TRIBUNALE DI BRESCIA 
                 Terza sezione penale e del riesame 
 
    Composto dai signori: 
    dott. Michele Mocciola, Presidente; 
    dott. Andrea Guerrerio, giudice relatore; 
    dott. Alessandra Di Fazio, giudice, 
riunito in Camera di consiglio ha pronunciato la  seguente  ordinanza
sulla richiesta di riesame pervenuta in  data  7  luglio  2016  dalla
difesa di M. A. avverso  l'ordinanza  del  Giudice  per  le  indagini
preliminari del Tribunale di Bergamo del 25 giugno  2016  (depositata
il 30 giugno 2016)  di  applicazione  della  misura  cautelare  della
custodia in carcere per delitti di  furto  aggravato  in  abitazione,
possesso  di  segni  distintivi  contraffatti  ed  associazione   per
delinquere; 
    Pronunciando in sede  di  rinvio  a  seguito  della  sentenza  di
annullamento della Corte di cassazione, IV sez., 29 novembre 2016, n.
55272; 
    premesso che gli atti sono pervenuti a questo Ufficio in data  19
gennaio 2017 sciogliendo la riserva  formulata  all'udienza  camerale
del 31 gennaio 2017, 
 
                               Osserva 
 
    Con ordinanza 25 giugno 2016 (depositata il 30 giugno  2016),  il
giudice per le  indagini  preliminari  di  Bergamo,  in  rinnovazione
dell'ordinanza del giudice  per  le  indagini  preliminari  di  Pavia
dell'8 giugno 2016  (dichiaratosi  incompetente  per  alcuni  delitti
contestati), applicava a M. la massima misura  cautelare  ritenendolo
gravemente indiziato di plurimi delitti contro il patrimonio commessi
in concorso con D. A., S. G. e C. A., nei giorni 21 e 22 ottobre 9015
nelle province di Bergamo, Cremona e Brescia (capi B43, C6, D11, E11,
E12, E13, I1, I2, G1 - rectius H1, G2, rectius H2) e del  delitto  di
associazione per delinquere (capo A). 
    Stimava sussistente  il  pericolo  di  reiterazione  di  condotte
analoghe. 
    In relazione a tutti i delitti di cui sopra, i tre coindagati  di
M. D., S. e C. - venivano fermati giorno  22  ottobre  2015  a  bordo
dell'autovettura e nei pressi dell'abitazione di D. venendo ritrovati
in possesso di parte della refurtiva denunciata dalle persone offese;
in quell'occasione un quarto uomo, poi identificato dalla p.g. in  M.
A., riusciva a scappare. 
    Con ordinanza 12 luglio 2016 questo Tribunale, adito in  sede  di
riesame annullava l'ordinanza del giudice per le indagini preliminari
di Bergamo ritenendo l'ordinanza  viziata  da  mancanza  di  autonoma
valutazione. 
    In particolare si evidenziava come il  giudice  per  le  indagini
preliminari  orobico  -  giudice  naturale  poiche'  territorialmente
competente - avesse replicato in toto la motivazione del giudice  per
le  indagini  preliminari  pavese,   senza   che   fossero   aggiunte
valutazioni autonome. 
    Con sentenza n. 55272/2016, la  quarta  sezione  della  Corte  di
cassazione  annullava  con  rinvio  l'ordinanza  del  Tribunale   del
riesame. 
    La Corte premetteva che l'introduzione del concetto  di  autonoma
valutazione  (introdotto  dalla  legge  n.  47/2015)  non  veniva  ad
aggiungere  un  nuovo  requisito  a  quelli  preesistenti  e  fissati
nell'art. 292 codice di procedura penale, ma si limitava a confermare
l'orientamento consolidato di legittimita' secondo  cui  e'  comunque
necessario  che  il  provvedimento  cautelare  abbia  i  fondamentali
contenuti informativi e dimostri «l'effettiva  valutazione  da  parte
del giudicante e, quindi, il reale esercizio della giurisdizione». 
    La sentenza  precisava  quindi  come,  in  caso  di  rinnovazione
dell'ordinanza ex art. 27 codice  di  procedura  penale,  il  giudice
competente  puo'  «motivare  facendo  rinvio  alle  valutazioni  gia'
espresse dal precedente giudice, dichiaratosi incompetente, su  tutti
i  presupposti  per  la  adozione  del  titolo   restrittivo;   nulla
impedisce, infatti, al giudice competente di motivare per  relationem
con riferimento all'ordinanza del giudice  dichiaratosi  incompetente
[...]e cio' sia in ragione dei  tempi  brevissimi  di  emissione  del
provvedimento da parte del  giudice  incompetente,  sia  in  funzione
della  stessa   natura   del   provvedimento   emesso   dal   giudice
incompetente, pur sempre giudice terzo rispetto  alla  richiesta  del
pubblico ministero». 
    Concludeva, citando giurisprudenza analoga e  ritenendo  pertanto
non   affetto   da   nullita'   «il   provvedimento   che   riproduce
sostanzialmente  l'ordinanza  emessa  dal  giudice   territorialmente
incompetente, qualora la motivazione di quest'ultima risulti  congrua
rispetto  all'iter  logico  seguito  per  pervenire  alla   decisione
adottata». 
    Pertanto annullava l'ordinanza di questo Tribunale e rinviava per
nuovo esame della vicenda cautelare. 
    Ad abundantiam va notato come la sentenza in  argomento  venga  a
collocarsi in un solco di pronunce di legittimita' con contenuti  del
tutto analoghi, di talche' puo' altresi' affermarsi che la stessa sia
parte del c.d. diritto vivente; ed invero  la  Corte  di  cassazione,
anche a seguito della novella legislativa n. 47/2015, ha  piu'  volte
affermato la praticabilita', nei casi  di  ordinanze  pronunciate  in
rinnovazione ex art. 27 codice di procedura penale,  per  il  giudice
naturale (ossia per  il  giudice  competente)  di  «motivare  facendo
rinvio  alle  valutazioni  gia'  espresse  dal  precedente   giudice,
dichiaratosi incompetente, su tutti i presupposti per la adozione del
titolo  restrittivo»  (Cass.,  II,  2  febbraio   2016,   n.   11460;
analogamente, ante riforma, Cassazione,  III,  29  gennaio  2015,  n.
20568 e Cassazione, II, 28 gennaio 2015, n. 6358). 
    All'odierna  udienza   camerale,   regolarmente   instaurato   il
contraddittorio, il  difensore  di  M.  chiedeva  annullamento  della
misura per difetto dei gravi indizi. 
    Ritiene il Collegio che il principio di diritto  affermato  dalla
Corte  di  cassazione  nella  sentenza  di  annullamento,   principio
chiaramente vincolante per questo Tribunale in  sede  di  rinvio  (ex
art.  627  c.p.p.),  contrasti  con  plurimi  articoli  della   Carta
costituzionale,  motivo  per  cui  -sussistendo  i   presupposti   di
rilevanza  e  non  manifesta  infondatezza  della  questione   -   il
procedimento cautelare viene sospeso con rimessione degli  atti  alla
Consulta. 
    Il principio formulato nella sentenza della Corte di legittimita'
interviene in una vicenda particolare, ossia a seguito dell'ordinanza
con cui questo Tribunale aveva  annullato  -  ex  articoli  292,  309
codice di procedura penale - l'ordinanza del giudice per le  indagini
preliminari di Bergamo di applicazione della misura cautelare massima
a M. A. L'ordinanza  del  giudice  per  le  indagini  preliminari  di
Bergamo,  nello  specifico,  aveva  «rinnovato»  l'analoga  ordinanza
cautelare pronunciata dal giudice  per  le  indagini  preliminari  di
Pavia nei venti giorni antecedenti, provvedimento  -  quest'ultimo  -
che si concludeva con dichiarazione di incompetenza per territorio in
favore dell'a.g. bergamasca e  che,  pertanto,  presentava  efficacia
interinale  e  limitata  (venti  giorni,  secondo   quanto   indicato
dall'art. 27 c.p.p.). 
    La  Corte,   richiamando   un'interpretazione   di   legittimita'
pressoche' consolidata, ha premesso come le modifiche introdotte  con
la legge n. 47/2015 non hanno carattere innovativo ma confermativo di
un orientamento maggioritario secondo cui il  Tribunale  del  riesame
«non puo'  mai  -  nonostante  i  propri  poteri  di  integrazione  -
completare quella ordinanza di custodia cautelare la cui  motivazione
non abbia un contenuto dimostrativo dell'effettivo esercizio  di  una
attivita' di "autonoma valutazione"». 
    Tale principio (condiviso da  questo  Collegio)  e'  stato,  poi,
declinato con specifico  riferimento  alla  vicenda  che  qui  occupa
affermandosi, in  maniera  nitida  e  non  equivoca,  il  seguente  -
ulteriore - principio di diritto: «non  e'  affitto  da  nullita'  il
provvedimento che riproduce sostanzialmente  l'ordinanza  emessa  dal
giudice territorialmente  incompetente,  qualora  la  motivazione  di
quest'ultima risulti congrua rispetto  all'iter  logico  seguito  per
pervenire alla decisione adottata». 
    Il concetto e' poi peraltro spiegato affermando  che  il  giudice
competente  puo'  «motivare  facendo  rinvio  alle  valutazioni  gia'
espresse dal precedente giudice, dichiaratosi incompetente, su  tutti
i  presupposti  per  la  adozione  del  titolo   restrittivo;   nulla
impedisce, infatti; al giudice competente di motivare per  relationem
con riferimento all'ordinanza del giudice  dichiaratosi  incompetente
[...] e cio' sia in ragione dei tempi  brevissimi  di  emissione  del
provvedimento da parte del  giudice  incompetente,  sia  in  funzione
della  stessa   natura   del   provvedimento   emesso   dal   giudice
incompetente, pur sempre giudice terzo rispetto  alla  richiesta  del
pubblico ministero». 
    Ebbene reputa il Collegio che il principio di diritto cosi' sopra
definito contrasti con gli articoli 13, comma secondo  e  111,  comma
quarto, Cost., nonche' con l'art. 25, comma primo, Cost. 
Rilevanza della questione. 
    Preliminarmente occorre precisare i termini della rilevanza della
questione proposta. 
    Sotto un primo profilo - di carattere generale - risulta pacifica
la possibilita', da parte del  Tribunale  del  riesame,  in  sede  di
rinvio a seguito di sentenza di annullamento, di sollevare  incidente
costituzionale rispetto  al  principio  di  diritto  stabilito  dalla
Suprema Corte nella sentenza stessa (sul punto possono richiamarsi le
stesse sentenze della Corte costituzionale, n. 150/1993, n. 305/2008,
n. 204/2012, n. 293/2013, n. 270/2014). 
    Nel caso particolare che qui occupa il principio elaborato  dalla
Suprema  Corte  secondo  cui  «non  e'   affetto   da   nullita'   il
provvedimento che riproduce sostanzialmente  l'ordinanza  emessa  dal
giudice territorialmente  incompetente,  qualora  la  motivazione  di
quest'ultima risulti congrua rispetto  all'iter  logico  seguito  per
pervenire alla decisione adottata», vincola questo Collegio  in  sede
di rinvio nell'analisi dell'ordinanza del  giudice  per  le  indagini
preliminari di Bergamo circa il requisito  dell'autonoma  valutazione
in punto di esigenze di cautelari. 
    Dev'essere infatti rilevato come la  Suprema  Corte,  dopo  avere
elaborato il principio di diritto di cui sopra,  ha  circoscritto  il
suo  esame  esclusivamente  sulla  motivazione  del  giudice  per  le
indagini  preliminari  afferente  i  gravi  indizi  di   colpevolezza
evidenziando, nei merito, come in quel  provvedimento  fossero  stati
aggiunti alcuni elementi di fatto  ulteriori  rispetto  all'ordinanza
del giudice per le indagini preliminari di Pavia la  cui  motivazione
era contestualmente richiamata (1) . 
    E,  sebbene  questo  Collegio  avesse  ravvisato  (nell'ordinanza
annullata) una criticita' motivazionale identica anche  con  riguardo
alle  esigenze  cautelari,  la   Corte   di   legittimita'   non   ha
approfondito, nel merito della questione preliminare di nullita'  del
titolo cautelare, l'analisi dell'ordinanza in  punto  di  motivazione
sulle esigenze cautelari, anch'esse ricalcate dal  provvedimento  del
giudice per  le  indagini  preliminari  pavese,  sicche'  e'  tuttora
aperto, in fatto, il profilo della  presenza  o  meno  del  requisito
dell'autonoma valutazione sul ritenuto pericolo di recidiva. 
    Nondimeno e' pacifico  che  il  principio  di  diritto  affermato
vincola l'analisi che questo Tribunale deve (2) ancora condurre,  nel
merito, con riguardo alla presenza di una autonoma valutazione  sulle
specifiche esigenze cautelari che hanno giustificano in  concreto  la
misura disposta. 
    Ed infatti il principio di diritto affermato dalla Suprema  Corte
coinvolge per intero l'interpretazione  del  requisito  dell'autonoma
valutazione e connessa causa di nullita' di cui all'art.  292,  comma
II, lettera c) codice di procedura penale cio' che  rende  vincolante
quel principio anche nella valutazione delle esigenze cautelari. 
    In definitiva, il giudizio di costituzionalita' attivato  non  si
sovrappone ad un giudizio di merito gia' risolto  dalla  sentenza  di
annullamento - sebbene sulle sole questioni preliminari  di  nullita'
del titolo cautelare - in quanto e' ancora sub iudice la questione in
fatto di un'autonoma valutazione da parte del giudice per le indagini
preliminari  delle  esigenze  cautelari,  questione   estranea   alla
valutazione di legittimita' (ma non estranea al principio di  diritto
affermato) e, quindi, oggetto di doveroso esame  per  il  giudice  di
rinvio nei termini vincolanti suddetti. 
    E nel caso specifico la rilevanza della questione  e'  ancora  di
piu'  evidente  atteso  che  l'ordinanza  impugnata  argomenta  sulle
esigenze cautelari con esclusivo rinvio al provvedimento del  Giudice
per le indagini preliminari del Tribunale di Pavia, e, applicando  il
principio della Suprema Corte, tale per cui non vi e' alcuna nullita'
dell'ordinanza del giudice per le indagini preliminari che - in  sede
di rinnovazione -  rinvia  integralmente  all'ordinanza  del  giudice
incompetente su  tutti  i  presupposti  della  misura  cautelare,  la
conclusione necessitata e' di validita' del provvedimento. 
    Ecco, quindi, che, dovendo applicare quel  principio  di  diritto
sul  tema  delle  esigenze  cautelari,  di  fronte  al  sospetto   di
incostituzionalita' del principio medesimo, soltanto la  proposizione
della questione incidentale consente di rimuoverlo,  onde  consentire
detto ulteriore vaglio secondo un parametro maggiormente conforme  al
dettato costituzionale. 
    E non vale in senso contrario, sulla rilevanza  della  questione,
la vicenda gia' sottoposta allo scrutinio della Consulta (sentenza n.
270/2014), atteso che nel caso in oggetto l'interpretazione  adottata
dalla Corte di cassazione riguarda una  norma  che,  per  le  ragioni
appena sopra esplicitate, deve ancora  trovare  applicazione  seppure
limitatamente  alla  motivazione  adottata  in   tema   di   esigenze
cautelari. 
    Da  ultimo,  vale  il  richiamo   alla   sentenza   della   Corte
costituzionale  di  accoglimento  della  questione  di   legittimita'
proposta dal Tribunale di Bologna, in sede di  rinvio  a  seguito  di
annullamento da parte della Cassazione (n. 293/9013). In quella  sede
la Corte costituzionale ha accolto la  prospettazione  del  Tribunale
bolognese, il quale aveva evidenziato come ove si fosse  attenuto  al
principio di diritto elaborato dalla  Suprema  Corte  -  non  sarebbe
stata possibile l'applicazione della norma interpretata (ossia l'art.
997, comma III,  c.p.p.),  ed  aveva  per  questa  ragione  richiesto
l'intervento del Giudice delle leggi proprio al fine di applicare  la
norma di legge in un'interpretazione  diversa  da  quella  vincolante
della Corte di legittimita'. 
    Anche oggi,  infatti,  la  lettura  del  requisito  dell'autonoma
valutazione di cui agli articoli 27 e 292 comma II lettera c)  codice
di  procedura  penale,  come  disposta  dalla  Corte  di   cassazione
nell'ambito di un provvedimento cautelare di  rinnovo  da  parte  del
giudice per le indagini preliminari  competente,  preclude  a  questo
Tribunale l'applicazione di quella norma nella portata che  sola,  ad
avviso dell'organo giurisdizionale remittente, la rende conforme alla
Costituzione. 
Non manifesta infondatezza della questione. 
    A giudizio di questo Tribunale, il principio di diritto elaborato
dalla Suprema Corte  contrasta  con  plurime  disposizioni  di  legge
costituzionale. 
    Conviene, per comodita' espositiva, ribadire  il  principio  come
definito: «non e' affetto da nullita' il provvedimento che  riproduce
sostanzialmente  l'ordinanza  emessa  dal  giudice   territorialmente
incompetente, qualora la motivazione di quest'ultima risulti  congrua
rispetto  all'iter  logico  seguito  per  pervenire  alla   decisione
adottata»; ed ancora, il giudice competente  puo'  «motivare  facendo
rinvio  alle  valutazioni  gia'  espresse  dal  precedente   giudice,
dichiaratosi incompetente, su tutti i presupposti per la adozione del
titolo restrittivo» (sentenza, p. 3, 4). 
Criticita' con riguardo all'art.  13,  comma  II  Cost.  (riserva  di
legge). 
    La Corte di cassazione ha interpretato  gli  articoli  27  e  292
codice di procedura penale nel senso che e' soddisfatto il  requisito
normativo  dell'autonoma  valutazione   anche   quando   il   giudice
competente motiva il  proprio  provvedimento  cautelare  riproducendo
l'ordinanza del giudice dichiaratosi incompetente. 
    Orbene,    la    liberta'    personale,    diritto    inviolabile
dell'individuo, usufruisce di  una  duplice  garanzia  costituzionale
attraverso l'art. 13, comma II: la riserva - assoluta - di legge e la
riserva  di  giurisdizione.  In  particolare   la   prima   garanzia,
disponendo che  qualsivoglia  forma  di  restrizione  della  liberta'
personale e' possibile nei soli casi e  modi  previsti  dalla  legge,
riserva al legislatore ordinario la disciplina di quelle restrizioni,
ovverosia la tipizzazione dei casi e modi in cui la restrizione della
liberta' personale puo' essere disposta. Ma questo rinvio alla  legge
non puo' tradursi, a sua volta, in un ulteriore rinvio da parte della
legge stessa alla piena discrezionalita' del giudice  che  l'applica,
richiedendosi invece una previsione normativa idonea  ad  ancorare  a
criteri obiettivamente riconoscibili la  restrizione  della  liberta'
personale. (Corte cost.  27  giugno  -  9  luglio  1996,  n.  238,  a
proposito dell'illegittimita' costituzionale dell'art.  224  comma  2
codice di procedura penale per violazione della riserva di legge  sui
provvedimenti adottabili dal giudice in punto di prelievo ematico). 
    L'eventuale genericita' della norma, che  sola  puo'  indicare  i
casi  e  modi  di  restrizione  cosi'  circoscrivendo   la   relativa
discrezionalita' del giudice nell'applicazione della norma  medesima,
si risolve, percio', in un contrasto  con  la  garanzia  della  norma
costituzionale  perche'  delega  ad  organi  diversi  cio'   che   la
Costituzione riserva in via esclusiva al legislatore. 
    Orbene, la legge ordinaria  che  disciplina  i  casi  e  modi  di
privazione della liberta' personale risulta dagli articoli 273, 274 e
292 codice di procedura penale, con le modifiche apportate dalla piu'
recente legge n. 47/2015. 
    In particolare, gli articoli 273 e 274  (estranei  alla  presente
questione) indicano i casi (cioe'  i  presupposti)  in  presenza  dei
quali e' possibile l'adozione  di  ordinanze  applicative  di  misure
cautelari: i gravi indizi di colpevolezza  e  le  esigenze  cautelari
(secondo ovviamente l'ermeneutica della giurisprudenza  formatasi  al
riguardo); l'art. 292, comma  II,  lettera  c)  codice  di  procedura
penale disciplina, invece, il modo (cioe'  la  modalita')  attraverso
cui legittimamente puo' restringersi la liberta' personale:  un  atto
giurisdizionale avente il peculiare contenuto descritto nello  stesso
art. 292 codice di procedura penale e la cui  mancanza  determina  la
nullita'   del   provvedimento   (L'ordinanza   ...   contiene    ...
l'esposizione e  l'autonoma  valutazione  delle  specifiche  esigenze
cautelari e  degli  indizi  ...).  In  altri  termini,  l'unico  modo
attraverso cui puo' legittimamente limitarsi la  liberta'  personale,
alla stregua della legge ordinaria, e' un atto del giudice (ordinanza
che dispone la misura cautelare) avente per  contenuto  l'esposizione
dei presupposti normativi (gravi indizi ed  esigenze,  a  loro  volta
supportati dagli elementi di fatto) e  la  valutazione  autonoma  dei
menzionati presupposti (e consequenzialmente degli elementi di  fatto
per mezzo dei quali sono tratti quei presupposti di legge). E non  e'
certo in dubbio che il medesimo modo  e'  richiesto  dal  legislatore
ordinario per le  ordinanze  adottate  in  sede  di  rinnovazione  da
giudice dichiaratosi incompetente, stante l'esplicito rinvio all'art.
292 da parte dell'art. 27 che disciplina il caso di specie. 
    La disposizione legislativa oggi vigente ha percio' rimodellato i
modi normativi di attuazione  dell'art.  13  comma  II  Costituzione,
imponendo quale necessario contenuto del provvedimento  de  libertate
una esposizione ed un'autonoma valutazione, quest'ultima in relazione
proprio ai gravi indizi di colpevolezza e alle esigenze cautelari. In
definitiva, non e' piu'  sufficiente  l'esposizione  dei  presupposti
legittimanti la misura cautelare ex articoli  273  e  274  codice  di
procedura penale, ma occorre che detta esposizione sia autonoma. 
    Ebbene, con precipuo riguardo all'autonoma valutazione  la  norma
di legge  si  e',  pero',  rivelata,  assai  generica  e  percio'  in
contrasto con la riserva di legge ex art. 13, comma  II  Cost.,  dopo
l'enunciazione del  principio  di  diritto  vincolante  di  cui  alla
sentenza  di  annullamento  della  Suprema  Corte   nell'ambito   del
provvedimento di rinnovo ex art. 27 codice di procedura penale. 
    Invero, la portata della norma, siccome individuata  dal  giudice
di legittimita', e' di una tale ampiezza applicativa da risolversi in
una delega all'interprete nella tipizzazione dei modi di  restrizione
che,  diversamente,  possono  provenire  soltanto   dal   legislatore
ordinario. 
    La Corte di cassazione, statuendo che e' rispettato  il  modo  in
esame anche a fronte di  un'esposizione  dei  gravi  indizi  e  delle
esigenze cautelari  integralmente  riproduttiva  dell'esposizione  di
quei medesimi elementi di cui  ad  altro  provvedimento  cautelare  e
assunto da giudice incompetente, ha esteso il significato di autonoma
valutazione ad ogni possibile modo  di  esposizione  dei  presupposti
della misura,  ivi  compreso  quello  di  assumere  come  propria  la
valutazione in realta' effettuata da altro organo giurisdizionale. 
    L'interpretazione  vincolante  della  sentenza  di  annullamento,
cristallizzata nel principio di diritto, ha allargato il concetto  di
autonoma valutazione alle ipotesi  estreme  di  una  valutazione  non
propria dell'autore del provvedimento cautelare  ed  appartenente  ad
altro giudice, cosi' disvelando  l'accentuata  genericita'  del  dato
normativo e l'impossibilita' di dedurre da quel dato i modi richiesti
dalla legge che possono - essi soltanto - legittimare,  alla  stregua
della norma costituzionale dell'art.  13  comma  II,  la  restrizione
della liberta' personale. 
    Il  principio  di  diritto   in   oggetto,   nell'interpretazione
vincolante degli articoli 27 e 292 comma  II  lettera  c)  codice  di
procedura penale quanto al requisito  dell'autonoma  valutazione  dei
gravi indizi e delle esigenze  cautelari  nei  rapporti  tra  giudice
dichiaratosi  incompetente  e  giudice  competente,  e'  percio'   in
contrasto con la riserva di legge di cui all'art. 13, comma II Cost.,
laddove consente al  giudice  competente,  in  difetto  di  specifica
determinazione del modo in cui  puo'  essere  soddisfatta  l'autonoma
valutazione,  di  motivare  facendo  rinvio  alle  valutazioni   gia'
espresse dal giudice a quo su tutti i presupposti per l'adozione  del
titolo restrittivo. 
Criticita' con riguardo agli articoli 13, comma II e 111,  comma  VI,
Cost. (obbligo di motivazione). 
    L'art. 13 comma II consente, come noto, che la liberta' personale
- diritto inviolabile dell'individuo - sia limitata  solo  «per  atto
motivato  dell'autorita'  giudiziaria»,  atto  che  la   legislazione
ordinaria  riserva  ad  un  organo  giurisdizionale  -   riserva   di
giurisdizione (ad eccezione dei  provvedimenti  pre-cautelari,  quali
l'arresto e il fermo, comunque soggetti  a  convalida  da  parte  del
giudice e la cui ammissibilita' e' prevista dalla stessa Costituzione
- art. 13 comma III). 
    L'art.  111  comma  VI,  dal  canto  suo,  rimarca  il   concetto
stabilendo che tutti i provvedimenti giurisdizionali  debbono  essere
motivati. 
    Risulta,   allora,   manifesta   l'importanza   dell'obbligo   di
motivazione specie quando il  provvedimento  cautelare  coercitivo  -
emesso   ancor   prima   del    pronunciamento    definitivo    sulla
responsabilita' personale  dell'imputato  e,  quindi,  in  deroga  al
principio di non colpevolezza di cui all'art. 27, comma II,  Cost.  -
sottopone l'indagato in vinculis, in attesa proprio di quel  giudizio
definitivo (3) . 
    Riassumendo, da un lato la Costituzione  riserva  alla  legge  di
predeterminare  le  condizioni  legittimanti  la  limitazione   della
liberta'  personale  e  attribuisce  all'autorita'   giudiziaria   di
verificare la sussistenza  di  quelle  condizioni;  dall'altro  lato,
l'autorita' giudiziaria, adottando il provvedimento  restrittivo,  ha
l'obbligo di manifestare con la motivazione  i  risultati  di  quella
verifica.  La  motivazione  di  un  atto  giurisdizionale,   infatti,
esplicita il percorso argomentativo, logico e  giuridico,  attraverso
cui l'organo giudicante a cio' deputato (competente) giustifica, alla
stregua  degli  stretti   parametri   normativi,   il   provvedimento
restrittivo della liberta' personale dell'indagato. 
    E gli articoli 13 comma. II e 111 comma  VI  della  Costituzione,
delineando uno specifico sistema di  garanzie  quanto  alla  liberta'
personale, richiedono una  motivazione  del  provvedimento  cautelare
appropriata e adeguata alla  finalita'  di  garanzia,  in  vista  del
contemperamento  di  opposti  interessi,  entrambi   tutelati   dalla
Costituzione: la liberta' personale individuale  e  l'amministrazione
della giustizia (prevenzione e repressione dei reati). 
    Infatti,  l'equivalenza  degli  interessi  in  gioco  sul   piano
costituzionale ha comportato da un lato il possibile  sacrificio  del
diritto  alla  liberta'  personale,  dall'altro  l'approntamento   di
plurime  garanzie,  dalla  riserva   di   legge   alla   riserva   di
giurisdizione, alla rigida scansione temporale  per  i  provvedimenti
pre-cautelari della  p.g.,  fino  all'obbligo  di  motivazione,  onde
evitare ogni possibile forma di abuso o arbitrio, ed ecco perche'  la
motivazione,  per  assolvere  la  suddetta  funzione,   deve   essere
adeguata,  specifica,  puntuale  affinche'   vi   sia   la   concreta
dimostrazione che il giudice ha correttamente  esercitato  il  potere
che gli e' attribuito (in questi termini sono le pronunce della Corte
costituzionale  a   proposito   dei   decreti   autorizzativi   delle
intercettazioni telefoniche: tra le altre, 34/1973, 366/1991). 
    In  definitiva,  il  provvedimento  limitativo   della   liberta'
personale  puo'   essere   adottato   esclusivamente   dall'autorita'
giudiziaria e deve essere motivato nei termini anzidetti, perche' sia
soddisfatta la  garanzia  circa  la  verifica  della  presenza  delle
condizioni  di  legge  che  legittimano  quella  restrizione   e   il
provvisorio sacrificio della liberta' personale. 
    Orbene, tutto questo premesso, l'interpretazione  degli  articoli
27 e 292 codice di procedura  penale  tale  per  cui  e'  soddisfatto
l'obbligo di motivazione anche se  l'ordinanza  cautelare  rinvia  in
modo  integrale  ed  esclusivo  ad  una  fonte   terza   (quand'anche
appartenente al medesimo potere giudiziario), e, quindi, ad una fonte
diversa rispetto all'autorita' investita del potere di adottare  quel
provvedimento, e' in contrasto proprio con le  norme  degli  articoli
13, comma II e 111, comma VI Cost. 
    Infatti, al sistema  normativa  costituzionale  risultante  dagli
articoli 13 comma II e 111 comma VI, come sopra ricomposto, consegue,
inevitabilmente,  l'inscindibile   corrispondenza   tra   l'autorita'
giudiziaria che adotta l'atto e l'autorita' giudiziaria  cui  incombe
l'obbligo  di  motivazione,  nel  senso  che   non   puo'   ritenersi
ammissibile che il giudice autore del provvedimento cautelare abdichi
interamente al suo obbligo, rinviando  sic  et  simpliciter  ad  atti
assunti  da  giudici  diversi.  In  siffatti  casi  il  giudice   non
assolverebbe alla funzione di garanzia che gli  e'  attribuita  dalla
Costituzione  attraverso  la  ricordata  riserva   di   giurisdizione
unitamente all'obbligo di motivazione. 
    In  termini  piu'  precisi,  in  un  sistema  costituzionale  che
garantisce la liberta' personale attraverso il  meccanismo  congiunto
della riserva di giurisdizione  e  dell'obbligo  di  motivazione,  il
doveroso compito di motivare,  cioe'  di  esplicitare  l'esito  della
verifica dei casi normativi legittimanti la  restrizione  secondo  le
modalita' (i modi) individuate dalla Costituzione e, poi, dalla legge
ordinaria (nello specifico, attraverso la motivazione,  ovverosia  un
percorso logico-giuridico adeguato, specifico e puntuale),  non  puo'
che ricadere sul  giudice  che  assume  l'atto  restrittivo,  essendo
proprio questi il giudice che verifica la  presenza  dei  presupposti
per emettere quel provvedimento, ed esternandosi la suddetta verifica
con la modalita' assunta. 
    E la specificazione normativa tale per cui l'ordinanza  cautelare
deve  contenere  l'autonoma  valutazione  rimarca  ulteriormente   il
principio costituzionale della corrispondenza tra  l'atto  e  il  suo
autore. 
    Ebbene, l'art. 292 comma 2 lettera c) codice di procedura  penale
statuisce che L'ordinanza che dispone la  misura  cautelare  contiene
... l'esposizione e l'autonoma valutazione delle specifiche  esigenze
cautelari e degli indizi  che  giustificano  in  concreto  la  misura
disposta, con l'indicazione degli  elementi  di  fatto  da  cui  sono
desunti e dei motivi per i quali essi assumono rilevanza ...;  e  non
e' in dubbio che l'ordinanza cautelare assunta dal giudice competente
nel termine perentorio di legge deve avere questo  stesso  contenuto,
stante l'esplicito rinvio all'art. 292  da  parte  dell'art.  27  che
disciplina il caso di specie, cioe' quello dell'ordinanza adottata in
rinnovazione del provvedimento interinale del giudice incompetente. 
    La  disposizione  di  legge,  specificando   il   contenuto   del
provvedimento restrittivo, per un verso realizza la riserva di  legge
costituzionale indicando  le  modalita'  per  mezzo  delle  quali  il
giudice puo' limitare l'altrui liberta' personale,  per  altro  verso
da'  corpo  all'obbligo  costituzionale  di  motivazione  degli  atti
giurisdizionali,  imponendo  in  termini  stringenti   (sanzione   di
nullita') l'esplicitazione del percorso argornentativo. 
    L'art. 292 codice di procedura penale richiede, infatti,  che  il
provvedimento cautelare esamini gli elementi di fatto, li  qualifichi
a termini di gravi indizi ed esigenze cautelari spiegando,  altresi',
le ragioni di questa qualificazione, e giustifichi, alla stregua  dei
presupposti di legge, la limitazione della liberta' personale. 
    Tutto questo premesso, il sospetto di incostituzionalita' origina
innanzitutto dalla circostanza che una  siffatta  motivazione  (cioe'
che rinvia in modo integrale ed esclusivo al contenuto  dell'atto  di
un  diverso  giudice)  non  esplicita  quel  percorso   argomentativo
adeguato, specifico e puntuale, necessario a  fini  di  verifica  dei
presupposti normativi essenziali per  la  restrizione  personale;  in
tali  casi  l'obbligo  costituzionale  si  risolve  in  uno   sterile
formalismo che depriva la funzione giurisdizionale del proprio  ruolo
di garanzia come in precedenza descritto. 
    Inoltre, la medesima motivazione per relationem (nei  termini  di
cui al  caso  di  specie),  escludendo  l'originalita'  del  percorso
argomentativo del titolare del potere cautelare in  quanto  autorizza
quest'ultimo a delegare a terzi l'adempimento dell'obbligo, scinde il
nesso indissolubile tra autore dell'atto e autore della  motivazione,
infrangendo la doppia  garanzia  della  riserva  di  giurisdizione  e
dell'obbligo di motivazione, in precedenza trattata. 
    In conclusione, la norma,  nell'interpretazione  della  Corte  di
cassazione, e' in contrasto con gli articoli 13 comma II e 111  comma
VI  della  Costituzione  nella  parte  in  cui  consente  al  giudice
competente di motivare facendo rinvio alle valutazioni gia'  espresse
dal giudice a quo su tutti i presupposti per  l'adozione  del  titolo
restrittivo,  e  in  questi  termini   va   proposto   incidente   di
costituzionalita'. 
Criticita' con riferimento agli articoli 25, comma I e 111, comma VI,
Cost. 
    Proprio  sulla  scorta  di  quanto   sopra   affermato,   l'onere
motivazionale dev'essere strettamente connesso all'autorita' cui tale
onere  e'  riservato,  autorita'   che   non   e',   indistintamente,
l'autorita'    giudiziaria    o,    piu'    limitatamente,     quella
giurisdizionale, bensi' lo  specifico  giudice  investito  per  legge
della vicenda, il giudice precostituito per legge che deve  occuparsi
della richiesta di limitazione della  liberta'  personale  in  quanto
competente per funzioni, materia e territorio. 
    Ed allora il principio di diritto  enucleato  dalla  sentenza  di
annullamento contrasta anche con il combinato disposto degli art. 25,
comma I e 111, comma VI, Cost., laddove consente al giudice  naturale
(ossia quello competente per  territorio)  di  declinare  il  proprio
obbligo motivazionale e di  limitarsi  a  riprodurre  la  motivazione
adottata  dal  giudice  incompetente  senza  aggiungere   valutazioni
autonome ed integrative. 
    La lesione dell'art. 25 Cost.  e'  tanto  piu'  evidente  ove  si
consideri  che  la  stessa  sentenza  di  annullamento  sollecita  il
Tribunale del riesame a svolgere il nuovo esame «tenuto  conto  della
motivazione del primo giudice», ossia di quello incompetente  e  non,
quindi, di quello naturale. 
    Tuttavia, ritenere legittima la motivazione del giudice  naturale
che riproduce integralmente la valutazione propria del primo giudice,
comporta  la  perdita,  per  il  giudice  naturale,   dei   contenuti
essenziali della sua funzione di garanzia, allorche' il  suo  compito
e'  ridotto  alla  trasposizione  delle  valutazioni  e   conclusioni
raggiunte  da  un  organo,  pur  sempre   giurisdizionale,   ma   non
competente.  Al  riguardo  va  sottolineato  che  la   stessa   legge
ordinaria, proprio in conformita' al dettato costituzionale dell'art.
25, attribuisce si' un potere cautelare al giudice  incompetente,  ma
piu' circoscritto di quello assegnato al giudice competente  (giudice
naturale), sia perche'  impone  di  valutare,  oltre  i  tradizionali
presupposti legittimanti la restrizione, l'urgenza di  soddisfare  le
esigenze cautelari; sia - soprattutto - perche' l'esercizio  di  quel
potere ha un'efficacia temporale  molto  ridotta  (venti  giorni)  in
attesa  del  pronunciamento  del  solo  giudice  legittimato,  quello
ritenuto competente. 
    Ecco, quindi, che l'interpretazione della Corte  di  legittimita'
rende irrilevante il principio di cui agli articoli  25,  comma  I  e
111, comma VI Cost.,  dal  momento  che  l'osservanza  del  principio
costituzionale sarebbe meramente  formale  a  fronte  di  un  obbligo
adempiuto integralmente da un giudice non piu' titolare del potere di
verifica  della  legittimita'  della   limitazione   della   liberta'
personale. 
    Pertanto il principio di diritto elaborato dalla Suprema Corte e'
in contrasto con gli articoli 25 comma I e 111 comma VI  Cost.  nella
parte in cui consente al giudice naturale (il giudice competente)  di
motivare l'ordinanza di rinnovo ex art. 27 codice di procedura penale
con integrale riferimento al contenuto  dell'ordinanza  adottata  dal
giudice incompetente. 
    In   questi   termini   va   percio'   proposto   incidente    di
costituzionalita'. 
    Alla luce delle sopra esposte argomentazioni, risulta rilevante e
non manifestamente infondata - con riguardo agli articoli  13,  comma
II,  25,  comma  I,  e  111,  comma  VI,  Cost.  -  la  questione  di
legittimita' costituzionale degli articoli 27, 292, comma II, lettera
c,  codice  di  procedura  penale,  nell'interpretazione  fornita  da
Cassazione, IV, 29 novembre 2016, n. 55272,  secondo  cui  l'art.  27
codice  di  procedura  penale  consente  al  giudice  competente   di
«motivare  facendo  rinvio  alle  valutazioni   gia'   espresse   dal
precedente giudice, dichiaratosi incompetente, su tutti i presupposti
per la adozione del titolo restrittivo». 
    Va dunque disposta la sospensione della presente procedura  e  la
rimessione della questione  alla  Corte  costituzionale  per  la  sua
decisione ai sensi degli articoli 1, legge cost. 9 febbraio 1948,  n.
1 e 23, legge 11 marzo 1953, n. 87. 
    Dispone, a cura della cancelleria, che la presente ordinanza  sia
notificata al pubblico ministero  e  alle  altre  parti,  nonche'  al
Presidente del Consiglio dei ministri. 
    Dispone che la presente  ordinanza  sia  altresi'  comunicata  al
presidente della Camera dei deputati e al presidente del Senato della
Repubblica. 

(1) Come tuttavia puo' rilevarsi dagli  elementi  di  fatto  indicati
    dalla Cassazione quali indicativi di un ulteriore vaglio  critico
    da parte del giudice per le indagini preliminari di  Bergamo,  si
    tratta di elementi fattuali pertinenti alla sola valutazione  dei
    gravi indizi di colpevolezza (art. 273  c.p.p.),  mentre  nessuna
    menzione  di  eventuali  elementi  di  fatto,  ne'  tantomeno  di
    valutazioni aggiuntive, e'  indicata  con  specifico  riferimento
    alla parte dell'ordinanza del giudice per le indagini preliminari
    di Bergamo che esamina la sussistenza delle esigenze  di  cautela
    (art. 974 c.p.p.). 

(2) Ai sensi degli articoli 292, comma II, lettera  c,  e  art.  309,
    comma IX, codice di procedura penale come novellati  dalla  legge
    n. 47/2015. 

(3) Sul punto meritano di essere riportate le affermazioni  contenute
    nell'opinione  espressa  dal  Giudice  Wojtyczek,   nella   causa
    Schipani c. Italia (Corte  europea,  IV  sez.,  21  luglio  2015,
    Schipani ed altri contro Italia, n.  ricorso  38569/09):  «A  mio
    avviso, il parametro principale di cui occorrerebbe  tener  conto
    applicando l'obbligo di motivare le decisioni giudiziarie  e'  la
    gravita'  dell'ingerenza  nella  sfera  dei  diritti  umani.   E'
    evidente che anche  altri  fattori  entrano  in  conto,  come  il
    carattere incidentale o principale della  questione  esaminata  o
    l'urgenza di statuire. Tuttavia, la  qualita'  della  motivazione
    deve essere modulata in funzione  della  gravita'  dell'ingerenza
    nella sfera dei  diritti  dell'uomo.  Piu'  questa  ingerenza  e'
    marcata, piu' la motivazione  della  decisione  giudiziaria  deve
    essere dettagliata e sostenuta da argomenti forti. Ora,  io  noto
    che l'ampiezza del margine di azione che  la  Corte  lascia  agli
    Stati in materia di motivazione delle decisioni  giudiziarie  non
    e' sempre adeguato alla gravita' dell'ingerenza nella  sfera  dei
    diritti umani, soprattutto se tale ingerenza e' di natura penale.
    In  questo  contesto,  e'  possibile  legittimamente   porsi   la
    questione  della  coerenza  e  della   forza   persuasiva   della
    giurisprudenza  sviluppata  dalla  Corte.  L'approccio   adottato
    necessita dunque di  essere  ripensato  e  rivisto.  Occorre  qui
    sottolineare che l'obbligo di motivare le  decisioni  giudiziarie
    puo' anche  discendere  da  altre  disposizioni  materiali  della
    Convenzione. Secondo la giurisprudenza della Corte, una ingerenza
    delle  autorita'  nazionali   nelle   liberta'   tutelate   dalla
    Convenzione deve  essere  giustificata  da  motivi  pertinenti  e
    sufficienti (si veda ad esempio Morice c.  Francia,  §  144).  Se
    l'ingerenza assume la forma  di  una  decisione  giudiziaria,  ne
    discende che il giudice che emette questa decisione deve  fornire
    dei motivi pertinenti e sufficienti».