TRIBUNALE DI LANUSEI 
 
 
                              ORDINANZA 
 
    Il  giudice  dott.  Nicola  Caschili,  nel  procedimento   penale
iscritto al N.R.G 264/2014 a carico di Gen.  Fabio  Molteni  e  piu',
imputati del  reato  di  cui  all'art.  437  commi  1  e  2  c.p.,  a
scioglimento della riserva, 
 
                               Osserva 
 
    1. Con decreto dell'11.7.2014 il giudice dell'udienza preliminare
del Tribunale di Lanusei ha rinviato a giudizio i comandanti militari
del Poligono Interforze Salto di Quirra e  del  suo  distaccamento  a
mare di Capo S. Lorenzo, succedutisi nei rispettivi comandi dal marzo
2001 al 2012, imputando loro il reato previsto dall'art. 437,  comuni
1 e 2, c.p.. Segnatamente,  agli  imputati  e'  contestato  di  avere
omesso l'adozione  di  precauzioni  e  cautele  nell'esercizio  delle
attivita' militari, tra cui  anche  la  collocazione  di  segnali  di
pericolo di esposizione di uomini ed animali a  sostanze  tossiche  e
radioattive  presenti  nelle  aree  ad  alta   intensita'   militare,
cagionando cosi' un  persistente  e  grave  disastro  ambientale  con
enorme pericolo chimico e radioattivo per  la  salute  del  personale
civile e militare del Poligono,  dei  cittadini  dei  centri  abitati
circostanti, dei pastori insediati in  quel  territorio  e  dei  loro
animali da allevamento. 
    Tra le persone offese indicate nel decreto di rinvio a  giudizio,
figurano lo Stato, la Regione Autonoma della Sardegna, le Province di
Cagliari e d'Ogliastra nonche' i Comuni il cui  territorio  e'  stato
esposto alle sostanze contaminanti. 
    Nel  corso  dell'udienza  preliminare  e  nella   prima   udienza
dibattimentale,  si  sono  costituiti  o  hanno  fatto  richiesta  di
costituzione  di  parte  civile  per  il   risarcimento   del   danno
patrimoniale e non patrimoniale la Regione Autonoma  della  Sardegna,
la Provincia di Cagliari ed alcuni Comuni, nonche' numerose  persone,
tra cittadini, personale militare, allevatori e loro  familiari,  che
hanno lamentato danni patrimoniali, alla  salute,  da  esposizione  a
sostanze nocive e da perdita parentale. 
    Tutti questi soggetti hanno altresi' chiesto la chiamata in causa
quale responsabile civile dei danni  asseritamente  patiti  lo  Stato
Italiano, il quale si e' costituito in  persona  del  presidente  del
Consiglio dei ministri. 
    Con istanza depositata all'udienza  del  29.10.2014,  la  Regione
Autonoma della Sardegna ha  chiesto  altresi'  di  costituirsi  parte
civile per il risarcimento del danno ambientale, previa dichiarazione
di illegittimita' costituzionale  dell'art.  311,  comma  1,  decreto
legislativo  n.  152/2006,  recante  il  Testo   unico   in   materia
ambientale, quale ente sul cui territorio si  e'  prodotto  il  danno
descritto nel capo d'imputazione. 
    In particolare, l'avvocatura della regione ha chiesto che venisse
sollevata questione di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  311,
comma 1, cit.  nella  parte  in  cui  attribuisce  esclusivamente  al
Ministero dell'ambiente e per esso allo  Stato  la  legittimazione  a
chiedere  il  risarcimento  del  danno  ambientale,   lamentando   la
violazione degli articoli 2, 3, 9, 24 e 32 della Costituzione. 
    La difesa degli imputati si e' opposta alla istanza,  depositando
ampia ed articolata memoria con cui ha contestato la sussistenza  del
presupposto della  non  manifesta  infondatezza  della  questione  di
legittimita' costituzionale. 
    Il Ministero dell'ambiente e per la tutela del territorio  e  del
mare non si e' costituito parte civile per chiedere  il  risarcimento
del danno ambientale. 
    2. Ad avviso dello scrivente, la questione  posta  dalla  Regione
Autonoma della Sardegna e' rilevante e non manifestamente infondata. 
    La Regione Autonoma della Sardegna  chiede  il  risarcimento  del
danno ambientale mediante costituzione di parte civile  nel  processo
penale. Essa, pertanto, nel momento in cui ha scelto di praticare  la
tutela dei propri diritti ed interessi lesi nel processo  penale,  ha
diritto, in presenza di tutti i presupposti di legge, di  partecipare
al processo mediante la costituzione di parte civile. 
    Ne' tale diritto puo' essere limitato in ragione  di  valutazioni
estranee alla  verifica  dei  presupposti  della  legittimazione.  La
Suprema Corte di Cassazione in diverse  occasioni  ha  affermato  che
l'ordinanza di esclusione della parte  civile  per  ragioni  estranee
alla  oggettiva  valutazione  dei  requisiti  per   la   costituzione
costituisce provvedimento abnorme sempre impugnabile con  ricorso  ex
art. 111 Cost. (Cass. Sez. pen. III, n. 39321  del  9  luglio  2009).
Pertanto, il giudice penale non puo' escludere  una  parte  per  mere
ragioni di opportunita'  processuale,  ma  e'  tenuto  a  valutare  i
profili di ammissibilita' della  domanda  di  costituzione  di  parte
civile secondo i canoni propri della legittimazione ad agire. 
    Ne', ancora, costituisce motivo di irrilevanza della questione il
fatto che la Regione Autonoma della  Sardegna  sia  stata  ammessa  a
costituirsi parte civile per il risarcimento del danno patrimoniale e
non patrimoniale c.d. iure proprio, che costituisce  domanda  diversa
rispetto a quella portante la richiesta  di  risarcimento  del  danno
ambientale  (cosi',  Cass.  Civ.  n,  1087  del  3  febbraio   1998).
L'ammissione alla costituzione di parte civile circoscrive  i  poteri
processuali di prova e di legittimazione allo specifico danno leso di
cui si chiede tutela. Pertanto, la sola ammissione relativa al  danno
iure  proprio  non  consentirebbe  alla  Regione  di  partecipare  al
processo penale per chiedere il risarcimento del danno ambientale, la
cui domanda dovrebbe essere rimessa ad una separata sede, con lesione
del  diritto  alla  scelta  della  strada  processuale  ritenuta  dal
danneggiato piu' opportuna. 
    In  considerazione   di   queste   argomentazioni,   poiche'   la
costituzione di parte civile per il risarcimento del danno ambientale
e' ostacolata dalla disposizione di  legge  contenuta  nell'art.  311
comma 1 cit., la questione  di  legittimita'  costituzionale  risulta
rilevante, in quanto per consentire alla  Regione  di  esercitare  il
proprio diritto, occorre rimuovere la norma  della  cui  legittimita'
costituzionale si dubita. 
    3. A  tal  proposito,  e  sempre  in  punto  di  rilevanza  della
questione, l'art. 311 comma 1 cit. non  stabilisce  espressamente  la
legittimazione esclusiva dello Stato. Tuttavia, sin dalla sua entrata
in vigore, la giurisprudenza, sia di merito che di  legittimita',  ha
inteso in tal senso la norma. Secondo la Suprema Corte di Cassazione,
la norma attribuisce esclusivamente allo Stato e, in particolare,  al
Ministero dell'Ambiente, la legittimazione a costituirsi parte civile
nei processi per reati contro l'ambiente per ottenere il risarcimento
del danno ambientale, inteso come interesse alla tutela dell'ambiente
in se' considerato ovvero  come  lesione  dell'interesse  pubblico  e
generale all'ambiente (da ultimo, Cass., Sez. 4;  Sentenza  n.  24619
del 27/05/2014; Sez. 3, Sentenza n. 19437  del  17/01/2012;  Sez.  3,
Sentenza n. 633 del 29/11/2011; Sez. 3ª, 11.2.2010, n. 14828; Sez. 3,
Sentenza n. 41015 del 21/10/2010;  Sez.  3,  Sentenza  n.  36514  del
03/10/2006). 
    Una diversa interpretazione della norma risulterebbe testualmente
percorribile, come gia' osservato dalla  Corte  costituzionale  nella
sentenza n. 235 del 23  maggio  2009.  Chiamata  su  ricorso  in  via
principale a pronunciarsi sulla legittimita' costituzionale dell'art.
311, comma 1, la Corte, pur dichiarando inammissibile la domanda,  ha
avuto modo di  affermare  che  la  disposizione  impugnata,  pur  non
riconoscendo espressamente la legittimazione ad agire delle  regioni,
«neppure la esclude in modo esplicito». 
    Insomma, una ipotetica lettura  alternativa,  che  estendesse  la
legittimazione  ad  agire  anche  alle   regioni,   potrebbe   essere
percorribile. Tuttavia, si deve prendere atto che le  pronunce  della
Suprema  Corte  di  Cassazione,  anche  successive  alla   richiamata
sentenza n. 235 del 2009 della Corte costituzionale,  hanno  ribadito
l'esclusivita' dello Stato ad agire per  il  risarcimento  del  danno
ambientale, conferendo alla norma cosi' interpretata rango di diritto
vivente, in quanto affermata e ribadita costantemente da una  univoca
giurisprudenza  della  Suprema  Corte.  Pur  potendo  questo  giudice
discostarsi  da  tale  orientamento,  considerato  tuttavia  che  una
diversa interpretazione sarebbe inevitabilmente riformata  nei  gradi
successivi in presenza di una solida giurisprudenza di  legittimita',
si ritiene opportuno denunciare al giudice delle leggi il dubbio  del
contrasto della stessa norma con la Costituzione (in tal senso, Corte
costituzionale, sentenze 191/2013, 258/2012, 117/2012 e 91/2004). 
    4. Per evidenziare i profili di non manifesta infondatezza  della
questione,  si  riportano  alcuni  cenni  relativi  al  sistema   del
risarcimento del danno ambientale, antecedente  l'entrata  in  vigore
del testo unico ambientale e disciplinato dalla L. 8 luglio 1986,  n.
349, il cui art. 18, al comma 1, attribuiva allo Stato il diritto  al
risarcimento del danno ambientale e, al comma 3, legittimava lo Stato
e gli enti territoriali sui quali incidono i beni oggetto  del  fatto
lesivo a promuovere anche in sede penale la relativa  azione  per  il
risarcimento del danno. Tale normativa, in  realta',  s'inseriva  nel
solco gia' tracciato dalla giurisprudenza (Cass. Civ., n. 1087 del  3
febbraio 1998). 
    La combinazione dei commi 1 e  3  ha  dato  adito  ad  incertezza
sull'identificazione  del  titolare  del  diritto  al   risarcimento,
potendosi sostenere, da una parte, la tesi che attribuiva  agli  enti
territoriali una legittimazione surrogatoria e sostitutiva di  quella
statale. Seguendo tale approccio,  il  diritto  al  risarcimento  del
danno  ambientale  sarebbe  spettato  esclusivamente  allo  Stato  in
qualita' di ente esponenziale della collettivita' nazionale al  quale
il bene pubblico ambiente  veniva  imputato  nella  sua  unitarieta'.
Altra tesi, invece, ampliando il concetto di Stato  come  inteso  nel
comma 1, e richiamando il concetto di Stato-ordinamento,  ossia  come
insieme di poteri pubblici, interpreto' la legittimazione degli  enti
territoriali come concorrente con quella statale, e  dunque  fondante
un diritto autonomo. 
    Tale tesi, fondata sulla considerazione che il danno  ambientale,
incidendo su un elemento costitutivo degli enti, ossia il territorio,
produce  una  lesione  di  un  diritto  della  personalita'  pubblica
spettante ai medesimi, si consolido' nella giurisprudenza prevalente,
che ebbe cosi' modo di affermare la  legittimazione  ad  agire  degli
enti locali in via principale e non in via sostitutiva  (Cass.,  sez.
III, 19 giugno 1996, n. 5650; Cass., sez. III, 3  febbraio  1998,  n.
1087). 
    La giurisprudenza di legittimita', compiendo un  ulteriore  passo
in avanti, ebbe modo anzi di precisare che la legittimazione ad agire
degli enti minori non costituiva il portato innovatore della  L.  349
del 1986, risultando invece il ricaduto interpretativo  della  stessa
Costituzione e dei principi generali in materia di  risarcimento  del
danno, in quanto «anche prima della legge cit. la Costituzione  e  la
norma generale dell'art.  2043  c.c.  apprestavano  all'ambiente  una
tutela organica e piena,  di  cui  era  gia'  allora  espressione  la
legittimazione   attiva   degli   enti   territoriali    direttamente
danneggiati, rappresentativi della collettivita' organizzata lesa  in
un suo bene primario ed assoluto (Cass. Civ. 19 giugno 1996 n.  5650;
Cass. Civ 3 febbraio 1998, n. 1087). 
    Tale quadro normativo e giurisprudenziale trovava, dopo il  1986,
un'ulteriore conferma in sede legislativa nell'art. 4, L. n. 265  del
1999, poi introdotto nell'art. 9, decreto legislativo n. 267 del 2000
(t.u. enti locali), secondo il quale «le associazioni  di  protezione
ambientale di cui all'art. 13, L. n. 349 del 1986,  possono  proporre
le azioni  risarcitorie  di  competenza  del  giudice  ordinario  che
spettino al Comune e alla Provincia, conseguenti al danno ambientale.
L'eventuale risarcimento e' liquidato in favore dell'ente  sostituito
e  le  spese  processuali  sono  liquidate  in  favore  o  a   carico
dell'associazione». 
    Il legislatore confermava la tesi secondo cui il risarcimento del
danno ambientale non era di esclusiva spettanza dello  Stato,  bensi'
anche degli enti pubblici territoriali, cui sarebbe stato devoluto il
risarcimento ottenuto  dalle  associazioni  ambientali  che  avessero
agito in sostituzione degli stessi. 
    In questa cornice, l'art. 18, L. n, 349 del 1986 non definiva  un
nuovo diritto ne' individuava un nuovo bene giuridico  meritevole  di
tutela, ma si limitava a ripartire la  legittimazione  attiva  tra  i
soggetti preposti alla protezione dell'ambiente, bene  gia'  tutelato
sulla base del solo art. 2043 c.c. e della Costituzione. 
    La legittimazione delle associazioni di protezione dell'ambiente,
ex art. 18 legge 8 luglio 1986, n. 349, era invece pacificamente  una
legittimazione sostitutiva,  avendo  fini  meramente  processuali  di
«impulso e controllo sociale». Tali associazioni  potevano  domandare
al  giudice  il  ripristino  della  situazione  dei  luoghi  a  spese
dell'obbligato,  ove  possibile,  mentre  non  potevano  ottenere  la
liquidazione del danno ambientale in termini monetari, in quanto tale
liquidazione andava devoluta a favore dello Stato e degli altri  Enti
Pubblici territoriali  (Cass.  Pen.  Sez.  3,  Sentenza  n.  439  del
10/11/1993; Sez, 3, Sentenza n. 2603 del 19/12/1990). 
    5. L'art. 18 L. 349 del 1986,  ad  eccezione  del  comma  5,  che
riconosce alle associazioni ambientaliste il diritto  di  intervenire
nei giudizi per danno  ambientale,  e'  stato  abrogato  dal  decreto
legislativo 3 aprile 2006, n. 152, art. 318, comma 2, lettera a). 
    Attualmente,  secondo  il  diritto   vivente   proclamato   dalla
giurisprudenza di legittimita' dianzi richiamata, l'art. 311 comma  1
del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, riserva allo Stato, ed
in  particolare  al  Ministro  dell'ambiente  e  della   tutela   del
territorio,  il  potere  di  agire  per  il  risarcimento  del  danno
ambientale in forma  specifica  e,  se  necessario,  per  equivalente
patrimoniale, anche esercitando l'azione civile in  sede  penale.  Le
somme ottenuto a titolo  risarcitorio,  come  espressamente  previsto
dall'art. 317, comma 5, «sono versate all'entrata del bilancio  dello
Stato per essere integralmente riassegnate con decreto  del  Ministro
dell'economia e delle finanze ad un pertinente capitolo  dello  stato
di  previsione  del  Ministero  dell'ambiente  e  della  tutela   del
territorio e del mare, per essere destinate alla realizzazione  delle
misure di prevenzione e riparazione in  conformita'  alle  previsioni
della direttiva 2004/35/CE ed agli obblighi da essa derivanti». 
    Le regioni e gli  enti  locali,  nonche'  le  persone  fisiche  o
giuridiche che sono o potrebbero essere colpite dal danno ambientale,
in forza dell'art.  309,  comma  1,  possono  presentare  denunce  ed
osservazioni nell'ambito di procedimenti finalizzati all'adozione  di
misure  di  prevenzione,  precauzione  e  ripristino  oppure  possono
sollecitare l'intervento statale a tutela  dell'ambiente  mentre  non
hanno  piu'  il  potere  di  agire  per  il  risarcimento  del  danno
ambientale in sede giurisdizionale. E' stato peraltro sin  da  subito
chiaro, anche in forza di quanto dispone l'art. 313 comma 7 del testo
unico, che la legittimazione a costituirsi parte civile nei  processi
per reati ambientali spetta non soltanto al  ministro  dell'ambiente,
ma anche all'ente pubblico territoriale ed ai  soggetti  privati  che
per  effetto  della  condotta  illecita  abbiano  subito   un   danno
risarcibile ai sensi dell'art.  2043  cod.  civ.  diverso  da  quello
ambientale (Cassazione Pen. , Sez. 3ª, 3.10.2006, n. 36514; Sez.  3ª,
28.10.2009, n. 755/10; Sez. 3ª, 11.2.2010, n. 14828). 
    Analogamente,  sempre  nell'ambito  della   generale   disciplina
aquiliana, tali soggetti possono agire ai sensi dell'art. 310 comma 1
«per  il  risarcimento  del  danno  subito  a   causa   del   ritardo
nell'attivazione, da parte del medesimo  Ministro,  delle  misure  di
precauzione, di prevenzione o di contenimento del danno ambientale». 
    6. Il rapporto tra disciplina del danno ambientale  e  disciplina
generale  dell'illecito  aquiliano  ex  art.  2043  c.c.   e'   stato
ricostruito in termini di specialita'. Per  effetto  dell'entrata  in
vigore della norma speciale contenuta nell'art. 311  comma  l,  nella
parte  in  cui  riserva  allo  Stato  la  legittimazione  ad   agire,
l'estensione della norma generale si e'  ristretta,  sicche'  il  suo
ambito  di  applicazione  non  comprende  piu'  la  fattispecie   ora
disciplinata dalla norma speciale. 
    Di conseguenza, il risarcimento del danno  ambientale  di  natura
pubblica, in se' considerato come lesione  dell'interesse  collettivo
all'ambiente, e' ora previsto e disciplinato soltanto  dall'art.  311
cit., ed il  titolare  della  pretesa  risarcitoria  per  tale  danno
ambientale, inteso quale diritto fondamentale a  valore  e  rilevanza
costituzionale, e' esclusivamente lo Stato, in persona  del  ministro
dell'ambiente. 
    Tutti gli altri soggetti, singoli o associati, ivi  compresi  gli
enti pubblici territoriali e le regioni,  possono  invece  agire,  in
forza dell'art. 2043 cod.  civ.,  per  ottenere  il  risarcimento  di
qualsiasi  danno  patrimoniale  e  non  patrimoniale,   ulteriore   e
concreto, che abbiano  dato  prova  di  aver  subito  dalla  medesima
condotta lesiva  ovvero  dall'inerzia  dello  Stato  nella  opera  di
prevenzione. 
    7. Punto fondamentale dell'elaborazione del concetto di  ambiente
e' l'insegnamento della  Corte  costituzionale  cristallizzato  nella
sentenza n.  641/1987,  secondo  cui  «l'ambiente  e'  protetto  come
elemento determinativo della qualita' della vita. La  sua  protezione
non persegue astratte finalita'  naturalistiche  o  estetizzanti,  ma
esprime l'esigenza di un habitat naturale nel quale  l'uomo  vive  ed
agisce e che  e'  necessario  alla  collettivita'  e,  per  essa,  ai
cittadini, secondo valori largamente sentiti; e' imposta anzitutto da
precetti costituzionali (articoli 9 e 32 Cost.), per cui esso assurge
a valore primario ed assoluto. ... L'ambiente  e',  quindi,  un  bene
giuridico  in  quanto  riconosciuto  e  tutelato  da  norme.  Non  e'
certamente possibile oggetto di una  situazione  soggettiva  di  tipo
appropriativo: ma, appartenendo alla categoria dei c.d. beni  liberi,
e' fruibile dalla collettivita' e dai singoli». 
    Sul senso che deve  essere  attribuito  alla  primazia  del  bene
ambientale,  quale  valore  primario  ed  assoluto,  e'  di   recente
intervenuta la stessa Corte, la  quale  ha  affermato  che  «tutti  i
diritti  fondamentali  tutelati  dalla  Costituzione  si  trovano  in
rapporto di  integrazione  reciproca  e  non  e'  possibile  pertanto
individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri.
La tutela deve essere sempre «sistemica e non frazionata in una serie
di  norme  non  coordinate  ed  in  potenziale  conflitto  tra  loro»
(sentenza n. 264 del 2012). Se  cosi  non  fosse,  si  verificherebbe
l'illimitata espansione di uno dei diritti, che diverrebbe  «tiranno»
nei confronti delle altre  situazioni  giuridiche  costituzionalmente
riconosciute  e  protette,  che  costituiscono,  nel  loro   insieme,
espressione della dignita'  della  persona.  La  qualificazione  come
«primari» dei valori dell'ambiente e della salute significa  pertanto
che gli stessi non possono essere  sacrificati  ad  altri  interessi,
ancorche' costituzionalmente tutelati, non gia' che gli stessi  siano
posti alla sommita' di un ordine gerarchico assoluto. 
    Il punto di equilibrio, proprio perche' dinamico e non prefissato
in anticipo, deve essere valutato - dal legislatore nella statuizione
delle norme e dal giudice delle leggi in sede di controllo -  secondo
criteri  di  proporzionalita'  e  di  ragionevolezza,  tali  da   non
consentire  un  sacrificio  del   loro   nucleo   essenziale   (Corte
costituzionale, sentenza n. 85 del 9 maggio 2013). 
    8.  Ad  avviso  dello  scrivente,  la   norma   che   limita   la
legittimazione ad agire esclusivamente in capo allo Stato suscita  il
dubbio di conformita' a Costituzione, con particolare riferimento  ai
parametri costituiti dagli articoli 3, 9, 24 e 32. 
    Partendo dal  presupposto  che  l'ambiente  costituisce  un  bene
appartenente  alla   collettivita',   occorre   prendere   atto   che
l'ordinamento,  con  il  testo  unico  in  materia   ambientale,   ha
decisamente  virato  verso  un  sistema  di   tutela   centralizzato,
imperniato sul ruolo dello Stato quale soggetto capace di offrire uno
standard di  tutela  elevato  ed  omogeneo  in  tutto  il  territorio
nazionale.  Questa  impostazione  e'  frutto  in  gran  parte   della
trasversalita' della materia ambientale,  che  nelle  sue  molteplici
declinazioni  si  interseca  con  altri  beni  e  valori   di   rango
costituzionale,   imponendo   cosi'   una    difficile    opera    di
contemperamento e bilanciamento,  rimessa  allo  stesso  Stato  quale
soggetto apicale dell'ordinamento. 
    La tutela del diritto ad un ambiente  integro  e  salubre,  nella
impostazione  del  codice,  procede  tramite   un   doppio   binario,
amministrativo  e  giurisdizionale.  Al  primo  binario  appartengono
l'azione di prevenzione e ripristino ambientale di cui agli  articoli
304, 305 e 306 e il  potere  di  adottare  l'ordinanza  di  cui  agli
articoli   312   e   313,   mentre   al   secondo   binario,   quello
giurisdizionale,  appartiene  la  legittimazione  ad  agire  per   il
risarcimento del danno ambientale. 
    L'art. 311 delinea chiaramente l'alternativita' tra  risarcimento
del danno in sede giurisdizionale,  disciplinato  dallo  stesso  art.
311, e risarcimento in sede amministrativa, che sfocia  nell'adozione
dell'ordinanza ministeriale prevista dall'art. 313.  L'alternativita'
e'    altresi'    ribadita    dall'art.    315,    che     stabilisce
l'improseguibilita'  dell'azione  giudiziaria  in  caso  di  adozione
dell'ordinanza ministeriale di cui all'art. 313. 
    La scelta di accentrare  le  funzioni  amministrative  di  tutela
dell'ambiente in capo  allo  Stato  e'  stata  giudicata  conforme  a
costituzione dalla Corte costituzionale, chiamata da numerose regioni
in via principale a vagliare la legittimita' della  parte  sesta  del
testo unico. 
    Di  particolare  rilievo  per  il  nostro  oggetto  e'  la   gia'
richiamata sentenza n. 235 del 2009, la quale, nell'esame delle norme
della parte sesta del testo unico, ha  espresso  importanti  principi
che  devono  essere  attentamente  valutati  per  le   loro   dirette
implicazioni. 
    In quella occasione, la Corte costituzionale, al  punto  9  della
sentenza, ha ritenuto non  fondato  il  dubbio  di  costituzionalita'
relativo agli articoli 304, comma 3, 305, comma 2, e  306,  comma  2,
del  Codice  dell'ambiente,  i  quali   nel   disciplinare   l'azione
amministrativa di prevenzione  e  ripristino  del  danno  ambientale,
attribuiscono  all'amministrazione  statale  il  potere  di  chiedere
informazioni  all'operatore,  di  ordinargli  specifiche  misure   di
prevenzione o  ripristino,  nonche'  di  assumere  direttamente  tali
misure. 
    Secondo la Corte, che aveva quale parametro di  costituzionalita'
l'art.  118  Cost.,  «la  scelta  di  attribuire  all'amministrazione
statale  le  funzioni  amministrative  trova  una  non   implausibile
giustificazione  nell'esigenza  di  assicurare  che  l'esercizio  dei
compiti di prevenzione e riparazione del danno ambientale risponda  a
criteri di uniformita' e unitarieta', atteso che il livello di tutela
ambientale non puo' variare da zona a zona  e  considerato  anche  il
carattere diffusivo e transfrontaliero  dei  problemi  ecologici,  in
ragione del quale gli effetti del danno ambientale sono difficilmente
circoscrivibili entro mi preciso e limitato ambito territoriale». 
    Analogo principio e' stato affermato in riferimento agli articoli
312 e 313 del Codice dell'ambiente, che regolano l'ordinanza  per  il
risarcimento del danno ambientale e la relativa istruttoria. La Corte
ha   affermato   che   «la   scelta   legislativa    di    attribuire
all'amministrazione statale, anziche'  alle  diverse  amministrazioni
regionali,  il  potere  di  adottare  l'ordinanza  che  ingiunge   al
responsabile  del  danno  ambientale  il   risarcimento   trova   una
ragionevole giustificazione  nell'esigenza  di  assicurare  che  tale
speciale potere amministrativo venga esercitato  secondo  criteri  di
uniformita' e unitarieta' (sub 9)». 
    Ora, ad avviso dello  scrivente,  non  e'  possibile  trasfondere
queste stesse argomentazioni in riferimento alla  scelta  legislativa
di accentrare la legittimazione ad  agire  per  il  risarcimento  dal
danno ambientale in capo allo Stato.  La  stessa  sentenza  235/2009,
nell'affrontare la  questione  relativa  all'art.  311  comma  1,  ha
precisato che il richiamo all'art. 118 Cost. non  e'  conferente,  in
quanto «regola il riparto della funzione amministrativa fra i diversi
livelli di  governo,  mentre  la  legittimazione  ad  agire  in  sede
giurisdizionale,  da  un   lato,   non   costituisce   una   funzione
amministrativa e, dall'altro  lato,  non  risponde  alla  logica  del
riparto, dal momento che il riconoscimento della legittimazione dello
Stato non esclude quella delle Regioni, e viceversa». 
    Vale la pena altresi' precisare, proprio su  questo  solco,  come
non si possa tanto meno costruire  un  parallelismo  tra  titolarita'
della  legittimazione  ad  agire   e   titolarita'   della   funzione
legislativa.  La  difesa  degli  imputati  ha  desunto  la  manifesta
infondatezza  della  questione  di  legittimita'  costituzionale  dal
rilievo che la  legittimazione  ad  agire  costituirebbe  espressione
della competenza esclusiva statale in materia  di  tutela  ambientale
sancita dall'art. 117, comma 2, lettera s) della Costituzione. 
    Tuttavia, mutuando le stesse parole  della  Corte  costituzionale
teste' richiamate, l'art. 117  regola  il  riparto  della  competenza
legislativa,   mentre   la   legittimazione   ad   agire   in    sede
giurisdizionale  non  costituisce  una  funzione   legislativa,   ne'
risponde alla logica. del suo riparto. 
    In altri  termini,  una  cosa  e'  attribuire  la  competenza  di
legiferare in una  materia,  altra  cosa  e'  dislocare  le  funzioni
amministrative tra i diversi organi di governo, altra cosa ancora  e'
attribuire la titolarita' ad agire  in  via  giurisdizionale  per  la
tutela di un diritto, nulla ostando che ognuna di queste competenze o
poteri sia attribuita a soggetti diversi. 
    9. Alcuni commentatori hanno evidenziato che la limitazione della
legittimazione ad agire introdotta con l'art. 311 cit. sarebbe  stata
motivata  dalla  volonta'  di  circoscrivere  la  partecipazione   al
processo per chiedere il risarcimento  del  danno  ambientale  ad  un
unico  soggetto,  evitando  situazioni  di  aggressione   processuale
dell'imputato ovvero anche di difficile governo del processo  per  il
numero di parti costituite. 
    In realta', seppur tali ragioni, che in ultima analisi  esprimono
esigenze di tutela del contraddittorio e di  ragionevole  durata  del
processo, risultano apprezzabili,  non  di  certo  lo  strumento  per
perseguirle puo' essere impedire al titolare di agire in giudizio per
la tutela del suo diritto, tantomeno  quando  questo  e'  un  diritto
primario ed assoluto. Del resto, la scelta legislativa  adottata  con
l'art. 311 in esame ha portato alle estreme conseguenze, introducendo
una legittimazione esclusiva in capo  ad  un  unico  soggetto,  cosi'
passando da un sistema di tutela diffuso  ed  un  sistema  di  tutela
esclusivo, senza prendere in considerazione opzioni mediane. 
    10. Dunque, tenuto conto che l'accentramento della legittimazione
ad agire  in  via  giurisdizionale  per  il  risarcimento  del  danno
ambientale  non  puo'  trovare  giustificazione  con  l'esigenza   di
unitarieta' ed omogeneita' segnalata dalla Corte  costituzionale  per
assolvere l'accentramento statale della funzione amministrativa,  ne'
puo' essere giustificata da una precisa politica processuale, si puo'
osservare  che,  nella  vigenza  dell'art.   18   L.   346/1986,   la
legittimazione ad agire dello Stato  e  degli  enti  minori  non  era
fondata nella lesione di un  loro  bene  economico,  «ma  nella  loro
funzione a tutela della collettivita' e delle comunita'  nel  proprio
ambito  territoriale  e  degli  interessi  all'equilibrio  ecologico,
biologico e sociologico del territorio che ad essi fanno capo» (Corte
Cost. 641/1987; analogamente, anche la giurisprudenza  della  Suprema
Corte di Cassazione, Sez. 3, Sentenza n. 22539 del 05/04/2002).  Allo
stesso tempo, la legittimazione autonoma  e  concorrente  degli  enti
minori non trovava fondamento diretto nella L. 349/1986, bensi' nella
stessa Costituzione e nella disciplina generale del  danno  aquiliano
(Cass. Civ. 19 giugno 1996 n. 5650; Cass. Civ  3  febbraio  1998,  n.
1087). 
    Ad avviso dello scrivente, accentrare la legittimazione ad  agire
in capo ad  un  solo  soggetto  non  e'  in  grado  di  garantire  un
sufficiente livello di tutela della collettivita' e  delle  comunita'
nonche'  degli  interessi  all'equilibrio   economico   biologico   e
sociologico del territorio, comportando un  irragionevole  sacrificio
di un aspetto ineludibile nel sistema di tutela. Da qui la violazione
delle norme costituzionali richiamate. 
    11 . Sotto il profilo della  violazione  dell'art.  3  Cost.,  si
osserva che la disciplina prevista dall'art. 311 comma  1  del  testo
unico,  speciale  rispetto  alla  disciplina   generale   del   danno
aquiliano, vira decisamente in punto di legittimazione ad  agire  per
il risarcimento del danno. Se e' vero che la legittimazione ad  agire
per  il  risarcimento  del  danno  ambientale   non   consegue   alla
titolarita' del diritto, ma al ruolo svolto dall'ente in finzione  di
tutela di un bene collettivo, e' anche vero  che  la  regione  e  gli
altri enti territoriali sono  comunque  soggetti  esponenziali  della
collettivita' che opera nel territorio leso, quanto lo e' lo Stato. 
    Inoltre, il territorio che ha subito il danno ambientale e' parte
costitutiva   della   soggettivita'   della   regione   e   dell'ente
territoriale, per cui ogni danno ambientale  arrecato  al  territorio
finisce per intaccare l'ente territoriale o  la  regione  in  un  suo
elemento costitutivo fondamentale. 
    Privare la  regione  o  l'ente  territoriale  dalla  facolta'  di
tutelare in via giurisdizionale ogni aggressione ad un bene incidente
direttamente sulla propria integrita' e comunque sulla  collettivita'
di cui e' esponente, introduce una disparita'  di  trattamento.  Solo
uno dei soggetti lesi o comunque interessati dalla lesione - lo Stato
- puo' reagire in via giurisdizionale  per  la  difesa  del  diritto,
mentre tale facolta' non e' concessa ad altri soggetti  portatori  di
identica posizione giuridica rispetto  al  diritto  all'ambiente,  in
assenza  di  un  ragionevole  motivo,  non  potendo   essere   questo
ravvisato,  per  le  ragioni  gia'  esposte,  in  una   esigenza   di
unitarieta' ed omogeneita', appartenente all'ambito del riparto della
funzione amministrativa, ne' in  una  esigenza  di  natura  meramente
processuale. 
    Sotto altro profilo, si osserva che  la  deroga  alla  disciplina
generale della responsabilita' civile determina anche un  trattamento
deteriore del diritto ad un ambiente  salubre,  diritto  primario  ed
assoluto rientrante  tra  i  diritti  inviolabili  dell'uomo  di  cui
all'art. 2 Cost., rispetto ai restanti diritti costituzionali di pari
valore  i  quali,  rientrando  sotto  la  sfera   di   tutela   della
responsabilita'  civile,  non  subiscono  alcuna  limitazione   nella
titolarita' della legittimazione ad agire. Con l'art. 311 comma 1, il
legislatore ha  introdotto  una  norma  che,  derogando  alla  regola
generale dell'art. 2043, impedisce ad alcuni soggetti, che  sarebbero
stati altrimenti legittimati, ad agire in via giurisdizionale per  la
tutela del diritto. Pertanto, il  diritto  all'ambiente,  in  un  suo
aspetto fondamentale  che  ne  indica  il  grado  di  protezione  che
l'ordinamento gli appresta, ovvero la tutela  giurisdizionale,  viene
discriminato rispetto agli altri  diritti  primari  ed  assoluti,  in
assenza di una apprezzabile ragione giustificatrice. 
    In definitiva, impedire alle regioni e  agli  altri  enti  locali
minori di reagire davanti alla lesione del bene ambientale, impedendo
loro quell'azione giudiziaria che  altrimenti  sarebbe  spettata  per
regola generale, delinea una disparita' di trattamento sia  in  senso
soggettivo, in quanto tratta diversamente  soggetti  che  vantano  la
stessa posizione giuridica, sia in senso oggettivo, in quanto  tratta
diversamente un bene (inviolabile) rispetto agli altri beni che hanno
riconoscimento nella Costituzione. 
    12. Per le stesse argomentazioni, la norma appare  violare  anche
il diritto di difesa costituzionalmente tutelato dall'art.  24  Cost.
Si impedisce  infatti  ad  un  soggetto  portatore  di  un  interesse
concretamente leso dall'azione illecita altrui di reagire per la  sua
tutela in via  giurisdizionale.  Da  tempo  la  giurisprudenza  della
Suprema Corte aveva inteso la lesione del  bene  ambientale  incidere
direttamente  sull'ambiente  inteso  come  «assetto  qualificato  del
territorio, il quale e' elemento costitutivo di tali enti  e  percio'
oggetto di un loro diritto di personalita' (Cass.  Pet.  Sez.  3,  n.
9227 del 15 giugno 1993; Sez. 3, Sentenza n. 8091 del 26/01/2011). 
    13. Il confine piu' o meno ampio della  legittimazione  ad  agire
per la difesa di un diritto segna il campo della  maggiore  o  minore
tutela che l'ordinamento appresta in suo favore. Quanto piu' e' ampia
questa  legittimazione,  tanto  piu'   il   diritto   potra'   essere
efficacemente  tutelato   da   una   pluralita'   di   soggetti.   La
giurisprudenza formatasi sull'art. 18 L. 346/1986, aveva rinvenuto la
giustificazione della  legittimazione  ad  agire  delle  associazioni
ambientaliste in una  esigenza  di  «impulso  e  controllo  sociale»,
evidenziando cosi' che il diritto ad  un  ambiente  salubre,  proprio
perche' diritto non intestato ad alcuno  ma  in  realta'  diritto  di
tutti, potesse essere per questo  trascurato  dai  soggetti  pubblici
istituzionalmente deputati alla sua salvaguardia. 
    Tali considerazioni costituiscono la  premessa  per  la  denuncia
della violazione degli articoli 2, 9 e 32 della  Costituzione,  norme
che tutelano il diritto alla salute e al paesaggio, quali espressione
diretta del bene ad un ambiente salubre, diritto primario ed assoluto
e, per questo, inviolabile. La disciplina  introdotta  dall'art.  311
comma 1, nel limitare la legittimazione ad agire  rispetto  a  quella
che discenderebbe dall'applicazione dei principi generali in  materia
di illecito, finisce per ledere lo stesso diritto all'ambiente,  alla
salute ed all'integrita' del paesaggio. 
    Infatti si impedisce ai soggetti  esponenziali  delle  rispettive
comunita' che vivono nel territorio intaccato nella sua integrita' di
farsi parte attiva nella richiesta di risarcimento del danno in forma
specifica e per equivalente, relegando le loro istanze  a  corredo  e
pungolo dell'iniziativa statale, la quale procede tuttavia nelle  sue
determinazioni  in  maniera  autonoma  ed  indipendente.  L'eventuale
inerzia statale nell'esercizio del diritto di agire in  giudizio  non
e' evitabile ne' rimediabile. In tali casi, agli enti territoriali e'
rimessa esclusivamente la possibilita' di chiedere i danni  derivanti
dall'inerzia, ma non certo di ottenere il risarcimento di quel  danno
ambientale che, nell'inerzia del suo unico titolare,  restera'  senza
tutela. 
    14. La violazione appare tanto piu'  evidente  e  per  questo  si
profila anche  l'irragionevolezza  della  stessa  norma,  laddove  si
consideri che i soggetti che la norma in  oggetto  intende  escludere
sono proprio quelli piu' vicini agli interessi concretamente lesi dal
danno. La Regione e gli enti territoriali rappresentano un livello di
amministrazione della cosa pubblica piu'  vicino  alle  esigenze  del
territorio e della collettivita' di riferimento, con  la  conseguenza
che essi, ancor prima dello Stato, sono  i  portatori  delle  istanze
piu' radicate e forti ad  un  ambiente  salubre  in  cui  le  persone
auspicano di poter trascorrere una  vita  serena.  Essi,  proprio  in
quanto rappresentanti il livello di amministrazione  piu'  vicino  al
territorio ed alle persone che vi abitano, sono in grado di garantire
un controllo del territorio maggiore ed un impulso piu' efficace alla
sua tutela. 
    Per questi motivi, si teme  che  limitare  la  legittimazione  ad
agire  alla  sola  iniziativa   statale   produca   un   arretramento
ingiustificato  nella  tutela  giurisdizionale  del  diritto  ad   un
ambiente salubre, in quanto  depotenzia  il  ruolo  di  protezione  e
tutela storicamente personificato dagli  enti  territoriali  e  dalle
comunita' locali, parti attrici fondamentali ed  ineludibili  proprio
perche'  direttamente  interessate   e   coinvolte   dalle   negative
ripercussioni provocate dall'illecito  sulla  vita  quotidiana  delle
persone  e  portatrici  delle  istanze  piu'  forti  e  radicali   al
ripristino dell'integrita' ambientale perduta. 
    L'arretramento  cosi'  determinato  non  sembra  ispirato  ad  un
proporzionato  e  ragionevole  punto  di  equilibrio  tra   interessi
contrapposti, quanto la conseguenza di un eccessivo ed ingiustificato
sacrificio del diritto dei cittadini a vivere in un ambiente sano. 
    14. Anche se il dubbio di conformita' a Costituzione della scelta
di escludere legittimazioni concorrenti a quella dello Stato  dovesse
essere fugato, non si  puo'  non  evidenziare  un  ulteriore  profilo
critico  della  norma  proprio  alla  luce  dei  caso  concreto.  Per
comprenderne il motivo,  occorre  chiedersi  quale  rimedio  appresta
l'ordinamento nel caso in cui l'unico soggetto legittimato  ad  agire
in via giurisdizionale per il risarcimento del danno  ambientale  sia
allo stesso tempo il responsabile civile del danno. 
    Nel caso specifico, per effetto della norma contestata, lo  Stato
in persona del Ministero dell'ambiente l'unico soggetto  che  sarebbe
stato legittimato a chiedere il risarcimento  del  danno  ambientale,
sia in forma specifica che per  equivalente,  pur  essendo  chiamato,
allo stesso tempo, a rispondere civilmente del danno. 
    Viene il dubbio, allora, che chi rivesta al contempo il ruolo  di
unico attore e presumibile convenuto della domanda risarcitoria,  sia
in grado di agire efficacemente ed incondizionatamente per la  tutela
del  diritto  leso  in   presenza   di   interessi   confliggenti   e
contrapposti, con la conseguenza che la decisione di chiedere o  meno
al giudice la condanna al risarcimento del danno rischi di essere  il
frutto di valutazioni di mera opportunita', e non di un  apprezzabile
e sincero bilanciamento dei valori primari in gioco. 
    In questi casi, la presenza di un soggetto legittimato  ad  agire
in sostituzione del soggetto titolare che  non  possa  o  non  voglia
agire, eviterebbe che il  diritto  all'ambiente  venisse  danneggiato
ulteriormente - oltre al danno ambientale gia' verificatosi  -  dalla
eventuale  inerzia  del  soggetto  chiamato  in  via   principale   a
difenderlo. 
    Sotto  questo  profilo,  in  riferimento  ai  medesimi  parametri
costituzionali sopra richiamati di cui agli articoli 2, 3,  9,  24  e
32, e del parametro della ragionevolezza, e per gli stessi motivi, si
dubita della legittimita' dell'art. 311 comma 1 cit. nella  parte  in
cui non prevede una legittimazione ad  agire  in  via  sostitutiva  e
surrogatoria delle regioni e degli  enti  locali  minori,  capace  di
scongiurare l'inerzia statale, nel  caso  in  cui  lo  Stato  sia  al
contempo responsabile civile del danno o comunque  rivesta  posizioni
giuridiche che in concreto confliggono con la tutela dell'ambiente.