IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 3001/96 proposto dal sig. Arturo Fraccapani, rappresentato e difeso dall'avv. Giuseppe D'Amelio, elettivamente domiciliato presso il suo studio in Milano, via Cesare Correnti n. 1; Contro il comune di Milano, in persona del sindaco in carica, rappresentato e difeso dagli avv.ti Maria Rita Surano ed Elena Ferradini, elettivamente domiciliati in Milano, via della Guastalla n. 8, presso gli uffici dell'avvocatura comunale, per l'annullamento del provvedimento 4 giugno 1996 di decadenza dall'assegnazione dell'alloggio sito in Rozzano, viale Lazio n. 40; Visto il ricorso con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'amministrazione; Visti gli atti tutti della causa; Relatore, alla pubblica udienza del 23 marzo 1999, il presidente Vacirca; Uditi i difensori delle parti; Ritenuto in fatto e in diritto 1. - Col provvedimento impugnato del 4 giugno 1996 l'Amministrazione comunale ha dichiarato la decadenza del ricorrente dall'assegnazione di un alloggio sito in Rozzano, viale Lazio n. 40, per effetto della perdita del requisito per l'assegnazione previsto dall'art. 2, primo comma, lett. d), della legge regionale Lombardia, 5 dicembre 1983, n. 91, il quale dispone che possa concorrere all'assegnazione di un alloggio di edilizia residenziale pubblica "chi non sia titolare del diritto di proprieta' o di altri diritti reali di godimento su uno o piu' alloggi, ovvero su altri beni immobili, ubicati in qualsiasi localita', che consentano un reddito almeno pari all'ammontare del canone di locazione, determinato ai sensi della legge 27 luglio 1978, n. 392, concernente "Disciplina delle locazioni di immobili urbani e successive modificazioni e integrazioni", di un alloggio adeguato con condizioni medie abitative, come definite al successivo secondo comma; l'ammontare di tale canone di locazione e' determinato dal comune in sede di indizione del bando di concorso in conformita' ai coefficienti di cui al successivo secondo comma". 2. - Con ordinanza del 3 luglio 1997, emessa in sede di trattazione della domanda cautelare, la sezione ha rimesso alla Corte costituzionale la questione di legittimita' della legge regionale, nonche' dell'art. 2, secondo comma, n. 2, della legge 5 agosto 1978, n. 457, in riferimento agli artt. 3, 115, 117 e 118 della Costituzione. 3. - Con ordinanza n. 183 del 20 maggio 1998 la Corte ha dichiarato inammissibile la questione, per carenza di motivazione sulla rilevanza della deliberazione del Cipe 13 marzo 1995, che innova parzialmente la disciplina dei requisiti per l'assegnazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica e dei casi nei quali l'assegnazione puo' costituire oggetto di annullamento o di revoca. 4.1. - Riesaminata la questione alla luce di tale deliberazione, la sezione ritiene di doverla riproporre limitatamente alla legge regionale, la quale estromette dall'alloggio soggetti che, indipendentemente dal reddito complessivo di cui godono, siano titolari, in qualsiasi localita' del territorio nazionale esterna all'ambito territoriale a cui si riferisce il bando, di immobili da cui sia ricavabile un reddito pari al canone di locazione di un alloggio adeguato alle loro esigenze abitative. La norma risulta di dubbia costituzionalita' sotto vari profili. 4.2. - In riferimento agli artt. 117 e 118 Cost. appare non manifestamente infondato il dubbio sulla conformita' della legge regionale rispetto ai criteri generali fissati dallo Stato. La deliberazione Cipe del 13 marzo 1995 (in Gazzetta Ufficiale 27 maggio, n. 122), adottata ai sensi dell'art. 88 d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, e dell'art. 2, secondo comma, della legge 5 agosto 1978, n. 457, prende in considerazione, infatti, soltanto la "mancanza di titolarita' di diritti di proprieta', usufrutto, uso e abitazione su alloggio adeguato alle esigenze del nucleo familiare" (art. 3.1. lett. c) e non su qualunque alloggio, dovunque si trovi, o su qualunque immobile. Nel caso in esame le unita' immobiliari appartenenti alla moglie convivente del ricorrente si trovano nel comune di Falcade, in provincia di Belluno. 4.3.1. - In riferimento all'art. 3 Cost., appare di dubbia legittimita' costituzionale la norma regionale, in quanto, posto un limite di reddito come indice dello stato di bisogno per l'ammissione a certe prestazioni sociali, dovrebbe essere del tutto irrilevante il riferimento alla natura e alla provenienza del reddito. In base a tale principio e' stato giudicato costituzionalmente illegittimo, in riferimento all'art. 3 cost., l'art. 43, secondo comma, legge 30 aprile 1969 n. 153, nella parte in cui, per l'ipotesi di redditi del genitore "a carico" non derivanti esclusivamente da pensione, stabiliva un limite ostativo al conseguimento del diritto agli assegni familiari, diverso da quello imposto per l'ipotesi di redditi provenienti solo da pensione (Corte cost. 14 gennaio 1986 n. 8). 4.3.2. - Se poi, si ritenesse giustificato attribuire un'autonoma rilevanza al patrimonio da cui il reddito deriva, apparirebbe di dubbia legittimita' costituzionale la norma regionale in esame, in quanto essa prende in considerazione soltanto i diritti reali su immobili e non altre componenti del patrimonio, come, ad esempio, depositi bancari, titoli azionari e obbligazionari, ecc., mentre la citata deliberazione del Cipe 13 marzo 1995, ai fini del limite di reddito, equipara tutte le fonti di reddito, ad eccezione del lavoro dipendente, per cui prevede un abbattimento del 40% richiamando l'art. 21, primo comma, della legge n. 457 del 5 agosto 1978, sostituito dall'art. 2, d.-l. 23 gennaio 1982, n. 9. 4.3.3. - Infine la legge regionale appare di dubbia costituzionalita', in riferimento all'art. 3 Cost., nella parte in cui continua a rinviare, per l'ammontare del reddito da immobili ritenuto sufficiente ad assicurare un'adeguata sistemazione abitativa, alla legge statale sull'equo canone, sostanzialmente superata dall'introduzione dei c.d. patti in deroga (art. 11 d.-l. 11 luglio 1992, n. 333, convertito con modificazioni dalla legge 8 agosto 1992, n. 359). Poiche' per la decisione del ricorso non puo' prescindersi dalla pronuncia sulla questione di legittimita' della norma regionale su cui si fonda il provvedimento impugnato, occorre nuovamente rimettere gli atti alla Corte costituzionale ai sensi dell'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87.