LA COMMISSIONE TRIBUTARIA DI ANCONA 
 
    Ha  emesso  la  serguente  ordinanza   sull'appello   n.   804/08
depositato il 21 luglio 2008 avverso la sentenza  n.  57/2/07  emessa
dalla Commissione Tributaria Provinciale di  Pesaro  contro:  Agenzia
entrate  direzione  provinciale   Ufficio   controlli   Pesaro-Urbino
proposto dal ricorrente: Piffer Giuseppe Via A. De Gabrielli  n.  4/A
61032 Fano (Pesaro) difeso da: Lodovici Paolo Via A. De Gabrielli  n.
4/A 61032 Fano (Pesaro); 
    Atti  impugnati:  Avviso  di  accertamento  n.  R9N20021V00016800
Registro 2002 Avviso  di  accertamento  n.  R9N20021V00016800  I.V.A.
2001. 
 
                  Fatto e svolgimento del processo 
 
    1) La controversia 
    Con atto pubblico redatto dal notaio  Alessandro  Cecchetelli  di
Fano  in  data  27  dicembre  2001  al  repertorio  numero  62.841  e
sottoposto  alla  registrazione  in  data   16   gennaio   2002,   il
contribuente ricorrente oggi  appellante,  ha  posto  in  essere  due
distinte operazioni di compravendita immobiliare; 
    a)  acquisto  di  terreni,  per  i  quali  aveva   richiesto   il
riconoscimento del credito d'imposta derivante da precedente atto per
acquisto "di prima abitazione" ex articolo 7, legge n.  448/1998,  da
portare in compensazione ai dovuto atto di registrazione; 
    b) acquisto di un fabbricato (operazione soggetta ad Iva) per  il
quale aveva richiesto ed usufruito dell'agevolazione "prima casa", la
quale prevedeva l'applicazione ciell'Iva agevolata al 4% anziche' del
10%. 
    A seguito  della  registrazione  di  tale  atto  l'agenzia  delle
entrate ufficio di Fano in data 13  aprile  2006  ha  notificato  due
distinti avvisi di liquidazione cosi' identificati: 
        a) Raccomandata postale A. R. Numero  76028307626-8,  per  la
notifica di un Avviso di liquidazione dell'imposta numero 001 del  23
febbraio 2006 protocollo numero 6196/06 attraverso cui si  addebitano
le imposte  di  registro,  ipotecaria  e  catastale  per  il  mancato
riconoscimento delle  agevolazioni  richieste  a  titolo  di  credito
d'imposta di cui all'articolo sette comma uno della legge 23 dicembre
1998  numero  448  perche'  detratte  dalle  imposte   di   registro,
ipotecarie e catastali dovute a seguito della registrazione dell'atto
di compravendita; 
        b) Raccomandata postale A. R.  Numero  7602830727-9,  per  la
notifica di un avviso di liquidazione dell'imposta numero 001 del  23
febbraio 2006 protocollo  numero  6194/06  con  cui  si  addebita  la
maggiore imposta Iva a titolo  di  recupero  per  il  disconoscimento
dell'aliquota agevolata del 4% anziche' quella ordinaria del 10%  per
il mancato avveramento,  nei  termini  prescritti,  della  condizione
prevista alla lettera a) dei comma 1 della nota 2-bis dell'articolo 1
della tariffa" parte prima" allegata al d.P.R. 26 aprile 1986  numero
131, cosi' come richiamata dal successivo quarto comma  della  citata
tariffa. 
    I predetti avvisi di liquidazione notificati ai sensi della legge
890  del  20  novembre  1982,  articolo  8,  venivano   opposti   dal
contribuente,  munito  di  difensore  tecnico  abilitato   ai   sensi
dell'articolo 12 del decreto legislativo 546/92, con separati ricorsi
dinanzi alla commissione tributaria provinciale di  Pesaro  la  quale
dopo averne disposto la riunione per  la  connessione  soggettiva  ed
oggettiva,  ai  sensi  dell'articolo  29  del   decreto   legislativo
546/1992, li dichiarava inammissibili per violazione del primo  comma
dell'articolo 21 del decreto legislativo numero n. 546/1992,  perche'
proposti oltre il termine di 60 giorni ivi previsto.  Il  giudice  di
prime cure riteneva di non adottare alcuna decisione sulle spese  del
giudizio di primo grado che, di conseguenza, rimanevano a  carico  di
ciascuna  delle  parti  cosi  come   anticipate.   Il   giudizio   di
inammissibilita' dei ricorsi  impediva  al  giudice  di  primo  grado
l'introduzione al merito che  per  tale  effetto  non  poteva  essere
ammesso in discussione e, quindi  esaminato  nel  processo  di  primo
grado. In via preliminare la commissione  tributaria  provinciale  ha
ritenuto doversi  dichiarare  tardivo  il  ricorso  di  primo  grado,
presentato oltre i 60 giorni previsti dalla legge, in  considerazione
che  la  comunicazione  di  avvenuto  deposito   della   raccomandata
attraverso cui sono stati notificati di  avvisi  di  liquidazione  e'
stata inviata con lettera raccomandata del 6  marzo  2006  mentre  il
ricorso e' stato proposto in data 12 giugno 2006 e,  quindi,  secondo
il giudice di primo grado, oltre il termine  di  60  giorni  previsto
dall'articolo 21 d.lgs n. 546/92. 
    Avverso tale sentenza  (n.  57/2/07  del  17.05.2007)  con  unico
motivo e unico atto  di  appello  ricorre  soltanto  il  contribuente
dinanzi la commissione tributaria regionale di Ancona per il  tramite
del difensore tecnico abilitato  al  sensi  dell'articolo  12  d.lgs.
546/1992,  contestando  la  falsa   ed   errata   interpretazione   e
applicazione della legge numero 890 del 20 novembre 1982 inerente  la
notificazione degli atti  a  mezzo  posta;  l'agenzia  delle  entrate
ufficio di Fano  resistente  si  e'  costituita  in  giudizio  ed  ha
presentato controdeduzioni (articoli 54 e  23  d.lgs.  546/1992).  In
particolare l'appellante  sostiene  doversi  applicare  il  principio
generale della scissione soggettiva del  momento  di  perfezionamento
della notificazione, in capo  ai  soggetto  destinatario  degli  atti
impositivi, in relazione ai suo diritto alla tutela giurisdizionale e
alla difesa. L'appellante fonda la sua tesi  difensiva  sulla  scorta
degli  interventi  succedutisi  nel  tempo,  da  parte  della   Corte
Costituzionale attraverso le sentenze: numero 346  del  23  settembre
1998; numero 132 del 28 aprile 2004; numero 107 del  24  marzo  2004;
numero 97 del 12 marzo 2004 e numero 28 del 23 gennaio 2004 in cui e'
stata, tra l'altro, dichiarata illegittimita' costituzionale: 
        a) Del comma 2 dell'articolo 8 della  legge  numero  890/1982
nella parte in cui non prevede che in caso di rifiuto di ricevere  il
Plico o di firmare il registro di consegna  da  parte  delle  persone
abilitate alla ricezione ovvero  in  caso  di  mancato  recapito  per
temporanea assenza del destinatario o  per  mancanza,  inidoneita'  o
assenza  delle  persone  sopra  menzionate,  del   compimento   delle
formalita' descritte e del deposito dell'impiego sia data notizia  al
destinatario medesimo con raccomandata con avviso di ricevimento; 
        b) Del comma 3 dell'articolo 8 della  legge  numero  890/1982
nella parte in cui prevede che il piego sia restituito ai mittente in
caso di ritiro da parte del destinatario, dopo 10 giorni dal deposito
presso l'ufficio postale; 
    Attraverso  le  suddette  sentenze,   la   Corte   costituzionale
ribadendo  il  principio  fondamentale  della  sufficienza   per   il
notificante  delle  sole  formalita'  che  non  sfuggono   alla   sua
disponibilita', ha statuito il  generale  principio  della  scissione
soggettiva del momento del perfezionamento  della  notificazione.  Il
nuovo  principio  prevede  una,   scissione   tra   i   due   momenti
perfezionativi del procedimento notificatorio, uno per il notificante
e l'altro per  il  notificatario.  La  tutela  dell'uguaglianza,  del
diritto alla difesa e la  tutela  giurisdizionale  hanno  imposto  al
giudice delle leggi di fissare il principio della autoresponsabilita'
e  dell'inaddebitabilita'  al  soggetto  incolpevole   degli   eventi
dannosi, quali la decadenza di poteri e diritti imputabili  ad  altri
soggetti (agente  incaricato  della  notificazione).  Tali  parametri
rapportati alla sequenza  dei  momenti  relativi  alla  notificazione
tramite il servizio postale fissano due principi, rectius  "momenti",
distinti e fondamentali: in capo al notificante il termine  certo  di
consegna dell'atto all'agente incaricato della notificazione; in capo
al notificatario il termine certo di  ricezione  dell'atto  da  parte
dell'agente incaricato della notificazione. Questa commissione  preso
atto dei criteri fissati dalla Corte Costituzionale  e  rilevato  che
gli avvisi di  liquidazione  impugnati  sono  stati  spediti  tramite
raccomandata A. R. da parte dell'agenzia  delle  entrate  ufficio  di
Fano in data 6 marzo 2006 e ricevuti dal ricorrente in data 13 aprile
2006; appurato che i relativi ricorsi sono stati proposti in data  12
giugno 2006, ritiene di dover annullare la sentenza di primo grado in
ordine alla inammissibilita' dei ricorsi per tardivita' (articolo  21
d.lgs. n. 546/92) perche' tempestivamente prodotti  entro  60  giorni
dalla ricezione (notificazione) dell'atto  impugnato.  Nella  udienza
del 29.09.2010 la commissione tributaria Regionale di  Ancona  si  e'
riservata la decisione. 
    2) Oggetto dello scrutinio di costituzionalita' e fonti normative 
    Il decreto legislativo 31 dicembre  1992  numero  546  istitutivo
della  riforma  del   processo   tributario   rappresenta   l'epilogo
legislativo dell'articolo 30 della legge 30 dicembre 1991 numero  413
attraverso cui il legislatore ha inteso dettare le linee fondamentali
del  processo  tributario,  avvicinandolo  sotto  il  profilo   della
procedura ai  rito  civile  ordinario.  La  lettera  G  del  comma  1
dell'articolo 30 della legge 413/1991 nel dettare i criteri direttivi
al legislatore delegato  alla  riforma  del  processo  tributario  ha
imposto: "adeguamento delle norme del processo  tributario  a  quelle
del  processo  civile".   Il   legislatore   delegato   emanando   le
disposizioni generali  del  nuovo  processo  tributario  al  comma  2
dell'articolo 1 cosi dispone: "i giudici tributari applicano le norme
del presente decreto e, per quanto da esse non disposto  e  con  esse
compatibili, le norme del codice di procedura civile.".  Ne  consegue
quindi che le norme del codice di procedura civile,  comprese  quelle
di attuazione dello stesso, si pongono rispetto a quelle del processo
tributario quale fonte  secondaria  di  garanzia  subordinata  a  due
precise condizioni indicate dalla legge: A)  nessuna  norma  speciale
inserita  nel  decreto  legislativo  numero  546/1992  disciplina  la
fattispecie processuale; B) la norma del codice di procedura  civile,
astrattamente applicabile, risulti/compatibile con le norme  speciali
dei  processo  tributario  evitando  che,  l'applicazione  analogica,
determini  contrasto  all'interno  delle   disposizioni   processuali
tributarie o crei una disarmonia nel sistema del processo tributario. 
    Per quanto riguarda la remissione della causa al giudice di primo
grado il legislatore della riforma del processo  tributario,  sebbene
non obbligato in maniera specifica, a disciplinare  sul  punto  dalla
legge di delega (articolo  30  legge  n.  413/1991)  ha  ritenuto  di
intervenire attraverso  l'emanazione  dell'articolo  59  del  decreto
legislativo 546/1992. Questa disposizione impone in modo tassativo la
remissione della causa al giudice  di  primo  grado  in  presenza  di
cinque specifiche fattispecie processualmente individuate ed elencate
dalle lettere comprese fra la A e la  E  del  comma  1  dell'articolo
59/546.  Il  comma  2  del  predetto  articolo,  impone  al   giudice
tributario l'obbligo di decidere ogni qualvolta debba  giudicare  una
causa nella quale non siano ravvisabili motivi di rinvio indicati  al
comma  1  di  cui  sopra.  li  legislatore  dei  processo  tributario
consapevole della impossibilita' di un'elencazione tassativa di tutte
le  fattispecie  processuali  possibili,  ha  introdotto  un   potere
istruttorio, al giudice di  appello  consentendogli  di  ordinare  la
rinnovazione di atti nulli compiuti in primo grado. (Comma 2 articolo
59/546). Per completezza espositiva e' opportuno  segnalare  come  il
legislatore del processo tributario, derogando dal principio generale
espresso  dall'articolo  161  del  codice  di  procedura  civile,  ha
ritenuto (lettera E del comma 1 dell'articolo 59/546) causa specifica
di remissione la fattispecie per cui la sentenza da parte dei giudice
di primo grado non sia stata firmata,  equiparandola  sostanzialmente
ad una causa di' nullita' della  stessa  contrariamente  al  disposto
dell'articolo 161 c.p.c. citato che esclude dal novero della nullita'
la mancanza della firma del giudice  della  sentenza.  (Articolo  161
comma 2 c.p.c.). Dal punto di vista processuale la equiparazione  del
comma 2 dell'articolo 59 del  decreto  legislativo  546/1992,  (norma
speciale) all'articolo 162 c.p.c. consentono al giudice di appello la
rinnovazione degli atti travolti dalla nullita' dei processo di primo
grado. Nel caso di specie, quindi, affinche' il  giudice  di  appello
possa conoscere la questione  nel  merito,  e'  necessario  che  egli
dichiari  la  nullita'  della  sentenza  di  primo  grado   a   norma
dell'articolo  161  c.p.c.,  non  esistendo  una   norma   specifica,
derogatoria a quella del Processo civile,  nel  processo  tributario.
La sentenza di  primo  grado  impugnata,  oggetto  di  decisione,  ha
dichiarato   l'inammissibilita'   del   ricorso   introduttivo    per
tardivita', interpretando in modo difforme rispetto a questo  giudice
di appello, la  normativa  relativa  alla  notificazione  degli  atti
regolamentata in materia dall'articolo 8 della legge numero  890  del
20 novembre 1982. A mente di tale disposizione e'  nel  rispetto  del
principi  stabiliti  da  codesta   Onorevole   Corte   Costituzionale
nell'anno 2004 (sentenza numero 132  del  28  aprile  2004;  sentenza
numero 107 del 24 marzo 2004; sentenza numero 97 del 12  marzo  2004;
sentenza numero 28 del 23 gennaio 2004) precedute (ex multis sentenza
numero 346 del 23 settembre 1998) questa  commissione  e'  tenuta  ad
interpretare la disposizione contenuta nei comma  3  dell'articolo  8
della legge 890/1982 citata, nel senso  voluto  da  questa  Onorevole
Corte secondo cui si deva operare una  scissione  per  individuare  i
termini e gli effetti della notifica. Per il  notificante  i  termini
decorrono  dalla  data  di  consegna   dell'atto;   mentre   per   il
destinatario, dovendosi garantire la conoscibilita' dell'atto ai fini
della tutela giurisdizionale e della difesa, i termini decorrono solo
alla  data  di   consegna   dell'atto,   attestata   dall'avviso   di
ricevimento, con la conseguente decorrenza, da quella stessa data, di
qualsiasi termine imposto ai destinatario.  Nei  rispetto  di  questo
principio la sentenza di primo grado che ha dichiarato  inammissibile
il ricorso per tardivita' (articolo 21 decreto legislativo  546/1992)
senza la trattazione del merito, deve essere annullata, ma  non  puo'
considerarsi  giuridicamente  affetta  da  nullita'   (articolo   161
c.p.c.). L'atto di appello, quindi,  non  poteva  che  riguardare  il
contenuto della sentenza impugnata la quale, non avendo  trattato  il
merito, per aver accolto l'eccezione preliminare di  inammissibilita'
del ricorso, non ha consentito al ricorrente una difesa in  relazione
al merito della causa.  Pertanto  sia  il  «petitum»  che  la  «causa
petendi» non sono state decise dal giudice  di  primo  grado  perche'
assorbite  dalla  eccezione  preliminare  di'  inammissibilita'   del
ricorso stesso, ne' possono essere decise dal giudice di  appello  in
quanto non hanno formato oggetto di  impugnazione  nei  rispetto  del
principio della domanda (articoli 112 e seguenti c.p.c.). Quindi  non
essendo la causa di inammissibilita' del  ricorso,  prevista  fra  le
cause di remissione al giudice di primo grado  (articolo  59  decreto
legislativo 546/1992), al pari, invece dell'estinzione  del  processo
in sede di reclamo  contro  il  provvedimento  presidenziale,  questo
giudice dubita della legittimita' costituzionale dell'articolo 59 del
decreto legislativo 31 dicembre 1992 numero 546 nella  parte  in  cui
non consente la remissione  al  giudice  di  primo  grado  una  causa
dichiarata inammissibile in prime  cure  e,  viceversa,  riconosciuta
ammissibile dal giudice di appello il quale, tuttavia, non ha  poteri
istruttori per poter istruire la causa affinche' possa esserne deciso
il  merito.  Il  quadro  normativo  sopra  descritto  riguardante  la
materia, provoca al processo di appello  una  situazione  di  stallo,
mettendo il giudice nella condizione di non poter rimettere la  causa
in primo grado, ne' di avere possibilita' di decidere il  merito  per
assenza del petitum constatata l'impossibilita' di poter utilizzare i
poteri suppletivi istruttori  previsti  solo  in  caso  di  nullita'.
(Articolo 59 decreto legislativo 546/1992; articolo 161 c.p.c.). 
    3) La rilevanza della questione 
    La problematica sollevata in ordine alla corretta interpretazione
del dettato normativo dell'articolo 59 D. LGS 546/1992 sia in  ordine
al comma 1  per  quanto  concerne  l'individuazione  degli  specifici
elementi processuali che consentono la remissione al giudice di primo
grado, sia in ordine al comma 2 che impone di decidere nel merito  la
causa  rinnovando  gli  atti  nulli  compiuti  in  primo  grado   non
consentono  al  giudice  di  appello,  chiamato  a  decidere  su  una
impugnazione  contro  una  sentenza  di  primo  grado  che   dichiara
l'inammissibilita' del ricorso, di adottare una decisione nel merito,
non essendo stato questo l'oggetto del  giudizio  della  sentenza  di
primo grado e, quindi, non essendo stato l'oggetto  dell'impugnazione
della  stessa  attraverso  il  gravame  di  appello,  unico   rimedio
giurisdizionale consentito e possibile in questa fase processuale. Si
crea pertanto un vuoto  processuale  che  non  consente  il  corretto
svolgimento giurisdizionale dei processo oggetto di' impugnazione. 
    4) La non manifesta Infondatezza 
    L'eccezione di costituzionalita' che questa commissione  pone  al
vaglio della Corte riguarda  la  formulazione  dell'articolo  59  del
decreto legislativo 546/1992 in relazione ai casi di rimessione della
causa alla  commissione  tributaria  provinciale  che  ha  emesso  la
sentenza impugnata da parte del giudice della commissione  tributaria
regionale. Questa norma seppure in sintonia con gli  articoli  353  e
354 c.p.c. detta una specifica disposizione  In  materia  per  quanto
riguarda il processo tributario. A mente  di  quanto  disposto  dalla
legge delega numero  413/1991  (articolo  30)  e  come  correttamente
recepito dal legislatore delegato nell'articolo 1 comma 2 del decreto
legislativo 546/92  "i  giudici  tributari  applicano  le  norme  del
presente decreto e, per quanto  da  esse  non  disposto  e  con  esse
compatibili, le norme  dei  codice  di  procedura  civile";  Da  cio'
consegue che per quanto riguarda i casi di rimessione al  giudice  di
primo grado, nel  processo  tributario,  si  debba  fare  riferimento
all'articolo 59 sopra richiamato. In relazione al  fatto  processuale
che ha generato il dubbio di costituzionalita' dell'articolo  59  del
d.lgs.  546/92,  questa  commissione  pur  lamentando  la  violazione
dell'articolo 24 della Costituzione non intende  sollevare  eccezione
di violazione del diritto di difesa in relazione al mancato  rispetto
del doppio grado di giurisdizione in quanto e'  ben  consapevole  che
non esiste garanzia costituzionale del doppio grado di  giurisdizione
di merito; ne' in  ordine  al  principio  dell'uguaglianza  stabilito
dall'articolo tre della Costituzione in quanto l'osservanza  di  tale
precetto non impedisce al Legislatore di dettare  norme  diverse  per
regolare situazioni ritenute  differenti  in  quanto  il  diritto  di
difesa risulta realizzato con la  previsione  del  potere-dovere  del
giudice  d'appello  di  decidere  la   causa   nel   merito,   previa
rinnovazione nel contraddittorio di tutte le parti degli atti  nulli.
Tale previsione contenuta nel comma  2  del  decreto  legislativo  n.
546/1992 non appare idoneo,  sotto  ii  profilo  processuale  per  il
raggiungimento del pieno diritto di difesa  voluto  dall'articolo  24
della  Costituzione.  Dal  punto   di   vista   tecnico   processuale
l'impugnazione  mediante   appello   nel   processo   tributario   e'
disciplinata dall'articolo 53 del d.lgs. n. 546/92  che  non  dispone
diversamente, ne' si pone In contrasto con l'articolo 112 del  c.p.c.
per il limite necessario del giudice di circoscrivere il suo giudizio
dispositivo (pronunciato) entro il limite della  domanda  di  appello
(chiesto). L'impugnazione proposta al giudice di appello  doveva,  In
base all'articolo 339 C.p.c. riguardare esclusivamente  il  contenuto
della sentenza di primo  grado,  la  quale,  tuttavia,  ignorando  il
merito, ha dichiarato inammissibile il ricorso per un presunto  vizio
preliminare, che nel  giudizio  di  appello  e'  stato  ritenuto  non
meritevole  di   conferma.   Ne'   d'altra   parte   era   consentito
all'appellante di sviluppare  nei  motivi  di  appello  ("petitum"  e
"causa petendi) argomentazioni diverse  da  quelle  che  riguardavano
l'ammissibilita' o meno del ricorso introduttivo perche' diversamente
avrebbe proposto un atto di appello  inammissibile  questa  volta  in
violazione dell'articolo 53  d.lgs.  n.  546/1992  e  339  c.p.c.  Ne
d'altra parte e' ravvisabile un giudicato  interno  per  acquiescenza
sul merito, ai sensi dell'articolo 329 c.p.c., in quanto  il  giudice
di primo  grado  non  ne  ha  fatto  oggetto  di  giudicato,  benche'
richiesto col ricorso di primo  grado.  Nel  processo  tributario  il
dubbio di costituzionalita' sollevato in  relazione  all'articolo  59
d.lgs. n. 546/92 deve essere posto in relazione all'articolo 7  dello
stesso decreto legislativo del processo tributario (546/92)  dopo  la
soppressione del comma 3 (disposta dall'articolo 3-bis  comma  5  del
decreto-legge  30  settembre   2005   numero   203   convertito   con
modificazioni con la  legge  2  dicembre  2005  numero  248)  che  ha
sensibilmente ridotto,  circoscrivendoli,  i  poteri  istruttori  del
giudice tributario, compreso il  giudice  di  appello,  consentendone
l'esercizio esclusivamente nei limiti dei fatti dedotti  dalle  parti
nella causa e vietando, quindi, qualsiasi  altro  potere  istruttorio
che   servisse   ad   integrare,   con    un'istruzione    successiva
all'introduzione  degli  atti  processuali  il  processo  stesso.  In
realta'  il  dubbio  di  costituzionalita'  che  affligge   l'attuale
formulazione dell'articolo 59 d.lgs. n. 546/92, e' stato  individuato
da questo collegio nella impossibilita' della commissione  tributaria
regionale, quale giudice di  appello,  di  conoscere  nel  merito  la
vicenda processuale, che d'altra parte non e' stata,  ma  non  poteva
esserlo, sviluppata dalle parti nel  processo.  A  tal  proposito  la
norma surrettizia proposta dal comma 2  dell'articolo  59  d.lgs.  n.
546/92, che  impone  al  giudice  tributario  regionale  di  decidere
ordinando, ove occorra, la rinnovazione di  atti  nulli  compiuti  in
primo grado, non appare, nel caso di specie, idonea  a  garantire  il
pieno diritto di difesa tutelato dall'articolo 24 della  Costituzione
poiche' nel caso di specie  non  vi  sono  atti  nulli  da  rinnovare
compiuti in primo grado. Per queste ragioni il processo tributario di
appello come regolato dall'articolo 59  d.lgs.  546/92  evidenzia  un
insanabile «vulnus»  processuale  connesso  all'esercizio  del  pieno
diritto di difesa allorquando il giudice di primo grado, erroneamente
giudicando,  abbia  dichiarato  inammissibile  il  ricorso  per   una
questione pregiudiziale o preliminare senza trattare  nella  medesima
sentenza di primo  grado  il  merito.  Ne  consegue  che  la  mancata
previsione legislativa della rimessione della  causa  al  giudice  di
primo grado fra le ipotesi tassativamente contemplate  dalle  lettere
A-B-C-D-E del comma 1 dell'articolo 59 d.lgs.  546/92,  nel  caso  di
ricorso di primo grado dichiarato inammissibile  in  via  preliminare
senza discussione del merito, comporta un vuoto processuale  tale  da
impedire l'esame dei merito a dispregio del principio  costituzionale
del diritto di difesa garantito dall'articolo 24 della Costituzione.