LA COMMISSIONE TRIBUTARIA DI ANCONA Ha emesso la serguente ordinanza sull'appello n. 804/08 depositato il 21 luglio 2008 avverso la sentenza n. 57/2/07 emessa dalla Commissione Tributaria Provinciale di Pesaro contro: Agenzia entrate direzione provinciale Ufficio controlli Pesaro-Urbino proposto dal ricorrente: Piffer Giuseppe Via A. De Gabrielli n. 4/A 61032 Fano (Pesaro) difeso da: Lodovici Paolo Via A. De Gabrielli n. 4/A 61032 Fano (Pesaro); Atti impugnati: Avviso di accertamento n. R9N20021V00016800 Registro 2002 Avviso di accertamento n. R9N20021V00016800 I.V.A. 2001. Fatto e svolgimento del processo 1) La controversia Con atto pubblico redatto dal notaio Alessandro Cecchetelli di Fano in data 27 dicembre 2001 al repertorio numero 62.841 e sottoposto alla registrazione in data 16 gennaio 2002, il contribuente ricorrente oggi appellante, ha posto in essere due distinte operazioni di compravendita immobiliare; a) acquisto di terreni, per i quali aveva richiesto il riconoscimento del credito d'imposta derivante da precedente atto per acquisto "di prima abitazione" ex articolo 7, legge n. 448/1998, da portare in compensazione ai dovuto atto di registrazione; b) acquisto di un fabbricato (operazione soggetta ad Iva) per il quale aveva richiesto ed usufruito dell'agevolazione "prima casa", la quale prevedeva l'applicazione ciell'Iva agevolata al 4% anziche' del 10%. A seguito della registrazione di tale atto l'agenzia delle entrate ufficio di Fano in data 13 aprile 2006 ha notificato due distinti avvisi di liquidazione cosi' identificati: a) Raccomandata postale A. R. Numero 76028307626-8, per la notifica di un Avviso di liquidazione dell'imposta numero 001 del 23 febbraio 2006 protocollo numero 6196/06 attraverso cui si addebitano le imposte di registro, ipotecaria e catastale per il mancato riconoscimento delle agevolazioni richieste a titolo di credito d'imposta di cui all'articolo sette comma uno della legge 23 dicembre 1998 numero 448 perche' detratte dalle imposte di registro, ipotecarie e catastali dovute a seguito della registrazione dell'atto di compravendita; b) Raccomandata postale A. R. Numero 7602830727-9, per la notifica di un avviso di liquidazione dell'imposta numero 001 del 23 febbraio 2006 protocollo numero 6194/06 con cui si addebita la maggiore imposta Iva a titolo di recupero per il disconoscimento dell'aliquota agevolata del 4% anziche' quella ordinaria del 10% per il mancato avveramento, nei termini prescritti, della condizione prevista alla lettera a) dei comma 1 della nota 2-bis dell'articolo 1 della tariffa" parte prima" allegata al d.P.R. 26 aprile 1986 numero 131, cosi' come richiamata dal successivo quarto comma della citata tariffa. I predetti avvisi di liquidazione notificati ai sensi della legge 890 del 20 novembre 1982, articolo 8, venivano opposti dal contribuente, munito di difensore tecnico abilitato ai sensi dell'articolo 12 del decreto legislativo 546/92, con separati ricorsi dinanzi alla commissione tributaria provinciale di Pesaro la quale dopo averne disposto la riunione per la connessione soggettiva ed oggettiva, ai sensi dell'articolo 29 del decreto legislativo 546/1992, li dichiarava inammissibili per violazione del primo comma dell'articolo 21 del decreto legislativo numero n. 546/1992, perche' proposti oltre il termine di 60 giorni ivi previsto. Il giudice di prime cure riteneva di non adottare alcuna decisione sulle spese del giudizio di primo grado che, di conseguenza, rimanevano a carico di ciascuna delle parti cosi come anticipate. Il giudizio di inammissibilita' dei ricorsi impediva al giudice di primo grado l'introduzione al merito che per tale effetto non poteva essere ammesso in discussione e, quindi esaminato nel processo di primo grado. In via preliminare la commissione tributaria provinciale ha ritenuto doversi dichiarare tardivo il ricorso di primo grado, presentato oltre i 60 giorni previsti dalla legge, in considerazione che la comunicazione di avvenuto deposito della raccomandata attraverso cui sono stati notificati di avvisi di liquidazione e' stata inviata con lettera raccomandata del 6 marzo 2006 mentre il ricorso e' stato proposto in data 12 giugno 2006 e, quindi, secondo il giudice di primo grado, oltre il termine di 60 giorni previsto dall'articolo 21 d.lgs n. 546/92. Avverso tale sentenza (n. 57/2/07 del 17.05.2007) con unico motivo e unico atto di appello ricorre soltanto il contribuente dinanzi la commissione tributaria regionale di Ancona per il tramite del difensore tecnico abilitato al sensi dell'articolo 12 d.lgs. 546/1992, contestando la falsa ed errata interpretazione e applicazione della legge numero 890 del 20 novembre 1982 inerente la notificazione degli atti a mezzo posta; l'agenzia delle entrate ufficio di Fano resistente si e' costituita in giudizio ed ha presentato controdeduzioni (articoli 54 e 23 d.lgs. 546/1992). In particolare l'appellante sostiene doversi applicare il principio generale della scissione soggettiva del momento di perfezionamento della notificazione, in capo ai soggetto destinatario degli atti impositivi, in relazione ai suo diritto alla tutela giurisdizionale e alla difesa. L'appellante fonda la sua tesi difensiva sulla scorta degli interventi succedutisi nel tempo, da parte della Corte Costituzionale attraverso le sentenze: numero 346 del 23 settembre 1998; numero 132 del 28 aprile 2004; numero 107 del 24 marzo 2004; numero 97 del 12 marzo 2004 e numero 28 del 23 gennaio 2004 in cui e' stata, tra l'altro, dichiarata illegittimita' costituzionale: a) Del comma 2 dell'articolo 8 della legge numero 890/1982 nella parte in cui non prevede che in caso di rifiuto di ricevere il Plico o di firmare il registro di consegna da parte delle persone abilitate alla ricezione ovvero in caso di mancato recapito per temporanea assenza del destinatario o per mancanza, inidoneita' o assenza delle persone sopra menzionate, del compimento delle formalita' descritte e del deposito dell'impiego sia data notizia al destinatario medesimo con raccomandata con avviso di ricevimento; b) Del comma 3 dell'articolo 8 della legge numero 890/1982 nella parte in cui prevede che il piego sia restituito ai mittente in caso di ritiro da parte del destinatario, dopo 10 giorni dal deposito presso l'ufficio postale; Attraverso le suddette sentenze, la Corte costituzionale ribadendo il principio fondamentale della sufficienza per il notificante delle sole formalita' che non sfuggono alla sua disponibilita', ha statuito il generale principio della scissione soggettiva del momento del perfezionamento della notificazione. Il nuovo principio prevede una, scissione tra i due momenti perfezionativi del procedimento notificatorio, uno per il notificante e l'altro per il notificatario. La tutela dell'uguaglianza, del diritto alla difesa e la tutela giurisdizionale hanno imposto al giudice delle leggi di fissare il principio della autoresponsabilita' e dell'inaddebitabilita' al soggetto incolpevole degli eventi dannosi, quali la decadenza di poteri e diritti imputabili ad altri soggetti (agente incaricato della notificazione). Tali parametri rapportati alla sequenza dei momenti relativi alla notificazione tramite il servizio postale fissano due principi, rectius "momenti", distinti e fondamentali: in capo al notificante il termine certo di consegna dell'atto all'agente incaricato della notificazione; in capo al notificatario il termine certo di ricezione dell'atto da parte dell'agente incaricato della notificazione. Questa commissione preso atto dei criteri fissati dalla Corte Costituzionale e rilevato che gli avvisi di liquidazione impugnati sono stati spediti tramite raccomandata A. R. da parte dell'agenzia delle entrate ufficio di Fano in data 6 marzo 2006 e ricevuti dal ricorrente in data 13 aprile 2006; appurato che i relativi ricorsi sono stati proposti in data 12 giugno 2006, ritiene di dover annullare la sentenza di primo grado in ordine alla inammissibilita' dei ricorsi per tardivita' (articolo 21 d.lgs. n. 546/92) perche' tempestivamente prodotti entro 60 giorni dalla ricezione (notificazione) dell'atto impugnato. Nella udienza del 29.09.2010 la commissione tributaria Regionale di Ancona si e' riservata la decisione. 2) Oggetto dello scrutinio di costituzionalita' e fonti normative Il decreto legislativo 31 dicembre 1992 numero 546 istitutivo della riforma del processo tributario rappresenta l'epilogo legislativo dell'articolo 30 della legge 30 dicembre 1991 numero 413 attraverso cui il legislatore ha inteso dettare le linee fondamentali del processo tributario, avvicinandolo sotto il profilo della procedura ai rito civile ordinario. La lettera G del comma 1 dell'articolo 30 della legge 413/1991 nel dettare i criteri direttivi al legislatore delegato alla riforma del processo tributario ha imposto: "adeguamento delle norme del processo tributario a quelle del processo civile". Il legislatore delegato emanando le disposizioni generali del nuovo processo tributario al comma 2 dell'articolo 1 cosi dispone: "i giudici tributari applicano le norme del presente decreto e, per quanto da esse non disposto e con esse compatibili, le norme del codice di procedura civile.". Ne consegue quindi che le norme del codice di procedura civile, comprese quelle di attuazione dello stesso, si pongono rispetto a quelle del processo tributario quale fonte secondaria di garanzia subordinata a due precise condizioni indicate dalla legge: A) nessuna norma speciale inserita nel decreto legislativo numero 546/1992 disciplina la fattispecie processuale; B) la norma del codice di procedura civile, astrattamente applicabile, risulti/compatibile con le norme speciali dei processo tributario evitando che, l'applicazione analogica, determini contrasto all'interno delle disposizioni processuali tributarie o crei una disarmonia nel sistema del processo tributario. Per quanto riguarda la remissione della causa al giudice di primo grado il legislatore della riforma del processo tributario, sebbene non obbligato in maniera specifica, a disciplinare sul punto dalla legge di delega (articolo 30 legge n. 413/1991) ha ritenuto di intervenire attraverso l'emanazione dell'articolo 59 del decreto legislativo 546/1992. Questa disposizione impone in modo tassativo la remissione della causa al giudice di primo grado in presenza di cinque specifiche fattispecie processualmente individuate ed elencate dalle lettere comprese fra la A e la E del comma 1 dell'articolo 59/546. Il comma 2 del predetto articolo, impone al giudice tributario l'obbligo di decidere ogni qualvolta debba giudicare una causa nella quale non siano ravvisabili motivi di rinvio indicati al comma 1 di cui sopra. li legislatore dei processo tributario consapevole della impossibilita' di un'elencazione tassativa di tutte le fattispecie processuali possibili, ha introdotto un potere istruttorio, al giudice di appello consentendogli di ordinare la rinnovazione di atti nulli compiuti in primo grado. (Comma 2 articolo 59/546). Per completezza espositiva e' opportuno segnalare come il legislatore del processo tributario, derogando dal principio generale espresso dall'articolo 161 del codice di procedura civile, ha ritenuto (lettera E del comma 1 dell'articolo 59/546) causa specifica di remissione la fattispecie per cui la sentenza da parte dei giudice di primo grado non sia stata firmata, equiparandola sostanzialmente ad una causa di' nullita' della stessa contrariamente al disposto dell'articolo 161 c.p.c. citato che esclude dal novero della nullita' la mancanza della firma del giudice della sentenza. (Articolo 161 comma 2 c.p.c.). Dal punto di vista processuale la equiparazione del comma 2 dell'articolo 59 del decreto legislativo 546/1992, (norma speciale) all'articolo 162 c.p.c. consentono al giudice di appello la rinnovazione degli atti travolti dalla nullita' dei processo di primo grado. Nel caso di specie, quindi, affinche' il giudice di appello possa conoscere la questione nel merito, e' necessario che egli dichiari la nullita' della sentenza di primo grado a norma dell'articolo 161 c.p.c., non esistendo una norma specifica, derogatoria a quella del Processo civile, nel processo tributario. La sentenza di primo grado impugnata, oggetto di decisione, ha dichiarato l'inammissibilita' del ricorso introduttivo per tardivita', interpretando in modo difforme rispetto a questo giudice di appello, la normativa relativa alla notificazione degli atti regolamentata in materia dall'articolo 8 della legge numero 890 del 20 novembre 1982. A mente di tale disposizione e' nel rispetto del principi stabiliti da codesta Onorevole Corte Costituzionale nell'anno 2004 (sentenza numero 132 del 28 aprile 2004; sentenza numero 107 del 24 marzo 2004; sentenza numero 97 del 12 marzo 2004; sentenza numero 28 del 23 gennaio 2004) precedute (ex multis sentenza numero 346 del 23 settembre 1998) questa commissione e' tenuta ad interpretare la disposizione contenuta nei comma 3 dell'articolo 8 della legge 890/1982 citata, nel senso voluto da questa Onorevole Corte secondo cui si deva operare una scissione per individuare i termini e gli effetti della notifica. Per il notificante i termini decorrono dalla data di consegna dell'atto; mentre per il destinatario, dovendosi garantire la conoscibilita' dell'atto ai fini della tutela giurisdizionale e della difesa, i termini decorrono solo alla data di consegna dell'atto, attestata dall'avviso di ricevimento, con la conseguente decorrenza, da quella stessa data, di qualsiasi termine imposto ai destinatario. Nei rispetto di questo principio la sentenza di primo grado che ha dichiarato inammissibile il ricorso per tardivita' (articolo 21 decreto legislativo 546/1992) senza la trattazione del merito, deve essere annullata, ma non puo' considerarsi giuridicamente affetta da nullita' (articolo 161 c.p.c.). L'atto di appello, quindi, non poteva che riguardare il contenuto della sentenza impugnata la quale, non avendo trattato il merito, per aver accolto l'eccezione preliminare di inammissibilita' del ricorso, non ha consentito al ricorrente una difesa in relazione al merito della causa. Pertanto sia il «petitum» che la «causa petendi» non sono state decise dal giudice di primo grado perche' assorbite dalla eccezione preliminare di' inammissibilita' del ricorso stesso, ne' possono essere decise dal giudice di appello in quanto non hanno formato oggetto di impugnazione nei rispetto del principio della domanda (articoli 112 e seguenti c.p.c.). Quindi non essendo la causa di inammissibilita' del ricorso, prevista fra le cause di remissione al giudice di primo grado (articolo 59 decreto legislativo 546/1992), al pari, invece dell'estinzione del processo in sede di reclamo contro il provvedimento presidenziale, questo giudice dubita della legittimita' costituzionale dell'articolo 59 del decreto legislativo 31 dicembre 1992 numero 546 nella parte in cui non consente la remissione al giudice di primo grado una causa dichiarata inammissibile in prime cure e, viceversa, riconosciuta ammissibile dal giudice di appello il quale, tuttavia, non ha poteri istruttori per poter istruire la causa affinche' possa esserne deciso il merito. Il quadro normativo sopra descritto riguardante la materia, provoca al processo di appello una situazione di stallo, mettendo il giudice nella condizione di non poter rimettere la causa in primo grado, ne' di avere possibilita' di decidere il merito per assenza del petitum constatata l'impossibilita' di poter utilizzare i poteri suppletivi istruttori previsti solo in caso di nullita'. (Articolo 59 decreto legislativo 546/1992; articolo 161 c.p.c.). 3) La rilevanza della questione La problematica sollevata in ordine alla corretta interpretazione del dettato normativo dell'articolo 59 D. LGS 546/1992 sia in ordine al comma 1 per quanto concerne l'individuazione degli specifici elementi processuali che consentono la remissione al giudice di primo grado, sia in ordine al comma 2 che impone di decidere nel merito la causa rinnovando gli atti nulli compiuti in primo grado non consentono al giudice di appello, chiamato a decidere su una impugnazione contro una sentenza di primo grado che dichiara l'inammissibilita' del ricorso, di adottare una decisione nel merito, non essendo stato questo l'oggetto del giudizio della sentenza di primo grado e, quindi, non essendo stato l'oggetto dell'impugnazione della stessa attraverso il gravame di appello, unico rimedio giurisdizionale consentito e possibile in questa fase processuale. Si crea pertanto un vuoto processuale che non consente il corretto svolgimento giurisdizionale dei processo oggetto di' impugnazione. 4) La non manifesta Infondatezza L'eccezione di costituzionalita' che questa commissione pone al vaglio della Corte riguarda la formulazione dell'articolo 59 del decreto legislativo 546/1992 in relazione ai casi di rimessione della causa alla commissione tributaria provinciale che ha emesso la sentenza impugnata da parte del giudice della commissione tributaria regionale. Questa norma seppure in sintonia con gli articoli 353 e 354 c.p.c. detta una specifica disposizione In materia per quanto riguarda il processo tributario. A mente di quanto disposto dalla legge delega numero 413/1991 (articolo 30) e come correttamente recepito dal legislatore delegato nell'articolo 1 comma 2 del decreto legislativo 546/92 "i giudici tributari applicano le norme del presente decreto e, per quanto da esse non disposto e con esse compatibili, le norme dei codice di procedura civile"; Da cio' consegue che per quanto riguarda i casi di rimessione al giudice di primo grado, nel processo tributario, si debba fare riferimento all'articolo 59 sopra richiamato. In relazione al fatto processuale che ha generato il dubbio di costituzionalita' dell'articolo 59 del d.lgs. 546/92, questa commissione pur lamentando la violazione dell'articolo 24 della Costituzione non intende sollevare eccezione di violazione del diritto di difesa in relazione al mancato rispetto del doppio grado di giurisdizione in quanto e' ben consapevole che non esiste garanzia costituzionale del doppio grado di giurisdizione di merito; ne' in ordine al principio dell'uguaglianza stabilito dall'articolo tre della Costituzione in quanto l'osservanza di tale precetto non impedisce al Legislatore di dettare norme diverse per regolare situazioni ritenute differenti in quanto il diritto di difesa risulta realizzato con la previsione del potere-dovere del giudice d'appello di decidere la causa nel merito, previa rinnovazione nel contraddittorio di tutte le parti degli atti nulli. Tale previsione contenuta nel comma 2 del decreto legislativo n. 546/1992 non appare idoneo, sotto ii profilo processuale per il raggiungimento del pieno diritto di difesa voluto dall'articolo 24 della Costituzione. Dal punto di vista tecnico processuale l'impugnazione mediante appello nel processo tributario e' disciplinata dall'articolo 53 del d.lgs. n. 546/92 che non dispone diversamente, ne' si pone In contrasto con l'articolo 112 del c.p.c. per il limite necessario del giudice di circoscrivere il suo giudizio dispositivo (pronunciato) entro il limite della domanda di appello (chiesto). L'impugnazione proposta al giudice di appello doveva, In base all'articolo 339 C.p.c. riguardare esclusivamente il contenuto della sentenza di primo grado, la quale, tuttavia, ignorando il merito, ha dichiarato inammissibile il ricorso per un presunto vizio preliminare, che nel giudizio di appello e' stato ritenuto non meritevole di conferma. Ne' d'altra parte era consentito all'appellante di sviluppare nei motivi di appello ("petitum" e "causa petendi) argomentazioni diverse da quelle che riguardavano l'ammissibilita' o meno del ricorso introduttivo perche' diversamente avrebbe proposto un atto di appello inammissibile questa volta in violazione dell'articolo 53 d.lgs. n. 546/1992 e 339 c.p.c. Ne d'altra parte e' ravvisabile un giudicato interno per acquiescenza sul merito, ai sensi dell'articolo 329 c.p.c., in quanto il giudice di primo grado non ne ha fatto oggetto di giudicato, benche' richiesto col ricorso di primo grado. Nel processo tributario il dubbio di costituzionalita' sollevato in relazione all'articolo 59 d.lgs. n. 546/92 deve essere posto in relazione all'articolo 7 dello stesso decreto legislativo del processo tributario (546/92) dopo la soppressione del comma 3 (disposta dall'articolo 3-bis comma 5 del decreto-legge 30 settembre 2005 numero 203 convertito con modificazioni con la legge 2 dicembre 2005 numero 248) che ha sensibilmente ridotto, circoscrivendoli, i poteri istruttori del giudice tributario, compreso il giudice di appello, consentendone l'esercizio esclusivamente nei limiti dei fatti dedotti dalle parti nella causa e vietando, quindi, qualsiasi altro potere istruttorio che servisse ad integrare, con un'istruzione successiva all'introduzione degli atti processuali il processo stesso. In realta' il dubbio di costituzionalita' che affligge l'attuale formulazione dell'articolo 59 d.lgs. n. 546/92, e' stato individuato da questo collegio nella impossibilita' della commissione tributaria regionale, quale giudice di appello, di conoscere nel merito la vicenda processuale, che d'altra parte non e' stata, ma non poteva esserlo, sviluppata dalle parti nel processo. A tal proposito la norma surrettizia proposta dal comma 2 dell'articolo 59 d.lgs. n. 546/92, che impone al giudice tributario regionale di decidere ordinando, ove occorra, la rinnovazione di atti nulli compiuti in primo grado, non appare, nel caso di specie, idonea a garantire il pieno diritto di difesa tutelato dall'articolo 24 della Costituzione poiche' nel caso di specie non vi sono atti nulli da rinnovare compiuti in primo grado. Per queste ragioni il processo tributario di appello come regolato dall'articolo 59 d.lgs. 546/92 evidenzia un insanabile «vulnus» processuale connesso all'esercizio del pieno diritto di difesa allorquando il giudice di primo grado, erroneamente giudicando, abbia dichiarato inammissibile il ricorso per una questione pregiudiziale o preliminare senza trattare nella medesima sentenza di primo grado il merito. Ne consegue che la mancata previsione legislativa della rimessione della causa al giudice di primo grado fra le ipotesi tassativamente contemplate dalle lettere A-B-C-D-E del comma 1 dell'articolo 59 d.lgs. 546/92, nel caso di ricorso di primo grado dichiarato inammissibile in via preliminare senza discussione del merito, comporta un vuoto processuale tale da impedire l'esame dei merito a dispregio del principio costituzionale del diritto di difesa garantito dall'articolo 24 della Costituzione.