IL TRIBUNALE DI GENOVA 
                       Sezione Settima Civile 
 
    Il  giudice  istruttore,  Alessia  Solombrino,  nella  causa  tra
B.C.M., rappresentato e difeso dall'avv.  Mirella  Botto  (attore)  e
M.F., rappresentata e difesa  dall'avv.  Nicola  Devoto  e  dall'avv.
Paolo  Iasiello  (convenuta)  e  P.V.L.R.,  rappresentata  e   difesa
dall'avv.  Vincenzo  Ferrandino  (terza  chiamata  da  M.F.)  e  S.G.
rappresentato  e  difeso  dall'avv.  Ernesto  Lavatelli  e  dall'avv.
Antonella  Graziani  (terzo  chiamato   da   P.V.L.R.   e   C.R.S.A.,
rappresentata e difesa dall'avv. Sabrina Ruga e dall'avv. Alfredo  Di
Silvestro (terza chiamata da P.V.L.R.). 
    Letto  l'atto  di  citazione  e  viste  le   memorie   depositate
nell'interesse delle parti costituite; 
    Sentite le parti all'udienza del 18 marzo  2014,  a  scioglimento
della riserva in atti, pronuncia la seguente ordinanza. 
    Sulla eccezione di illegittimita' costituzionale  dell'art.  104,
primo e secondo collima, d.lgs. n. 154 del 28  dicembre  2013,  nella
parte in cui prevede l'applicabilita' delle disposizioni  in  materia
di parentela e quindi la chiamata all'eredita' dei parenti "naturali"
introdotte dalla legge 10 dicembre 2012, n. 219, entrata in vigore il
1° gennaio 2013, alle successioni aperte prima del gennaio 2013 , per
asserito contrasto con gli artt. 2, 3  e  77  Costituzione  e  con  i
principi costituzionali di irretroattivita' delle leggi in materia di
successioni e di ragionevolezza delle norme giuridiche. 
    Rilevato in fatto: 
        che con atto notificato in data 16 marzo 2011, depositato nei
termini,  B.C.M.  premesso  di  essere  figlio  di  B.M.T.,   parente
collaterale in quarto grado premorta di D.M.E., deceduta in L.  il  2
novembre  2004,  ha  esperito  azione  di  petizione  ereditaria  nei
confronti di M.F., chiedendo il riconoscimento della propria qualita'
di erede, in  seguito  all'accettazione  avvenuta  con  dichiarazione
raccolta dal Notaio C.R. di C. in data 17 marzo 2008,  trascritta  il
successivo 11 aprile 2008, e la restituzione della quota di 1/4 a lui
spettante sull'immobile sito in C.B.A. compreso nell'asse  ereditario
e nondimeno venduto alla convenuta da P.V.R., figlia  di  B  .  e  G.
anch'ella parente collaterale in quarto grado premorta di D.M.E., con
atto a rogito Notaio G.S. in data 30 maggio 2007, trascritto in  data
7 giugno 2010;  in  particolare,  l'attore,  pur  non  escludendo  la
qualifica di coerede in  ragione  della  meta'  della  P.V.  come  da
accettazione  espressa  di  eredita'  in  data  18  febbraio  2007  e
dichiarazione di successione in data  21  maggio  2007,  ha  allegato
l'inopponibilita'  nei  suoi  confronti  dell'atto  di  compravendita
dianzi  menzionato,  trascritto  in  data  successiva  rispetto  alla
trascrizione   della   propria    dichiarazione    di    accettazione
dell'eredita'; 
        che M.F., costituendosi in giudizio, ha eccepito  il  mancato
completo assolvimento da parte dell'attore  dell'onere  posto  a  suo
carico in  relazione  alla  dimostrazione  della  qualita'  di  erede
legittimo,  allegando  in  fatto  la   propria   buona   fede   nella
stipulazione  dell'atto  di  acquisto,   instando   per   l'eventuale
riduzione del prezzo e formulando chiamata  di  terzo  nei  confronti
della propria dante causa P.V.R. e del notaio G.S. autore del rogito,
al fine di ottenere il risarcimento  dei  danni  subiti  per  effetto
dell'avvenuto acquisto di un bene parzialmente altrui; 
        che P.V.R., costituendosi in giudizio, ha allegato la propria
buona fede nel compimento degli atti dispositivi  dei  beni  compresi
nel   compendio   ereditario   della   defunta   D.M.E.,    preceduti
dall'avvenuta acquisizione di informazioni circa la propria  qualita'
di erede legittima ed esclusiva presso la societa'  C.R.S.A.,  a  tal
fine chiamata in garanzia; che peraltro nel  merito  ha  eccepito  il
difetto di legittimazione attiva dell'attore  originario,  in  quanto
nato non in costanza di matrimonio e, a sostegno delle considerazioni
svolte, ha richiamato la giurisprudenza costituzionale intervenuta  a
far data dal 1990 in materia di rapporto di  parentela  naturale,  il
cui riconoscimento e' stato costantemente escluso ai fini successori,
al di fuori del rapporto tra il figlio ed il singolo genitore che  ha
provveduto all'atto di riconoscimento; che in ogni caso ha  formulato
in via riconvenzionale, nei confronti del B.C.,  di  pagamento  della
quota a  lui  spettante  sulle  spese  sostenute  in  relazione  agli
accertamenti  compiuti  dalla  C.R.S.A.  nonche'  alle  imposte   di'
successione; 
        che analoga eccezione di difetto di legittimazione attiva  in
capo all'attore originario e' stata sollevata sia dal terzo  chiamato
S.G.,  il  quale  ha  per  l'effetto  allegato  l'inefficacia   della
trascrizione dell'accettazione  dell'eredita'  da  parte  di  B.C.M.,
difettando una delazione in favore  dello  stesso;  sia  dalla  terza
chiamata C.R.S.A., la quale ha allegato l'avvenuto puntuale ed esatto
adempimento delle obbligazioni  poste  a  suo  carico  in  forza  del
contratto stipulato con la P.V.R .; 
        che, nelle more del procedimento, e' intervenuta la legge  10
dicembre 2012, n.  219  -  intitolata  "Disposizioni  in  materia  di
riconoscimento dei figli  naturali"  -,  la  quale  ha  integralmente
rinnovato  l'assetto  giuridico  della   filiazione   proprio   della
disciplina codicistica, stabilendo che "tutti i figli hanno lo stesso
stato giuridico" (art. 315 C.C.); che "la parentela e' il vincolo tra
le persone che discendono da uno stesso stipite, sia nel caso in  cui
la filiazione e' avvenuta all'interno del matrimonio, sia nel caso in
cui e' avvenuta al di fuori di esso, sia nel caso in cui il figlio e'
adottivo" (art. 74 C.C.); e che "il  riconoscimento  produce  effetti
riguardo al genitore da cui fu fatto e riguardo ai parenti  di  esso"
(art.  258  C.C.);  che,  pertanto,  in  forza  delle  norme   dianzi
richiamate, in virtu' del rapporto di parentela instauratosi  con  le
persone che partecipano allo stipite da cui discendono i  genitori  -
indipendentemente dal fatto che  il  concepimento  si  avvenuto  nel,
fuori o contro il matrimonio - il figlio nato da  genitori  coniugati
ovvero riconosciuto o  dichiarato  tale  in  forza  di  dichiarazione
giudiziale e' chiamato a pieno titolo alla successione  legittima  di
costoro, ai sensi degli artt. 565 e ss. C.C,; 
        che, quanto all'applicabilita' delle norme menzionate in  via
transitoria, in difetto di  espresse  previsioni  e  in  ossequio  al
principio generale per cui la legge regolatrice della successione  e'
quella vigente al tempo  dell'apertura  della  stessa,  la  legge  n.
219/2012 e' stata uniformemente applicata soltanto  alle  successioni
apertesi dopo il 1° gennaio 2013, ritenendosi precluso  ogni  diritto
dei parenti "naturali" con riferimento alle successioni (come  quella
dedotta nell'odierno giudizio) apertesi in precedenza e  disciplinate
dalle  previgenti  disposizioni  in  materia   di   chiamata   legale
all'eredita'; 
        che nondimeno,  verosimilmente  al  fine  di  eliminare  ogni
differenza nel trattamento successorio dei  figli,  l'art.  2,  primo
comma, lettera f) della legge n. 219/2012 ha incaricato il Governo di
assicurare "l'adeguamento della disciplina delle successioni e  delle
donazioni al principio di unicita' dello stato di figlio, prevedendo,
anche in relazione ai giudizi pendenti, una disciplina  che  assicuri
la produzione degli effetti successori riguardo ai parenti, anche per
gli aventi causa del figlio naturale premorto o deceduto  nelle  more
del riconoscimento e conseguentemente l'estensione  delle  azioni  di
petizione di cui agli artt. 533 e seguenti del codice civile"; 
        che quindi, in adempimento della delega dianzi menzionata, lo
scorso 7 febbraio 2014 e' entrato in vigore  il  d.lgs.  28  dicembre
2013, n. 154, il quale, tra le disposizioni transitorie e finali,  al
primo e secondo comma dell'art. 104,  ha  stabilito  che  "Fermi  gli
effetti del giudicato formatosi prima dell'entrata  in  vigore  della
legge 10 dicembre 2012, n. 219, sono legittimati a proporre azioni di
petizione di eredita', ai sensi  dell'art.  533  del  codice  civile,
coloro che, in applicazione dell'articolo  74  dello  stesso  codice,
come modificato dalla medesima legge,  hanno  titolo  a  chiedere  il
riconoscimento della qualita' di erede" e che "Fermi gli effetti  del
giudicato formatosi prima  dell'entrata  in  vigore  della  legge  10
dicembre  2012,  n.  219,  possono  essere  fatti  valere  i  diritti
successori che  discendono  dall'art.  74  del  codice  civile,  come
modificato dalla medesima legge"; 
        che i difensori di M.F.,  P.V.L.R.,  S.G.  e  C.R.S.A.  hanno
invocato ordinanza di  rimessione  alla  Corte  costituzionale  della
questione di legittimita' dell'art. 104 d.lgs. 28 dicembre  2013,  n.
154, nella parte in cui  ha  previsto  l'applicabilita'  delle  nuove
disposizioni  in  materia  di  parentela   e   quindi   la   chiamata
all'eredita' dei parenti  "naturali"  nell'ambito  delle  successioni
aperte  prima  del  gennaio  2013,  per   violazione   dell'art.   77
Costituzione (eccesso di delega) e degli artt. 2  e  3  Costituzione,
nonche' per la violazione del  principio  di  irretroattivita'  delle
leggi in materia di successione e  del  principio  di  ragionevolezza
delle norme giuridiche; 
    Osservato: 
        che la pretesa avanzata dall'attore nell'ambito del  presente
procedimento presuppone il riconoscimento in capo allo  stesso  dello
status di chiamato a pieno titolo alla successione legittima  di  una
parente "naturale"  collaterale  in  quarto  grado,  ai  sensi  delle
disposizioni di cui agli artt. 74 e 258  C.C.,  come  innovate  dalla
legge  n.  219/2012;  che,  pertanto,   la   dedotta   questione   di
costituzionalita'  appare  senza   dubbio   rilevante,   in   ragione
dell'incidenza attuale e  non  meramente  eventuale  rivestita  dalla
disposizione normativa di cui all'art. 104  d.lgs.  n.  154/2013  nel
presente  procedimento;  in  particolare,  trattandosi  di   eredita'
apertasi in data 2 novembre 2004, la  legittimazione  dell'istante  a
proporre azioni di petizione di eredita'  discende  direttamente  dal
dettato   normativo   della   norma   sottoposta   al    vaglio    di
costituzionalita', senza che ricorrano i limiti imposti dal giudicato
e dall'avvenuto decorso dei termini di prescrizione, tenuto conto del
dato normativo della legge n. 219/2012 che, in difetto di  intervento
del legislatore delegato, avrebbe trovato pacificamente  applicazione
soltanto alle successioni apertesi dopo il 1° gennaio 2013; 
        che del pari  ricorre  il  presupposto  della  non  manifesta
infondatezza della questione, per i motivi di seguito spiegati: 
    1) Violazione degli artt. 2 e  3  della  Costituzione,  sotto  il
profilo della ragionevolezza della  norma  e  della  sua  conseguente
idoneita'  a  dirigersi  verso   la   generalita'   dei   consociati,
garantendone pari dignita' sociale. 
    L'art.  104,  d.lgs.   n.   154/2013,   disponendo   testualmente
l'applicazione delle  nuove  regole  disciplinanti  la  chiamata  dei
parenti naturali alle  successioni  apertesi  prima  dell'entrata  in
vigore  della  legge  delega,  ha  sancito  la  retroattivita'  delle
disposizioni aventi effetti successori, certamente  non  attribuibile
all'art.  1,  legge  n.  219/2012,  che,  intervenendo  nel   tessuto
normativo preesistente degli  artt.  74  e  258  C.C.  e  sostituendo
integralmente le relative disposizioni, non appare  qualificabile  in
termini  di  norma  di  interpretazione  autentica,  per  cio'   solo
naturalmente applicabile anche alle  situazioni  antecedenti  la  sua
entrata in vigore. 
    Cio'  posto,  come  di  recente  chiarito  dalla   stessa   Corte
costituzionale in materia di efficacia  delle  leggi  nel  tempo,  il
divieto di retroattivita' della  legge  civile,  pur  costituendo  un
valore   fondamentale   di    civilta'    giuridica,    non    riceve
nell'ordinamento  la  tutela  privilegiata   di   cui   all'art.   25
Costituzione (cfr. Corte costituzionale, 5 aprile 2012, n. 78;  Corte
costituzionale, 26 gennaio 2012, n. 15; Corte Cost. n. 236 del  2011;
Corte Cost. n. 393 del 2006), sicche' "il legislatore - nel  rispetto
di' tale previsione  -  puo'  emanare  norme  retroattive,  anche  di
interpretazione autentica, purche' la retroattivita'  trovi  adeguata
giustificazione nell'esigenza di tutelare principi, diritti e beni di
rilievo  costituzionale,  che   costituiscono   altrettanti   «motivi
imperativi di interesse generale», ai sensi della Convenzione europea
dei diritti dell'uomo e delle  liberta'  fondamentali  (CEDU)"  (cfr.
Corte costituzionale, 28 novembre 2012, n. 264). 
    In questo senso,  l'intervento  legislativo  diretto  a  regolare
situazioni pregresse  e'  legittimo  a  condizione  che  risponda  ad
un'esigenza   sistemica   funzionale   all'attuazione    di    valori
costituzionalmente garantiti (cfr. Corte Cost. n.  264/2012  cit.)  e
purche' le norme retroattive "trovino  adeguata  giustificazione  sul
piano della ragionevolezza e non si pongano in  contrasto  con  altri
valori ed interessi costituzionalmente protetti, cosi da non incidere
arbitrariamente sulle situazioni sostanziali poste  in  essere  dalle
leggi precedenti" (cfr. Corte costituzionale, sent. n. 432 del  1997;
Corte costituzionale, 30 gennaio 2009, n. 24;  Corte  costituzionale,
n. 74/2008 e n. 376/1995). 
    Se ne ricava che i limiti  posti  alla  possibile  retroattivita'
delle  norme  attengono,  oltre  che  a  principi  costituzionalmente
cristallizzati, ad altri fondamentali valori  di  civilta'  giuridica
diretti  a  tutelare  i  destinatari  della  norma  e  dello   stesso
ordinamento, tra i quali vanno ricompresi il  principio  generale  di
ragionevolezza (che ridonda nel divieto di introdurre  ingiustificate
disparita' di trattamento); la tutela dell'affidamento legittimamente
sorto nei soggetti quale principio connaturato allo Stato di diritto;
la coerenza e la certezza  dell'ordinamento  giuridico;  il  rispetto
delle funzioni costituzionalmente  riservate  al  potere  giudiziario
(cfr. Corte costituzionale, 10 aprile 2013, n. 103; Corte  Cost.,  11
Giugno 2010, n. 209; Corte costituzionale, sent. n. 6 del 1994). 
    La nonna impugnata nel presente giudizio travalica detti limiti. 
    Va premesso al riguardo che l'art. 1, legge n. 219/2012 non viene
formulato quale norma di interpretazione autentica, ne'  in  sostanza
interviene ad assegnare alle disposizioni di cui agli artt. 74 e  258
C.C. un significato gia' in queste contenuto "riconoscibile come  una
delle possibili letture del testo originario", al  fine  di  chiarire
"situazioni di oggettiva incertezza del  dato  normativo",  a  tutela
della certezza del diritto  e  degli  altri  principi  costituzionali
richiamati (cfr. Corte Cost. sentenza n. 311 del 2009). 
    Invero, com'e' pacifico, norma di  interpretazione  autentica  e'
quella che "a prescindere dal titolo della  legge  e  dall'intenzione
del legislatore non ha un significato autonomo ed esaustivo in se'  e
per se'  considerata,  ma  acquista  senso  e  significato  solo  nel
collegamento e nell'integrazione con precedenti disposizioni  di  cui
fissa la portata senza sostituirla" (cfr. Cass., 20 maggio  1982,  n.
3119; nonche' Corte Cost. n. 271 e n. 257 del 2011, n. 209 del 2010 e
n. 24 del 2009). (1) 
    Nessuna  di  tali  caratteristiche  appare  configurabile   nella
disposizione del citato art. 1, legge n. 219/2012. 
    In primo luogo sussiste il tenore letterale dell'art. 104  d.lgs.
n.  154/2013,  che  espressamente  al  secondo  comma   contiene   il
riferimento alla "modifica" dell'art. 74 C.C., operata dalla legge n.
219/2012,   con   cio'   implicitamente   escludendone   la    natura
interpretativa. 
    In secondo luogo, proprio la portata dell'intervento  legislativo
- che ha creato vincoli di parentela in capo a soggetti che prima  ne
erano esclusi, collocandoli  nelle  categorie  dei  successibili  ove
prima non erano ricompresi - induce a ritenere che la ratio legis non
sia stata quella di chiarire una situazione di  oggettiva  incertezza
sul piano normativo ovvero di  "ristabilire  un'interpretazione  piu'
aderente alla originaria volonta' del legislatore", bensi' quella  di
introdurre una nuova disciplina  volta  a  superare  tale  originaria
volonta'. 
    L'orientamento della giurisprudenza costituzionale  consolidatosi
fino alla novella del 2012 in  materia  di  successione  dei  parenti
"naturali" -segnatamente, in  ordine  alla  conformita'  ai  principi
costituzionali delle disposizioni di cui agli artt. 74  e  258  C.C.,
con la conseguente inammissibilita' di pronunce abrogatrici da  parte
della Corte costituzionale - conferma questa conclusione. 
    La  retroattivita'  prevista  dalla  disposizione  impugnata  non
trova, per altro verso, giustificazione nella  tutela  di  "principi,
diritti  e  beni  di  rilievo   costituzionale,   che   costituiscono
altrettanti «motivi imperativi di interesse generale», ai sensi della
Convenzione  europea  dei  diritti   dell'uomo   e   delle   liberta'
fondamentali (CEDU)». 
    Vero  e'  che  alla  luce  sia  dei   lavori   parlamentari   che
dell'intrinseco contenuto normativo emerge come la novella del 2012 -
e, evidentemente, anche  la  disciplina  introdotta  dal  legislatore
delegato all'art. 104 -  risponda  complessivamente  all'esigenza  di
dare definitiva attuazione ai  principi  dettati  dalla  Costituzione
relativamente ai rapporti familiari, segnatamente, il principio della
tendenziale  parita'  di  trattamento  dei  figli  nati   fuori   del
matrimonio, sancito dall'art. 30 Costituzione. 
    Ed e' altresi'  pacifico  che  il  legislatore  rimane  sempre  e
comunque  libero  di  attribuire  a  tutti  i  cittadini  i   diritti
costituzionalmente garantiti, dando rilievo alle condizioni personali
dei destinatari del provvedimento anche eventualmente  a  scapito  di
altre categorie di soggetti (nella  specie,  i  titolari  di  diritti
acquisiti  in  base  alle  norme  successorie  previgenti),  con   il
compimento di scelte discrezionali che si  discostino  o  addirittura
mutino integralmente  un  precedente  indirizzo  politico:  l'art.  3
Costituzione del resto non esige  che  siano  attribuiti  a  tutti  i
cittadini gli stessi  diritti,  ma  richiede  piuttosto  che  vengano
riconosciuti ai singoli individui quei diritti  fondamentali  che  la
Costituzione garantisce,  in  quanto  condizioni  necessarie  per  lo
sviluppo della personalita', sicche' il principio di uguaglianza  non
risulta minimamente vulnerato qualora la legge introduca  distinzioni
che creino particolari condizioni di vantaggio in  difesa  di  alcune
categorie di cittadini, affinche' questi ultimi  possano  godere  dei
diritti fondamentali previsti dalla Costituzione. 
    Nondimeno, e' altrettanto vero che il richiamo alla preminenza di
un valore rispetto agli altri  diritti  costituzionalmente  garantiti
(nella specie, il diritto successorio  dei  figli  naturali)  non  e'
sufficiente ad escludere un giudizio di  arbitrarieta'  della  scelta
legislativa, in quanto, come precisato di recente dalla stessa  Corte
costituzionale  "tutti  i   diritti   fondamentali   tutelati   dalla
Costituzione si trovano in rapporto di integrazione reciproca  e  non
e' possibile pertanto individuare uno di essi che abbia la prevalenza
sugli altri. La tutela deve essere sempre «sistemica e non frazionata
in una serie di norme non coordinate ed in potenziale  conflitto  tra
loro» (cfr. Corte Cost. sentenza n.  264  del  2012).  Se  cosi'  non
fosse, si verificherebbe l'illimitata espansione di uno dei  diritti,
che  diverrebbe  tiranno  nei  confronti   delle   altre   situazioni
giuridiche   costituzionalmente   riconosciute   e   protette,    che
costituiscono, nel loro insieme,  espressione  della  dignita'  della
persona" (cfr. Corte Cost. sentenza n. 85/2013). 
    In altre parole, come supra anticipato, posto  che  nel  contesto
della Costituzione  italiana  non  esiste  una  gerarchia  di  valori
astrattamente  predeterminata,  i  diversi   interessi   sono   tutti
suscettibili di essere bilanciati secondo plurime  soluzioni:  se  ne
ricava che i limiti concreti alla  libera  ponderazione  politica  da
parte del legislatore sono quelli derivanti proprio  dai  criteri  di
ragionevolezza, proporzionalita' - diretta a mitigare il rigore della
disciplina positiva di fronte alle peculiarita' del caso concreto - e
coerenza, da intendersi come rispondenza logica della nonna  rispetto
al fine perseguito dalla legge ovvero rispetto ai  principi  generali
del sistema. 
    In questo senso, il  giudizio  di  ragionevolezza  di  una  norma
giuridica "lungi dal comportare il ricorso a criteri  di  valutazione
assoluti   e   astrattamente   prefissati,   si   svolge   attraverso
ponderazioni relative alla proporzionalita' dei mezzi  prescelti  dal
legislatore nella sua insindacabile  discrezionalita'  rispetto  alle
esigenze  obiettive  da  soddisfare  o  alle  finalita'  che  intende
perseguire,  tenuto  conto  delle  circostanze  e  delle  limitazioni
concretamente sussistenti" (cfr. Corte Cost., sentenza  n.  1130  del
1988). 
    Tanto premesso, se da un lato la norma di cui all'art.  1,  legge
n. 219/2012 trova la propria giustificazione proprio nel principio di
uguaglianza di cui all'art. 3 Costituzione, -  in  quanto  diretta  a
rimuovere    definitivamente    dall'ordinamento    italiano     ogni
discriminazione tra i figli, fondata sul vincolo che lega i  genitori
- non appare altrettanto proporzionata e coerente  la  norma  di  cui
all'art.  104  d.lgs.  154/2013,  nella  misura  in  cui  opera   una
significativa compressione di diritti acquisiti da  coloro  ai  quali
era stata riconosciuta la qualita' di erede e dai  rispettivi  aventi
causa nell'ambito delle eredita' apertesi prima del riconoscimento di
tale  parificazione:   compressione   che   non   trova   ragionevole
giustificazione all'interno dell'ordinamento, tenuto conto, in  primo
luogo, della pregressa giurisprudenza costituzionale  che  per  lungo
tempo ha legittimato la vigenza di un sistema caratterizzato  da  una
parificazione  soltanto  tendenziale  fra  figli  naturali  e   figli
legittimi e ritenuto comunque conforme al principio di  cui  all'art.
30 Costituzione, sicche', paradossalmente, l'applicazione retroattiva
delle innovazioni in  tema  di  soggetti  chiamati  alla  successione
legittima si traduce inevitabilmente in una negazione del fenomeno di
naturale evoluzione (intesa in  senso  dinamico  e  progressivo)  dei
concetti costituzionali,  in  linea  con  la  coscienza  sociale,  la
legislazione ordinaria, la giurisprudenza di merito. (2) 
    In secondo luogo, dell'entita'  del  sacrificio  delle  posizioni
giuridiche gia' consolidatesi alla data di entrata  in  vigore  della
norma in esame e della conseguente significativa lesione dei principi
immanenti e fondamentali della certezza delle situazioni giuridiche e
dell'affidamento nella stabilita'  dell'ordinamento  giuridico,  che,
essenziale elemento dello Stato di diritto,' non puo' essere leso  da
disposizioni  retroattive  le  quali  trasmodino  in  un  regolamento
irrazionale di situazioni  sostanziali  fondate  su  leggi  anteriori
(cfr. Corte costituzionale,  sent.  n.  416  del  1999;  Corte  Cost.
sentenze n. 211 del 1997 e n. 390 del 1995,  recentemente,  sent.  n.
525 del 2000 ed ordinanze nn. 319 e 327 del 2001; nonche' Corte Cost.
n. 446/2002, secondo cui "solo in questi limiti - in presenza di  una
legge avente, in settori estranei alla previsione dell'art. 25, comma
2,  della  Costituzione,  portata   ragionevolmente   retroattiva   -
l'affidamento sulla stabilita' della normativa previgente e'  coperto
da garanzia costituzionale"). 
    E invero, la disciplina transitoria dettata dalla norma in  esame
consente ai nuovi legittimati ai sensi dell'art. 74 C.C., di agire in
forza del  vincolo  di  parentela  acquisito,  anche  nell'ambito  di
successioni apertesi prima del gennaio 2013, a dispetto di situazioni
di fatto consolidatesi in forza del preesistente assetto normativo. 
    Ed e' sufficiente l'analisi della vicenda processuale oggetto del
procedimento pendente davanti a questo Tribunale - in  cui  l'attore,
originariamente escluso dalla successione, a seguito della novella e'
divenuto parente a fini successori della  de  cuius,  legittimato  ad
agire in  petizione  contro  la  precedente  chiamata,  la  quale  ha
peraltro nel frattempo alienato a terzi il  bene  -  per  comprendere
l'entita'  della  frustrazione  operata  dalla  disposizione  di  cui
all'art. 104 d.lgs. n. 154/2013 sulle legittime aspettative di coloro
ai quali si  era  devoluta  l'eredita',  da  parte  di  soggetti  che
soltanto a far data dal 1° gennaio 2013 si sono visti riconoscere  la
qualita' di parenti, anche a fini successori. 
    2) Violazione dell'art. 77 Costituzione,  sotto  il  profilo  del
mancato rispetto dei limiti imposti dalla legge delega. 
    L'art. 2, primo comma, lett. f)  della  legge  n.  219/2012,  pur
nella sua non chiara formulazione, non esplicita  in  alcun  modo  il
potere  del   legislatore   delegato   di   prevedere   l'eccezionale
retroattivita' delle nuove disposizioni in materia  di  parentela  e,
per l'effetto, di stabilire la chiamata  dei  parenti  naturali  alle
successioni apertesi prima del gennaio 2013. 
    E' evidente, anche dalla lettura dei lavori parlamentari, che  il
profilo centrale  della  scelta  del  legislatore  del  2012  sia  la
volonta'  di  rimuovere  definitivamente,  sul  piano  sostanziale  e
terminologico,  le   differenze   che   residuano   nel   trattamento
successorio dei figli, tenendo conto anche delle situazioni  in  fase
di accertamento, nell'ambito dei giudizi pendenti. 
    "Nondimeno, dall'esame del dato testuale alla luce dei criteri di
logicita' e coerenza rispetto al sistema, il richiamo  all'estensione
delle azioni di petizione di cui agli  artt.  533  e  ss.  C.C.  pare
riferito agli "aventi causa" del figlio premorto all'accertamento del
suo stato, segnatamente, ai discendenti  subentrati  al  chiamato  ex
art. 467 C.C., il cui status di filiazione sia stato  accertato  post
mortem: ipotesi, questa, effettivamente disciplinata  dall'art.  104,
quinto comma, d.lgs. n. 154/2013. 
    Al contrario, il legislatore delegato ha esteso la legittimazione
all'esercizio di diritti su successioni gia' aperte non in favore dei
parenti il cui status sia stato  tardivamente  accertato,  bensi'  in
favore dei soggetti che soltanto a seguito  della  novella  del  2012
sono  divenuti  "nuovi"  parenti  ai  sensi  dell'art.  74  C.C.,   a
prescindere  da  qualsivoglia  aspetto  concernente   la   decorrenza
dell'accertamento dello stato di filiazione. 
    Una  simile  interpretazione  tuttavia  non  soltanto  appare  in
contrasto con il contenuto della norma-delega -  rendendo  del  tutto
inutile il richiamo all'autonoma ipotesi dei soggetti il cui rapporto
di filiazione sia stato accertato  dopo  l'entrata  in  vigore  della
legge n. 219/12 - ma non puo' neanche ritenersi coerente  sviluppo  e
completamento delle scelte espresse dal delegante, proprio in  quanto
esclusa   da   una   lettura   costituzionalmente   orientata   della
disposizione di cui all'art. 2 legge  n.  219/2012,  in  ossequio  al
principio di tendenziale irretroattivita' delle norme successorie, da
sempre rispettato dal legislatore,  anche  al  fine  di  garantire  i
principi sopra richiamati della certezza giuridica -quale  corollario
del principio di legalita' - e della sicurezza nella circolazione dei
beni. 

(1) Si e' chiarito che tale carattere interpretativo  "deve  peraltro
    desumersi non gia' dalla qualificazione che tali leggi  danno  di
    se stesse, quanto invece dalla struttura della  loro  fattispecie
    normativa, in relazione, cioe', ad un rapporto fra norme - e  non
    tra  disposizioni  -  tale  che  il  sopravvenire   della   norma
    interpretante non fa venir meno la norma interpretata, ma l'una e
    l'altra si saldano tra loro dando luogo ad un precetto  normativo
    unitario" (Corte costituzionale, sent. n. 397 del 1994). In  ogni
    caso, la stessa Corte costituzionale ha autorevolmente  precisato
    che «ai fini del controllo di legittimita'  costituzionale  sotto
    il profilo  della  ragionevolezza,  non  assume  valore  decisivo
    verificare se una norma abbia efficacia retroattiva in quanto  di
    natura  realmente  interpretativa,   ovvero   si   connoti   come
    innovativa con efficacia retroattiva" (sent.  n.  136  del  2001,
    nello stesso senso, Corte costituzionale n. 6 del 1994, nn. 88  e
    376 del 1995, n. 229 del 1999); in questo senso, "il  legislatore
    puo' porre norme che precisino il significato di altre norme  non
    solo ove sussistano situazioni  di  incertezza  nell'applicazione
    del diritto o siano insorti contrasti giurisprudenziali, ma anche
    in presenza di indirizzi  omogenei,  se  la  scelta  imposta  per
    vincolare il significato ascrivibile alla legge anteriore rientri
    tra le possibili varianti di senso del testo originario; in  tali
    casi, il problema da affrontare  riguarda  non  la  natura  della
    legge, ma i limiti che incontra la sua portata retroattiva,  alla
    luce del principio di ragionevolezza" (cfr. Corte costituzionale,
    sent. n. 525 del 2000). 

(2) Progressiva evoluzione della quale del resto aveva  tenuto  conto
    il legislatore del Codice  Civile,  che,  innovando  rispetto  al
    codice unitario in materia  di  successione  dei  figli  naturali
    riconosciuti, non aveva dettato disposizioni transitorie  dirette
    a renderle applicabili anche alle successioni apertesi prima  del
    21 aprile 1940, con cio'  riconoscendo  coerenza  e  dignita'  al
    previgente sistema, rispettoso  di  concetti  costituzionali  che
    nondimeno erano mutati in ragione della mutata coscienza sociale.