IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE 
 
    Ha pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro  generale  6391  del  2012,  proposto  da   Giuseppe   Lupo,
rappresentato  e  difeso  dagli  avv.ti  Raffaele  Leone  e  Gianluca
Simeoni, con domicilio eletto presso lo studio del secondo  in  Roma,
piazza Giovanni da Verrazzano, n. 46; 
    Contro Consiglio Superiore della  Magistratura,  Ministero  della
giustizia, rappresentati  e  difesi  dall'Avvocatura  Generale  dello
Stato, presso la cui sede domiciliano in Roma,  via  dei  Portoghesi,
n.12; 
    Per l'annullamento: 
        della  delibera  adottata  dal  Consiglio   Superiore   della
Magistratura nella seduta del 18 aprile 2012, pratica n. 240/GT/2012,
prot. P9501/2012, comunicata in data 2 maggio 2012; 
        della delibera adottata dal CSM nella  seduta  del  2  maggio
2012, pratica n. 245/GT/2012,  prot.  10332,  comunicata  in  data  7
maggio 2012; 
        del decreto ministeriale 14 maggio  2012,  con  il  quale  il
ricorrente e' stato  dichiarato  decaduto  dall'incarico  di  giudice
onorario  di   tribunale   dal   1°   giugno   2012,   anche   previa
disapplicazione dell'art.  42-sexies  o.g.  posto  a  fondamento  dei
provvedimenti gravati. 
    Visto il ricorso; 
    Visto l'atto di costituzione  in  giudizio  dell'intimato  plesso
amministrativo; 
    Viste le memorie difensive; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Relatore nella camera di consiglio del 26 settembre 2012 il cons.
Anna Bottiglieri e uditi per le parti i difensori  come  da  relativo
verbale. 
    1. Con il ricorso  in  trattazione  l'istante,  giudice  onorario
presso il Tribunale di Verona, impugna  i  provvedimenti  di  cui  in
epigrafe,  in  forza  dei  quali   e'   stato   dichiarato   decaduto
dall'incarico dal 1° giugno 2012, ai sensi dell'art. 42-sexies, primo
comma,  lett.  a),  r.d.  30  aprile   1941,   n.   12   (Ordinamento
giudiziario), al compimento del settantaduesimo anno di eta'. 
    Ai fini della miglior comprensione della fattispecie, puntualizza
il ricorrente che gli atti in  parola  sono  stati  preceduti  da  un
provvedimento del Presidente del Tribunale di Verona, O.I. n. 32/2012
del 5 marzo 2012, che comunicava al magistrato  onorario  la  mancata
proroga di un incarico relativo alle esecuzioni immobiliari, in vista
della cessazione dal servizio per raggiungimento dei limiti di  eta'.
Tale provvedimento veniva dall'interessato impugnato innanzi  al  Tar
per il Veneto, che lo sospendeva (Tar Veneto, I, ordinanza 10  maggio
2012, n. 307) e, ritenendo non manifestamente infondata la questione,
ivi  proposta,  inerente  la  legittimita'  costituzionale  dell'art.
42-sexies, primo comma, lett. a), o.g., in relazione agli artt.  3  e
97 Cost., rimetteva gli atti alla Corte Costituzionale  (Tar  Veneto,
I, ordinanza 6 giugno 2012, n. 786). 
    Intervenivano poi gli atti qui gravati, con i quali il  Consiglio
Superiore della Magistratura deliberava la  cessazione  dal  servizio
del ricorrente per il raggiungimento del settantaduesimo anno di eta'
e il Ministero della giustizia dichiarava la decadenza dall'incarico,
ai sensi dello stesso art. 42-sexies, primo comma,  lett.  a),  o.g.,
che statuisce la cessazione  dal  servizio  di  giudice  onorario  al
«compimento del settantaduesimo anno di eta'». 
    Ad avviso del ricorrente, la determinazione contenuta negli  atti
impugnati costituirebbe atto discriminatorio in relazione all'eta', e
contrasterebbe con le disposizioni comunitarie e con le  disposizioni
nazionali che le hanno recepite. 
    Il contrasto e' ravvisato in relazione: 
        all'art. 13 del Trattato istitutivo della Comunita'  Europea,
che ha conferito al Consiglio il potere di adottare  i  provvedimenti
opportuni per  combattere  le  discriminazioni  fondate,  tra  altro,
sull'eta'; 
        agli artt. 20 e  21  della  Carta  dei  diritti  fondamentali
dell'Unione Europea, che hanno sancito, rispettivamente,  il  diritto
di uguaglianza di fronte alla legge e il divieto di  qualsiasi  forma
di discriminazione, anche in relazione all'eta'; 
        alla direttiva 2000/78/CE sulla  parita'  di  trattamento  in
materia  di  occupazione,  che,  al   venticinquesimo   considerando,
distingue  tra  fattispecie  giustificate  e  non   giustificate   di
disparita' di trattamento in funzione dell'eta',  e  precisa  che  le
prime  richiedono  «disposizioni  specifiche»,  essendo  fondate   su
«obiettivi legittimi di politica dell'occupazione, mercato del lavoro
e   formazione   professionale»,   laddove   le   seconde   integrano
«discriminazioni che devono essere vietate». In relazione alla appena
citata direttiva 2000/78/CE, il ricorrente rappresenta che  la  Corte
di  Giustizia  della  CE  ha  affermato  che   l'accertamento   della
compatibilita' della normativa nazionale che fissi limiti di eta' con
la normativa comunitaria e'  subordinata  all'individuazione  di  una
finalita' legittima nei sensi dianzi precisati, dovendo altrimenti il
giudice  nazionale  ricorrere  al   rimedio   della   disapplicazione
(sentenza 18  novembre  2010  nei  procedimenti  riuniti  C-250/09  e
C-268/09;  sentenza  12  gennaio  2010  della  Grande   Sezione   nel
procedimento C-341/08); 
        al decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 216,  che  individua
la fattispecie discriminatoria relativa all'eta' nel trattamento meno
favorevole riservato ad un soggetto rispetto  ad  un  altro,  in  una
situazione analoga in materia di occupazione e condizioni di lavoro. 
    Alla stregua di tali  coordinate,  il  ricorrente  perviene  alla
conclusione che il limite di eta' fissato per i  giudici  onorari  di
tribunale  al  settantaduesimo  anno   costituisce   un   trattamento
discriminatorio,  poiche'  diverso  e  meno  favorevole  rispetto  al
diverso  limite  di  eta'   (settantacinque),   fissato   per   altri
appartenenti  alla  stessa  categoria  della  magistratura   onoraria
(giudici di pace e  giudici  tributari),  oltre  che  per  i  giudici
professionali. 
    Conseguentemente,  il  ricorrente  domanda,  in  via  principale,
previa disapplicazione dell'art. 42-sexies, primo  comma,  lett.  a),
o.g.,  per  violazione  degli  artt.  1  e  2  del  d.lgs.  216/2003,
l'annullamento degli atti  impugnati;  in  via  subordinata,  solleva
questione di legittimita' costituzionale della  disposizione  stessa,
in relazione agli artt. 3 e 97 Cost. 
    2. Costituitisi  in  resistenza,  il  Consiglio  Superiore  della
Magistratura e il Ministero della giustizia eccepiscono  innanzitutto
il difetto di giurisdizione  del  giudice  amministrativo,  in  forza
dell'art. 4, comma 2 del d.lgs. 216/2003, su cui ritengono basato  il
petitum sostanziale del ricorso. 
    Il plesso amministrativo resistente evidenzia  poi,  nel  merito,
l'insussistenza  delle  condizioni  per  ravvisare  un  comportamento
discriminatorio a  carico  dell'Organo  di  autogoverno,  che  si  e'
limitato ad applicare una norma di legge,  che  non  potrebbe  essere
disapplicata nella presente sede, non sussistendone i presupposti. 
    3. A mezzo di «memoria  con  motivi  aggiunti»  depositata  il  5
settembre 2012, non notificata, il ricorrente  estende  l'impugnativa
anche al provvedimento del CSM adottato nella seduta  del  25  luglio
2012, che, in risposta a quesito  del  Presidente  del  Tribunale  di
Verona, ha rappresentato che il ricorrente non puo' essere  riammesso
in  servizio  e  insiste  per  L'accoglimento  delle   domande   gia'
introdotte. 
    4. Con ordinanza 27  settembre  2012,  n.  3408,  adottata  nella
camera di consiglio del 26 settembre 2012, la  domanda  cautelare  e'
stata accolta. In particolare, la Sezione, considerata la rilevanza e
la  non  manifesta  infondatezza  della  questione  di   legittimita'
costituzionale dell'art. 42-sexies, primo comma, lett. a),  del  r.d.
30 gennaio 1941, n. 12  (Ordinamento  giudiziario),  ha  disposto  la
sospensione  interinale  dell'efficacia  dei  provvedimenti   gravati
nell'atto introduttivo del giudizio «ai fini e per  la  durata  dello
svolgimento  del  giudizio  di  costituzionalita'»,  rimandando,  per
l'esplicazioni   delle   motivazioni   del   predetto    dubbio    di
costituzionalita', alla presente ordinanza di rimessione  degli  atti
alla Corte costituzionale, adottata nella stessa camera di consiglio. 
    5. Entrando nel merito della questione, il  Collegio  ritiene  di
aderire alla sopra citata ordinanza del Tar Veneto 786/2012, adottata
nella diversa controversia pure proposta dal ricorrente,  nonche'  ad
altra  ordinanza  della  Sezione,  1°  agosto  2012,  n.  7111,  pure
concernente la permanenza in servizio di  giudice  onorario  dopo  il
raggiungimento del limite di eta' di cui all'art. 42-sexies o.g.,  e,
pertanto, di sollevare anche nel presente giudizio  la  questione  di
legittimita'  costituzionale  della  disposizione  di  cui   all'art.
42-sexies, primo comma, lett. a), del r.d. 30  gennaio  1941,  n.  12
(Ordinamento giudiziario), per contrasto con gli artt. 3 e  97  della
Costituzione. 
    Cio'  innanzitutto  a  motivo  dell'irragionevole  disparita'  di
trattamento che essa riserva al termine di cessazione dalle  funzioni
per i magistrati onorari di tribunale rispetto a quello previsto  per
le altre componenti la magistratura onoraria  ad  esso  assimilabili,
quali i magistrati del giudice  di  pace  e  dei  giudici  tributari,
rispettivamente disciplinate dall'art.  7  della  legge  21  novembre
1991, n. 374 (Istituzione del giudice di pace) e dall'art. 11,  comma
2, del d.lgs. 31 dicembre 1992,  n.  545  (Ordinamento  degli  organi
speciali di giurisdizione tributaria ed organizzazione  degli  uffici
di collaborazione in attuazione della  delega  al  Governo  contenuta
nell'art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413). 
    6.  Ai  soli  fini  dell'apprezzamento  della   rilevanza   della
questione di legittimita'  costituzionale,  non  puo'  non  dedicarsi
qualche considerazione  all'eccezione  pregiudiziale  spiegata  dalla
difesa  erariale.  Al  riguardo,  si  osserva  che,  come  noto,   la
giurisdizione si determina sulla base della domanda, ma, a tal  fine,
rileva non gia' la prospettazione delle parti, bensi' il c.d. petitum
sostanziale, il quale  va  identificato  non  solo  e  non  tanto  in
funzione della concreta stati che si chiede al giudice,  ma  anche  e
soprattutto in funzione della causa petendi, ossia  della  intrinseca
natura della posizione soggettiva dedotta in giudizio  e  individuata
dal giudice stesso con riguardo  ai  fatti  allegati  e  al  rapporto
giuridico di cui essi sono manifestazione ed  in  base  al  quale  la
domanda viene identificata. 
    E allora, applicando le  predette  coordinate  ermeneutiche  alla
fattispecie, si osserva che si  verte  in  tema  non  tanto  di  atti
discriminatori ovvero del diritto a non subire discriminazioni - come
sostenuto dalla difesa erariale - quanto,  piuttosto,  di  disciplina
dell'incarico di giudice onorario di  tribunale,  disciplina  che  e'
improntata a caratteri di notevole  specialita',  testimoniati  dalla
nomina con decreto del  Ministero  della  giustizia,  in  conformita'
della deliberazione del Consiglio Superiore  della  Magistratura,  su
proposta del Consiglio giudiziario competente  per  territorio  (art.
42-ter  comma  1,  o.g.),  che  la   materia   rinviene   interamente
dall'ordinamento pubblicistico. 
    Cio' posto, si rileva che la  pretesa  azionata  in  gravame  e',
segnatamente, quella alla  continuazione  dell'incarico  onorario,  a
fronte di provvedimenti disposti con le stesse modalita' previste per
la nomina all'incarico stesso (art. 42-sexies, u.c., o.g.). 
    E allora non puo' che concludersi che la materia  del  contendere
non esula dalla generale giurisdizione di legittimita', connessa agli
interessi legittimi, affidata al giudice amministrativo,  da  ultimo,
dall'art. 7, comma 1, c.p.a. 
    7. Chiarito, ai soli fini  del  giudizio  di  rilevanza,  che  la
controversia risulta appartenente alla cognizione del giudice  adito,
la pronunzia in ordine ad ogni altra questione  pregiudiziale,  anche
sollevabile d'ufficio, deve essere  riservata  alla  definizione  del
merito del gravame. 
    8. Sempre in punto di rilevanza della questione  di  legittimita'
costituzionale, il  Collegio  osserva  che  gli  atti  impugnati  con
l'odierno ricorso costituiscono diretta applicazione della  norma  de
qua. 
    Ne' pare - come  gia'  rilevato  dalle  precedenti  ordinanze  di
rimessione sopra citate - che la norma  stessa  sia  suscettibile  di
essere disapplicata per contrasto con  normative  comunitarie,  posto
che non  e'  individuabile  una  disciplina  self-executing  di  tale
matrice applicabile alla fattispecie oggetto di giudizio. 
    Invero, il fatto che la norma  legislativa  in  esame  riservi  a
soggetti non appartenenti ad una  medesima  categoria  professionale,
bensi' appartenenti a figure professionali  fra  loro  «assimilabili»
sotto il profilo  funzionale,  termini  di  cessazione  dall'incarico
diversi,  non  appare  integrare,  di   per   se',   l'illegittimita'
comunitaria di cui alla direttiva del Consiglio 78/2000/CE, in quanto
i singoli Stati dell'Unione europea godono di un ambito di  autonomia
che esclude un'assoluta uniformita' di regime delle condizioni legali
di permanenza nelle attivita' professionali, essendo loro interdetto,
invece, di discriminare (sia  direttamente  che  indirettamente)  una
persona rispetto a «quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un'altra
in una situazione analoga». Nel caso che ci occupa, infatti, tutti  i
soggetti appartenenti alla categoria di giudice onorario di tribunale
cosi' come il ricorrente, sono  sottoposti  all'identico  trattamento
(cessazione al compimento del settantaduesimo anno di eta'). 
    Inoltre, gli atti  impugnati  non  risultano  discriminatori  nel
senso   prospettato   dal   ricorrente,    atteso    che    l'effetto
pregiudizievole  lamentato  dal  ricorrente  costituisce  la  diretta
conseguenza della vigenza dell'art. 42-sexies,  comma  1,  lett.  a),
o.g., di cui l'atto impugnato rappresenta la pedissequa applicazione. 
    Pertanto,  dipendendo  l'asserita  violazione   della   posizione
soggettiva del ricorrente direttamente dalla norma stessa, solo dalla
dichiarazione  della  sua  illegittimita'   costituzionale   potrebbe
derivare il richiesto accoglimento  del  ricorso  per  illegittimita'
derivata degli atti impugnati. 
    9.  Quanto,  invece,  alla  non  manifesta   infondatezza   della
questione di costituzionalita' della disposizione in esame,  essa  si
pone ad avviso del Collegio, come gia' sopra anticipato, innanzitutto
in relazione all'art. 3 della Costituzione, sotto  il  profilo  della
irragionevole  disparita'  di  trattamento  prodotta,  posto  che  la
situazione dei giudici onorari di tribunale e' del tutto  omogenea  a
quella dei  giudici  di  pace  e  a  quella  dei  giudici  tributari,
trattandosi di figure appartenenti tutte alla magistratura onoraria e
soggette a regimi di ammissione e di funzione pienamente comparabili;
sicche', considerata la piena assimilabilita' di  dette  figure,  non
sembra  giustificabile   alcuna   diversita'   di   trattamento   con
riferimento al momento  di  cessazione  dall'incarico,  che  dovrebbe
rappresentare, proprio per  la  sua  portata  generale,  un  elemento
comune e uniforme di  tutta  la  categoria  magistratuale  cui  dette
figure appartengono. 
    L'art. 7, comma 1, della citata legge n. 374 del 1991  stabilisce
invero che, «in attesa della complessiva riforma dell'ordinamento dei
giudici di pace, il magistrato onorario che esercita le  funzioni  di
giudice di pace dura in carica quattro anni e puo' essere  confermato
per un secondo mandato di quattro anni e  per  un  terzo  mandato  di
quattro anni. I giudici di pace confermati per un  ulteriore  periodo
di due anni in applicazione dell'art.  20  della  legge  13  febbraio
2001, n. 48, al termine del biennio possono essere confermati per  un
ulteriore mandato di  quattro  anni,  salva  comunque  la  cessazione
dall'esercizio delle funzioni al  compimento  del  settantacinquesimo
anno di eta'». 
    L'art. 11, comma 2, del d.lgs. n. 545 del  1992  citato  prevede,
d'altra  parte,  che  «I  componenti  delle  commissioni   tributarie
provinciali e  regionali,  indipendentemente  dalle funzioni  svolte,
cessano   dall'incarico,   in   ogni   caso,   al   compimento    del
settantacinquesimo anno di eta'», mentre l'art. 7, comma  1,  lettera
d), del medesimo d.lgs. pone, fra i requisiti generali necessari  per
l'ammissione a tale funzione, quello di  «non  avere  superato,  alla
data di scadenza del termine stabilito nel bando di concorso  per  la
presentazione della domanda di ammissione, settantadue anni di eta'». 
    Sempre in punto di non manifesta infondatezza della questione, il
Collegio osserva che il  legislatore  ha  stabilito  che  il  giudice
onorario cessi dall'incarico al compimento del  settantaduesimo  anno
di eta'. In particolare l'art. 4, comma  1,  della  legge  22  luglio
1997, n. 276 (Disposizioni per la definizione del contenzioso  civile
pendente: nomina di giudici onorari  aggregati  e  istituzione  delle
sezioni stralcio nei tribunali ordinari), prevede che  «La  nomina  a
giudice onorario aggregato, salvo quanto previsto  dal  comma  4,  ha
durata quinquennale e puo' essere prorogata per una sola volta e  per
il termine massimo di un  anno».  Mentre  il  comma  2  del  medesimo
articolo prevede che «Il giudice  aggregato  cessa  dall'incarico  in
caso di definizione delle cause di cui all'art. 1, comma 1,  pendenti
presso l'ufficio giudiziario cui e' assegnato, salvo quanto  disposto
dal comma 5 del presente articolo, nonche'  all'atto  del  compimento
del settantaduesimo anno di eta' e nelle ipotesi di cui all'art. 7». 
    Orbene, se e' chiaro ed incontrovertibile che il  dato  letterale
della norma determina per il G.O.A. il  medesimo  effetto,  sotto  il
profilo  della  durata  temporale  dell'esercizio   delle   funzioni,
rispetto a quello derivante per  il  giudice  onorario  di  tribunale
dalla norma legislativa qui contestata, deve nondimeno rilevarsi, sul
piano sistematico, che le due figure, pur appartenendo alla  medesima
categoria della magistratura onoraria,  si  differenziano  nettamente
sotto il profilo funzionale  dalle  altre  componenti  che  ne  fanno
parte, mostrando vieppiu' l'irrazionalita' del sistema  normativo  in
cui si colloca la disciplina censurata, caratterizzata, da  un  lato,
dall'evidenziata  disparita'  di  trattamento  rispetto  alle  figure
magistratuali onorarie «omologhe» sotto il profilo funzionale  (i.e.:
«giudici di pace» e «giudici tributari»), dall'altro,  dall'identita'
di trattamento rispetto ad una figura funzionalmente  diversa  (i.e.:
«G.O.A»). 
    La figura del G.O.A. e' stata infatti istituita  dal  legislatore
con  la  dichiarata  finalita'  di  definire  il  contenzioso  civile
pendente dinanzi ai tribunali alla data del 30 aprile 1995 «nel tempo
massimo di cinque anni». In particolare, l'art.  1,  comma  2,  della
citata legge istitutiva delle sezioni stralcio del  tribunale  civile
dispone che «per definite i procedimenti civili di cui al comma  1  e
con l'obiettivo di darvi luogo nel tempo massimo di  cinque  anni  si
procedera', nei modi e termini previsti dalla  presente  legge,  alla
nomina di giudici onorari aggregati nel  numero  di  mille».  Possono
essere chiamati all'ufficio di giudice  onorario  aggregato:  a)  gli
avvocati anche se a  riposo  o  iscritti  negli  albi  speciali  e  i
magistrati a riposo; b) gli avvocati  e  procuratori  dello  Stato  a
riposo; c) i professori universitari  e  i  ricercatori  universitari
confermati in materie giuridiche, laureati in giurisprudenza;  c-bis)
i  notai  anche  in  pensione.  3.  Entro  tre  mesi  dalla  data  di
pubblicazione nella Gazzetta  Ufficiale  della  presente  legge,  con
decreto del Ministro di grazia  e  giustizia,  sentito  il  Consiglio
superiore della magistratura, sono individuati i tribunali presso cui
vengono istituite le sezioni stralcio  previste  dall'articolo  11  e
sono determinati il numero delle sezioni e  la  pianta  organica  dei
giudici onorari aggregati e del relativo personale ausiliario». 
    Coerentemente con la durata quinquennale di  detto  incarico,  si
giustifica il requisito del «non aver compiuto 67 anni  di  eta'»  al
momento della nomina, proprio  per  assicurare  la  possibilita'  del
pieno espletamento del  mandato  temporaneo  (la  cui  cessazione  e'
prevista   al   settantaduesimo   anno   di   eta').   Pertanto,   in
considerazione della natura contingente e transitoria delle  funzioni
assegnate   al   G.O.A.,   individuabile,   per   espressa   volonta'
legislativa,  nell'esigenza  di  procedere   allo   smaltimento   del
contenzioso  civile  arretrato,  detta  figura  non  pare  pienamente
assimilabile  e  comparabile  a  quella  del  G.O.T.  che  e'  invece
considerato dall'ordinamento quale magistrato che entra a  far  parte
in via permanente e funzionale del tribunale  (cui  e'  «addetto»  ex
art. 42-bis, r.d. n.12 del 1941), in quanto abilitato a  svolgere,  a
fianco dei magistrati ordinari, «il lavoro giudiziario loro assegnato
dal presidente del tribunale o, se  il  tribunale  e'  costituito  in
sezioni, dal presidente o altro magistrato  che  dirige  la  sezione»
(art. 43-bis, r.d. n. 12 del 1941),  nei  limiti  e  alle  condizioni
specificate dalla  normativa  primaria  e  da  quella  secondaria  in
materia. 
    Sotto questo profilo, risulta invece evidente l'assimibilita' del
G.O.T. alla figura del giudice di pace, al quale  il  legislatore  ha
assegnato funzioni giurisdizionali  «in  materia  civile  e  penale»,
nonche' «la funzione conciliativa in materia civile» alle  condizioni
indicate nella legge n. 374 del 1991, senza limitazioni ne' di  tempo
ne' di scopo, come invece nel caso dei G.O.A. 
    Le medesime considerazioni, ad avviso del Collegio, valgono anche
in ordine al raffronto fra il G.O.T. e  il  giudice  tributario,  dal
momento che anche quest'ultimo e' considerato organo di giurisdizione
istituzionale in uno specifico ambito di materia. 
    Inoltre, l'innalzamento a 75 anni del limite di eta' fissato  per
lo  svolgimento  dell'incarico  di  giudice  onorario  di   tribunale
risponderebbe  anche  ad  un  vantaggio  per  l'amministrazione,  che
potrebbe continuare a giovarsi dell'opera di un giudice gia'  formato
e la cui idoneita' allo svolgimento delle  mansioni  e'  stata  anche
comprovata da un'esperienza pluriennale e positivamente  valutata  in
concreto dagli organi a  cio'  deputati  (Presidente  del  Tribunale,
Consiglio giudiziario e Consiglio Superiore  della  Magistratura),  e
cio' anche in coerenza con i  piu'  recenti  interventi  legislativi,
quali in particolare quello della proroga ex lege delle funzioni  dei
G.O.T. operata dall'art. 15 del d.l. n. 212  del  2011,  che  appunto
paiono fondarsi su tale considerazione. 
    Pertanto, il  Collegio  dubita  della  legittimita'  della  norma
impugnata anche in riferimento ai principi di efficienza  e  di  buon
andamento della pubblica amministrazione sanciti dall'art.  97  della
Costituzione. 
    10. In conclusione, la diversita'  di  trattamento  riservata  ai
giudici onorari di tribunale, che  deriva  pianamente  dal  raffronto
delle norme citate con  quella  impugnata,  non  appare  sorretta  da
alcuna  ragionevole  giustificazione,   determinando   un'irrazionale
quanto  incomprensibile  disparita'   di   trattamento   fra   figure
professionali omogenee. 
    Se non puo', infatti, dubitarsi che l'individuazione del  termine
di cessazione dalle funzioni de quibus rientri nella discrezionalita'
del legislatore, cio' nondimeno, sulla scorta  dell'insegnamento  del
Giudice delle leggi, tale  potere  deve  essere  esercitato  in  modo
ragionevole e non arbitrario,  con  la  conseguenza  che,  una  volta
fissato a settantacinque anni il limite di eta' per  tutte  le  altre
figure professionali ad essa assimilabili, condividendone le medesime
funzioni e gli stessi caratteri di magistratura onoraria e giudicante
- in ossequio all'art. 106, secondo comma, della Costituzione  -,  lo
stesso identico limite non puo' non valere  anche  per  la  specifica
figura di magistratura  onoraria  che  viene  in  considerazione  nel
presente giudizio, in ragione del necessario rispetto  del  principio
di uguaglianza e di razionalita' interna del sistema normativo in cui
la norma legislativa censurata  si  colloca,  stabilito  dall'art.  3
della Costituzione, nonche' in riferimento al principio di efficienza
e buon  andamento  dell'Amministrazione  di  cui  all'art.  97  della
Costituzione. 
    11. Alla luce delle considerazioni che precedono,  deve  pertanto
essere sollevata questione di legittimita'  costituzionale  dell'art.
42-sexies, primo comma, lett. a) del r.d.  30  gennaio  1941,  n.  12
(Ordinamento giudiziario), per contrasto con gli artt. 3 e  97  della
Costituzione, con conseguente sospensione del giudizio e trasmissione
degli atti alla Corte costituzionale. 
    Resta  riservata  all'esito   del   giudizio   incidentale   ogni
determinazione pregiudiziale, sul merito e sulle spese.