L'Assemblea regionale siciliana, nella seduta del 23 novembre 1999, ha approvato il disegno di legge nn. 909-920-830-706 dal titolo: "Riforma della disciplina del commercio", pervenuto a questo Commissariato dello Stato, ai sensi e per gli effetti dell'art. 28 dello Statuto speciale, il successivo 26 novembre 1999. Il legislatore regionale, nell'esercizio della competenza esclusiva attribuitagli nella materia de qua dall'art. 14, lett. d) dello Statuto speciale, con il provvedimento legislativo teste' approvato introduce nell'ordinamento siciliano i principi fortemente innovatori contenuti nel d.lgs. n. 114/1998 in materia di commercio. In virtu' di detta competenza, peraltro espressamente richiamata dal legislatore nazionale all'art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 114/1998, l'Assemblea regionale, nell'emanare la nuova disciplina del commercio sostanzialmente ed in gran parte analoga a quella vigente nel rimanente territorio nazionale, se ne discosta all'art. 3, seppure in via transitoria, in due punti, di cui uno da' adito a censure di costituzionalita'. Quanto al primo punto l'art. 3 prevede, infatti, al comma 1 che l'attivita' commerciale puo' essere esercitata con riferimento al settore merceologico alimentare e a quello non alimentare "con relativo raggruppamento di prodotti di cui all'allegato A della legge". Orbene, dal citato allegato risulta l'individuazione di tre raggruppamenti merceologici relativi al settore alimentare e non alimentare. I. - Tutti i prodotti alimentari nonche' articoli per la pulizia della persona e della casa ed articoli in carta per la casa. II. - Prodotti dell'abbigliamento (articoli di vestiario confezionati di qualsiasi tipo e pregio con esclusione degli accessori e della biancheria intima), calzature. III. - Prodotti vari (trattasi di una o piu' categorie merceologiche non comprese nel raggruppamento II). Il medesimo comma, tuttavia, precisa che l'articolazione suddetta ha carattere sperimentale per la durata di trenta mesi, a partire dall'entrata in vigore della legge e che, "sulla base dei risultati della sperimentazione il Presidente della regione, su proposta dell'assessore regionale per la cooperazione, il commercio, l'artigianato e la pesca, presentera' all'Assemblea apposito disegno di legge per la definitiva disciplina dei settori merceologici. In caso di mancata approvazione di tale disegno di legge nei 180 giorni successivi alla scadenza dei trenta mesi di cui sopra, troveranno applicazione le disposizioni di cui all'art. 5, d.lgs. 31 marzo 1998, n. 114". Detta disposizione, sebbene difforme dalla corrispondente norma statale (id est art. 5, comma 1, d.lgs. n. 114/1998), e' da ritenersi in linea con le prescrizioni dell'art. 4, comma 4, lett. c) della legge n. 59/1997, con cui il Governo nazionale e' stato delegato ad emanare nuove norme in materia di commercio, che prevedono la riduzione e la razionalizzazione delle tabelle merceologiche. La creazione temporanea di un terzo raggruppamento merceologico per i prodotti dell'abbigliamento non appare, neppure lesiva dei principi di riforma posti dal cennato d.lgs. n. 114/1998, atteso che la previsione in questione e' dettata dalla necessita', valutata dalla regione nell'esercizio della sua potesta' legislativa esclusiva nella materia, di adeguare l'impianto fortemente riformatore e innovativo della normativa nazionale di riferimento alla particolare situazione geografica, territoriale e socio-economica siciliana e, soprattutto, alla esistente rete commerciale che, nel settore alimentare e dell'abbigliamento, ha subi'to in questi anni una pesante crisi. Non ininfluente in tale giudizio di congruita' della disposizione regionale rispetto ai principi contenuti nel piu' volte citato d.lgs. n. 114/1998 e' l'esistenza di leggi emanate da altre regioni, anche a statuto ordinario, come ad esempio la legge n. 19 del 20 luglio 1999 della regione Basilicata, con cui vengono previsti ulteriori raggruppamenti merceologici nel settore alimentare, la cui identificazione, peraltro, viene demandata ad un successivo atto regolamentare di competenza della Giunta regionale. Lo stesso legislatore nazionale, d'altronde, ha tenuto ben presente l'esigenza di eliminare il rischio di impatti negativi sull'esistente rete commerciale e consentire una graduale applicazione della riforma non pregiudizievole per gli operatori economici, ed a tal fine, all'art. 10, comma 1, lett. c) d.lgs. n. 114/1998, ha previsto per regioni la possibilita' di sospendere o inibire temporaneamente gli effetti della comunicazione dell'apertura degli esercizi di vicinato, nei fatti concedendo la facolta', di cui numerose regioni si sono avvalse, di contingentare l'avvio di nuove attivita' commerciali. Analogo giudizio di conformita' ai principi di riforma economico-sociale posti dall'art. 4 comma 4, lett. c), legge n. 59/1997 e dal d.lgs. n. 114 del 1998 non puo' invece esprimersi sull'altro punto di novita' rispetto alla normativa nazionale, introdotto dal comma 5 del medesimo art. 3 della legge regionale in esame. Infatti, se da un canto i commi 2, 3 e 4 del citato art. 3, per quanto attiene ai requisiti necessari per l'esercizio dell'attivita' commerciale riproducono pedissequamente le norme dei primi 6 commi dell'art. 5 del d.lgs. n. 114/1998, dall'altro il comma 5 oggetto di censura, dispone che "al fine di sviluppare un'adeguata cultura di impresa e nell'interesse primario dei consumatori, per un triennio, a far data dall'entrata in vigore della legge", ai fini dell'esercizio dell'attivita' di vendita relativa al settore merceologico non alimentare, si richiedono i medesimi requisiti professionali previsti per il settore alimentare. Detta disposizione, invero, cosi' come formulata, introduce seppure transitoriamente, una limitazione, non prevista in ambito nazionale, allo svolgimento di un'attivita' professionale, in palese violazione degli artt. 120, 41 e 3 della Costituzione. Secondo il citato art. 120 della Costituzione e, infatti, precluso alla regione introdurre norme che limitino il diritto dei cittadini ad esercitare in qualunque parte dei territorio nazionale la loro professione, impiego o lavoro. In proposito, codesta ecc.ma Corte ha acclarato con costante giurisprudenza, ex plurimis, sent. n. 168/1987, che non possono essere introdotti dal legislatore regionale requisiti e condizioni ulteriori non previsti dalla legislazione nazionale per lo svolgimento di attivita' professionali. Nella fattispecie in esame l'estensione dei requisiti, prescritti dall'art. 5, comma 5 del d.lgs. n. 114/1998 per il solo esercizio di una attivita' di commercio relativa al settore merceologico alimentare, anche a tutti gli altri raggruppamenti previsti in sede regionale, comporterebbe un ostacolo insormontabile, in contrasto con il principio sancito dall'art. 120 della Costituzione, per i cittadini che da altre regioni si volessero trasferire in Sicilia per esercitare un'impresa commerciale, poiche' troverebbero condizioni che non hanno riscontro nella legislazione vigente nel resto del territorio dello Stato. La limitazione in questione, motivata con l'esigenza di assicurare l'interesse primario della tutela dei consumatori, e', inoltre, da ritenersi lesiva del principio di cui all'art. 41 della Costituzione. La liberta' dell'iniziativa economica puo' essere, invero soggetta a vincoli e condizioni poste discrezionalmente dal legislatore, anche regionale, a tutela di interessi primari della collettivita', quale nella fattispecie in esame potrebbe considerarsi, in astratto, quello della tutela del consumatore. Tuttavia nello scrutinio di legittimita' della norma, per costante giurisprudenza di codesta Corte, e' consentito vagliare il rapporto di congruita' fra mezzi e fini per salvaguardare la liberta' garantita contro interventi arbitrariamente restrittivi, che praticamente potrebbero annullare il diritto primario inerente alla liberta' di iniziativa economica. Orbene, e' di palmare evidenza che non puo' ritenersi coerente con la dichiarata finalita' della tutela dei consumatori una norma di validita' triennale, il cui unico immediato effetto e' oltretutto quello di ridurre drasticamente il numero dei potenziali operatori commerciali causando piuttosto pregiudizio e nocumento allo sviluppo della rete distributiva, al pluralismo dell'offerta, all'equilibrio tra le diverse tipologie delle strutture distributive ed al conseguente contenimento dei prezzi dovuto all'esplicarsi del libero mercato. Per le ragioni suesposte la norma de qua appare anche inficiata del vizio di irragionevolezza intrinseca di cui all'art. 3 della Costituzione in quanto, introducendo limiti non previsti in sede nazionale all'esercizio di attivita' commerciale, comporta conseguenze pratiche confliggenti con la stessa finalita' di tutela del consumatore, assunta a giustificazione della disposizione transitoria e derogatoria. Altra norma che costituisce oggetto di gravame e' quella contenuta nell'art. 28 del disegno di legge approvato. Il contenuto della suddetta disposizione, che di seguito si trascrive, disciplina un caso di specie non strettamente attinente alla materia oggetto dell'intera legge. "Il primo periodo del comma 4 dell'art. 30 della legge regionale 4 aprile 1995, n. 29 e' cosi' sostituito: ''In sede di prima applicazione, gli originari assegnatari o i soggetti che da questi o da loro aventi causa abbiano a qualsiasi titolo la disponibilita', anche parziale, del lotto hanno diritto, su istanza, anche a prescindere dai requisiti di cui al comma 1, alla riconferma o al mantenimento dell'assegnazione del lotto, a condizione che alla data del 23 aprile 1995, abbiano svolto gia' tali attivita' commerciali, anche ove sia intervenuto provvedimento di revoca''". L'art. 28, che riproduce il testo di un autonomo disegno di legge, non sottoposto ancora all'esame delle competenti commissioni permanenti dell'Assemblea, e' stato introdotto con un emendamento presentato in aula senza che su di esso si sia svolto un adeguato dibattito di approfondimento. Lo scrivente e' stato indotto, proprio dall'assenza di una relazione esplicativa della norma, a chiedere, ai sensi dell'art. 3, d.P.R. n. 488/1969 chiarimenti alla amministrazione regionale competente. Da questi e' emerso che fine della disposizione sarebbe quello di perseguire l'interesse pubblico preminente ad assicurare il mantenimento dei livelli occupazionali esistenti presso talune aziende irregolarmente insediate nei consorzi A.S.I. dell'isola, che hanno subito provvedimenti di revoca dell'assegnazione delle aree, evitando la prosecuzione del contenzioso giudiziario pendente e, comunque, il rimborso alle aziende stesse di cospicue somme dovute per le addizioni e/o migliorie apportate ai lotti. Dai medesimi chiarimenti emerge, altresi', che la norma e' intesa a superare una disparita' di trattamento venutasi a creare tra le imprese ammesse alla regolarizzazione in base all'art. 30, l.r. n. 29/1995 in quanto esercenti attivita' di grande distribuzione commerciale, dalla cennata norma equiparata a quella industriale, e le altre aziende, che nelle more dell'approvazione ed entrata in vigore della legge stessa, avevano avuto revocata l'assegnazione del lotto. Si e' in presenza, evidentemente, di una norma di sanatoria che per consolidata giurisprudenza costituzionale, non e' di per se' inammissibile a condizione che sussistano preminenti interessi pubblici da tutelare, interessi che nella fattispecie sono ravvisabili nella necessita' di assicurare il mantenimento di significative iniziative di imprese e dei livelli occupazionali esistenti. La coerenza intrinseca della disposizione in esame viene, tuttavia, profondamente contraddetta dall'inciso "anche a prescindere dai requisiti di cui al comma 1" avverso il quale si solleva censura sotto il profilo della violazione degli artt. 3 e 97 della Costituzione. Attraverso detto inciso, infatti, si produrrebbe l'effetto di una ingiustificata sanatoria in favore di tutti coloro che a qualsiasi titolo esercitino attivita' commerciali anche di dimensioni oltremodo ridotte e comunque inferiori a quelle determinate in via generale dall'art. 30, comma 1 della l.r. n. 29/1995 ai fini dell'equiparazione alle attivita' industriali. La disposizione, in definitiva, consoliderebbe situazioni di fatto costituitesi illegalmente a danno dei potenziali richiedenti che avrebbero diritto di svolgere nelle aree stesse le attivita' consentite, ingenerando nei cittadini aspettative di future sanatorie di qualsivoglia situazione illegale ed incentivando, di tal fatta, comportamenti non rispettosi delle norme vigenti. Per le argomentazioni su esposte ed in assenza di alcun comprovato interesse pubblico preminente, legislativamente rilevante, che sorregga una cosi' indiscriminata estensione della sanatoria, si ritiene che la stessa non possa superare quel rigoroso scrutinio di costituzionalita', richiesto piu' volte da codesta ecc.ma Corte, affinche' non risulti arbitraria, e quindi in contrasto con gli artt. 3 e 97 della Costituzione, la sostituzione della disciplina generale originariamente applicabile con quella eccezionale ora emanata.