IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la presente sentenza non definitiva sul ricorso numero di registro generale 622 del 2012, integrato da motivi aggiunti, proposto da: Soc. Cogetech Spa e Soc. Cogetech Gaming Srl, in persona dei rispettivi rappresentanti legali pro tempore, rappresentati e difesi dagli avvocati Filippo Lattanzi, Matilde Tariciotti e Andrea Meneghello, con domicilio eletto presso studio legale Lattanzi in Roma, via G.P. Da Palestrina n. 47; Contro: Ministero dell'economia e delle finanze - Amministrazione autonoma monopoli di Stato, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, presso la cui sede domicilia ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12; Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e A.S.S.I., n.c.; Per l'annullamento: delle note dell'A.A.M.S. tutte datate 23 dicembre 2011, prot. 2011/51060/Giochi/SCO conc. 265, 182, 185, 234, 237, 255, 325, 331, 332, 333, 334, 385, 428, 455, 1288, 1353, 1553, 1577, 1582, 1592, 1597, 1662, con le quali e' stato richiesto il pagamento dell'integrazione dovuta fino al raggiungimento del minimo annuo garantito di cui al decreto interdirigenziale 10 ottobre 2003; delle note prot. n. 2012/27169/Giochi/SCO, tutte datate 15 giugno 2012 (motivi aggiunti) aventi il medesimo tenore, con cui l'A.A.M.S. ha richiesto, ai sensi dell'art. 4 delle concessioni stipulate, di provvedere al pagamento, entro il 30 giugno 2012, dell'integrazione del minimo garantito annuo per gli anni 2006-2011; di ogni atto presupposto, connesso e conseguente, tra cui anche la nota prot. n. 2012/28742/Giochi/Sco del 26 giugno 2012, con la quale A.A.M.S. pubblica le tabelle delle variazioni regionali relative al solo 2011; nonche' per la condanna del risarcimento del danno, anche ai sensi dell'art. 2-bis della legge n. 241/1990; Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'economia e delle finanze - Amministrazione autonoma monopoli di Stato; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Relatore alla pubblica udienza del giorno 5 dicembre 2012 il Cons. Silvia Martino; Uditi gli avvocati di cui al verbale; Visto l'art. 36, comma 2, c.p.a.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue; Fatto 1. Le societa' ricorrenti, titolari di concessioni c.d. «storiche» per la raccolta di scommesse ippiche (meglio indicate in epigrafe), in punto di fatto riferiscono quanto segue: A) nell'anno 2006 il mercato del gioco e' stato rivoluzionato, dall'apertura del canale della raccolta del gioco a distanza, sia per le scommesse su base ippica che per quelle sportive, perche' in forza del decreto-legge n. 223/2006, convertito dalla legge n. 248/2006, sono stati indetti bandi di gara (c.d. «gare Bersani») per rassegnazione di nuove concessioni, con conseguente aumento esponenziale dei concessionari della raccolta del gioco; B) la nuova disciplina ha significativamente inciso sul mercato, determinando una notevole diminuzione delle entrate per i concessionari storici, pur permanendo invariate le condizioni di cui alla convenzione di concessione dagli stessi sottoscritta; C) tale situazione ha indotto il legislatore a prevedere l'adozione delle c.d. misure di salvaguardia di cui all'art. 38, comma 4, lettera l), del decreto-legge n. 223/2006; D) la mancata adozione di tali misure di salvaguardia ha inizialmente indotto l'Amministrazione dei monopoli (di seguito A.A.M.S.) a sospendere il versamento delle somme relative all'integrazione dei minimi garantiti per gli anni dal 2006 al 2009, perche' il giudice amministrativo (T.A.R. Lazio Roma, sez. II, 9 luglio 2009, n. 6521; idem, 28 luglio 2009, n. 7641; cfr. anche le sentenze 7624/2009 e n. 865 del 2011, emesse nei confronti delle odierne ricorrenti) ha ribadito, in piu' di un'occasione che i provvedimenti di riscossione delle somme dovute a titolo di minimi garantiti non possono essere adottati prima della definizione delle misure di salvaguardia; E) sebbene il quadro normativo sia rimasto invariato, l'A.A.M.S. con le determinazioni dirigenziali impugnate con il ricorso principale, ha nuovamente ingiunto il versamento dei minimi garantiti dovuti per gli anni dal 2006 al 2010, motivando tale richiesta con la considerazione che «non e' possibile individuare, allo stato, misure di salvaguardia ulteriori rispetto a quelle gia' individuate secondo i criteri delle procedure selettive indette nel corso del 2006». Di tali provvedimenti le societa' hanno quindi chiesto l'annullamento, deducendo: la violazione dell'art. 38, comma 4, del decreto-legge n. 223/2006, convertito, con modificazioni, in legge n. 248/2006; la violazione del giudicato formatosi sulle sentenze di questa sezione nn. 7624/2009 e 865/2011; la violazione dei principi di proporzionalita' e correttezza dell'azione amministrativa; in particolare, la violazione degli articoli 1 e 2 della legge n. 241/1990 per non avere mai l'amministrazione portato a termine, pur avendolo avviato, il procedimento per l'adozione delle c.d. misure di salvaguardia; la violazione delle stesse prescrizioni del decreto interdirigenziale del 10 ottobre 2003 (che fissa le modalita' per il calcolo dei minimi garantiti), per non avere mai l'amministrazione provveduto a pubblicare (secondo quanto previsto in tale provvedimento) le tabelle annuali delle variazioni dei prelievi su base regionale relativamente alla annualita' in contestazione; l'erroneita', nel merito, degli importi richiesti. Questa sezione, con l'ordinanza n. 524/2012, resa nella camera di consiglio dell'8 febbraio 2012, ha accolto la domanda cautelare proposta, evidenziando in motivazione il permanente inadempimento dell'amministrazione in ordine all'obbligo di adottare le c.d. «misure di salvaguardia». Nelle more della definizione del giudizio, e' quindi accaduto che: A) la legge 26 aprile 2012, n. 44, ha convertito il decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16, il quale all'art. 10, comma 5, dispone che, «al fine di perseguire maggiore efficienza ed economicita' dell'azione nei settori di competenza, il Ministero dell'economia e delle finanze - Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e l'Agenzia per lo sviluppo del settore ippico - A.S.S.I., procedono alla definizione, anche in via transattiva, sentiti i competenti organi, con abbandono di ogni controversia pendente, di tutti i rapporti controversi nelle correlate materie e secondo i criteri di seguito indicati: ... b) relativamente alle quote di prelievo di cui all'art. 12 del decreto del Presidente della Repubblica 8 aprile 1998, n. 169 ed alle relative integrazioni, definizione, in via equitativa, di una riduzione non superiore al 5 per cento delle somme ancora dovute dai concessionari di cui al citato decreto del Presidente della Repubblica n. 169 del 1998 con individuazione delle modalita' di versamento delle relative somme e adeguamento delle garanzie fideiussorie. Conseguentemente, all'art. 38, comma 4, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, la lettera l) e' soppressa»; B) sulla scorta del mutato quadro normativo, l'A.A.M.S. ha notificato alle societa' ricorrenti ulteriori determinazioni (recanti tutte la data del 15 giugno 2012), con le quali ha nuovamente richiesto il versamento dei minimi garantiti dovuti, applicando la riduzione equitativa prevista dall'art. 10, comma 5, decreto-legge n. 16/2012 ed evidenziando in motivazione che tale riduzione, da un lato, deve essere intesa come attuativa dell'obbligo di individuazione delle misure di salvaguardia e, dall'altro, ha comportato l'abrogazione espressa dell'art. 38, comma 4, del decreto-legge n. 223/2006. Le ricorrenti, hanno quindi impugnato (con motivi aggiunti) tali ulteriori determinazioni, in particolare evidenziando: la mancanza del concerto con A.S.S.I. e Mipaf, pur previsto dalla sopravvenuta normativa; l'erroneita' del calcolo della base imponibile, perdurando l'inadempimento in ordine alla pubblicazione delle tabelle di variazione (di cui al D.D. del 10 ottobre 2003) e, comunque, non essendo stata in alcun modo considerata l'incidenza della nuova rete di gioco c.d. «Bersani» sul volume di raccolta realizzato dai concessionari storici, ne' delle quote di prelievo versate sulla tipologia di scommessa c.d. «ippica nazionale»; perplessita' e contraddittorieta' dell'azione amministrativa, con riferimento alle modalita' stabilite per i concessionari al fine di aderire alla rateazione ovvero alla compensazione; illegittimita' costituzionale dell'art. 10, comma 5, decreto-legge n. 16/2012, convertito in legge n. 44/2012, per contrasto con gli articoli 3, 24, 97, 102, 104 e 108 della Costituzione; irragionevolezza manifesta, nonche', ancora, con gli articoli 11, 111 e 117 della Costituzione, per violazione dell'art. 6 della Cedu; in particolare: la norma sarebbe esclusivamente finalizzata alla sottrazione dell'oggetto del sindacato giurisdizionale (rispetto al contenzioso tuttora pendente) e, comunque ad eludere le indicazioni conformative ricavabili dalle sentenze, passate in giudicato, del TAR; non terrebbe in alcun conto il profondo e radicale mutamento della situazione di mercato, si' da rafforzare la discriminazione dei vecchi concessionari rispetto ai concessionari c.d. «Bersani»; si porrebbe in contrasto con l'art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali che afferma il diritto al «giusto processo» (avente rango costituzionale per effetto del rinvio operato dall'art. 117, comma 1, Cost.); sarebbero comunque insussistenti quelle «ragioni imperative di interesse generale» che consentono di derogare a tale principio. Con ordinanza n. 3291/2012, resa nella camera di consiglio del 12 settembre 2012, e' stata respinta l'istanza cautelare, ritenuta la natura non provvedimentale dell'atto impugnato. La difesa erariale con memoria depositata in data 3 novembre 2012, ha eccepito che la disposizione dell'art. 10, comma 5, del decreto-legge n. 16/2012 non e' lesiva di interessi delle ricorrenti, ne' limitativa della tutela giurisdizionale, perche' definisce la problematica in questione, stabilendo una misura economica delle somme dovute e non versate (che, in base alla giurisprudenza del giudice amministrativo, non potevano essere richieste prima della individuazione delle c.d. misure di salvaguardia) e abrogando la disposizione fonte delle c.d. misure di salvaguardia, in linea con i principi enunciati nella sentenza della Corte di giustizia del 16 febbraio 2012 medio tempore depositata. In particolare la difesa erariale richiama il punto 57 della predetta sentenza della Corte di giustizia, ove si afferma che il principio di parita' di trattamento impone che «tutti i potenziali offerenti dispongano di uguali opportunita', ed implica dunque che costoro siano assoggettati alle medesime condizioni. Cio' vale a maggior ragione in una situazione quale quella in esame nei procedimenti principali, in cui una violazione del diritto dell'Unione da parte dell'autorita' aggiudicatrice interessata ha gia' avuto come conseguenza una disparita' di trattamento in danno di alcuni operatori», ed il punto 59 della medesima sentenza, ove si afferma che il principio di parita' di trattamento impone che «ragioni di natura economica - come l'obiettivo di garantire agli operatori aggiudicatari di concessioni dopo la gara del 1999 la continuita', la stabilita' finanziaria o una giusta remunerazione degli investimenti realizzati - non possono essere riconosciute quali motivi imperativi di interesse generale idonei a giustificare una restrizione di una liberta' fondamentale garantita dal trattato (sentenza Commissione/Italia, cit., punto 35 e la giurisprudenza ivi citata, nonche' sentenza dell'11 marzo 2010, Attanasio Group, C-384/08, Racc. pag. I-2055, punti 53-56)». Le ricorrenti hanno depositato una memoria di replica. Il ricorso, e i motivi aggiunti, sono stati trattenuti in decisione alla pubblica udienza del 5 dicembre 2012. Diritto 1. In via preliminare, il collegio ritiene che il ricorso principale, debba essere dichiarato improcedibile, per sopravvenuta carenza di interesse, alla luce delle seguenti considerazioni: A) la presente controversia rientra tra le «controversie pendenti» alle quali si riferisce la disposizione dell'art. 10, comma 5, del decreto-legge n. 16/2012; B) a prescindere da ogni considerazione in merito alla legittimita' costituzionale di tale disposizione, si deve ritenere che la stessa abbia imposto alle amministrazioni interessate un vero e proprio obbligo di procedere alla definizione, anche in via transattiva, delle controversie relative all'integrazione dei c.d. minimi garantiti, attraverso la «definizione, in via equitativa, di una riduzione non superiore al 5 per cento delle somme ancora dovute dai concessionari ... con individuazione delle modalita' di versamento delle relative somme e adeguamento delle garanzie fideiussorie»; C) stante quanto precede, si deve ritenere altresi' che l'insorgenza di tale obbligo abbia determinato l'inefficacia delle precedenti richieste di pagamento delle somme dovute a titolo di integrazione dei minimi garantiti, perche' la riduzione non superiore al 5 per cento delle somme ancora dovute dai concessionari storici e' evidentemente prevista in connessione con l'abrogazione espressa della disposizione dell'art. 38, comma 4, la lettera l), del decreto-legge n. 223/2006, che prevedeva l'obbligo di individuare misure di salvaguardia per i predetti concessionari, ma che non ha mai avuto attuazione da parte delle amministrazione interessate (come si evince dal verbale della Conferenza di servizi del 30 novembre 2011). 2. Relativamente ai motivi aggiunti, aventi ad oggetto le determinazioni dirigenziali in data 15 giugno 2012 con la quale l'A.A.M.S. ha richiesto alle ricorrenti il pagamento delle somme dovute a titolo di integrazione dei minimi annui garantiti ricalcolate con una riduzione del 5% ai sensi della predetta disposizione dell'art. 10, comma 5, del decreto-legge n. 16/2012, il collegio osserva, in primo luogo, che i provvedimenti impugnati, diversamente da quanto opinato in sede cautelare, non costituiscono una mera proposta transattiva, bensi' sono chiaramente preordinati e finalizzati, in sostituzione di quelli in precedenza adottati e sospesi dalla sezione, al recupero delle somme ancora dovute dai concessionari. Posta tale premessa, e' necessario altresi' evidenziare che la riduzione equitativa prevista dell'art. 10, comma 5, del decreto-legge n. 16/2012, da un lato, deve essere intesa come attuativa dell'obbligo di individuazione delle misure di salvaguardia e, dall'altro, ha comportato l'abrogazione espressa dell'art. 38, comma 4, la lettera l), del decreto-legge n. 223/2006. In altri termini, il collegio condivide la tesi (su cui si fondano le nuova richieste di pagamento formulata dall'A.A.M.S.), secondo la quale - a fronte della mancata definizione in via amministrativa delle misure di salvaguardia previste dall'art. 38, comma 4, la lettera l), del decreto-legge n. 223/2006 e delle numerose controversie insorte a seguito delle richieste di pagamento dei minimi garantiti formulate dall'A.A.M.S. all'inizio del 2012 nonostante la mancata definizione in via amministrativa delle predette misure di salvaguardia - il legislatore e' intervenuto con una legge-provvedimento (l'art. 10, comma 5, del decreto-legge n. 16/2012) destinata ad incidere sulle controversie pendenti, abrogando il meccanismo di salvaguardia previsto dall'art. 38, comma 4, la lettera l), del decreto-legge n. 223/2006 e sostituendo tale meccanismo con un diverso meccanismo, costituito essenzialmente da una riduzione, predeterminata per legge in misura non superiore al 5 per cento, delle somme ancora dovute dai concessionari a titolo di minimi garantiti. Orbene, sebbene il legislatore abbia manifestato la volonta' di tener conto della peculiare posizione dei concessionari storici introducendo il diverso meccanismo costituito dalla riduzione, in misura non superiore al 5 per cento, delle somme ancora dovute a titolo di minimi garantiti, appare rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale della disposizione dell'art. 10, comma 5, decreto-legge n. 16/2012 che il collegio intende sollevare, d'ufficio, nei termini di seguito indicati. 3. Innanzi tutto, in punto di rilevanza della questione, occorre ribadire che l'art. 10, comma 5, del decreto-legge n. 16/2012, ha abrogato la disposizione dell'art. 38, comma 4, del decreto-legge n. 223/2006, che aveva introdotto - in favore dei concessionari storici (ivi compresa le parti ricorrenti), in quanto tenute al pagamento dei minimi garantiti - l'obbligo di definire in via amministrativa misure di salvaguardia volte a garantire l'equilibrio economico di tali soggetti ed ha previsto a tutela di costoro soltanto la possibilita' di ottenere una riduzione, peraltro non superiore al 5 per cento, delle somme ancora dovute a titolo di minimi garantiti. Infatti questa stessa sezione nella sentenza n. 8520 in data 7 novembre 2011 ha da ultimo ribadito che la disposizione dell'art. 38, comma 4, lettera l), della legge n. 223 del 2006 e' stata introdotta a garanzia dei concessionari storici, essendo l'obbligo di definire le modalita' di salvaguardia di tali soggetti finalizzato «a consentire il riequilibrio delle obbligazioni consacrate nelle concessioni per la raccolta di scommesse ippiche gia' rilasciate, in ragione del mutato assetto del mercato delle scommesse ippiche e della riconfigurazione dell'assetto distributivo territoriale dell'offerta di gioco, come ridisegnati dalla riforma introdotta dall'art. 38 del decreto-legge "Bersani", che ha determinato l'apertura del mercato dei giochi pubblici e l'attivazione di nuove concessioni secondo una diffusione capillare sul territorio e con piu' favorevoli condizioni di esercizio e di reddivita'», ed ha evidenziato, nel contempo, come l'introduzione dell'obbligo di definire tali modalita' di salvaguardia rendesse «inapplicabile il contenuto del decreto interministeriale del 10 ottobre 2003 che aveva stabilito, sotto la vigenza della precedente normativa, il metodo di calcolo per individuare il c.d. minimo garantito». Risulta, quindi, evidente che, per effetto dell'abrogazione della disposizione dell'art. 38, comma 4, del decreto-legge n. 223/2006, le ricorrenti non possono piu' beneficiare delle modalita' di salvaguardia previste da tale disposizione. Passando ora al profilo della non manifesta infondatezza della questione, il collegio preliminarmente rammenta che (come rilevato da questa stessa sezione nella recente ordinanza n. 685 in data 26 luglio 2012) la questione della compatibilita' costituzionale delle c.d. leggi-provvedimento (e cioe' di quegli atti formalmente legislativi che tengono luogo di provvedimenti amministrativi, in quanto dispongono, in concreto, su casi e rapporti specifici) e' ormai definitivamente risolta dalla giurisprudenza della Corte costituzionale e dei giudici amministrativi con l'affermazione di principi ormai consolidati. In particolare: A) la consulta ha riconosciuto l'ammissibilita' di tali atti normativi in base al rilievo dell'insussistenza di una «riserva di amministrazione», ossia evidenziando che la Costituzione non garantisce ai pubblici poteri l'esclusivita' delle pertinenti attribuzioni gestorie e non configura per il legislatore limiti diversi da quelli (formali) dell'osservanza del procedimento di formazione delle leggi, omettendo di prescrivere il contenuto sostanziale ed i caratteri essenziali dei precetti legislativi (ex multis, sentenza n. 347 del 1995); B) una volta ammessa la compatibilita' delle leggi in sostituzione di provvedimento con il vigente assetto costituzionale, la prevalente giurisprudenza (ex multis, Consiglio di Stato, sez. IV, 9 marzo 2012, n. 1349) ritiene che, a fronte di una legge-provvedimento, i diritti di difesa del soggetto leso non vengano ablati, ma si trasferiscano dalla giurisdizione amministrativa alla giustizia costituzionale. Il corollario di tale ricostruzione dogmatica dell'assetto della tutela delle posizioni incise dalla legge-provvedimento e', dunque, la valorizzazione della pregnanza del sindacato costituzionale di ragionevolezza della legge, sino a renderlo anche piu' incisivo di quello giurisdizionale sull'eccesso di potere, e cio' in modo da riconoscere al privato, seppur nella forma indiretta della rimessione della questione alla consulta da parte del giudice amministrativo, una forma di protezione ed un'occasione di difesa pari a quella offerta dal sindacato giurisdizionale sugli atti amministrativi; C) con particolare riferimento al rapporto tra la legge-provvedimento di approvazione di un provvedimento amministrativo gia' adottato e la pendenza di un procedimento giurisdizionale avente ad oggetto tale provvedimento, merita di essere condivisa la tesi (T.A.R. Puglia Bari, sez. I, 19 aprile 2006, n. 1362) secondo la quale: a) la mera pendenza di un ricorso non impedisce l'approvazione della legge-provvedimento, in quanto, diversamente opinando, si finirebbe con l'ammettere un vulnus delle prerogative delle assemblee legislative, mediante l'introduzione di un inammissibile nuovo limite, non codificato, all'esercizio della relativa funzione; b) solo la formazione del giudicato puo' paralizzare un intervento legislativo contrastante con il dictum giurisdizionale, in modo da evitare (in coerenza con l'assetto dei poteri delineato dalla Costituzione) l'irrimediabile sacrificio delle garanzie di tutela giurisdizione; c) la pendenza di un ricorso avente ad oggetto proprio il provvedimento amministrativo da approvare con la legge non si rivela, comunque, del tutto indifferente ai fini del corretto esercizio della funzione legislativa, proprio perche' l'eventuale e comprovata esclusiva finalizzazione della legge alla sottrazione dell'oggetto del sindacato giurisdizionale (ed alla conseguente privazione della stessa possibilita' di tutela giurisdizionale per l'interessato) costituirebbe un indice sintomatico dell'irragionevolezza della legge-provvedimento. Tenuto conto di quanto precede, nonche' del fatto che - secondo quanto affermato non solo da questa stessa sezione nella gia' richiamata sentenza n. 8520 in data 7 novembre 2011 e nelle ulteriori sentenze n. 6520 in data 7 luglio 2009 e n. 7632 in data 28 luglio 2009, ma anche dalla quarta sezione del Consiglio di Stato (ordinanza 31 agosto 2011, n. 3849) - i provvedimenti di riscossione di somme per il raggiungimento dei minimi garantiti richiedevano la previa definizione delle c.d. misure di salvaguardia di cui all'art. 38, comma 4, lettera l), del decreto-legge n. 223/2006, il collegio ritiene non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 10, comma 5, del decreto-legge n. 16/2012 per contrasto con il generale principio di ragionevolezza, desumibile dall'art. 3 della Costituzione (ex multis, Corte Cost. 9 marzo 2012, n. 53), con i principi in materia di tutela giurisdizionale avverso i provvedimenti dell'amministrazione, sanciti dagli articoli 24, comma 1, 103, comma 1, e 113 della Costituzione, con il principio di buon andamento dell'azione amministrativa (art. 97), nonche', infine, con il principio del giusto processo (art. 111 e art. 6 della CEDU, in rapporto all'art. 117, comma 1, Cost.) - alla luce delle seguenti considerazioni: A) la disposizione dell'art. 10, comma 5, del decreto-legge n. 16/2012 appare illogica ed irrazionale, perche' il legislatore - nel sostituire ad un meccanismo flessibile, come quello indicato dall'art. 38, comma 4, lettera l), del decreto-legge n. 223/2006 (che affidava alla stessa amministrazione il compito di individuare le concrete misure di salvaguardia per i concessionari storici, senza fissare tetti massimi, ma dando per scontata l'esigenza di parametrare le misure all'andamento del mercato delle scommesse, in modo da impedire che il pagamento dei minimi garantiti, in presenza di una maggiore concorrenza nel mercato, dovuta all'ingresso di nuovi concessionari, potesse pregiudicare l'equilibrio economico dei concessionari storici) con un meccanismo che consente solo una riduzione forfettaria, fino ad un massimo del 5%, dei minimi garantiti dovuti in base al «vecchio» decreto interministeriale del 10 ottobre 2003 - ha agito al (dichiarato) fine di perseguire maggiore efficienza ed economicita' dell'azione amministrativa mediante la definizione stragiudiziale di ogni controversia pendente, ma non ha considerato che la predetta riduzione forfettaria non appare adeguata per garantire l'equilibrio economico dei concessionari storici. E' ad esempio innegabile che al «mutato assetto del mercato delle scommesse ippiche e della riconfigurazione dell'assetto distributivo territoriale dell'offerta di gioco, come ridisegnati dalla riforma introdotta dall'art. 38 del decreto-legge "Bersani" che ha determinato l'apertura del mercato dei giochi pubblici e l'attivazione di nuove concessioni secondo una diffusione capillare sul territorio e con piu' favorevoli condizioni di esercizio e di reddivita'» (evidenziato nella gia' richiamata sentenza n. 8520 in data 7 novembre 2011), si siano, nel tempo, aggiunti gli effetti del «mercato parallelo» gestito dai c.d. (centri trasmissione dati), ossia gli effetti della presenza nel mercato italiano delle sommesse di operatori economici di altri Stati membri che agiscono attraverso i predetti CTD, in assenza di concessione, nell'esercizio delle liberta' di stabilimento e prestazione dei servizi transfrontalieri, garantite dagli articoli 49 e seguenti e 29 e TFUE (si veda al riguardo la sentenza della Corte di giustizia Costa-Cifone del 16 febbraio 2012, emessa nelle cause riunite C-72/10 e C-77/10). La misura stabilita direttamente dal legislatore, pertanto, appare del tutto slegata dalla realta' fattuale, tanto che nemmeno dagli atti parlamentari e' possibile capire quale tipo di istruttoria sia stata compiuta. E cio', anche volendo considerare la necessita' per lo Stato italiano (richiamata dalla difesa erariale) di adeguarsi ai principi di parita' di trattamento e di tutela della concorrenza, sanciti, in materia, dalla Corte di giustizia dell'Unione europea. Si tratta, infatti, di principi, almeno in astratto, pienamente compatibili con la riduzione ad equita' delle condizioni delle convenzioni accessive alla concessioni c.d. storiche. Di talche' e' evidente che l'individuazione del punto di equilibrio tra un'eventuale vantaggio competitivo goduto in passato dai titolari di siffatte concessioni, e l'attuale assetto del mercato, doveva essere il frutto, quantomeno, di una compiuta analisi di cui pero', nel caso di specie, non vi e' traccia; B) la disposizione dell'art. 10, comma 5, del decreto-legge n. 16/2012 appare quindi effettivamente finalizzata al solo scopo di sottrarre i provvedimenti gia' impugnati con il ricorso principale al sindacato giurisdizionale (e, quindi, a vanificare il diritto alla tutela giurisdizionale delle parti ricorrenti), perche' - a fronte di quanto affermato non solo da questa stessa sezione, ma anche dalla quarta sezione del Consiglio di Stato nelle pronunce innanzi citate - il legislatore e' intervenuto introducendo una nuova disciplina che non consente oramai alcuna forma di sindacato giurisdizionale sulla mancata adozione, da parte dell'amministrazione competente, delle misure di salvaguardia previste dall'art. 38, comma 4, lettera l), del decreto-legge n. 223/2006. Ne consegue che la predetta disposizione vanifica il diritto dei concessionari storici di agire in giudizio per tutelare il proprio equilibrio economico a fronte del mutato assetto del mercato delle scommesse ed integra, altresi', la violazione del diritto al giusto processo, quale consacrato nell'art. 111 della Costituzione e nell'art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (avente pur esso rango costituzionale per effetto del rinvio agli obblighi internazionali pattizi di cui all'art. 117, comma 1, Cost.; cfr. Corte costituzionale, sentenze nn. 348 e 349 del 2007). 4. Quanto appena argomentato giustifica la valutazione di rilevanza e non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale, in relazione in relazione agli articoli 3, 24, comma 1, 97, 103, comma 1, 111, 113 e 117, comma 1, della Costituzione; Si rende conseguentemente necessaria la sospensione del giudizio e la rimessione degli atti alla Corte costituzionale affinche' si pronunci sulla questione.