegittimita' costituzionale delle norme censurate, questo tribunale (il cui intervento e' stato paralizzato dal decreto del Presidente della locale Corte d'appello) potrebbe compiere sollecitamente tutti gli accertamenti (compresa la prova tecnico-scientifica) ritenuti necessari senza attendere i tempi lunghi del giudizio civile di cui agli artt. 263 e 264 c.c. ed accertare altresi' la veridicita' o meno del riconoscimento ex art. 263 c.c. e restituire il bimbo (evitandogli, frattanto, una serie di infiniti, traumatici sballottamenti da una famiglia all'altra) definitivamente al R. (se questi dovesse risultare esserne il padre) oppure proseguire e definire sollecitamente la procedura adozionale.