IL TRIBUNALE ORDINARIO DI LECCE 
                       (Sezione Prima Penale) 
 
    Riunito  in  camera  di  consiglio  nelle  persone  dei   signori
Magistrati: 
      dott. Stefano Sernia - Presidente rel.; 
      dott. Silvia Minerva - Giudice; 
      dott. Maddalena Torelli Giudice. 
    Decidendo in ordine alla istanza  di  liquidazione  del  compenso
all'interprete dott.ssa Sale Sandy, da  questo  Tribunale  incaricata
della traduzione in lingua portoghese di una richiesta di  assistenza
giudiziaria  per  la   ricerca   e   citazione   di   una   testimone
verosimilmente  residente  in  Brasile,  da  inoltrare,  a  cura  del
Ministero della  Giustizia,  alla  competente  Autorita'  Giudiziaria
della Repubblica  federale  del  Brasile,  nell'ambito  del  processo
pendente nei confronti della cittadina brasiliana S. D. L. S e C., ha
pronunziato la seguente ordinanza. 
    Il  tribunale  deve  procedere  alla  liquidazione  del  compenso
all'interprete, che ha proceduto, su disposizione adottata in data  8
aprile 2014 da questo Tribunale, alla traduzione di una richiesta  di
assistenza  giudiziaria  destinata   ad   autorita'   giurisdizionale
straniera; su richiesta del Ministero della Giustizia, si  e'  quindi
successivamente provveduto ad affidare a detto  interprete  anche  la
traduzione della  citazione  del  teste,  compito  cui  l'interprete,
sig.ra  Sale  Sandy,  ha  provveduto  in   data   16   maggio   2014,
contestualmente depositando anche  richiesta  di  liquidazione  delle
proprie spettanze in relazione ai due distinti incarichi ricevuti. 
    A. La normativa vigente in tema di liquidazione dei compensi agli
interpreti. 
    a.1 La legge n. 319/1980, l'art. 50, D.P.R. 115/02. 
    La  materia  dei  compensi  agli   ausiliari   del   giudice   e'
disciplinata in via generale dall'art. 4, della legge n.  319/1980  e
dall'art. 50, del D.P.R. 115/02, che rimanda a  decreti  ministeriali
per la determinazione della misura degli onorari, secondo tabelle  da
adottarsi avendo a riferimento le  tariffe  professionali  esistenti,
contemperate con la  natura  pubblicistica  dell'incarico  (art.  50,
comma 2, DPR 115/02), ammettendosi altresi' il ricorso  a  onorari  a
tempo (art. 50, comma 3, DPR citato); piu' specificamente in  materia
di liquidazione del compenso a periti, consulenti tecnici, interpreti
e traduttori, l'art. 4, della legge n. 319/1980 stabilisce  l'entita'
delle unita' temporali (denominate vacazioni e consistenti di due ore
ciascuna) e del compenso spettante per ciascuna di esse (€ 14,68  per
la prima, € 8,15 per  le  successive),  prevedendo  altresi'  che  il
ricorso alla liquidazione per vacazioni sia la norma in  relazione  a
tutte le attivita' per le quali non sia  previsto  tabellarmente  uno
specifico tariffario con decreto ministeriale. 
    a.2 Il decreto ministeriale 30 maggio 2002. 
    Di fatto, la  norma  secondaria  di  principale  applicazione  e'
quella data dal decreto ministeriale 30 maggio 2002 che  si  compone,
idealmente, di due parti: una, consistente in una tabella che prevede
compensi, determinabili dal giudice  tra  un  minimo  ed  un  massimo
prefissati, in relazione a specifiche e tipizzate attivita'; l'altra,
a carattere residuale, che,  integrando  l'art.  4,  della  legge  n.
319/1980, stabilisce il corrispettivo pecuniario per ogni  vacazione,
nella misura che si e' detto. 
    L'attivita' dell'interprete non rientra  tra  quelle  oggetto  di
specifica previsione tabellare nella  tabella  allegata  al  D.M.  30
maggio 2002, sicche', ai sensi dell'art. 4, della legge n. 319/1980 e
dell'art. 1  di  detto  D.M.,  occorre  ricorrere  al  sistema  della
liquidazione a vacazione. 
  a.2.a L'onorario liquidabile ai sensi della  normativa  antecedente
la legge n. 147/2013. 
    Va quindi osservato che  si  e'  trattato  di  compito  di  media
difficolta' (ognuno dei due atti tradotti consta di una sola  pagina;
il testo del primo e' di circa una trentina di righe,  il  testo  del
secondo  di  una  quindicina);  puo'  pertanto  ipotizzarsi  che   la
traduzione di ognuno dei due scritti abbia richiesto una vacazione, e
che possano liquidarsi al massimo, per ciascuno  dei  due  incarichi,
ulteriori due vacazioni (cosi' giungendosi all'importo di € 30,98 per
ognuno), in relazione ai tempi  di  attesa  in  Cancelleria  (essendo
scarso il personale e spesso impegnato in compiti di'  assistenza  al
Giudice in udienza) e percorrenza per ricevere  l'incarico,  ritirare
il provvedimento da tradurre e di  poi  tornare  in  Cancelleria  per
depositarne la traduzione scritta: attivita' che il perito ha  dovuto
compiere per poter assolvere all'incarico affidatole, e che quindi si
ritiene debbano essere anch'esse remunerate, atteso  che  l'art.  29,
del DM 30 maggio 2002 (che prevede la non separabile  remunerabilita'
dei tempi impiegati per l'accesso agli uffici giudiziari,  stabilendo
che "tutti gli onorari, ove non diversamente stabilito dalle presenti
tabelle, sono comprensivi della relazione sui risultati dell'incarico
espletato, della partecipazione all'udienza e di ogni altra attivita'
concernente i quesiti") si applica solo agli  onorari  specificamente
tabellati, e non a quelli da remunerarsi a vacazione. 
    Si tratta quindi, complessivamente, di euro 61,96  da  liquidarsi
all'interprete ai sensi della  disciplina  data  dall'art.  4,  della
legge n. 319/80 e dal D.M. 30 maggio 2012. 
  a.3 L'art. 106 bis, DPR 115/02, introdotto dall'art. 1, comma  606,
legge n. 147/2013. 
    Va quindi rilevato che detta somma va  ulteriormente  ridotta  di
1/3 e portata quindi ad € 41,30;  sulla  disciplina  sopra  descritta
opera infatti, con  effetti  sensibilmente  riduttivi  degli  importi
(gia' piuttosto modesti) da  liquidarsi,  l'art.  106  bis,  del  DPR
115/02, introdotto dal comma 606, lett. b), dell'art. 1, della  legge
n. 147/2013, c.d. "legge stabilita'" per  il  2014,  che  prevede  la
riduzione di 1/3 degli onorari spettanti ai difensori, ai custodi, ai
consulenti nominati dal Giudice e dalle parti ed agli altri ausiliari
del giudice. 
    Ed invero, sebbene la nuova norma si venga a porre nel capo V del
dpr 115/02, specificamente dedicato ai  "difensori,  investigatori  e
consulenti tecnici di parte", il testo del  novello  articolo  appare
inequivoco nel riferirsi  anche  alle  liquidazioni  da  operarsi  in
favore degli ausiliari del giudice; la norma  appare  pertanto  avere
portata generale, sia nel senso che si applichi  anche  a  tutti  gli
ausiliari del giudice, ivi compresi i periti, sia nel  senso  che  si
applichi anche nei giudizi in cui  non  vi  e'  stata  ammissione  al
patrocinio a spese dello Stato, non avendo senso  ipotizzare  che  il
legislatore abbia voluto introdurre  una  disposizione  che  comporti
un'ingiustificata disparita' di trattamento economico dell'ausiliario
per fatto assolutamente indipendente dalla sua volonta' e ininfluente
sulle caratteristiche della sua prestazione, e cioe' essere  stata  o
meno una delle parti ammessa al patrocinio a spese dello Stato. 
    Ne' la riduzione di  1/3,  introdotta  dalla  norma  in  oggetto,
appare  agevolmente  giustificabile  con  la   natura   pubblicistica
dell'incarico, atteso che la decurtazione  introdotta  dall'art.  106
bis. dpr 115/02 va ad operare su di un  sistema  tariffario  che,  ai
sensi dell'art. 50  dpr  medesimo,  gia'  e'  impostato  con  decreti
ministeriali  che  mitighino  l'onere  dei  tariffari   professionali
contemperandoli con la suddetta  natura  pubblicistica  dell'incarico
pervenendo, specie per le prestazioni non espressamente tabellate  ed
in relazione alle quali occorre ricorrere ad un sistema  a  vacazioni
(unita'  biorarie  di  attivita'   lavorativa   del   perito),   alla
determinazione di un impianto indennitario  di  modestissima  entita'
economica, che retribuisce le vacazioni successive alla prima con  un
importo lordo pari a circa 4,075 euro l'ora. 
    Di fatto, su di una retribuzione oraria  media  pari  a  circa  4
euro, occorre quindi operare un'ulteriore riduzione di un terzo, cosi
potendosi assegnare  all'interprete,  nel  presente  procedimento  di
liquidazione ed allo stato della vigente normativa, solo € 41,30. 
B. Il contrasto di tale  normativa,  primaria  e  secondaria,  con  i
principi costituzionali di cui agli  artt.  3,  35,  36  e  53  della
Costituzione. 
    A parere del Tribunale, appare non  manifestamente  infondata  la
questione di legittimita' costituzionale  -  per  contrasto  con  gli
artt. 35, 36, 3 e 53 della Costituzione  -  dell'attuale  disciplina,
sia nella parte in cui ai sensi della  legge  n.  319/80  prevede  un
corrispettivo irrisorio - e tale da non poter  svolgere  neanche  una
funzione indennitaria - per le attivita' svolte dagli  ausiliari  del
giudice, sia nella parte in cui il citato art. 106  bis,  dpr  115/02
prevede l'applicazione del nuovo tariffario - come  risultante  dalla
riduzione di 1/3 degli onorari risultanti dalla previgente disciplina
- non  solo  in  relazione  alla  prestazioni'  peritali  oggetto  di
specifica   previsione   tabellare,   ma   anche   alle   prestazioni
professionali liquidate in  base  al  sistema  delle  vacazioni  come
delineato dall'art. 4, della legge n. 319/1980 e dal citato  D.M.  30
maggio 2002. 
    Va in primo luogo ritenuta la natura di  decisione,  a  carattere
giurisdizionale,  del  provvedimento  di  liquidazione  del  compenso
dell'ausiliario emesso dal Giudice, come gia'  ritenuto  dalla  Corte
costituzionale con la sentenza n.  88  del  1970;  ne  consegue  che,
nonostante  la   apparente   natura   amministrativa   dell'atto   di
liquidazione,  appartenendo  pero'  questo  pur  sempre  al   giudice
nell'esercizio delle sue funzioni giurisdizionali,  tanto  da  essere
previsto gia' dall'art.  232  del  cpp,  esso  ha  legalmente  natura
giurisdizionale, e l'autorita' che e' chiamato ad emetterlo e' quindi
"Giudice" nel senso previsto dall'art. 1, della legge Cost. n. 1  del
1948, sicche' la  questione  di  costituzionalita'  delle  leggi  che
disciplinano l'atto di liquidazione e'  conseguentemente  sollevabile
d'ufficio dal Giudice ai sensi del citato. 1 della L. Cost. n. 1  del
1948. 
    La previsione di compensi particolarmente modesti,  assolutamente
e notevolmente inferiori a quelli previsti per qualsiasi  prestazione
lavorativa, anche la piu' umile e meno qualificata, anche nel caso di
imposizione di  prestazioni  peritali  gravose,  che  spesso  rendono
difficoltoso all'ausiliario dedicarsi alle  sue  ordinarie  attivita'
lavorative, appare porsi in primo luogo in contrasto con  i  principi
costituzionali in tema di tutela del lavoro e  di  equa  ed  adeguata
retribuzione delle prestazioni lavorative, senza che appaia legittimo
trarre nella natura  pubblicistica  dell'ufficio  di  ausiliario  del
giudice, neanche alla luce dei principi di cui  agli  artt.  2  e  23
Cost.,  giustificazioni  ad  un  trattamento  economico   pressocche'
simbolico, che realizza una disparita' di trattamento, rispetto a chi
presti le medesime attivita' a condizioni di mercato, troppo  marcata
per essere giustificata dalla natura  pubblicistica  dell'incarico  e
dall'adempimento di doveri di solidarieta' sociale. 
  B.1 I limiti costituzionali  alla  pretensibilita'  di  prestazioni
patrimoniali o personali ai sensi degli artt. 2 e 23 Cost. 
    Invero, occorre in primo luogo ricordare che l'interprete  ed  il
perito hanno l'obbligo giuridico (artt. 143, comma 4 e  221  comma  3
cpp), sotto pena di legge in caso  di  rifiuto  (art.  366  c.p.)  di
prestare la propria opera, che ha - da un punto di vista oggettivo ed
ontologico - indubbiamente  natura  lavorativa,  in  quanto  comporta
l'esplicazione  di  energie  intellettuali  e/o  fisiche  esattamente
corrispondenti a quelle oggetto delle attivita' di specifiche  figure
professionali normalmente operanti nel mercato del lavoro; il  perito
peraltro puo' rinunziare all'incarico solo per  giustificato  motivo,
laddove in tale concetto senz'altro non puo' farsi rientrare  in  via
generale l'inadeguatezza o non convenienza  dell'indennita'  prevista
dalla legge, atteso che  questa  e'  fissata  con  norma  generale  e
fonderebbe quindi per ogni perito un motivo atto  a  giustificare  il
rifiuto o la rinunzia all'ufficio: il che e' contraddittorio  con  la
natura dell'istituto, con l'obbligatorieta' dell'ufficio,  e  con  la
evidente natura straordinaria dei casi in cui  all'ufficio  si  possa
rinunziare. 
    Gli artt. 143 e 221 cpp prevedono  pertanto  ipotesi  in  cui  il
giudice impone a  determinati  soggetto  l'obbligo  di  eseguire  una
prestazione lavorativa, al di fuori di un rapporto contrattuale,  con
controprestazione    predeterminata    normativamente    in    misura
sostanzialmente indennitaria, poiche' ex art. 50, dpr 115/02 (e delle
previdenti norme considerate dalla Corte  costituzionale  nelle  gia'
citate sentenze) le  tariffe  professionali,  cui  pure  occorre  far
riferimento, devono essere contemperate con la  natura  pubblicistica
dell'incarico. 
    La fonte della legittimita'  costituzionale  di  tale  disciplina
riposa nell'art. 23 Cost. che ammette che la legge possa imporre  una
prestazione personale, oltre che patrimoniale; e nell'art.  2  Cost.,
che chiama i cittadini all'adempimento  dei  doveri  di  solidarieta'
sociale, nel cui ambito possono senz'altro farsi rientrare le ipotesi
di occasionale in forza di un obbligo scaturente dalla legge. 
    Sebbene non espressamente previsto dalla due norme teste' citate,
deve ritenersi che nell'impianto costituzionale sia  comunque  insito
un limite di ragionevolezza alle prestazioni che possono richiedersi. 
    Lo si evince dal rispetto che la carta Costituzionale  assegna  e
riconosce alla persona umana ed ai suoi diritti  inviolabili,  tra  i
quali senz'altro rientra - aspetto generale dei diritti  di  liberta'
personale - quello di scegliere come disporre del proprio tempo ed il
diritto a non essere assoggettati, neppure ad opera  dello  Stato,  a
forme di sfruttamento della propria opera  lavorativa  (cfr.  proprio
l'art. 2  Cost.;  ma  anche  l'art.  36  Cost.  nella  parte  in  cui
riconoscendo i diritto alle ferie retribuite ed ad un orario  massimo
di lavoro, tutela anche il diritto al tempo  libero);  lo  si  evince
dalla principale norma in tema di prestazioni patrimoniali, l'art. 53
Cost. commisurando i doveri fiscali alla capacita'  contributiva;  lo
si  evince  dalla   tutela   accordata   alla   proprieta'   privata,
espropriabile - giusta la previsione di  cui  all'art.  42,  comma  3
Cost. - solo per ragioni di pubblico interesse e  dietro  indennizzo:
indennizzo che, nella giurisprudenza della Corte costituzionale, deve
avere  le  caratteristiche  di  un  serio   ristoro   della   perdita
patrimoniale subita, e non un carattere irrisorio o simbolico  (cfr.,
ad es., la sentenza n. 38/2011 della Corte costituzionale). 
    Invero, gli artt. 2 e 23 Cost., pur legittimando i casi in cui al
cittadino la legge richieda l'adempimento di doveri di  solidarieta',
e finanche la corresponsione  di  prestazioni  di  natura  personale,
vivono pur sempre nel contesto di altri principi  costituzionali  coi
quali vanno coordinati, ed in primis gli artt. 35, 36 e 3 Cost.,  che
impongono dei limiti al  sacrificio  che  la  legge  ordinaria  possa
imporre al cittadino: limiti che sono sia  di  ragionevolezza  -  per
evitare marcate situazioni di disparita'  di  trattamento  con  altri
cittadini lavoratori chiamati a rendere prestazioni analoghe - che di
entita' economica, per evitare che  una  prestazione  lavorativa  sia
retribuita  in  maniera  tale  da  mortificare  la  sua   natura   di
riconoscimento del valore della prestazione lavorativa e di strumento
di dignitoso sostentamento dell'individuo e della sua famiglia. 
    Tanto premesso, va invece rilevato che la vigente disciplina  del
trattamento economico degli ausiliari  del  giudice  vede  periti  ed
interpreti, in relazione ad un ufficio  al  quale  sono  chiamati  in
adempimento di doveri sociali ed al quale non  possono  sottrarsi  se
non per giustificato motivo (e  senz'altro  non  per  ragioni  legate
esclusivamente alla  scarsa  remunerazione  dell'incarico),  ricevere
emolumenti che appaiono essere assolutamente inidonei a garantire  il
rispetto del principio di ragionevolezza che deve mitigare l'onere ad
essi  imposto,  e  inadatti  a  fungere  da  serio  ristoro  rispetto
all'impegno loro richiesto ed  alla  vera  e  propria  espropriazione
delle loro energie lavorative e del loro tempo. 
  B.2 La violazione dell'art. 35 Cost. 
    Di fatto,  l'attuale  normativa  crea  una  classe  di  operatori
economici che, in virtu'  del  possesso  di  determinate  qualifiche,
strumentali agli accertamenti giudiziali, e' soggetto per legge ad un
palese sfruttamento economico, ad opera dello Stato che  invece,  per
primo e' chiamato dalla Costituzione a realizzare  le  condizioni  di
eguaglianza tra i cittadini ed ad assicurare la congrua  retribuzione
del lavoro; per contro, la frequenza con cui l'A.G. ha necessita'  di
ricorrere all'opera di ausiliari (come piu' ampiamente si  osservera'
anche sub paragrafo B.3.b) mal retribuiti,  appare  porsi  in  palese
contrasto con l'art. 35 Cost., che impone allo Stato di  tutelare  il
lavoro, mentre invece lo sfrutta, e rende difficoltoso all'ausiliario
anche dedicarsi ad altre attivita' (si pensi al caso, tutt'altro  che
raro, di perizie molto impegnative). 
    Gli emolumenti o indennita' spettanti per  l'assolvimento  di  un
ufficio pubblico, sono infatti  sottoposti  in  primo  luogo  ad  una
retribuzione  gia'  di  per  se'  estremamente  modesta,  e  tale  da
realizzare  un'evidente  disparita'  di  trattamento  non  solo   con
attivita' dello stesso  genere  svolte  in  regime  professionale  di
libero  mercato,  ma  addirittura  anche  largamente  inferiore  alla
retribuzione oraria notoriamente  prevista  per  qualsiasi  attivita'
lavorativa anche di mero carattere manuale e non  richiedente  alcuna
specializzazione. 
    Inoltre, tali modestissimi ed insufficienti emolumenti  sono  poi
anche sottoposti a rilevante decurtazione ex art. 106 bis, dpr 115/02
per  fatti  assolutamente   indipendenti   da   alcun   comportamento
dell'ausiliario del giudice; e cio' nonostante che l'art.  50,  comma
2, dpr 115/02, prescrivesse che le tabelle dovessero  essere  redatte
con  riferimento  alla  tariffe  professionali  esistenti,   pur   se
contemperate  con  la  natura  pubblicistica   dell'incarico,   cosi'
evidenziando la consapevolezza del Legislatore  circa  la  necessita'
che, andando a retribuire una prestazione di attivita' oggettivamente
lavorativa,  dette  tabelle  non  potessero  porsi  in  irragionevole
contrasto con l'art. 36 della Costituzione, e  quindi  col  principio
della necessaria retribuzione  di  ogni  prestazione  lavorativa,  in
misura commisurata alla sua qualita' e quantita', pur  legittimandosi
un certo grado di scostamento dalla normale retribuzione, in  ragione
della natura pubblicistica dell'incarico, nella previsione  dell'art.
2 Cost. che,  imponendo  l'adempimento  dei  doveri  inderogabili  di
solidarieta' sociale, giustifica (con l'art. 23 Cost.) la doverosita'
dell'ufficio dell'ausiliario del giudice, e la  sua  retribuzione  in
maniera che possa discostarsi dalle tariffe legali o d'uso. 
  B.3 Incompatibilita' con l'art. 36 della Costituzione. 
    Ai sensi dell'art. 36 della  Costituzione,  alla  prestazione  di
ogni attivita' lavorativa deve corrispondere la controprestazione  di
una retribuzione: 
      a) proporzionata alla qualita' e quantita' del suo lavoro; 
      b) sufficiente  ad  assicurare  a  se'  ed  alla  sua  famiglia
un'esistenza libera e dignitosa. 
    Nessuna di tali condizioni appare assolta dalla vigente normativa
che, come visto, prevede una retribuzione  oraria  di  circa  4  euro
(enormemente inferiore a quella prevista  per  qualsiasi  prestazione
d'opera, anche manuale non qualificata), da ridursi ulteriormente  di
1/3. 
  B.3.a. La precedente giurisprudenza della Corte. 
    Tanto  premesso,  questo  Tribunale  non  ignora  che  la   Corte
costituzionale, con la sentenza n. 41 del  1996,  richiamando  quanto
gia' affermato con la sentenza n. 88 del 1970, ha gia'  affrontato  -
negandone la fondatezza - la questione della compatibilita' dell'art.
4, della legge n. 319/80 con l'art. 36 Cost. 
    In detta occasione la Corte ebbe ad affermare di aver gia'  avuto
occasione (sentenza n. 88 del 1970) di osservare che l'art. 36  della
Costituzione "e' male addotto, innanzitutto perche' il lavoro  svolto
dai consulenti tecnici d'ufficio non si presta  a  rientrare  in  uno
schema che involga un necessario e logico confronto tra prestazioni e
retribuzione  e  quindi  un  qualsiasi  giudizio  sull'adeguatezza  e
sufficienza di quest'ultima. Ed in secondo luogo,  perche'  non  c'e'
modo di valutare in che misura quel lavoro giochi  nella  complessiva
attivita' di coloro che in concreto lo svolgono e come i compensi per
le relative operazioni (a parte  l'impossibilita'  o  difficolta'  di
coglierne la totale entita') concorrano alla  formazione  dell'intero
reddito professionale del singolo prestatore". 
    Nella richiamata decisione la Corte conclude affermando che:  "La
situazione in cui si trovano i consulenti d'ufficio,  e  che  non  e'
dissimile da quella delle categorie dei periti,  degli  interpreti  e
dei traduttori, potrebbe anche apparire tale da suggerire  iniziative
o modifiche sul terreno legislativo nel rispetto  delle  esigenze  di
carattere  pubblico  e  privato  concorrenti  nello  svolgimento  del
processo civile. Ma essa non conduce, a proposito delle nonne che  la
comportano, ad alcuna violazione dell'art. 36, comma primo". 
    7. - Puo' solo aggiungersi che il riferimento fatto dall'art.  2,
della legge n. 319 del  1980  alle  tariffe  professionali  non  puo'
qualificarsi   come   rinvio   recettizio,   ma   rappresenta    solo
l'indicazione  di  un  possibile,   non   tassativo,   parametro   di
liquidazione, limitatamente comunque agli onorari fissi e variabili e
sempre con  il  contemperamento  dovuto  alla  "natura  pubblicistica
dell'incarico". 
    Conclusivamente, questa Corte non puo' non  rinnovare  l'auspicio
che - in attesa di nonne migliori - le autorita' indicate dalla legge
impugnata  provvedano  a  rispettare  le   scadenze   triennali   di'
adeguamento dei compensi dovuti in  base  alle  variazioni  accertate
dall'Istat." 
  B.3.1) Novita' normative e sociali - Le ragioni di  una  necessaria
rimeditazione della questione. 
    Ritiene tuttavia, il tribunale che, a  distanza  di  quasi  venti
anni dall'ultima di tali pronunzie (ed a piu'  di  40  dalla  prima),
possa e debba accedersi ad una rimeditazione della  costituzionalita'
della normativa citata, sia alla luce dell'art. 36  Cost.,  sia  alla
luce dell'art. 3 Cost., che qui si evoca sotto profili anche  diversi
da quelli  considerati  nella  predette  sentenze  della  Corte  (che
riguardavano principalmente il raffronto tra onorari  a  vacazione  e
onorari tabellari), essendo nel frattempo mutate alcune  delle  norme
di riferimento, entrato in vigore ed a pieno regime il  nuovo  codice
di  procedura  penale  che  -  esaltando  la  fase  dibattimentale  -
amplifica il numero dei casi in- cui occorre ricorrere  ad  ausiliari
come periti ed interpreti  (e  quindi  anche  l'impegno  richiesto  a
questi ultimi), e per contro perdurando la  ingiustificata  omissione
dei provvedimenti di adeguamento del corrispettivo delle vacazioni ai
meccanismi inflattivi; devono  inoltre  considerati  altresi'  taluni
spunti di riflessione rinvenibili anche nella  stessa  giurisprudenza
della stessa Corte costituzionale, sia possibile e doverosa. 
    Come si e' osservato, la Corte ha gia' affrontato, negandolo,  il
tema  della  riconducibilita'  dell'attivita'  prestata  dal   perito
all'art. 36 Cost.; ma lo ha fatto  con  due  sentenza  molto  datate,
l'una del 1970, l'altra del 1996, e quindi risalenti non solo ad  una
diversa epoca di' evoluzione del pensiero giuridico, ma anche ad  una
diversa realta' sociale e processuale, atteso  che  nel  1970  vigeva
ancora il vecchio codice di procedura penale, e nel 1996  questo  non
aveva ancora dieci anni di vita. 
    Invero, nel vigore del previgente codice di  procedura  penale  e
nei primi anni di applicazione di quello attualmente vigente;  e  nel
contesto di  fenomeni  migratori  piu'  modesti  di  quelli  attuali,
l'essere chiamati ad assolvere ad un pubblico ufficio peritale  o  di
interprete/traduttore  era  un'evenienza   del   tutto   isolata   ed
occasionale, e pertanto inidonea a tradursi in pesi gravosi a  carico
di una cerchia determinata di soggetti; l'assoluta sporadicita' della
necessita'  di  conferire  l'incarico  di  ausiliario  del   giudice,
permetteva che, ove distribuito su di un numero adeguato di soggetti,
esso non assumesse carattere di gravosita'. 
    Profondamente mutata la situazione attuale, in cui la  necessita'
di nominare ausiliari  quali  periti  o  interpreti  ha  oggi  invece
assunto (e tanto piu' assumera', per i compiti di  interpretariato  e
traduzione, alla stregua degli obblighi  di  traduzione  imposti  dal
decreto  legislativo  n.   32/2014)   una   notevolissima   frequenza
statistica, che comporta che numerosi soggetti, a  causa  delle  loro
specifiche competenze professionali,  siano  frequentemente  distolti
dalle  (ed  impediti  alle)  loro  ordinarie  occupazioni  lavorative
venendo chiamati ad assolvere l'ufficio di  perito.  Il  fenomeno  ha
dimensioni tali che non e' affatto raro che alcuni di  tali  soggetti
si siano  specificamente  attrezzati,  acquistando  macchinari  anche
sofisticati, per far fronte alle richieste della macchina giudiziaria
(si pensi ai periti fonici, chiamati a verificare  la  paternita'  di
una voce carpita in un'intercettazione; si pensi ai soggetti chiamati
a trascrivere intercettazioni in lingua straniera, specie nella  fase
delle indagini, in cui le necessita' di riservatezza connotano di  un
intuibile rapporto fiduciario la scelta  del  c.t.,  che  tendera'  a
ricadere su di un numero limitato di soggetti; si pensi,  ancora,  ai
periti   grafologi   chiamati   a   verificare   nel   dettaglio   le
caratteristiche di una grafia,  il  tipo  di  inchiostro  utilizzato,
l'epoca ed il tipo della carta sui cui e' vergato un testo; ecc.). 
    La  diffusione  dei  casi  in  cui  l'A.G.  abbia  necessita'  di
ricorrere all'opera di ausiliari, ed in  particolare  di  periti,  e'
infatti   divenuta   particolarmente   considerevole   parallelamente
all'evolvere della tecnologia e delle scienze (che aumenta i casi  in
cui possa o debba farsi ricorso a valutazioni scientifiche o tecniche
nella acquisizione e valutazione della prova) e dei fenomeni  sociali
legati all'accentuazione  dei  movimenti  transazionali  di  merci  e
persone (che, ad es., comporta un crescente bisogno di  ricorrere  ad
interpreti e traduttori), nonche'  alla  stesse  caratteristiche  del
nuovo codice di procedura penale che, accentrando nel dibattimento la
formazione della prova,  comporta  frequentemente  la  necessita'  di
reiterare in contraddittorio tra le  parti  -  cui  spetta  anche  la
facolta' di nominare cc.tt. ex art. 225 cpp, facolta' che,  ai  sensi
dell'art. 233 cpp, possono esercitare anche fuori dei casi di perizia
- quegli accertamenti tecnici che, col  vecchio  rito,  erano  spessi
limitati alla sola  fase  di  indagine,  e  che,  per  il  regime  di
incompatibilita' previsto dagli artt. 144, comma 1, lett. d)  e  222,
lett. d) ed e) cpp, non possono, nel giudizio, essere  affidati  agli
stessi soggetti  che  gia'  li  abbiano  eseguiti  nella  fase  delle
indagini. 
    Si sono cosi moltiplicati  enormemente  sia  i  casi  in  cui  e'
necessario ricorrere all'opera di un esperto, sia - anche per effetto
del meccanismo delle incompatibilita' - il numero degli  esperti  cui
e'  necessario   ricorrere   nell'ambito   dello   stesso   processo;
conseguentemente, il numero di uffici  legalmente  dovuti  -  che  si
riversa e concentra sulla platea dei soggetti iscritti negli appositi
Albi cui e' possibile rivolgersi ex art. 221  cpp  -  e'  enormemente
aumentato,  al  punto  che  molti  di  loro  ne   traggono   notevoli
limitazioni alle possibilita' di esercizio di una  normale  attivita'
lavorativa,  e   conseguentemente   la   prestazione   di   attivita'
specialistiche   per   conto   dell'A.G.   ha   spesso   assunto   le
caratteristiche  di  un'attivita'  stabile  o  comunque  di  notevole
rilevanza nell'ambito della propria attivita' lavorativa  (evoluzione
favorita anche dal concentrarsi di taluni incarichi su di una cerchia
ristretta di soggetti, a causa del carattere fiduciario  che,  specie
in materia penale, detti incarichi talora assumono in relazione  alla
loro delicatezza: si pensi ad es. alle  ragioni  di  riservatezza  ed
affidabilita' inerenti  ai  compiti  di  traduzione  in  italiano  di
intercettazioni in corso di conversazioni in lingua straniera proprie
di comunita' piccole e coese ed in cui una eventuale fuga di  notizie
avrebbe effetti di immediata compromissione delle indagini). 
    Appaiono quindi superati, dall'evoluzione storica e  processuale,
gli argomenti spesi dalla Corte costituzionale con le citate sentenze
nn. 88 del 1970 e n. 412/1996, allorche'  affermava  che  "il  lavoro
svolto dai consulenti tecnici d'ufficio non si presta a rientrare  in
uno  schema  che  involga  un  necessario  e  logico  confronto   tra
prestazioni  e  retribuzione   e   quindi   un   qualsiasi   giudizio
sull'adeguatezza e sufficienza di quest'ultima. Ed in secondo  luogo,
perche' non c'e' modo di valutare in che misura  quel  lavoro  giochi
nella complessiva attivita' di coloro che in concreto lo  svolgono  e
come compensi per le relative operazioni (a parte l'impossibilita'  o
difficolta'  di  coglierne  la  totale   entita')   concorrano   alla
formazione dell'intero reddito professionale del singolo prestatore":
cio'  che  oggi  accade  e'  infatti  che  la  quantita'  di  impegno
continuamente  richiesto  agli  iscritti  negli  albi  dei  periti  e
traduttori e' tale  da  assumere  le  specifiche  caratteristiche  di
un'attivita' lavorativa se non prevalente, comunque tale da  incidere
notevolmente sulla loro possibilita' di dedicarsi in maniera proficua
e redditizia - in maniera  tale  da  garantire  loro  il  diritto  ad
un'esistenza dignitosa ai sensi dell'art. 36 della Costituzione -  ad
altre attivita'. 
    A tali soggetti, pertanto, appare necessario  che  le  indennita'
previste per gli ausiliari del giudice assumano un  valore  economico
adeguato ai fini  di  cui  all'art.  36  Cost.:  ed  in  cio'  appare
risiedere la ragione del riferimento, operato dall'art. 50, comma  2,
dpr  115/02,  alle  tariffe  professionali,  e   la   previsione   di
adeguamenti  periodici  in  relazione  all'andamento  del  tasso   di
inflazione. 
    A conferma della natura tutt'altro  che  peregrina  del  richiamo
agli artt. 35 e 36 Cost. come norme poste  a  tutela  dell'opera  del
perito e della sua retribuzione, deve poi richiamarsi l'ordinanza  n.
306/2012   della   Corte   costituzionale   che,   pur    dichiarando
manifestamente    infondata    la     questione     relativa     alla
incostituzionalita' dell'art. 71, dpr 115/02 (norma  che  prevede  il
brevissimo termine di decadenza di 100 giorni  per  la  presentazione
della richiesta di liquidazione da parte del perito),  nel  ricordare
che "questa Corte ha piu' volte ribadito la ampia discrezionalita' di
cui gode il legislatore nel fissare termini temporali per l'esercizio
dei diritti, anche laddove essi siano, come nel caso del diritto alla
retribuzione  per  il   lavoro   prestato,   sorretti   da   garanzia
costituzionale (sentenza n.  192  del  2005),  col  solo  limite  che
siffatto termine venga  determinato  in  modo  tale  da  non  rendere
effettivo  (ordinanza  n.  166  del  2006)   o   comunque   oltremodo
difficoltoso (ordinanza n. 382 del 2005) l'esercizio del diritto  cui
esso si riferisce", ha  significativamente  evocato  un  collegamento
assimilativo tra prestazione peritale e prestazione lavorativa. 
    Tanto premesso, ed a conferma di  come  peraltro  il  DPR  115/02
intenda  assegnare  un  effettivo  valore  economico   all'indennita'
prevista per l'ausiliario  del  giudice,  che  consenta  di  ritenere
rispettato l'art. 36 Cost., occorre altresi' ricordare come, ai sensi
dell'art. 54, del DPR 115/02, le tabelle recanti  i  compensi  per  i
periti avrebbero dovuto essere adeguate alle  variazioni  dell'indice
dei prezzi al consumo, accertata dall'ISTAT, ogni tre anni;  e  tanto
non e' mai accaduto, sebbene  scopo  della  norma  fosse,  con  tutta
evidenza, quello di assicurare al perito un  compenso  adeguato  alla
propria prestazione anche in relazione al manifestarsi  dei  fenomeni
inflattivi, comuni nel tempo. 
    B.4 Violazione dell'art. 3 della Costituzione. 
    Il mancato adeguamento dei valori  previsti  dall'art.  4,  della
legge n. 319/1980 e dal citato DM ha in primo luogo  posto  in  grave
tensione con i ricordati principi  costituzionali  il  sistema  della
liquidazione  a  vacazione  che,  allo  stato,  si  risolve  in   una
retribuzione oraria lorda pari a € 4,075 per le vacazioni  successive
alla  prima:  retribuzione  assolutamente  incongrua   e   largamente
inferiore a quella  corrisposta  per  la  maggior  parte  dei  lavori
manovali o  comunque  non  qualificati,  ma  da  applicarsi  anche  a
prestazioni peritali richiedenti il possesso  di  elevate  competenze
tecnico  professionali,  laddove  non  specificamente  tabellate  dal
citato DM. 30 maggio 2002; di talche' e'  evidente  il  contrasto  di
tale disciplina secondaria con  i  principi  costituzionali  espressi
dagli artt. 35 e 36 Cost. 
    Anche sotto altro profilo, peraltro, si evidenzia come  l'attuale
sistema delle vacazioni previsto dall'art. 4, della legge n. 319/1980
e dal citato DM 30 maggio 2002 si' ponga in contrasto con i  principi
costituzionali, ed in particolar modo con l'art. 3 Cost.: e cio'  non
solo perche' chi  veda  remunerata  la  propria  prestazione  secondo
criteri di mercato guadagni oggi  infinitamente  di  piu'  di  quanto
garantito, a parita' di prestazione, dal sistema delle vacazioni;  ma
anche perche' detto sistema non e' affatto uguale per  tutti,  atteso
che, con D.M. 2 agosto 2013, n. 106, si e' proceduto a  prevedere  un
sistema  in  cui  la  vacazione  non  e'  bioraria,  ma   oraria,   e
dell'importo pari ad € 100,00 (cfr. art. 3  del  D.M.  citato,  nella
parte in cui prevede che, dopo il capo V  del  decreto  del  Ministro
della giustizia 20 luglio 2012, n. 140, sia inserito un  capo  V  ter
che, introducendo gli artt. 39 quater comma 3 e 39 quinquies, prevede
un sistema di vacazioni orarie per importi da 200 a 400 euro, ridotti
ad una forbice da 100 a 300 per gli attuari juniores. 
    Orbene, pur volendo riconoscere le specificita' professionali  ed
intellettuali proprie di tali categorie di professionisti, rimane che
il sistema delle vacazioni  come  delineato  dall'art.  4,  legge  n.
319/1980 e dal D.M. 30 maggio 2002 - applicabile anche  ad  attivita'
tecniche ed intellettuali specialistiche  quali  quelle  ad  es.  del
perito grafologico, del perito fonico, del traduttore ed  interprete,
ed ad altre categorie  professionali  chiamate  ad  accertamenti  non
riportabili neanche per analogia al sistema tabellare di cui al  D.M.
30 maggio 2002 - appaia del  tutto  inadeguato  a  garantire  sia  il
rispetto degli artt. 35 e 36 Cost. che dell'art. 3 Cost.,  senza  che
peraltro il meccanismo risolutore sia agevolmente  rinvenibile  nello
strumento della disapplicazione del D.M.  30  maggio  1980  da  parte
dell'A.G. ai sensi degli artt. 4 e 5 del n.  2248/1865,  allegato  E)
(per  il  rilevato  contrasto  con  le  menzionate  norme  di   legge
costituzionale), atteso che la disapplicazione: 
      1) non potrebbe operare nei confronti dell'art. 4, della  legge
n. 319/1980, che e' norma di legge pur avente  il  proprio  contenuto
coincidente con quello del suddetto D.M.; 
      2)  lascerebbe  peraltro  il  Giudice  nella   difficolta'   di
determinare l'importo da liquidarsi, atteso che  la  norma  di  legge
speciale (art. 50, DPR 115/02) rinvia all'uopo a decreti ministeriali
vincolando cosi' il giudice ad essi, e potendo pertanto dubitarsi che
questi possa far ricorso all'art. 2225 c.c. per determinare l'entita'
del  corrispettivo  spettante  al  perito;  peraltro,  anche  ove  si
intendesse ricorrere all'istituto della disapplicazione  del  sistema
delle vacazioni, ed all'applicazione dell'art.  2225  c.c.,  non  per
questo si potrebbero ritenere risolti i problemi di costituzionalita'
del sistema di norme che presiede alla liquidazione dei  compensi  ed
indennita' spettanti ai periti  ed  agli  ausiliari  del  giudice  in
genere, per  effetto  della  notevole  incidenza  che,  sul  compenso
determinato ai  sensi  dell'art.  2225  c.c.,  avrebbe  ad  avere  il
disposto dell'art. 106 bis, dpr 115/02. 
    Concludendo, quand'anche si ritenesse che, disapplicando il  D.M.
30 maggio 2002, il Giudice fosse legittimato a determinare  l'entita'
del compenso spettante al perito alla stregua  dell'art.  2225  c.c.,
residuerebbe che tale sistema comunque, per effetto della  necessaria
applicazione dell'art. 106 bis,  dpr  115/02,  verrebbe  comunque  ad
atteggiarsi in violazione dei principi  costituzionali  di  cui  agli
artt. 3, 35, 36 e 53 Cost. 
    Deve  poi  altresi'  rilevarsi  come  la  disciplina  attualmente
vigente, prevedendo un sistema di remunerazioni non solo  inadeguato,
ma addirittura  mortificante  delle  professionalita'  implicate  nei
compiti di ausilio al giudice, ed in  ultimo  della  stessa  dignita'
professionale degli ausiliari, rende anche  difficoltoso  lo  spedito
procedere   dell'amministrazione   della    giustizia,    demotivando
fortemente i cittadini chiamati ad adempiere l'ufficio di  ausiliario
del giudice ad accettare l'incarico, ed anzi spingendoli a rifiutarlo
con le piu'  varie  scuse  (e  quindi  costringendo  il  Tribunale  a
ripetute nomine, talora con necessita'  di  rinvii  di  udienze  gia'
fissate), od ad indicare un numero di vacazioni infedele al  fine  di
assicurare la remunerativita' della  loro  opera;  il  Giudice  viene
cosi'  impegnato  anche  dalla  necessita'  di  verifiche  spesso  di
difficile vaglio, ed ulteriori rispetto a quanto  sarebbe  necessario
in un sistema retto da principi di equita' e giustizia  che,  invece,
favorirebbe un comportamento leale da parte  dei  cittadini  chiamati
all'ufficio di ausiliari del Giudice. 
    La disciplina attualmente vigente complica poi  il  funzionamento
del sistema giustizia anche  a  causa  della  sua  intrinseca  natura
criminogena, in quanto - come accennato -  sollecita  il  privato  ad
indurre il Giudice al compimento di  atti  di  liquidazione  illecita
perche' contra ius ed in violazione di norme di legge o regolamento. 
    Concludendo, l'attuale sistema comporta quindi inceppi e  ritardi
nel funzionamento  della  giustizia  ponendo  anche  in  pericolo  il
rispetto del principio della ragionevole durata del processo, pur  se
non puo' affermarsi che detta normativa sia di per se'  in  contrasto
con tale principio; ma tanto si rileva solo per meglio  esemplificare
l'irragionevolezza "di sistema" dell'attuale assetto  normativo,  che
non appare trovare alcun fondamento  in  principi  superiori  che  ne
possano giustificare il mantenimento. 
  B.5 Contrasto con l'art. 53 Cost. 
    Su tale complessivo  impianto,  gia'  fortemente  deficitario  di
legalita' costituzionale, viene poi, come  detto,  ad  inserirsi,  da
ultimo, l'art. 1, comma 606, legge n. 147/2013  che,  col  dichiarato
scopo di operare risparmi  di  bilancio,  ne  scarica  l'onere  sulle
categorie chiamate a svolgere l'ufficio di  ausiliario  del  giudice,
invece di ricorrere alla leva fiscale, nonostante le  finalita'  latu
senso  tributarie,  perche'  mirate   all'equilibrio   di   bilancio,
chiaramente  perseguite  dalla  norma  in  oggetto:  di  talche',  la
disposizione di cui all'art. 106 bis,  dpr  115/02  appare  porsi  in
contrasto anche con l'art. 53 Cost., in quanto  mirato  a  perseguire
finalita' di bilancio scaricandone, almeno in parte, il costo solo su
alcune categorie di lavoratori  e  senza  alcun  riguardo  alla  loro
concreta capacita' contributiva. 
    Poiche' per decidere l'entita' dell'onorario da  riconoscersi  al
legale istante questa A.G. e' tenuta ad applicare il menzionato  art.
106 bis, dpr 115/02, come introdotto dall'art. 1,  comma  606,  della
legge n. 147/2013, che nella  sua  cogente  letteralita'  non  appare
suscettibile  di  interpretazione  costituzionalmente  orientata,  la
questione  di  costituzionalita'  che  si  va   a   proporre   appare
assolutamente rilevante ai fini  della  decisione,  e  deve  pertanto
necessariamente essere sollevata.