IL TRIBUNALE Ha emesso la seguente ordinanza pronunciando sul ricorso ex art. 28 L. 13 giugno 1942, n. 794 e 14 d.lgs. 150/2011 depositato in data 2 maggio 2012 dagli avv.ti M. Bedoni (c.f. BDNMRC61E26G080Z), del foro di Verona, e M. De Benedictis del foro di Siracusa (c.f. DBNMRC63L21I754J), entrambi in proprio ricorrenti; Contro: Alberti Pietro Alberto (c.f. LBRPRL30H29B832S) e Amore Vera (c.f. MRAVRE37B52A494Q), entrambi rappresentati e difesi dagli avv.ti A. Bonardi del foro di Verona e V. Bonaviri del foro di Catania; Noe' Stefania (c.f. NOESFN63H52C351Q), non comparsa e non costituita in giudizio a scioglimento della riserva assunta all'esito dell'udienza del 7 marzo 2013; Rilevato che 1. Iter del giudizio e prospettazioni delle parti. Preliminarmente va dichiarata la contumacia di Noe' Stefania che non si e' costituita in giudizio sebbene fosse stata ritualmente citata a comparire. I ricorrenti, con il ricorso in esame, hanno chiesto a questo Tribunale di provvedere alla liquidazione delle somme loro dovute, e meglio quantificate nella nota spese allegata al ricorso, a titolo di compenso per l'attivita' difensiva che hanno assunto di aver prestato in favore dei convenuti, nonche' di Cantiere E. Noe' S.p.A. e Marina Noe', nel corso di in giudizio svoltosi davanti a questo Tribunale e nel quale erano stati mosse varie doglianze nei confronti di alcuni contratti di swap ed un contratto di conto corrente bancario conclusi tra la societa' sopra citata e Unicredit Banca. I ricorrenti hanno precisato di aver interrotto la propria attivita' in favore dei convenuti dopo la terza udienza del processo sopra citato, avendo riscontrato che gli stessi avevano assunto nei confronti dell'avv. De Benedictis alcune iniziative, meglio descritte nel ricorso, che li avevano indotti a ritenere che fosse stato loro revocato il mandato professionale. I resistenti Alberti e Amore Vera, nel costituirsi in giudizio, hanno contestato alcune delle voci della note spese prodotta da parte ricorrente e, in aggiunta, hanno dedotto che l'avv. De Benedictis nel sopra citato giudizio non aveva eccepito un aspetto rilevante ai fini della decisione, vale a dire che i contratti di swap impugnati erano stati sottoscritti da Marina Noe' che, al momento della loro stipulazione, non aveva la rappresentanza legale della societa'. Tale eccezione, hanno aggiunto i resistenti, era stata sollevata solo nel giudizio di appello avverso la predetta decisione e, poiche' era possibile che l'appellata ne rilevasse la tardivita', essi avrebbero potuto subire un grave nocumento dalla negligenza in cui era incorso il professionista. Sulla scorta di tale deduzione i convenuti, assumendo che la negligenza dei ricorrenti nello svolgimento dell'incarico professionale, era stata fonte di danni per loro hanno eccepito l'estinzione per compensazione del credito di controparte con quello di carattere risarcitorio derivato in capo a loro e hanno concluso per il rigetto del ricorso. 2. Rilevanza e non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 1, del D.lgs. 150/2011 e dell'art. 14, comma 2, del D.lgs. 150/2011, nella parte in cui prevedono che il ricorso sia deciso dal tribunale in composizione collegiale. Il Tribunale e' chiamato a decidere in composizione collegiale sul ricorso di cui in epigrafe, in conformita' al disposto dell'art. 14, comma 2, del D.lgs. 150/2011. Il legislatore delegato con tale norma ha mantenuto, per le controversie in materia di liquidazione degli onorari, ivi compresa quella di opposizione al decreto ingiuntivo ottenuto dall'avvocato, la collegialita' derivante dall'art. 29 della L. 794/1942 (il contrasto giurisprudenziale sul punto e' stato definitivamente risolto dalla pronuncia della Cassazione a Sezioni Unite 20 luglio 2012 n. 12609), poiche' ha ritenuto che il criterio direttivo (art. 54, comma 4, lett. a) L. n. 69/2009) che aveva stabilito che restassero fermi "i criteri di composizione dell'organo giudicante previsti dalla legislazione vigente" imponesse di adeguarsi al criterio fissato dalla norma speciale sopra citata (sul punto si fa rinvio allo specifico passaggio che si legge a pag. 29 della relazione governativa al D.lgs. 150/2011). Il collegio ritiene pero' che diverso fosse il senso della suddetta indicazione della legge delega e che, in particolare, il legislatore delegante non avesse inteso mantenere i criteri di composizione dell'organo giudicante previsti dalle norme speciali abrogate dal D.lgs. 150/2011 (gli artt. 29 e 30 della L. 794/1942 sono stati abrogati dall'art. 34, comma 16 del D.lgs. 150/2011) ma quelli generali di cui all'art. 50-ter c.p.c., introdotto dal D.lgs. 19 febbraio 1998, n. 51, che, nel riparto delle competenze, tra giudice monocratico e giudice collegiale, ha stabilito che: "fuori dei casi previsti dall'articolo 50-bis, il tribunale giudica in composizione monocratica". A favore di questa interpretazione depone innanzitutto un argomento di ordine letterale, ossia la considerazione che la legislazione presa a riferimento dalla direttiva sopra citata non e' qualificata come speciale, a differenza di quella menzionata ai successivi commi b e c. Sotto il profilo sistematico poi la lettura del criterio fissato dall'art. 54, comma 4, lett. a) della legge 69/2009 qui proposta risulta del tutto coerente con un altro, e piu' generale, criterio direttivo della legge delega, quello fissato dal comma 2 dell'art. 54 che richiedeva che la riforma realizzasse "il necessario coordinamento con le altre disposizioni vigenti." Tale richiamo infatti non puo' che essere inteso come affermazione dell'esigenza di un raccordo tra il decreto semplificazione e l'ordinamento previgente nel quale, a partire dal D.lgs. 51/1998, il giudizio monocratico ha costituito la regola. Si noti che, proprio sulla base di quest'ultimo rilievo, la Corte costituzionale in passato ha giudicato pienamente coerenti con il sistema alcuni interventi normativi, compiuti attraverso lo strumento del decreto legislativo, che hanno reso monocratici giudizi che prima erano stati collegiali, pur in assenza di una specifica indicazione in tal senso nella corrispondente legge delega. Ci si riferisce, in particolare, alla sentenza n. 53 del 28 gennaio 2005 che ha sancito la piena legittimita' costituzionale dell'art. 170 del D.lgs. 30 maggio 2002, n. 113 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di spese di giustizia) che ha previsto, per l'opposizione avverso il decreto di liquidazione dei compensi degli ausiliari del giudice, che, a decorrere dalla data della sua entrata in vigore, il processo continuasse ad essere quello speciale per gli onorari di avvocato, quindi di natura camerale, (gia' era cosi' infatti in virtu' dell'art. 11, comma 6, della legge 8 luglio 1980, n. 319) ma che l'ufficio procedesse in composizione monocratica e non piu' in composizione collegiale. In particolare la Corte, nel dichiarare non fondata la questione di legittimita' costituzionale della norma sopra citata, in riferimento all'art. 76 Cost., ha osservato che: "...non e' necessario che sia espressamente enunciato nella delega il principio gia' presente nell'ordinamento, essendo sufficiente il criterio del riordino di una materia delimitata. Entro questi limiti il testo unico poteva innovare per raggiungere la coerenza logica e sistematica e, come nel caso di specie, prevedere la composizione monocratica anziche' quella collegiale, applicando al processo in questione il principio generale affermato con la riforma del 1998 al fine di rendere la disciplina piu' coerente nel suo complesso e in sintonia con l'evolversi dell'ordinamento". Con altra pronuncia (sentenza 10 febbraio 2006 n. 52) la Corte ha anche escluso che l'art. 170 del D.lgs. 30 maggio 2002, n. 113 sia in contrasto con il parametro costituzionale dell'art.3 Cost. nella parte in cui riconosce al giudice in composizione monocratica la competenza a conoscere dell'opposizione, anche nell'ipotesi in cui il provvedimento sia stato pronunciato da giudice in composizione collegiale, e come sia invece "ragionevole il sistema di attribuzione del reclamo al giudice monocratico in rapporto ad esigenze di buona amministrazione, rapidita', economie delle risorse". Sulla base di analoghe considerazioni la Corte (sentenza n. 52 del 2005) ha parimenti escluso l'illegittimita' costituzionale, per contrasto con gli artt. 3 e 76 Cost. dell'art. 99, comma 3, del decreto legislativo 30 maggio 2002, n. 113, nella parte in cui dispone che nel processo di opposizione avverso il provvedimento di rigetto dell'istanza di ammissione ai patrocinio a spese dello Stato, ovvero di revoca dell'ammissione gia' accordata, l'ufficio giudiziario procede in composizione monocratica anziche' collegiale. A fronte di un simile quadro di riferimento il perseguimento da parte del legislatore delegato dei fini di semplificazione della riforma non poteva prescindere dall'osservanza di quei principii, gia' evincibili dall'ordinamento nel suo complesso e comunque richiamati in maniera onnicomprensiva dalla legge delega, che consentono di raggiungere appieno il succitato obiettivo, anche sotto il profilo del contenimento delle risorse da impiegare nell'amministrazione della giustizia. Sempre sotto il profilo sistematico non va trascurato che la stessa legge n. 69/2009 ha inteso ribadire, sia pure implicitamente, il principio generale della monocraticita' del giudizio di primo grado, sommario o di cognizione ordinaria, nel momento in cui con l'art. 54, comma 5, ha abrogato il rito societario collegiale previsto dall'art. 1, comma 2, del D.lgs. 5/2003. Per effetto di tale modifica sono state infatti sottratte al rito collegiale le controversie di cui all'art. 1, lett. d) del D.lgs. 5/2003 (rapporti in materia di intermediazione mobiliare da chiunque gestita, servizi e contratti di investimento, ivi compresi servizi accessori, fondi di investimento ed altri) che, non rientrando in nessuna delle ipotesi di cui all'art. 50-bis c.p.c., sono ora riservate, in virtu' della regola dell'art. 50-ter c.p.c., alla decisione del giudice monocratico. Ma anche il legislatore delegato ha dimostrato, invero contraddittoriamente, di ispirarsi ai predetto principio generale nel momento in cui ha attribuito al giudice monocratico le controversie in materia di riconoscimento della protezione internazionale (art. 19 D.lgs. 150/2011), sebbene esse, vertendo su uno status, richiedano l'intervento obbligatorio del P.M. e in tal modo ha derogato al criterio fissato dall'art. 50-bis n. 1 c.p.c. per tale tipologia di giudizi. Ad avviso del collegio poi il disposto dell'art. 14, comma 2, del D.lgs. 150/2011, al pari di quello dell'art. 3, comma 1, dello stesso testo, che comporta che al procedimento ex art. 14 non si applichi il comma secondo dell'art. 702-ter c.p.c., oltre a porsi in contrasto con il sistema normativo preesistente e con la stessa legge delega, conducono ad un risultato incompatibile con la dichiarata finalita' di semplificazione della riforma, sotto un ulteriore profilo. Tali norme infatti ammettono, all'interno della categoria dei procedimenti ricondotti al procedimento sommario di cognizione, un modello processuale che costituisce un unicum, in quanto rappresenta la sola ipotesi di procedimento sommario collegiale di competenza del tribunale nel quale non e' previsto l'intervento del Pubblico Ministero. Per le ragioni sin qui esposte il collegio dubita, con riferimento al parametro dell'art. 76 della Costituzione, della legittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 1, del D.lgs. 150/2011, nella parte in cui esclude anche per la controversie di cui all'art. 14 l'applicazione del comma secondo dell'art. 702-ter c.p.c nonche' dell'art. 14, comma 2, del D.lgs. 150/2011, nella parte in cui prevede che il tribunale decida in composizione collegiale, perche' formulati in difetto o in eccesso di delega. E' poi evidente la rilevanza della questione poiche' questo Tribunale e' chiamato a pronunciarsi sul ricorso di cui in epigrafe in una composizione diversa da quella che poteva desumersi dalle indicazioni del legislatore delegante e dell'intero sistema. 3. Rilevanza e non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 54, comma 4, lett. a) L. 69/2009 (nel caso venga escluso il vizio di eccesso o difetto di delega di cui al paragrafo precedente). Qualora si ritenga che la previsione della composizione collegiale del Tribunale investito del ricorso ex art. 14 D.lgs. 150/2011 costituisca puntuale attuazione dell'art. 54, comma 4, lett. a) della legge delega e' quest'ultima norma, a avviso del collegio, a violare la carta costituzionale, ed in particolare i parametri degli artt. 3 e 97, comma 1, Cost., nella parte in cui fa salvi i criteri di composizione dell'organo giudicante che erano previsti dall'art. 29, primo comma, della L. 794/1942, tenuto conto delle indispensabili caratteristiche di semplicita' che deve avere l'oggetto del procedimento. Per derivazione presentano gli stessi vizi le norme del decreto legislativo individuate nel paragrafo precedente. Il legislatore delegato infatti, nel riprendere i punti salienti della disciplina degli artt. 29 e 30 della L. 794/1942, ha anche implicitamente ribadito il limite all'applicabilita' del rito speciale, allora di natura camerale, che era stato individuato, con riguardo al regime previgente, dalla giurisprudenza di legittimita'. Secondo quest'ultima infatti la procedura speciale doveva cedere il passo a quella ordinaria qualora non si controvertisse soltanto della liquidazione del compenso (e quindi della sua corretta determinazione, sulla base della valutazione della qualita' delle prestazioni pacificamente rese e non pagate), ma anche dell'esistenza del credito o della effettivita' delle prestazioni allegate dal professionista (cfr. ex plurimis: Cass. 4.1.2006, n. 29; Cass. 10.8.2007, n. 17622). La conferma che anche il legislatore delegato ha aderito a tale opzione interpretativa si rinviene nel passo della relazione al decreto legislativo 150/2011, riguardante proprio l'art. 14, in cui si afferma che: "Le controversie in questione sono state ricondotte al rito sommario di cognizione, in virtu' dei caratteri di semplificazione della trattazione e dell'istruzione della causa evidenziati dal rinvio, ad opera della normativa previgente, alla disciplina dei procedimenti in camera di consiglio, e del resto corrispondenti al limitato oggetto del processo. Al riguardo, non e' stato ritenuto necessario specificare che l'oggetto delle controversie in esame e' limitato alla determinazione degli onorari forensi, senza che possa essere esteso, in queste forme, anche ai presupposti del diritto al compenso, o ai limiti del mandato, o alla sussistenza di cause estintive o limitative (passaggio questo che rileva ai fini delta valutazione delle questioni qui esposte). Tale conclusione, ormai costantemente ribadita dalla giurisprudenza di legittimita', non viene in alcun modo incisa dalla presente disciplina in assenza di modifiche espresse alla norma che individua i presupposti dell'azione, contenuta nella legge 13 giugno 1942, n. 794". Sulla scorta di tali notazioni si puo' ben affermare che il procedimento ex art. 14 D.lgs. 150/2011 abbia mantenuto le medesime caratteristiche, anche di semplicita' degli accertamenti ai quali e' diretto, che aveva quello disciplinato dall'art. 29 L. 794/1942 e che la Corte costituzionale ha descritto nei seguenti termini (sentenza 11 aprile 2008, n. 96): "La normativa denunciata presenta caratteristiche di marcata specialita', essendo stata dettata dal legislatore in considerazione della omogeneita' del ramo di giurisdizione e della identita' dell'ufficio giudiziario esistenti tra la lite instaurata per recuperare il credito insoddisfatto, vantato dall'avvocato nei confronti del proprio cliente per prestazioni giudiziali in materia civile, ed il giudice davanti al quale si puo' svolgere la procedura camerale semplificata prevista dall'art. 29 della legge n. 794 del 1942. Si tratta infatti di un credito di natura squisitamente civilistica, nascente da un contratto di prestazione d'opera professionale stipulato tra l'avvocato ed il cliente normalmente prima dell'instaurazione della controversia giudiziaria e in ogni caso distinto e separato rispetto alla stessa". Nella stessa pronuncia la Corte ha anche ribadito quanto aveva avuto modo di precisare in precedenza, con riguardo alla procedura de qua, ossia che «il procedimento trova giustificazione e limite nella peculiarita' delle fattispecie che ne consentono l'instaurazione e ne consigliano la definizione possibilmente in via conciliativa». A tale argomentazione fondamentale si e' aggiunta quella che «la relativa semplicita' degli accertamenti di fatto, solitamente desumibili dagli atti del processo nel quale le prestazioni sono state eseguite o che, comunque, in riferimento alla controversia, sono normale esplicazione di attivita' di patrocinio. Accertamenti tutti compiuti dal giudice alla stregua delle voci e con l'osservanza delle tariffe di cui alle tabelle allegate al testo legislativo, nonche', in determinati casi, tenendosi presente il parere degli organi professionali (sentenza n. 22 del 1973). Il legislatore delegato del D.lgs. 150/2011 non ha invece inteso chiarire quale sia l'iter del giudizio allorquando, come e' accaduto nel caso di specie, a seguito delle difese di parte convenuta, il suo oggetto debba estendersi all'an della pretesa e proprio la definizione di tale aspetto consente di cogliere appieno la rilevanza della questione qui posta. Orbene, ad avviso del Tribunale, vi e' un chiaro dato normativo che induce a ritenere che possa trovare tuttora applicazione l'indirizzo piu' rigoroso, affermatosi nella piu' recente giurisprudenza di legittimita' con riguardo alla disciplina previgente, secondo il quale l'ampliamento del giudizio all'an della pretesa rende inammissibile il ricorso. Ci si riferisce alla previsione, mutuata dall'art. 29, comma 3, della 1. n. 794/1942, della possibilita' per le parti di "stare in giudizio personalmente", che e' stata giustificata dal legislatore delegato con la necessita' di adeguarsi al principio dell'art. 54, comma 4, lett. c) della legge delega. Da tale norma e' infatti possibile evincere che, allorquando le eccezioni del convenuto comportino un ampliamento del thema decidendum alla sussistenza della pretesa del ricorrente, il giudizio non possa proseguire perche', nell'ipotesi in cui il resistente non si fosse avvalso dell'assistenza tecnica, egli si troverebbe in posizione di inferiorita' rispetto alla controparte proprio nel momento in cui il giudizio diviene piu' complesso. Una diversa interpretazione quindi esporrebbe la norma ad un'agevole censura di illegittimita' costituzionale per contrasto con i principii degli artt. 3 e 24 Cost. Non puo' poi convenirsi con quella dottrina che giudica la soluzione qui proposta palesemente incongrua e censurabile sotto il profilo costituzionale in quanto penalizzerebbe il diritto d'azione del ricorrente, esponendolo al rischio di un esito sfavorevole del giudizio che dipende direttamente dalle difese del resistente. Questa tesi infatti muove dalla premessa che il procedimento speciale in esame, dopo la riforma, sia divenuto obbligatorio ma tale postulato puo' essere condiviso solo con riguardo al giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo che sia stato ottenuto dall'avvocato, alla luce del tenore della norma, peraltro non dissimile da quello del previgente art. 30 della L. 794/1942. L'osservazione non e' altrettanto condivisibile per l'ipotesi in cui l'iniziativa giudiziale sia assunta dal professionista legale poiche' il procedimento ex art. 14 D.lgs. 150/2011 e' alternativo ad altri istituti che, al pari di esso, consentono all'avvocato di recuperare il proprio credito a titolo di compenso per prestazioni giudiziali civili, quali il procedimento di ingiunzione, il giudizio di cognizione ordinario e, dopo la novella 69/2009, anche il procedimento sommario ordinario (in questi termini nella giurisprudenza di merito si veda l'ordinanza del Tribunale di Treviso del 13 dicembre 2012). Da cio' consegue che il professionista che si avvalga di tale strumento lo fa con cognizione di causa e nella piena consapevolezza, che gli deriva dalla sua competenza tecnica, di quali siano i possibili sviluppi processuali a cui puo' dar luogo la difesa del resistente. Che la pronuncia di inammissibilita' sia l'unico esito possibile del giudizio ai sensi dell'art. 14 D.lgs. 150/2011, allorquando le difese del convenuto ne amplino l'oggetto, risulta confermato anche dalla impraticabilita' di altri sviluppi processuali. Non sarebbe infatti possibile una conversione del rito ai sensi dell'art. 702-ter, terzo comma c.p.c., poiche' l'art. 3 comma 1, del D.lgs. 150/2011 esclude espressamente l'applicabilita' di tale norma al procedimento in esame. Nemmeno si potrebbe separare la questione introdotta dal convenuto da quella sull'an della pretesa atteso che secondo l'insegnamento della Suprema Corte: "la deduzione di negligenze o inadempienze proposta dal cliente al fine di paralizzare o limitare la pretesa dell'attore integra una eccezione in senso proprio e non e' da essa separabile per ragioni di speditezza o di opportunita', in quanto la legge citata non autorizza il giudice ad applicare la regola del "solve et repete" ne' a pronunciare condanna con riserva delle eccezioni del convenuto" (Cass. sez. II, 22 maggio 1981 n. 3361 resa proprio con riguardo ad un procedimento per liquidazione dei compensi di avvocato). La conseguenza delle conclusioni appena esposte e' che l'avvocato, a seguito della pronuncia di inammissibilita' del ricorso ex art. 14 D.lgs. 150/2011, deve riproporre la domanda nelle forme del giudizio di cognizione ordinario (questa e' la soluzione che era stata indicata, con riguardo al procedimento ex art. 29 L. 794/1942 da Cass. 9 settembre 2008, n. 23344; Cass. 4 giugno 2010 n. 13640; Cass. 5 agosto 2011, n. 17053) o, per le ragioni sopra dette, a sua discrezione, in quelle del procedimento sommario ordinario e l'uno e l'altro verranno trattati e decisi dal tribunale in composizione monocratica secondo la regola generale dell'art. 50-ter c.p.c.. Risulta allora evidente l'incongruenza e la contrarieta' al principio di ragionevolezza, che trova espressione nell'art. 3 Cost., di una disciplina che, nel caso di ampliamento, nei termini sopra meglio delineati, della materia del contendere, finisce per riservare al collegio il giudizio sul solo quantum della pretesa dell'avvocato e al giudice monocratico il giudizio astrattamente piu' complesso che venga promosso, dopo la conclusione del giudizio collegiale, per far accertare la sussistenza del credito del professionista. Ancor piu' irragionevole appare l'iter processuale che puo' aver luogo quando l'avvocato agisca direttamente nelle forme del giudizio ordinario di cognizione e le difese del resistente attengano al solo quantum della sua pretesa, perche' l'art. 4, comma 2, del D.lgs. 150/2011 prevede che, in tale caso, il giudice possa disporre anche d'ufficio il mutamento di rito non oltre la prima udienza di comparizione delle parti. Se tale evenienza si verifica il processo prosegue davanti al collegio proprio quando ha un oggetto piu' circoscritto rispetto a quello inizialmente prospettabile e quindi caratteristiche di maggiore semplicita'. In ogni caso, sia che il giudizio inizi e prosegua davanti al tribunale in composizione collegiale sia che venga da questi trattato a seguito del mutamento di rito disposto ai sensi dell'art. 4, comma 2, D.lgs. 150/2011, al collegio, nell'assetto normativo delineato dalla riforma, sono demandate attivita', quali il tentativo di conciliazione e, nel caso in cui questo non riesca, la verifica, invero quasi esclusivamente documentale, dell'effettuazione delle prestazioni professionali e la stima della congruita' degli importi richiesti per esse che, non presentando, almeno di norma, particolari difficolta', ben potrebbero essere svolte da un giudice monocratico. Questo Collegio e' consapevole che, secondo il consolidato orientamento della Corte costituzionale, nella disciplina degli istituti processuali vige il principio della discrezionalita' e insindacabilita' delle scelte operate dal legislatore con il limite della loro non manifesta irragionevolezza (ordinanze n. 164 del 2010, n. 141 del 2011, 174 del 2012 e, da ultimo, sentenza n. 10 del 16 gennaio 2013) ma ritiene che, con la disciplina in esame, quest'ultimo limite sia stato superato. Come e' stato osservato da un'attenta dottrina puo' anche escludersi che la soluzione adottata dalla legge delega, nella interpretazione alternativa qui esaminata, sia stata funzionale ad un aumento delle garanzie imposto dalla soppressione dell'appello e dalla contestuale previsione della possibilita' di stare in giudizio personalmente, atteso che le medesime caratteristiche si riscontrano anche nelle controversie di cui all'art. 15 del D.lgs. 150/2011, tra le quali rientrano alcune che, come subito si dira', per il loro oggetto sono assimilabili a quelle in materia di liquidazione dei compensi dell'avvocato e per le quali la riforma ha mantenuto la monocraticita' dell'organo giudicante, nella persona del capo dell'ufficio giudiziario al quale appartiene il magistrato che ha emesso il provvedimento impugnato o di un suo delegato (tale modifica, come detto sopra, e' stata introdotta dall'art. 170 del D.lgs. 113/2002). La collegialita', come si e' detto, e' invece diretta conseguenza dell'adeguamento del legislatore delegato all'indicazione di cui al punto dell'art. 54, comma 4 lett. a) della legge 69/2009 sui criteri di composizione dell'organo giudicante e rappresenta quindi il retaggio di un periodo in cui costituiva la regola, soprattutto per i procedimenti camerali. Proprio il raffronto tra l'art. 14 e l'art. 15 del D.lgs. 150/2011 consente di cogliere un ulteriore profilo di contrarieta' dell'art. 54, comma 4 lett. a) della legge delega sempre con il principio dell'art. 3 Cost., ossia quello dell'adozione di due soluzioni differenti in punto di composizione dell'Organo giudicante pur a fronte di procedimenti che, per le caratteristiche di tendenziale semplicita' degli accertamenti e della valutazione demandata al giudice, sono tra loro pienamente assimilabili. Per consentire di cogliere l'affinita' tra queste due tipologie di procedimenti giova innanzitutto evidenziare come, con riguardo al giudizio di opposizione al decreto di liquidazione del compenso al ctu, la Cassazione abbia escluso che esso abbia natura impugnatoria, dal momento che ha ad oggetto la controversia relativa alla spettanza e alla liquidazione del compenso o dell'onorario dell'ausiliario del giudice (Cass. 31 marzo 2006 n. 7633), e tale principio ben puo' essere esteso a tutti i giudizi di opposizione avverso decreti di liquidazione riconducibili all'art. 15 del D.lgs. 150/2011. L'affinita' con il giudizio ai sensi dell'art. 14 D.lgs. 150/2011 e' ancora piu' marcata per quelli, tra i procedimenti rientranti nella categoria in esame, che richiedono all'organo giudicante valutazioni sulla sussistenza delle prestazioni rese dall'avvocato e sulla congruita' degli importi richiesti per esse. Si pensi all'opposizione avverso i decreti di liquidazione pronunciati in favore del difensore della parte ammessa al gratuito patrocinio nel processo penale, civile ed amministrativo (a norma dell'art. 84 D.P.R. n. 115/2002 che richiamava l'art. 170) e all'opposizione avverso i decreti di liquidazione del compenso del difensore d'ufficio, del difensore d'ufficio di persona irreperibile e del minore (a norma degli artt. 115-118 del D.P.R. n. 115/2002 che parimenti richiamava l'art. 170 del D.lgs. 113/2002). Alla luce di tali analogie la differente composizione dell'organo giudicante (collegiale nel caso del procedimento ex art. 14 e monocratico nel caso del procedimento ex art. 15) non e' piu' giustificabile, tanto meno in una prospettiva di coerenza del sistema avviata con l'art. 170 del D.lgs. 113/2002. Il complesso di norme qui censurate infine non soddisfa nemmeno quelle esigenze di buona amministrazione, rapidita' ed economia delle risorse dell'amministrazione della giustizia che anche la Corte costituzionale, nelle sentenze menzionate al primo paragrafo, ha ravvisato a giustificazione degli interventi normativi che, a partire dal gia' menzionato D.lgs. 51/1998, hanno inteso esaltare ed ampliare il ruolo del giudice unico, consentendo di recuperare energie e risorse umane in un'ottica deflattiva e di maggiore efficienza del sistema. Di qui il loro contrasto con il principio di buon andamento ed imparzialita' dell'amministrazione, sancito dall'art. 97, primo comma, della Costituzione, che, come ripetutamente chiarito dalla Corte costituzionale, riguarda gli organi di amministrazione della giustizia per i profili concernenti l'ordinamento degli uffici giudiziari e il loro funzionamento (ex plurimis, ordinanze n. 122 del 2005; n. 94 del 2004 e n. 458 del 2002). La trattazione in forma collegiale di un procedimento semplificato come il presente richiede infatti tempi e adempimenti maggiori di quelli che sarebbero richiesti se esso si svolgesse davanti ad un giudice monocratico. Tali inconvenienti risultano poi ancora maggiori qualora il giudizio, come nel caso di specie, si debba concludere con una pronuncia di inammissibilita' che comporta la necessita' di una riproposizione della domanda nelle forme del giudizio di cognizione o in quelle del procedimento sommario ordinario.