IL TRIBUNALE ORDINARIO DI LECCE (Sezione Prima Penale) Riunito in camera di consiglio nelle persone dei signori Magistrati: dott. Stefano Sernia - Presidente rel.; dott. Silvia Minerva - Giudice; dott. Maddalena Torelli Giudice. Decidendo in ordine alla istanza di liquidazione del compenso all'interprete dott.ssa Sale Sandy, da questo Tribunale incaricata della traduzione in lingua portoghese di una richiesta di assistenza giudiziaria per la ricerca e citazione di una testimone verosimilmente residente in Brasile, da inoltrare, a cura del Ministero della Giustizia, alla competente Autorita' Giudiziaria della Repubblica federale del Brasile, nell'ambito del processo pendente nei confronti della cittadina brasiliana S. D. L. S e C., ha pronunziato la seguente ordinanza. Il tribunale deve procedere alla liquidazione del compenso all'interprete, che ha proceduto, su disposizione adottata in data 8 aprile 2014 da questo Tribunale, alla traduzione di una richiesta di assistenza giudiziaria destinata ad autorita' giurisdizionale straniera; su richiesta del Ministero della Giustizia, si e' quindi successivamente provveduto ad affidare a detto interprete anche la traduzione della citazione del teste, compito cui l'interprete, sig.ra Sale Sandy, ha provveduto in data 16 maggio 2014, contestualmente depositando anche richiesta di liquidazione delle proprie spettanze in relazione ai due distinti incarichi ricevuti. A. La normativa vigente in tema di liquidazione dei compensi agli interpreti. a.1 La legge n. 319/1980, l'art. 50, D.P.R. 115/02. La materia dei compensi agli ausiliari del giudice e' disciplinata in via generale dall'art. 4, della legge n. 319/1980 e dall'art. 50, del D.P.R. 115/02, che rimanda a decreti ministeriali per la determinazione della misura degli onorari, secondo tabelle da adottarsi avendo a riferimento le tariffe professionali esistenti, contemperate con la natura pubblicistica dell'incarico (art. 50, comma 2, DPR 115/02), ammettendosi altresi' il ricorso a onorari a tempo (art. 50, comma 3, DPR citato); piu' specificamente in materia di liquidazione del compenso a periti, consulenti tecnici, interpreti e traduttori, l'art. 4, della legge n. 319/1980 stabilisce l'entita' delle unita' temporali (denominate vacazioni e consistenti di due ore ciascuna) e del compenso spettante per ciascuna di esse (€ 14,68 per la prima, € 8,15 per le successive), prevedendo altresi' che il ricorso alla liquidazione per vacazioni sia la norma in relazione a tutte le attivita' per le quali non sia previsto tabellarmente uno specifico tariffario con decreto ministeriale. a.2 Il decreto ministeriale 30 maggio 2002. Di fatto, la norma secondaria di principale applicazione e' quella data dal decreto ministeriale 30 maggio 2002 che si compone, idealmente, di due parti: una, consistente in una tabella che prevede compensi, determinabili dal giudice tra un minimo ed un massimo prefissati, in relazione a specifiche e tipizzate attivita'; l'altra, a carattere residuale, che, integrando l'art. 4, della legge n. 319/1980, stabilisce il corrispettivo pecuniario per ogni vacazione, nella misura che si e' detto. L'attivita' dell'interprete non rientra tra quelle oggetto di specifica previsione tabellare nella tabella allegata al D.M. 30 maggio 2002, sicche', ai sensi dell'art. 4, della legge n. 319/1980 e dell'art. 1 di detto D.M., occorre ricorrere al sistema della liquidazione a vacazione. a.2.a L'onorario liquidabile ai sensi della normativa antecedente la legge n. 147/2013. Va quindi osservato che si e' trattato di compito di media difficolta' (ognuno dei due atti tradotti consta di una sola pagina; il testo del primo e' di circa una trentina di righe, il testo del secondo di una quindicina); puo' pertanto ipotizzarsi che la traduzione di ognuno dei due scritti abbia richiesto una vacazione, e che possano liquidarsi al massimo, per ciascuno dei due incarichi, ulteriori due vacazioni (cosi' giungendosi all'importo di € 30,98 per ognuno), in relazione ai tempi di attesa in Cancelleria (essendo scarso il personale e spesso impegnato in compiti di' assistenza al Giudice in udienza) e percorrenza per ricevere l'incarico, ritirare il provvedimento da tradurre e di poi tornare in Cancelleria per depositarne la traduzione scritta: attivita' che il perito ha dovuto compiere per poter assolvere all'incarico affidatole, e che quindi si ritiene debbano essere anch'esse remunerate, atteso che l'art. 29, del DM 30 maggio 2002 (che prevede la non separabile remunerabilita' dei tempi impiegati per l'accesso agli uffici giudiziari, stabilendo che "tutti gli onorari, ove non diversamente stabilito dalle presenti tabelle, sono comprensivi della relazione sui risultati dell'incarico espletato, della partecipazione all'udienza e di ogni altra attivita' concernente i quesiti") si applica solo agli onorari specificamente tabellati, e non a quelli da remunerarsi a vacazione. Si tratta quindi, complessivamente, di euro 61,96 da liquidarsi all'interprete ai sensi della disciplina data dall'art. 4, della legge n. 319/80 e dal D.M. 30 maggio 2012. a.3 L'art. 106 bis, DPR 115/02, introdotto dall'art. 1, comma 606, legge n. 147/2013. Va quindi rilevato che detta somma va ulteriormente ridotta di 1/3 e portata quindi ad € 41,30; sulla disciplina sopra descritta opera infatti, con effetti sensibilmente riduttivi degli importi (gia' piuttosto modesti) da liquidarsi, l'art. 106 bis, del DPR 115/02, introdotto dal comma 606, lett. b), dell'art. 1, della legge n. 147/2013, c.d. "legge stabilita'" per il 2014, che prevede la riduzione di 1/3 degli onorari spettanti ai difensori, ai custodi, ai consulenti nominati dal Giudice e dalle parti ed agli altri ausiliari del giudice. Ed invero, sebbene la nuova norma si venga a porre nel capo V del dpr 115/02, specificamente dedicato ai "difensori, investigatori e consulenti tecnici di parte", il testo del novello articolo appare inequivoco nel riferirsi anche alle liquidazioni da operarsi in favore degli ausiliari del giudice; la norma appare pertanto avere portata generale, sia nel senso che si applichi anche a tutti gli ausiliari del giudice, ivi compresi i periti, sia nel senso che si applichi anche nei giudizi in cui non vi e' stata ammissione al patrocinio a spese dello Stato, non avendo senso ipotizzare che il legislatore abbia voluto introdurre una disposizione che comporti un'ingiustificata disparita' di trattamento economico dell'ausiliario per fatto assolutamente indipendente dalla sua volonta' e ininfluente sulle caratteristiche della sua prestazione, e cioe' essere stata o meno una delle parti ammessa al patrocinio a spese dello Stato. Ne' la riduzione di 1/3, introdotta dalla norma in oggetto, appare agevolmente giustificabile con la natura pubblicistica dell'incarico, atteso che la decurtazione introdotta dall'art. 106 bis. dpr 115/02 va ad operare su di un sistema tariffario che, ai sensi dell'art. 50 dpr medesimo, gia' e' impostato con decreti ministeriali che mitighino l'onere dei tariffari professionali contemperandoli con la suddetta natura pubblicistica dell'incarico pervenendo, specie per le prestazioni non espressamente tabellate ed in relazione alle quali occorre ricorrere ad un sistema a vacazioni (unita' biorarie di attivita' lavorativa del perito), alla determinazione di un impianto indennitario di modestissima entita' economica, che retribuisce le vacazioni successive alla prima con un importo lordo pari a circa 4,075 euro l'ora. Di fatto, su di una retribuzione oraria media pari a circa 4 euro, occorre quindi operare un'ulteriore riduzione di un terzo, cosi potendosi assegnare all'interprete, nel presente procedimento di liquidazione ed allo stato della vigente normativa, solo € 41,30. B. Il contrasto di tale normativa, primaria e secondaria, con i principi costituzionali di cui agli artt. 3, 35, 36 e 53 della Costituzione. A parere del Tribunale, appare non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale - per contrasto con gli artt. 35, 36, 3 e 53 della Costituzione - dell'attuale disciplina, sia nella parte in cui ai sensi della legge n. 319/80 prevede un corrispettivo irrisorio - e tale da non poter svolgere neanche una funzione indennitaria - per le attivita' svolte dagli ausiliari del giudice, sia nella parte in cui il citato art. 106 bis, dpr 115/02 prevede l'applicazione del nuovo tariffario - come risultante dalla riduzione di 1/3 degli onorari risultanti dalla previgente disciplina - non solo in relazione alla prestazioni' peritali oggetto di specifica previsione tabellare, ma anche alle prestazioni professionali liquidate in base al sistema delle vacazioni come delineato dall'art. 4, della legge n. 319/1980 e dal citato D.M. 30 maggio 2002. Va in primo luogo ritenuta la natura di decisione, a carattere giurisdizionale, del provvedimento di liquidazione del compenso dell'ausiliario emesso dal Giudice, come gia' ritenuto dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 88 del 1970; ne consegue che, nonostante la apparente natura amministrativa dell'atto di liquidazione, appartenendo pero' questo pur sempre al giudice nell'esercizio delle sue funzioni giurisdizionali, tanto da essere previsto gia' dall'art. 232 del cpp, esso ha legalmente natura giurisdizionale, e l'autorita' che e' chiamato ad emetterlo e' quindi "Giudice" nel senso previsto dall'art. 1, della legge Cost. n. 1 del 1948, sicche' la questione di costituzionalita' delle leggi che disciplinano l'atto di liquidazione e' conseguentemente sollevabile d'ufficio dal Giudice ai sensi del citato. 1 della L. Cost. n. 1 del 1948. La previsione di compensi particolarmente modesti, assolutamente e notevolmente inferiori a quelli previsti per qualsiasi prestazione lavorativa, anche la piu' umile e meno qualificata, anche nel caso di imposizione di prestazioni peritali gravose, che spesso rendono difficoltoso all'ausiliario dedicarsi alle sue ordinarie attivita' lavorative, appare porsi in primo luogo in contrasto con i principi costituzionali in tema di tutela del lavoro e di equa ed adeguata retribuzione delle prestazioni lavorative, senza che appaia legittimo trarre nella natura pubblicistica dell'ufficio di ausiliario del giudice, neanche alla luce dei principi di cui agli artt. 2 e 23 Cost., giustificazioni ad un trattamento economico pressocche' simbolico, che realizza una disparita' di trattamento, rispetto a chi presti le medesime attivita' a condizioni di mercato, troppo marcata per essere giustificata dalla natura pubblicistica dell'incarico e dall'adempimento di doveri di solidarieta' sociale. B.1 I limiti costituzionali alla pretensibilita' di prestazioni patrimoniali o personali ai sensi degli artt. 2 e 23 Cost. Invero, occorre in primo luogo ricordare che l'interprete ed il perito hanno l'obbligo giuridico (artt. 143, comma 4 e 221 comma 3 cpp), sotto pena di legge in caso di rifiuto (art. 366 c.p.) di prestare la propria opera, che ha - da un punto di vista oggettivo ed ontologico - indubbiamente natura lavorativa, in quanto comporta l'esplicazione di energie intellettuali e/o fisiche esattamente corrispondenti a quelle oggetto delle attivita' di specifiche figure professionali normalmente operanti nel mercato del lavoro; il perito peraltro puo' rinunziare all'incarico solo per giustificato motivo, laddove in tale concetto senz'altro non puo' farsi rientrare in via generale l'inadeguatezza o non convenienza dell'indennita' prevista dalla legge, atteso che questa e' fissata con norma generale e fonderebbe quindi per ogni perito un motivo atto a giustificare il rifiuto o la rinunzia all'ufficio: il che e' contraddittorio con la natura dell'istituto, con l'obbligatorieta' dell'ufficio, e con la evidente natura straordinaria dei casi in cui all'ufficio si possa rinunziare. Gli artt. 143 e 221 cpp prevedono pertanto ipotesi in cui il giudice impone a determinati soggetto l'obbligo di eseguire una prestazione lavorativa, al di fuori di un rapporto contrattuale, con controprestazione predeterminata normativamente in misura sostanzialmente indennitaria, poiche' ex art. 50, dpr 115/02 (e delle previdenti norme considerate dalla Corte costituzionale nelle gia' citate sentenze) le tariffe professionali, cui pure occorre far riferimento, devono essere contemperate con la natura pubblicistica dell'incarico. La fonte della legittimita' costituzionale di tale disciplina riposa nell'art. 23 Cost. che ammette che la legge possa imporre una prestazione personale, oltre che patrimoniale; e nell'art. 2 Cost., che chiama i cittadini all'adempimento dei doveri di solidarieta' sociale, nel cui ambito possono senz'altro farsi rientrare le ipotesi di occasionale in forza di un obbligo scaturente dalla legge. Sebbene non espressamente previsto dalla due norme teste' citate, deve ritenersi che nell'impianto costituzionale sia comunque insito un limite di ragionevolezza alle prestazioni che possono richiedersi. Lo si evince dal rispetto che la carta Costituzionale assegna e riconosce alla persona umana ed ai suoi diritti inviolabili, tra i quali senz'altro rientra - aspetto generale dei diritti di liberta' personale - quello di scegliere come disporre del proprio tempo ed il diritto a non essere assoggettati, neppure ad opera dello Stato, a forme di sfruttamento della propria opera lavorativa (cfr. proprio l'art. 2 Cost.; ma anche l'art. 36 Cost. nella parte in cui riconoscendo i diritto alle ferie retribuite ed ad un orario massimo di lavoro, tutela anche il diritto al tempo libero); lo si evince dalla principale norma in tema di prestazioni patrimoniali, l'art. 53 Cost. commisurando i doveri fiscali alla capacita' contributiva; lo si evince dalla tutela accordata alla proprieta' privata, espropriabile - giusta la previsione di cui all'art. 42, comma 3 Cost. - solo per ragioni di pubblico interesse e dietro indennizzo: indennizzo che, nella giurisprudenza della Corte costituzionale, deve avere le caratteristiche di un serio ristoro della perdita patrimoniale subita, e non un carattere irrisorio o simbolico (cfr., ad es., la sentenza n. 38/2011 della Corte costituzionale). Invero, gli artt. 2 e 23 Cost., pur legittimando i casi in cui al cittadino la legge richieda l'adempimento di doveri di solidarieta', e finanche la corresponsione di prestazioni di natura personale, vivono pur sempre nel contesto di altri principi costituzionali coi quali vanno coordinati, ed in primis gli artt. 35, 36 e 3 Cost., che impongono dei limiti al sacrificio che la legge ordinaria possa imporre al cittadino: limiti che sono sia di ragionevolezza - per evitare marcate situazioni di disparita' di trattamento con altri cittadini lavoratori chiamati a rendere prestazioni analoghe - che di entita' economica, per evitare che una prestazione lavorativa sia retribuita in maniera tale da mortificare la sua natura di riconoscimento del valore della prestazione lavorativa e di strumento di dignitoso sostentamento dell'individuo e della sua famiglia. Tanto premesso, va invece rilevato che la vigente disciplina del trattamento economico degli ausiliari del giudice vede periti ed interpreti, in relazione ad un ufficio al quale sono chiamati in adempimento di doveri sociali ed al quale non possono sottrarsi se non per giustificato motivo (e senz'altro non per ragioni legate esclusivamente alla scarsa remunerazione dell'incarico), ricevere emolumenti che appaiono essere assolutamente inidonei a garantire il rispetto del principio di ragionevolezza che deve mitigare l'onere ad essi imposto, e inadatti a fungere da serio ristoro rispetto all'impegno loro richiesto ed alla vera e propria espropriazione delle loro energie lavorative e del loro tempo. B.2 La violazione dell'art. 35 Cost. Di fatto, l'attuale normativa crea una classe di operatori economici che, in virtu' del possesso di determinate qualifiche, strumentali agli accertamenti giudiziali, e' soggetto per legge ad un palese sfruttamento economico, ad opera dello Stato che invece, per primo e' chiamato dalla Costituzione a realizzare le condizioni di eguaglianza tra i cittadini ed ad assicurare la congrua retribuzione del lavoro; per contro, la frequenza con cui l'A.G. ha necessita' di ricorrere all'opera di ausiliari (come piu' ampiamente si osservera' anche sub paragrafo B.3.b) mal retribuiti, appare porsi in palese contrasto con l'art. 35 Cost., che impone allo Stato di tutelare il lavoro, mentre invece lo sfrutta, e rende difficoltoso all'ausiliario anche dedicarsi ad altre attivita' (si pensi al caso, tutt'altro che raro, di perizie molto impegnative). Gli emolumenti o indennita' spettanti per l'assolvimento di un ufficio pubblico, sono infatti sottoposti in primo luogo ad una retribuzione gia' di per se' estremamente modesta, e tale da realizzare un'evidente disparita' di trattamento non solo con attivita' dello stesso genere svolte in regime professionale di libero mercato, ma addirittura anche largamente inferiore alla retribuzione oraria notoriamente prevista per qualsiasi attivita' lavorativa anche di mero carattere manuale e non richiedente alcuna specializzazione. Inoltre, tali modestissimi ed insufficienti emolumenti sono poi anche sottoposti a rilevante decurtazione ex art. 106 bis, dpr 115/02 per fatti assolutamente indipendenti da alcun comportamento dell'ausiliario del giudice; e cio' nonostante che l'art. 50, comma 2, dpr 115/02, prescrivesse che le tabelle dovessero essere redatte con riferimento alla tariffe professionali esistenti, pur se contemperate con la natura pubblicistica dell'incarico, cosi' evidenziando la consapevolezza del Legislatore circa la necessita' che, andando a retribuire una prestazione di attivita' oggettivamente lavorativa, dette tabelle non potessero porsi in irragionevole contrasto con l'art. 36 della Costituzione, e quindi col principio della necessaria retribuzione di ogni prestazione lavorativa, in misura commisurata alla sua qualita' e quantita', pur legittimandosi un certo grado di scostamento dalla normale retribuzione, in ragione della natura pubblicistica dell'incarico, nella previsione dell'art. 2 Cost. che, imponendo l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarieta' sociale, giustifica (con l'art. 23 Cost.) la doverosita' dell'ufficio dell'ausiliario del giudice, e la sua retribuzione in maniera che possa discostarsi dalle tariffe legali o d'uso. B.3 Incompatibilita' con l'art. 36 della Costituzione. Ai sensi dell'art. 36 della Costituzione, alla prestazione di ogni attivita' lavorativa deve corrispondere la controprestazione di una retribuzione: a) proporzionata alla qualita' e quantita' del suo lavoro; b) sufficiente ad assicurare a se' ed alla sua famiglia un'esistenza libera e dignitosa. Nessuna di tali condizioni appare assolta dalla vigente normativa che, come visto, prevede una retribuzione oraria di circa 4 euro (enormemente inferiore a quella prevista per qualsiasi prestazione d'opera, anche manuale non qualificata), da ridursi ulteriormente di 1/3. B.3.a. La precedente giurisprudenza della Corte. Tanto premesso, questo Tribunale non ignora che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 41 del 1996, richiamando quanto gia' affermato con la sentenza n. 88 del 1970, ha gia' affrontato - negandone la fondatezza - la questione della compatibilita' dell'art. 4, della legge n. 319/80 con l'art. 36 Cost. In detta occasione la Corte ebbe ad affermare di aver gia' avuto occasione (sentenza n. 88 del 1970) di osservare che l'art. 36 della Costituzione "e' male addotto, innanzitutto perche' il lavoro svolto dai consulenti tecnici d'ufficio non si presta a rientrare in uno schema che involga un necessario e logico confronto tra prestazioni e retribuzione e quindi un qualsiasi giudizio sull'adeguatezza e sufficienza di quest'ultima. Ed in secondo luogo, perche' non c'e' modo di valutare in che misura quel lavoro giochi nella complessiva attivita' di coloro che in concreto lo svolgono e come i compensi per le relative operazioni (a parte l'impossibilita' o difficolta' di coglierne la totale entita') concorrano alla formazione dell'intero reddito professionale del singolo prestatore". Nella richiamata decisione la Corte conclude affermando che: "La situazione in cui si trovano i consulenti d'ufficio, e che non e' dissimile da quella delle categorie dei periti, degli interpreti e dei traduttori, potrebbe anche apparire tale da suggerire iniziative o modifiche sul terreno legislativo nel rispetto delle esigenze di carattere pubblico e privato concorrenti nello svolgimento del processo civile. Ma essa non conduce, a proposito delle nonne che la comportano, ad alcuna violazione dell'art. 36, comma primo". 7. - Puo' solo aggiungersi che il riferimento fatto dall'art. 2, della legge n. 319 del 1980 alle tariffe professionali non puo' qualificarsi come rinvio recettizio, ma rappresenta solo l'indicazione di un possibile, non tassativo, parametro di liquidazione, limitatamente comunque agli onorari fissi e variabili e sempre con il contemperamento dovuto alla "natura pubblicistica dell'incarico". Conclusivamente, questa Corte non puo' non rinnovare l'auspicio che - in attesa di nonne migliori - le autorita' indicate dalla legge impugnata provvedano a rispettare le scadenze triennali di' adeguamento dei compensi dovuti in base alle variazioni accertate dall'Istat." B.3.1) Novita' normative e sociali - Le ragioni di una necessaria rimeditazione della questione. Ritiene tuttavia, il tribunale che, a distanza di quasi venti anni dall'ultima di tali pronunzie (ed a piu' di 40 dalla prima), possa e debba accedersi ad una rimeditazione della costituzionalita' della normativa citata, sia alla luce dell'art. 36 Cost., sia alla luce dell'art. 3 Cost., che qui si evoca sotto profili anche diversi da quelli considerati nella predette sentenze della Corte (che riguardavano principalmente il raffronto tra onorari a vacazione e onorari tabellari), essendo nel frattempo mutate alcune delle norme di riferimento, entrato in vigore ed a pieno regime il nuovo codice di procedura penale che - esaltando la fase dibattimentale - amplifica il numero dei casi in- cui occorre ricorrere ad ausiliari come periti ed interpreti (e quindi anche l'impegno richiesto a questi ultimi), e per contro perdurando la ingiustificata omissione dei provvedimenti di adeguamento del corrispettivo delle vacazioni ai meccanismi inflattivi; devono inoltre considerati altresi' taluni spunti di riflessione rinvenibili anche nella stessa giurisprudenza della stessa Corte costituzionale, sia possibile e doverosa. Come si e' osservato, la Corte ha gia' affrontato, negandolo, il tema della riconducibilita' dell'attivita' prestata dal perito all'art. 36 Cost.; ma lo ha fatto con due sentenza molto datate, l'una del 1970, l'altra del 1996, e quindi risalenti non solo ad una diversa epoca di' evoluzione del pensiero giuridico, ma anche ad una diversa realta' sociale e processuale, atteso che nel 1970 vigeva ancora il vecchio codice di procedura penale, e nel 1996 questo non aveva ancora dieci anni di vita. Invero, nel vigore del previgente codice di procedura penale e nei primi anni di applicazione di quello attualmente vigente; e nel contesto di fenomeni migratori piu' modesti di quelli attuali, l'essere chiamati ad assolvere ad un pubblico ufficio peritale o di interprete/traduttore era un'evenienza del tutto isolata ed occasionale, e pertanto inidonea a tradursi in pesi gravosi a carico di una cerchia determinata di soggetti; l'assoluta sporadicita' della necessita' di conferire l'incarico di ausiliario del giudice, permetteva che, ove distribuito su di un numero adeguato di soggetti, esso non assumesse carattere di gravosita'. Profondamente mutata la situazione attuale, in cui la necessita' di nominare ausiliari quali periti o interpreti ha oggi invece assunto (e tanto piu' assumera', per i compiti di interpretariato e traduzione, alla stregua degli obblighi di traduzione imposti dal decreto legislativo n. 32/2014) una notevolissima frequenza statistica, che comporta che numerosi soggetti, a causa delle loro specifiche competenze professionali, siano frequentemente distolti dalle (ed impediti alle) loro ordinarie occupazioni lavorative venendo chiamati ad assolvere l'ufficio di perito. Il fenomeno ha dimensioni tali che non e' affatto raro che alcuni di tali soggetti si siano specificamente attrezzati, acquistando macchinari anche sofisticati, per far fronte alle richieste della macchina giudiziaria (si pensi ai periti fonici, chiamati a verificare la paternita' di una voce carpita in un'intercettazione; si pensi ai soggetti chiamati a trascrivere intercettazioni in lingua straniera, specie nella fase delle indagini, in cui le necessita' di riservatezza connotano di un intuibile rapporto fiduciario la scelta del c.t., che tendera' a ricadere su di un numero limitato di soggetti; si pensi, ancora, ai periti grafologi chiamati a verificare nel dettaglio le caratteristiche di una grafia, il tipo di inchiostro utilizzato, l'epoca ed il tipo della carta sui cui e' vergato un testo; ecc.). La diffusione dei casi in cui l'A.G. abbia necessita' di ricorrere all'opera di ausiliari, ed in particolare di periti, e' infatti divenuta particolarmente considerevole parallelamente all'evolvere della tecnologia e delle scienze (che aumenta i casi in cui possa o debba farsi ricorso a valutazioni scientifiche o tecniche nella acquisizione e valutazione della prova) e dei fenomeni sociali legati all'accentuazione dei movimenti transazionali di merci e persone (che, ad es., comporta un crescente bisogno di ricorrere ad interpreti e traduttori), nonche' alla stesse caratteristiche del nuovo codice di procedura penale che, accentrando nel dibattimento la formazione della prova, comporta frequentemente la necessita' di reiterare in contraddittorio tra le parti - cui spetta anche la facolta' di nominare cc.tt. ex art. 225 cpp, facolta' che, ai sensi dell'art. 233 cpp, possono esercitare anche fuori dei casi di perizia - quegli accertamenti tecnici che, col vecchio rito, erano spessi limitati alla sola fase di indagine, e che, per il regime di incompatibilita' previsto dagli artt. 144, comma 1, lett. d) e 222, lett. d) ed e) cpp, non possono, nel giudizio, essere affidati agli stessi soggetti che gia' li abbiano eseguiti nella fase delle indagini. Si sono cosi moltiplicati enormemente sia i casi in cui e' necessario ricorrere all'opera di un esperto, sia - anche per effetto del meccanismo delle incompatibilita' - il numero degli esperti cui e' necessario ricorrere nell'ambito dello stesso processo; conseguentemente, il numero di uffici legalmente dovuti - che si riversa e concentra sulla platea dei soggetti iscritti negli appositi Albi cui e' possibile rivolgersi ex art. 221 cpp - e' enormemente aumentato, al punto che molti di loro ne traggono notevoli limitazioni alle possibilita' di esercizio di una normale attivita' lavorativa, e conseguentemente la prestazione di attivita' specialistiche per conto dell'A.G. ha spesso assunto le caratteristiche di un'attivita' stabile o comunque di notevole rilevanza nell'ambito della propria attivita' lavorativa (evoluzione favorita anche dal concentrarsi di taluni incarichi su di una cerchia ristretta di soggetti, a causa del carattere fiduciario che, specie in materia penale, detti incarichi talora assumono in relazione alla loro delicatezza: si pensi ad es. alle ragioni di riservatezza ed affidabilita' inerenti ai compiti di traduzione in italiano di intercettazioni in corso di conversazioni in lingua straniera proprie di comunita' piccole e coese ed in cui una eventuale fuga di notizie avrebbe effetti di immediata compromissione delle indagini). Appaiono quindi superati, dall'evoluzione storica e processuale, gli argomenti spesi dalla Corte costituzionale con le citate sentenze nn. 88 del 1970 e n. 412/1996, allorche' affermava che "il lavoro svolto dai consulenti tecnici d'ufficio non si presta a rientrare in uno schema che involga un necessario e logico confronto tra prestazioni e retribuzione e quindi un qualsiasi giudizio sull'adeguatezza e sufficienza di quest'ultima. Ed in secondo luogo, perche' non c'e' modo di valutare in che misura quel lavoro giochi nella complessiva attivita' di coloro che in concreto lo svolgono e come compensi per le relative operazioni (a parte l'impossibilita' o difficolta' di coglierne la totale entita') concorrano alla formazione dell'intero reddito professionale del singolo prestatore": cio' che oggi accade e' infatti che la quantita' di impegno continuamente richiesto agli iscritti negli albi dei periti e traduttori e' tale da assumere le specifiche caratteristiche di un'attivita' lavorativa se non prevalente, comunque tale da incidere notevolmente sulla loro possibilita' di dedicarsi in maniera proficua e redditizia - in maniera tale da garantire loro il diritto ad un'esistenza dignitosa ai sensi dell'art. 36 della Costituzione - ad altre attivita'. A tali soggetti, pertanto, appare necessario che le indennita' previste per gli ausiliari del giudice assumano un valore economico adeguato ai fini di cui all'art. 36 Cost.: ed in cio' appare risiedere la ragione del riferimento, operato dall'art. 50, comma 2, dpr 115/02, alle tariffe professionali, e la previsione di adeguamenti periodici in relazione all'andamento del tasso di inflazione. A conferma della natura tutt'altro che peregrina del richiamo agli artt. 35 e 36 Cost. come norme poste a tutela dell'opera del perito e della sua retribuzione, deve poi richiamarsi l'ordinanza n. 306/2012 della Corte costituzionale che, pur dichiarando manifestamente infondata la questione relativa alla incostituzionalita' dell'art. 71, dpr 115/02 (norma che prevede il brevissimo termine di decadenza di 100 giorni per la presentazione della richiesta di liquidazione da parte del perito), nel ricordare che "questa Corte ha piu' volte ribadito la ampia discrezionalita' di cui gode il legislatore nel fissare termini temporali per l'esercizio dei diritti, anche laddove essi siano, come nel caso del diritto alla retribuzione per il lavoro prestato, sorretti da garanzia costituzionale (sentenza n. 192 del 2005), col solo limite che siffatto termine venga determinato in modo tale da non rendere effettivo (ordinanza n. 166 del 2006) o comunque oltremodo difficoltoso (ordinanza n. 382 del 2005) l'esercizio del diritto cui esso si riferisce", ha significativamente evocato un collegamento assimilativo tra prestazione peritale e prestazione lavorativa. Tanto premesso, ed a conferma di come peraltro il DPR 115/02 intenda assegnare un effettivo valore economico all'indennita' prevista per l'ausiliario del giudice, che consenta di ritenere rispettato l'art. 36 Cost., occorre altresi' ricordare come, ai sensi dell'art. 54, del DPR 115/02, le tabelle recanti i compensi per i periti avrebbero dovuto essere adeguate alle variazioni dell'indice dei prezzi al consumo, accertata dall'ISTAT, ogni tre anni; e tanto non e' mai accaduto, sebbene scopo della norma fosse, con tutta evidenza, quello di assicurare al perito un compenso adeguato alla propria prestazione anche in relazione al manifestarsi dei fenomeni inflattivi, comuni nel tempo. B.4 Violazione dell'art. 3 della Costituzione. Il mancato adeguamento dei valori previsti dall'art. 4, della legge n. 319/1980 e dal citato DM ha in primo luogo posto in grave tensione con i ricordati principi costituzionali il sistema della liquidazione a vacazione che, allo stato, si risolve in una retribuzione oraria lorda pari a € 4,075 per le vacazioni successive alla prima: retribuzione assolutamente incongrua e largamente inferiore a quella corrisposta per la maggior parte dei lavori manovali o comunque non qualificati, ma da applicarsi anche a prestazioni peritali richiedenti il possesso di elevate competenze tecnico professionali, laddove non specificamente tabellate dal citato DM. 30 maggio 2002; di talche' e' evidente il contrasto di tale disciplina secondaria con i principi costituzionali espressi dagli artt. 35 e 36 Cost. Anche sotto altro profilo, peraltro, si evidenzia come l'attuale sistema delle vacazioni previsto dall'art. 4, della legge n. 319/1980 e dal citato DM 30 maggio 2002 si' ponga in contrasto con i principi costituzionali, ed in particolar modo con l'art. 3 Cost.: e cio' non solo perche' chi veda remunerata la propria prestazione secondo criteri di mercato guadagni oggi infinitamente di piu' di quanto garantito, a parita' di prestazione, dal sistema delle vacazioni; ma anche perche' detto sistema non e' affatto uguale per tutti, atteso che, con D.M. 2 agosto 2013, n. 106, si e' proceduto a prevedere un sistema in cui la vacazione non e' bioraria, ma oraria, e dell'importo pari ad € 100,00 (cfr. art. 3 del D.M. citato, nella parte in cui prevede che, dopo il capo V del decreto del Ministro della giustizia 20 luglio 2012, n. 140, sia inserito un capo V ter che, introducendo gli artt. 39 quater comma 3 e 39 quinquies, prevede un sistema di vacazioni orarie per importi da 200 a 400 euro, ridotti ad una forbice da 100 a 300 per gli attuari juniores. Orbene, pur volendo riconoscere le specificita' professionali ed intellettuali proprie di tali categorie di professionisti, rimane che il sistema delle vacazioni come delineato dall'art. 4, legge n. 319/1980 e dal D.M. 30 maggio 2002 - applicabile anche ad attivita' tecniche ed intellettuali specialistiche quali quelle ad es. del perito grafologico, del perito fonico, del traduttore ed interprete, ed ad altre categorie professionali chiamate ad accertamenti non riportabili neanche per analogia al sistema tabellare di cui al D.M. 30 maggio 2002 - appaia del tutto inadeguato a garantire sia il rispetto degli artt. 35 e 36 Cost. che dell'art. 3 Cost., senza che peraltro il meccanismo risolutore sia agevolmente rinvenibile nello strumento della disapplicazione del D.M. 30 maggio 1980 da parte dell'A.G. ai sensi degli artt. 4 e 5 del n. 2248/1865, allegato E) (per il rilevato contrasto con le menzionate norme di legge costituzionale), atteso che la disapplicazione: 1) non potrebbe operare nei confronti dell'art. 4, della legge n. 319/1980, che e' norma di legge pur avente il proprio contenuto coincidente con quello del suddetto D.M.; 2) lascerebbe peraltro il Giudice nella difficolta' di determinare l'importo da liquidarsi, atteso che la norma di legge speciale (art. 50, DPR 115/02) rinvia all'uopo a decreti ministeriali vincolando cosi' il giudice ad essi, e potendo pertanto dubitarsi che questi possa far ricorso all'art. 2225 c.c. per determinare l'entita' del corrispettivo spettante al perito; peraltro, anche ove si intendesse ricorrere all'istituto della disapplicazione del sistema delle vacazioni, ed all'applicazione dell'art. 2225 c.c., non per questo si potrebbero ritenere risolti i problemi di costituzionalita' del sistema di norme che presiede alla liquidazione dei compensi ed indennita' spettanti ai periti ed agli ausiliari del giudice in genere, per effetto della notevole incidenza che, sul compenso determinato ai sensi dell'art. 2225 c.c., avrebbe ad avere il disposto dell'art. 106 bis, dpr 115/02. Concludendo, quand'anche si ritenesse che, disapplicando il D.M. 30 maggio 2002, il Giudice fosse legittimato a determinare l'entita' del compenso spettante al perito alla stregua dell'art. 2225 c.c., residuerebbe che tale sistema comunque, per effetto della necessaria applicazione dell'art. 106 bis, dpr 115/02, verrebbe comunque ad atteggiarsi in violazione dei principi costituzionali di cui agli artt. 3, 35, 36 e 53 Cost. Deve poi altresi' rilevarsi come la disciplina attualmente vigente, prevedendo un sistema di remunerazioni non solo inadeguato, ma addirittura mortificante delle professionalita' implicate nei compiti di ausilio al giudice, ed in ultimo della stessa dignita' professionale degli ausiliari, rende anche difficoltoso lo spedito procedere dell'amministrazione della giustizia, demotivando fortemente i cittadini chiamati ad adempiere l'ufficio di ausiliario del giudice ad accettare l'incarico, ed anzi spingendoli a rifiutarlo con le piu' varie scuse (e quindi costringendo il Tribunale a ripetute nomine, talora con necessita' di rinvii di udienze gia' fissate), od ad indicare un numero di vacazioni infedele al fine di assicurare la remunerativita' della loro opera; il Giudice viene cosi' impegnato anche dalla necessita' di verifiche spesso di difficile vaglio, ed ulteriori rispetto a quanto sarebbe necessario in un sistema retto da principi di equita' e giustizia che, invece, favorirebbe un comportamento leale da parte dei cittadini chiamati all'ufficio di ausiliari del Giudice. La disciplina attualmente vigente complica poi il funzionamento del sistema giustizia anche a causa della sua intrinseca natura criminogena, in quanto - come accennato - sollecita il privato ad indurre il Giudice al compimento di atti di liquidazione illecita perche' contra ius ed in violazione di norme di legge o regolamento. Concludendo, l'attuale sistema comporta quindi inceppi e ritardi nel funzionamento della giustizia ponendo anche in pericolo il rispetto del principio della ragionevole durata del processo, pur se non puo' affermarsi che detta normativa sia di per se' in contrasto con tale principio; ma tanto si rileva solo per meglio esemplificare l'irragionevolezza "di sistema" dell'attuale assetto normativo, che non appare trovare alcun fondamento in principi superiori che ne possano giustificare il mantenimento. B.5 Contrasto con l'art. 53 Cost. Su tale complessivo impianto, gia' fortemente deficitario di legalita' costituzionale, viene poi, come detto, ad inserirsi, da ultimo, l'art. 1, comma 606, legge n. 147/2013 che, col dichiarato scopo di operare risparmi di bilancio, ne scarica l'onere sulle categorie chiamate a svolgere l'ufficio di ausiliario del giudice, invece di ricorrere alla leva fiscale, nonostante le finalita' latu senso tributarie, perche' mirate all'equilibrio di bilancio, chiaramente perseguite dalla norma in oggetto: di talche', la disposizione di cui all'art. 106 bis, dpr 115/02 appare porsi in contrasto anche con l'art. 53 Cost., in quanto mirato a perseguire finalita' di bilancio scaricandone, almeno in parte, il costo solo su alcune categorie di lavoratori e senza alcun riguardo alla loro concreta capacita' contributiva. Poiche' per decidere l'entita' dell'onorario da riconoscersi al legale istante questa A.G. e' tenuta ad applicare il menzionato art. 106 bis, dpr 115/02, come introdotto dall'art. 1, comma 606, della legge n. 147/2013, che nella sua cogente letteralita' non appare suscettibile di interpretazione costituzionalmente orientata, la questione di costituzionalita' che si va a proporre appare assolutamente rilevante ai fini della decisione, e deve pertanto necessariamente essere sollevata.