TRIBUNALE DI BRESCIA Terza sezione penale e del riesame Composto dai signori: dott. Michele Mocciola, Presidente; dott. Andrea Guerrerio, giudice relatore; dott. Alessandra Di Fazio, giudice, riunito in Camera di consiglio ha pronunciato la seguente ordinanza sulla richiesta di riesame pervenuta in data 7 luglio 2016 dalla difesa di M. A. avverso l'ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bergamo del 25 giugno 2016 (depositata il 30 giugno 2016) di applicazione della misura cautelare della custodia in carcere per delitti di furto aggravato in abitazione, possesso di segni distintivi contraffatti ed associazione per delinquere; Pronunciando in sede di rinvio a seguito della sentenza di annullamento della Corte di cassazione, IV sez., 29 novembre 2016, n. 55272; premesso che gli atti sono pervenuti a questo Ufficio in data 19 gennaio 2017 sciogliendo la riserva formulata all'udienza camerale del 31 gennaio 2017, Osserva Con ordinanza 25 giugno 2016 (depositata il 30 giugno 2016), il giudice per le indagini preliminari di Bergamo, in rinnovazione dell'ordinanza del giudice per le indagini preliminari di Pavia dell'8 giugno 2016 (dichiaratosi incompetente per alcuni delitti contestati), applicava a M. la massima misura cautelare ritenendolo gravemente indiziato di plurimi delitti contro il patrimonio commessi in concorso con D. A., S. G. e C. A., nei giorni 21 e 22 ottobre 9015 nelle province di Bergamo, Cremona e Brescia (capi B43, C6, D11, E11, E12, E13, I1, I2, G1 - rectius H1, G2, rectius H2) e del delitto di associazione per delinquere (capo A). Stimava sussistente il pericolo di reiterazione di condotte analoghe. In relazione a tutti i delitti di cui sopra, i tre coindagati di M. D., S. e C. - venivano fermati giorno 22 ottobre 2015 a bordo dell'autovettura e nei pressi dell'abitazione di D. venendo ritrovati in possesso di parte della refurtiva denunciata dalle persone offese; in quell'occasione un quarto uomo, poi identificato dalla p.g. in M. A., riusciva a scappare. Con ordinanza 12 luglio 2016 questo Tribunale, adito in sede di riesame annullava l'ordinanza del giudice per le indagini preliminari di Bergamo ritenendo l'ordinanza viziata da mancanza di autonoma valutazione. In particolare si evidenziava come il giudice per le indagini preliminari orobico - giudice naturale poiche' territorialmente competente - avesse replicato in toto la motivazione del giudice per le indagini preliminari pavese, senza che fossero aggiunte valutazioni autonome. Con sentenza n. 55272/2016, la quarta sezione della Corte di cassazione annullava con rinvio l'ordinanza del Tribunale del riesame. La Corte premetteva che l'introduzione del concetto di autonoma valutazione (introdotto dalla legge n. 47/2015) non veniva ad aggiungere un nuovo requisito a quelli preesistenti e fissati nell'art. 292 codice di procedura penale, ma si limitava a confermare l'orientamento consolidato di legittimita' secondo cui e' comunque necessario che il provvedimento cautelare abbia i fondamentali contenuti informativi e dimostri «l'effettiva valutazione da parte del giudicante e, quindi, il reale esercizio della giurisdizione». La sentenza precisava quindi come, in caso di rinnovazione dell'ordinanza ex art. 27 codice di procedura penale, il giudice competente puo' «motivare facendo rinvio alle valutazioni gia' espresse dal precedente giudice, dichiaratosi incompetente, su tutti i presupposti per la adozione del titolo restrittivo; nulla impedisce, infatti, al giudice competente di motivare per relationem con riferimento all'ordinanza del giudice dichiaratosi incompetente [...]e cio' sia in ragione dei tempi brevissimi di emissione del provvedimento da parte del giudice incompetente, sia in funzione della stessa natura del provvedimento emesso dal giudice incompetente, pur sempre giudice terzo rispetto alla richiesta del pubblico ministero». Concludeva, citando giurisprudenza analoga e ritenendo pertanto non affetto da nullita' «il provvedimento che riproduce sostanzialmente l'ordinanza emessa dal giudice territorialmente incompetente, qualora la motivazione di quest'ultima risulti congrua rispetto all'iter logico seguito per pervenire alla decisione adottata». Pertanto annullava l'ordinanza di questo Tribunale e rinviava per nuovo esame della vicenda cautelare. Ad abundantiam va notato come la sentenza in argomento venga a collocarsi in un solco di pronunce di legittimita' con contenuti del tutto analoghi, di talche' puo' altresi' affermarsi che la stessa sia parte del c.d. diritto vivente; ed invero la Corte di cassazione, anche a seguito della novella legislativa n. 47/2015, ha piu' volte affermato la praticabilita', nei casi di ordinanze pronunciate in rinnovazione ex art. 27 codice di procedura penale, per il giudice naturale (ossia per il giudice competente) di «motivare facendo rinvio alle valutazioni gia' espresse dal precedente giudice, dichiaratosi incompetente, su tutti i presupposti per la adozione del titolo restrittivo» (Cass., II, 2 febbraio 2016, n. 11460; analogamente, ante riforma, Cassazione, III, 29 gennaio 2015, n. 20568 e Cassazione, II, 28 gennaio 2015, n. 6358). All'odierna udienza camerale, regolarmente instaurato il contraddittorio, il difensore di M. chiedeva annullamento della misura per difetto dei gravi indizi. Ritiene il Collegio che il principio di diritto affermato dalla Corte di cassazione nella sentenza di annullamento, principio chiaramente vincolante per questo Tribunale in sede di rinvio (ex art. 627 c.p.p.), contrasti con plurimi articoli della Carta costituzionale, motivo per cui -sussistendo i presupposti di rilevanza e non manifesta infondatezza della questione - il procedimento cautelare viene sospeso con rimessione degli atti alla Consulta. Il principio formulato nella sentenza della Corte di legittimita' interviene in una vicenda particolare, ossia a seguito dell'ordinanza con cui questo Tribunale aveva annullato - ex articoli 292, 309 codice di procedura penale - l'ordinanza del giudice per le indagini preliminari di Bergamo di applicazione della misura cautelare massima a M. A. L'ordinanza del giudice per le indagini preliminari di Bergamo, nello specifico, aveva «rinnovato» l'analoga ordinanza cautelare pronunciata dal giudice per le indagini preliminari di Pavia nei venti giorni antecedenti, provvedimento - quest'ultimo - che si concludeva con dichiarazione di incompetenza per territorio in favore dell'a.g. bergamasca e che, pertanto, presentava efficacia interinale e limitata (venti giorni, secondo quanto indicato dall'art. 27 c.p.p.). La Corte, richiamando un'interpretazione di legittimita' pressoche' consolidata, ha premesso come le modifiche introdotte con la legge n. 47/2015 non hanno carattere innovativo ma confermativo di un orientamento maggioritario secondo cui il Tribunale del riesame «non puo' mai - nonostante i propri poteri di integrazione - completare quella ordinanza di custodia cautelare la cui motivazione non abbia un contenuto dimostrativo dell'effettivo esercizio di una attivita' di "autonoma valutazione"». Tale principio (condiviso da questo Collegio) e' stato, poi, declinato con specifico riferimento alla vicenda che qui occupa affermandosi, in maniera nitida e non equivoca, il seguente - ulteriore - principio di diritto: «non e' affitto da nullita' il provvedimento che riproduce sostanzialmente l'ordinanza emessa dal giudice territorialmente incompetente, qualora la motivazione di quest'ultima risulti congrua rispetto all'iter logico seguito per pervenire alla decisione adottata». Il concetto e' poi peraltro spiegato affermando che il giudice competente puo' «motivare facendo rinvio alle valutazioni gia' espresse dal precedente giudice, dichiaratosi incompetente, su tutti i presupposti per la adozione del titolo restrittivo; nulla impedisce, infatti; al giudice competente di motivare per relationem con riferimento all'ordinanza del giudice dichiaratosi incompetente [...] e cio' sia in ragione dei tempi brevissimi di emissione del provvedimento da parte del giudice incompetente, sia in funzione della stessa natura del provvedimento emesso dal giudice incompetente, pur sempre giudice terzo rispetto alla richiesta del pubblico ministero». Ebbene reputa il Collegio che il principio di diritto cosi' sopra definito contrasti con gli articoli 13, comma secondo e 111, comma quarto, Cost., nonche' con l'art. 25, comma primo, Cost. Rilevanza della questione. Preliminarmente occorre precisare i termini della rilevanza della questione proposta. Sotto un primo profilo - di carattere generale - risulta pacifica la possibilita', da parte del Tribunale del riesame, in sede di rinvio a seguito di sentenza di annullamento, di sollevare incidente costituzionale rispetto al principio di diritto stabilito dalla Suprema Corte nella sentenza stessa (sul punto possono richiamarsi le stesse sentenze della Corte costituzionale, n. 150/1993, n. 305/2008, n. 204/2012, n. 293/2013, n. 270/2014). Nel caso particolare che qui occupa il principio elaborato dalla Suprema Corte secondo cui «non e' affetto da nullita' il provvedimento che riproduce sostanzialmente l'ordinanza emessa dal giudice territorialmente incompetente, qualora la motivazione di quest'ultima risulti congrua rispetto all'iter logico seguito per pervenire alla decisione adottata», vincola questo Collegio in sede di rinvio nell'analisi dell'ordinanza del giudice per le indagini preliminari di Bergamo circa il requisito dell'autonoma valutazione in punto di esigenze di cautelari. Dev'essere infatti rilevato come la Suprema Corte, dopo avere elaborato il principio di diritto di cui sopra, ha circoscritto il suo esame esclusivamente sulla motivazione del giudice per le indagini preliminari afferente i gravi indizi di colpevolezza evidenziando, nei merito, come in quel provvedimento fossero stati aggiunti alcuni elementi di fatto ulteriori rispetto all'ordinanza del giudice per le indagini preliminari di Pavia la cui motivazione era contestualmente richiamata (1) . E, sebbene questo Collegio avesse ravvisato (nell'ordinanza annullata) una criticita' motivazionale identica anche con riguardo alle esigenze cautelari, la Corte di legittimita' non ha approfondito, nel merito della questione preliminare di nullita' del titolo cautelare, l'analisi dell'ordinanza in punto di motivazione sulle esigenze cautelari, anch'esse ricalcate dal provvedimento del giudice per le indagini preliminari pavese, sicche' e' tuttora aperto, in fatto, il profilo della presenza o meno del requisito dell'autonoma valutazione sul ritenuto pericolo di recidiva. Nondimeno e' pacifico che il principio di diritto affermato vincola l'analisi che questo Tribunale deve (2) ancora condurre, nel merito, con riguardo alla presenza di una autonoma valutazione sulle specifiche esigenze cautelari che hanno giustificano in concreto la misura disposta. Ed infatti il principio di diritto affermato dalla Suprema Corte coinvolge per intero l'interpretazione del requisito dell'autonoma valutazione e connessa causa di nullita' di cui all'art. 292, comma II, lettera c) codice di procedura penale cio' che rende vincolante quel principio anche nella valutazione delle esigenze cautelari. In definitiva, il giudizio di costituzionalita' attivato non si sovrappone ad un giudizio di merito gia' risolto dalla sentenza di annullamento - sebbene sulle sole questioni preliminari di nullita' del titolo cautelare - in quanto e' ancora sub iudice la questione in fatto di un'autonoma valutazione da parte del giudice per le indagini preliminari delle esigenze cautelari, questione estranea alla valutazione di legittimita' (ma non estranea al principio di diritto affermato) e, quindi, oggetto di doveroso esame per il giudice di rinvio nei termini vincolanti suddetti. E nel caso specifico la rilevanza della questione e' ancora di piu' evidente atteso che l'ordinanza impugnata argomenta sulle esigenze cautelari con esclusivo rinvio al provvedimento del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Pavia, e, applicando il principio della Suprema Corte, tale per cui non vi e' alcuna nullita' dell'ordinanza del giudice per le indagini preliminari che - in sede di rinnovazione - rinvia integralmente all'ordinanza del giudice incompetente su tutti i presupposti della misura cautelare, la conclusione necessitata e' di validita' del provvedimento. Ecco, quindi, che, dovendo applicare quel principio di diritto sul tema delle esigenze cautelari, di fronte al sospetto di incostituzionalita' del principio medesimo, soltanto la proposizione della questione incidentale consente di rimuoverlo, onde consentire detto ulteriore vaglio secondo un parametro maggiormente conforme al dettato costituzionale. E non vale in senso contrario, sulla rilevanza della questione, la vicenda gia' sottoposta allo scrutinio della Consulta (sentenza n. 270/2014), atteso che nel caso in oggetto l'interpretazione adottata dalla Corte di cassazione riguarda una norma che, per le ragioni appena sopra esplicitate, deve ancora trovare applicazione seppure limitatamente alla motivazione adottata in tema di esigenze cautelari. Da ultimo, vale il richiamo alla sentenza della Corte costituzionale di accoglimento della questione di legittimita' proposta dal Tribunale di Bologna, in sede di rinvio a seguito di annullamento da parte della Cassazione (n. 293/9013). In quella sede la Corte costituzionale ha accolto la prospettazione del Tribunale bolognese, il quale aveva evidenziato come ove si fosse attenuto al principio di diritto elaborato dalla Suprema Corte - non sarebbe stata possibile l'applicazione della norma interpretata (ossia l'art. 997, comma III, c.p.p.), ed aveva per questa ragione richiesto l'intervento del Giudice delle leggi proprio al fine di applicare la norma di legge in un'interpretazione diversa da quella vincolante della Corte di legittimita'. Anche oggi, infatti, la lettura del requisito dell'autonoma valutazione di cui agli articoli 27 e 292 comma II lettera c) codice di procedura penale, come disposta dalla Corte di cassazione nell'ambito di un provvedimento cautelare di rinnovo da parte del giudice per le indagini preliminari competente, preclude a questo Tribunale l'applicazione di quella norma nella portata che sola, ad avviso dell'organo giurisdizionale remittente, la rende conforme alla Costituzione. Non manifesta infondatezza della questione. A giudizio di questo Tribunale, il principio di diritto elaborato dalla Suprema Corte contrasta con plurime disposizioni di legge costituzionale. Conviene, per comodita' espositiva, ribadire il principio come definito: «non e' affetto da nullita' il provvedimento che riproduce sostanzialmente l'ordinanza emessa dal giudice territorialmente incompetente, qualora la motivazione di quest'ultima risulti congrua rispetto all'iter logico seguito per pervenire alla decisione adottata»; ed ancora, il giudice competente puo' «motivare facendo rinvio alle valutazioni gia' espresse dal precedente giudice, dichiaratosi incompetente, su tutti i presupposti per la adozione del titolo restrittivo» (sentenza, p. 3, 4). Criticita' con riguardo all'art. 13, comma II Cost. (riserva di legge). La Corte di cassazione ha interpretato gli articoli 27 e 292 codice di procedura penale nel senso che e' soddisfatto il requisito normativo dell'autonoma valutazione anche quando il giudice competente motiva il proprio provvedimento cautelare riproducendo l'ordinanza del giudice dichiaratosi incompetente. Orbene, la liberta' personale, diritto inviolabile dell'individuo, usufruisce di una duplice garanzia costituzionale attraverso l'art. 13, comma II: la riserva - assoluta - di legge e la riserva di giurisdizione. In particolare la prima garanzia, disponendo che qualsivoglia forma di restrizione della liberta' personale e' possibile nei soli casi e modi previsti dalla legge, riserva al legislatore ordinario la disciplina di quelle restrizioni, ovverosia la tipizzazione dei casi e modi in cui la restrizione della liberta' personale puo' essere disposta. Ma questo rinvio alla legge non puo' tradursi, a sua volta, in un ulteriore rinvio da parte della legge stessa alla piena discrezionalita' del giudice che l'applica, richiedendosi invece una previsione normativa idonea ad ancorare a criteri obiettivamente riconoscibili la restrizione della liberta' personale. (Corte cost. 27 giugno - 9 luglio 1996, n. 238, a proposito dell'illegittimita' costituzionale dell'art. 224 comma 2 codice di procedura penale per violazione della riserva di legge sui provvedimenti adottabili dal giudice in punto di prelievo ematico). L'eventuale genericita' della norma, che sola puo' indicare i casi e modi di restrizione cosi' circoscrivendo la relativa discrezionalita' del giudice nell'applicazione della norma medesima, si risolve, percio', in un contrasto con la garanzia della norma costituzionale perche' delega ad organi diversi cio' che la Costituzione riserva in via esclusiva al legislatore. Orbene, la legge ordinaria che disciplina i casi e modi di privazione della liberta' personale risulta dagli articoli 273, 274 e 292 codice di procedura penale, con le modifiche apportate dalla piu' recente legge n. 47/2015. In particolare, gli articoli 273 e 274 (estranei alla presente questione) indicano i casi (cioe' i presupposti) in presenza dei quali e' possibile l'adozione di ordinanze applicative di misure cautelari: i gravi indizi di colpevolezza e le esigenze cautelari (secondo ovviamente l'ermeneutica della giurisprudenza formatasi al riguardo); l'art. 292, comma II, lettera c) codice di procedura penale disciplina, invece, il modo (cioe' la modalita') attraverso cui legittimamente puo' restringersi la liberta' personale: un atto giurisdizionale avente il peculiare contenuto descritto nello stesso art. 292 codice di procedura penale e la cui mancanza determina la nullita' del provvedimento (L'ordinanza ... contiene ... l'esposizione e l'autonoma valutazione delle specifiche esigenze cautelari e degli indizi ...). In altri termini, l'unico modo attraverso cui puo' legittimamente limitarsi la liberta' personale, alla stregua della legge ordinaria, e' un atto del giudice (ordinanza che dispone la misura cautelare) avente per contenuto l'esposizione dei presupposti normativi (gravi indizi ed esigenze, a loro volta supportati dagli elementi di fatto) e la valutazione autonoma dei menzionati presupposti (e consequenzialmente degli elementi di fatto per mezzo dei quali sono tratti quei presupposti di legge). E non e' certo in dubbio che il medesimo modo e' richiesto dal legislatore ordinario per le ordinanze adottate in sede di rinnovazione da giudice dichiaratosi incompetente, stante l'esplicito rinvio all'art. 292 da parte dell'art. 27 che disciplina il caso di specie. La disposizione legislativa oggi vigente ha percio' rimodellato i modi normativi di attuazione dell'art. 13 comma II Costituzione, imponendo quale necessario contenuto del provvedimento de libertate una esposizione ed un'autonoma valutazione, quest'ultima in relazione proprio ai gravi indizi di colpevolezza e alle esigenze cautelari. In definitiva, non e' piu' sufficiente l'esposizione dei presupposti legittimanti la misura cautelare ex articoli 273 e 274 codice di procedura penale, ma occorre che detta esposizione sia autonoma. Ebbene, con precipuo riguardo all'autonoma valutazione la norma di legge si e', pero', rivelata, assai generica e percio' in contrasto con la riserva di legge ex art. 13, comma II Cost., dopo l'enunciazione del principio di diritto vincolante di cui alla sentenza di annullamento della Suprema Corte nell'ambito del provvedimento di rinnovo ex art. 27 codice di procedura penale. Invero, la portata della norma, siccome individuata dal giudice di legittimita', e' di una tale ampiezza applicativa da risolversi in una delega all'interprete nella tipizzazione dei modi di restrizione che, diversamente, possono provenire soltanto dal legislatore ordinario. La Corte di cassazione, statuendo che e' rispettato il modo in esame anche a fronte di un'esposizione dei gravi indizi e delle esigenze cautelari integralmente riproduttiva dell'esposizione di quei medesimi elementi di cui ad altro provvedimento cautelare e assunto da giudice incompetente, ha esteso il significato di autonoma valutazione ad ogni possibile modo di esposizione dei presupposti della misura, ivi compreso quello di assumere come propria la valutazione in realta' effettuata da altro organo giurisdizionale. L'interpretazione vincolante della sentenza di annullamento, cristallizzata nel principio di diritto, ha allargato il concetto di autonoma valutazione alle ipotesi estreme di una valutazione non propria dell'autore del provvedimento cautelare ed appartenente ad altro giudice, cosi' disvelando l'accentuata genericita' del dato normativo e l'impossibilita' di dedurre da quel dato i modi richiesti dalla legge che possono - essi soltanto - legittimare, alla stregua della norma costituzionale dell'art. 13 comma II, la restrizione della liberta' personale. Il principio di diritto in oggetto, nell'interpretazione vincolante degli articoli 27 e 292 comma II lettera c) codice di procedura penale quanto al requisito dell'autonoma valutazione dei gravi indizi e delle esigenze cautelari nei rapporti tra giudice dichiaratosi incompetente e giudice competente, e' percio' in contrasto con la riserva di legge di cui all'art. 13, comma II Cost., laddove consente al giudice competente, in difetto di specifica determinazione del modo in cui puo' essere soddisfatta l'autonoma valutazione, di motivare facendo rinvio alle valutazioni gia' espresse dal giudice a quo su tutti i presupposti per l'adozione del titolo restrittivo. Criticita' con riguardo agli articoli 13, comma II e 111, comma VI, Cost. (obbligo di motivazione). L'art. 13 comma II consente, come noto, che la liberta' personale - diritto inviolabile dell'individuo - sia limitata solo «per atto motivato dell'autorita' giudiziaria», atto che la legislazione ordinaria riserva ad un organo giurisdizionale - riserva di giurisdizione (ad eccezione dei provvedimenti pre-cautelari, quali l'arresto e il fermo, comunque soggetti a convalida da parte del giudice e la cui ammissibilita' e' prevista dalla stessa Costituzione - art. 13 comma III). L'art. 111 comma VI, dal canto suo, rimarca il concetto stabilendo che tutti i provvedimenti giurisdizionali debbono essere motivati. Risulta, allora, manifesta l'importanza dell'obbligo di motivazione specie quando il provvedimento cautelare coercitivo - emesso ancor prima del pronunciamento definitivo sulla responsabilita' personale dell'imputato e, quindi, in deroga al principio di non colpevolezza di cui all'art. 27, comma II, Cost. - sottopone l'indagato in vinculis, in attesa proprio di quel giudizio definitivo (3) . Riassumendo, da un lato la Costituzione riserva alla legge di predeterminare le condizioni legittimanti la limitazione della liberta' personale e attribuisce all'autorita' giudiziaria di verificare la sussistenza di quelle condizioni; dall'altro lato, l'autorita' giudiziaria, adottando il provvedimento restrittivo, ha l'obbligo di manifestare con la motivazione i risultati di quella verifica. La motivazione di un atto giurisdizionale, infatti, esplicita il percorso argomentativo, logico e giuridico, attraverso cui l'organo giudicante a cio' deputato (competente) giustifica, alla stregua degli stretti parametri normativi, il provvedimento restrittivo della liberta' personale dell'indagato. E gli articoli 13 comma. II e 111 comma VI della Costituzione, delineando uno specifico sistema di garanzie quanto alla liberta' personale, richiedono una motivazione del provvedimento cautelare appropriata e adeguata alla finalita' di garanzia, in vista del contemperamento di opposti interessi, entrambi tutelati dalla Costituzione: la liberta' personale individuale e l'amministrazione della giustizia (prevenzione e repressione dei reati). Infatti, l'equivalenza degli interessi in gioco sul piano costituzionale ha comportato da un lato il possibile sacrificio del diritto alla liberta' personale, dall'altro l'approntamento di plurime garanzie, dalla riserva di legge alla riserva di giurisdizione, alla rigida scansione temporale per i provvedimenti pre-cautelari della p.g., fino all'obbligo di motivazione, onde evitare ogni possibile forma di abuso o arbitrio, ed ecco perche' la motivazione, per assolvere la suddetta funzione, deve essere adeguata, specifica, puntuale affinche' vi sia la concreta dimostrazione che il giudice ha correttamente esercitato il potere che gli e' attribuito (in questi termini sono le pronunce della Corte costituzionale a proposito dei decreti autorizzativi delle intercettazioni telefoniche: tra le altre, 34/1973, 366/1991). In definitiva, il provvedimento limitativo della liberta' personale puo' essere adottato esclusivamente dall'autorita' giudiziaria e deve essere motivato nei termini anzidetti, perche' sia soddisfatta la garanzia circa la verifica della presenza delle condizioni di legge che legittimano quella restrizione e il provvisorio sacrificio della liberta' personale. Orbene, tutto questo premesso, l'interpretazione degli articoli 27 e 292 codice di procedura penale tale per cui e' soddisfatto l'obbligo di motivazione anche se l'ordinanza cautelare rinvia in modo integrale ed esclusivo ad una fonte terza (quand'anche appartenente al medesimo potere giudiziario), e, quindi, ad una fonte diversa rispetto all'autorita' investita del potere di adottare quel provvedimento, e' in contrasto proprio con le norme degli articoli 13, comma II e 111, comma VI Cost. Infatti, al sistema normativa costituzionale risultante dagli articoli 13 comma II e 111 comma VI, come sopra ricomposto, consegue, inevitabilmente, l'inscindibile corrispondenza tra l'autorita' giudiziaria che adotta l'atto e l'autorita' giudiziaria cui incombe l'obbligo di motivazione, nel senso che non puo' ritenersi ammissibile che il giudice autore del provvedimento cautelare abdichi interamente al suo obbligo, rinviando sic et simpliciter ad atti assunti da giudici diversi. In siffatti casi il giudice non assolverebbe alla funzione di garanzia che gli e' attribuita dalla Costituzione attraverso la ricordata riserva di giurisdizione unitamente all'obbligo di motivazione. In termini piu' precisi, in un sistema costituzionale che garantisce la liberta' personale attraverso il meccanismo congiunto della riserva di giurisdizione e dell'obbligo di motivazione, il doveroso compito di motivare, cioe' di esplicitare l'esito della verifica dei casi normativi legittimanti la restrizione secondo le modalita' (i modi) individuate dalla Costituzione e, poi, dalla legge ordinaria (nello specifico, attraverso la motivazione, ovverosia un percorso logico-giuridico adeguato, specifico e puntuale), non puo' che ricadere sul giudice che assume l'atto restrittivo, essendo proprio questi il giudice che verifica la presenza dei presupposti per emettere quel provvedimento, ed esternandosi la suddetta verifica con la modalita' assunta. E la specificazione normativa tale per cui l'ordinanza cautelare deve contenere l'autonoma valutazione rimarca ulteriormente il principio costituzionale della corrispondenza tra l'atto e il suo autore. Ebbene, l'art. 292 comma 2 lettera c) codice di procedura penale statuisce che L'ordinanza che dispone la misura cautelare contiene ... l'esposizione e l'autonoma valutazione delle specifiche esigenze cautelari e degli indizi che giustificano in concreto la misura disposta, con l'indicazione degli elementi di fatto da cui sono desunti e dei motivi per i quali essi assumono rilevanza ...; e non e' in dubbio che l'ordinanza cautelare assunta dal giudice competente nel termine perentorio di legge deve avere questo stesso contenuto, stante l'esplicito rinvio all'art. 292 da parte dell'art. 27 che disciplina il caso di specie, cioe' quello dell'ordinanza adottata in rinnovazione del provvedimento interinale del giudice incompetente. La disposizione di legge, specificando il contenuto del provvedimento restrittivo, per un verso realizza la riserva di legge costituzionale indicando le modalita' per mezzo delle quali il giudice puo' limitare l'altrui liberta' personale, per altro verso da' corpo all'obbligo costituzionale di motivazione degli atti giurisdizionali, imponendo in termini stringenti (sanzione di nullita') l'esplicitazione del percorso argornentativo. L'art. 292 codice di procedura penale richiede, infatti, che il provvedimento cautelare esamini gli elementi di fatto, li qualifichi a termini di gravi indizi ed esigenze cautelari spiegando, altresi', le ragioni di questa qualificazione, e giustifichi, alla stregua dei presupposti di legge, la limitazione della liberta' personale. Tutto questo premesso, il sospetto di incostituzionalita' origina innanzitutto dalla circostanza che una siffatta motivazione (cioe' che rinvia in modo integrale ed esclusivo al contenuto dell'atto di un diverso giudice) non esplicita quel percorso argomentativo adeguato, specifico e puntuale, necessario a fini di verifica dei presupposti normativi essenziali per la restrizione personale; in tali casi l'obbligo costituzionale si risolve in uno sterile formalismo che depriva la funzione giurisdizionale del proprio ruolo di garanzia come in precedenza descritto. Inoltre, la medesima motivazione per relationem (nei termini di cui al caso di specie), escludendo l'originalita' del percorso argomentativo del titolare del potere cautelare in quanto autorizza quest'ultimo a delegare a terzi l'adempimento dell'obbligo, scinde il nesso indissolubile tra autore dell'atto e autore della motivazione, infrangendo la doppia garanzia della riserva di giurisdizione e dell'obbligo di motivazione, in precedenza trattata. In conclusione, la norma, nell'interpretazione della Corte di cassazione, e' in contrasto con gli articoli 13 comma II e 111 comma VI della Costituzione nella parte in cui consente al giudice competente di motivare facendo rinvio alle valutazioni gia' espresse dal giudice a quo su tutti i presupposti per l'adozione del titolo restrittivo, e in questi termini va proposto incidente di costituzionalita'. Criticita' con riferimento agli articoli 25, comma I e 111, comma VI, Cost. Proprio sulla scorta di quanto sopra affermato, l'onere motivazionale dev'essere strettamente connesso all'autorita' cui tale onere e' riservato, autorita' che non e', indistintamente, l'autorita' giudiziaria o, piu' limitatamente, quella giurisdizionale, bensi' lo specifico giudice investito per legge della vicenda, il giudice precostituito per legge che deve occuparsi della richiesta di limitazione della liberta' personale in quanto competente per funzioni, materia e territorio. Ed allora il principio di diritto enucleato dalla sentenza di annullamento contrasta anche con il combinato disposto degli art. 25, comma I e 111, comma VI, Cost., laddove consente al giudice naturale (ossia quello competente per territorio) di declinare il proprio obbligo motivazionale e di limitarsi a riprodurre la motivazione adottata dal giudice incompetente senza aggiungere valutazioni autonome ed integrative. La lesione dell'art. 25 Cost. e' tanto piu' evidente ove si consideri che la stessa sentenza di annullamento sollecita il Tribunale del riesame a svolgere il nuovo esame «tenuto conto della motivazione del primo giudice», ossia di quello incompetente e non, quindi, di quello naturale. Tuttavia, ritenere legittima la motivazione del giudice naturale che riproduce integralmente la valutazione propria del primo giudice, comporta la perdita, per il giudice naturale, dei contenuti essenziali della sua funzione di garanzia, allorche' il suo compito e' ridotto alla trasposizione delle valutazioni e conclusioni raggiunte da un organo, pur sempre giurisdizionale, ma non competente. Al riguardo va sottolineato che la stessa legge ordinaria, proprio in conformita' al dettato costituzionale dell'art. 25, attribuisce si' un potere cautelare al giudice incompetente, ma piu' circoscritto di quello assegnato al giudice competente (giudice naturale), sia perche' impone di valutare, oltre i tradizionali presupposti legittimanti la restrizione, l'urgenza di soddisfare le esigenze cautelari; sia - soprattutto - perche' l'esercizio di quel potere ha un'efficacia temporale molto ridotta (venti giorni) in attesa del pronunciamento del solo giudice legittimato, quello ritenuto competente. Ecco, quindi, che l'interpretazione della Corte di legittimita' rende irrilevante il principio di cui agli articoli 25, comma I e 111, comma VI Cost., dal momento che l'osservanza del principio costituzionale sarebbe meramente formale a fronte di un obbligo adempiuto integralmente da un giudice non piu' titolare del potere di verifica della legittimita' della limitazione della liberta' personale. Pertanto il principio di diritto elaborato dalla Suprema Corte e' in contrasto con gli articoli 25 comma I e 111 comma VI Cost. nella parte in cui consente al giudice naturale (il giudice competente) di motivare l'ordinanza di rinnovo ex art. 27 codice di procedura penale con integrale riferimento al contenuto dell'ordinanza adottata dal giudice incompetente. In questi termini va percio' proposto incidente di costituzionalita'. Alla luce delle sopra esposte argomentazioni, risulta rilevante e non manifestamente infondata - con riguardo agli articoli 13, comma II, 25, comma I, e 111, comma VI, Cost. - la questione di legittimita' costituzionale degli articoli 27, 292, comma II, lettera c, codice di procedura penale, nell'interpretazione fornita da Cassazione, IV, 29 novembre 2016, n. 55272, secondo cui l'art. 27 codice di procedura penale consente al giudice competente di «motivare facendo rinvio alle valutazioni gia' espresse dal precedente giudice, dichiaratosi incompetente, su tutti i presupposti per la adozione del titolo restrittivo». Va dunque disposta la sospensione della presente procedura e la rimessione della questione alla Corte costituzionale per la sua decisione ai sensi degli articoli 1, legge cost. 9 febbraio 1948, n. 1 e 23, legge 11 marzo 1953, n. 87. Dispone, a cura della cancelleria, che la presente ordinanza sia notificata al pubblico ministero e alle altre parti, nonche' al Presidente del Consiglio dei ministri. Dispone che la presente ordinanza sia altresi' comunicata al presidente della Camera dei deputati e al presidente del Senato della Repubblica. (1) Come tuttavia puo' rilevarsi dagli elementi di fatto indicati dalla Cassazione quali indicativi di un ulteriore vaglio critico da parte del giudice per le indagini preliminari di Bergamo, si tratta di elementi fattuali pertinenti alla sola valutazione dei gravi indizi di colpevolezza (art. 273 c.p.p.), mentre nessuna menzione di eventuali elementi di fatto, ne' tantomeno di valutazioni aggiuntive, e' indicata con specifico riferimento alla parte dell'ordinanza del giudice per le indagini preliminari di Bergamo che esamina la sussistenza delle esigenze di cautela (art. 974 c.p.p.). (2) Ai sensi degli articoli 292, comma II, lettera c, e art. 309, comma IX, codice di procedura penale come novellati dalla legge n. 47/2015. (3) Sul punto meritano di essere riportate le affermazioni contenute nell'opinione espressa dal Giudice Wojtyczek, nella causa Schipani c. Italia (Corte europea, IV sez., 21 luglio 2015, Schipani ed altri contro Italia, n. ricorso 38569/09): «A mio avviso, il parametro principale di cui occorrerebbe tener conto applicando l'obbligo di motivare le decisioni giudiziarie e' la gravita' dell'ingerenza nella sfera dei diritti umani. E' evidente che anche altri fattori entrano in conto, come il carattere incidentale o principale della questione esaminata o l'urgenza di statuire. Tuttavia, la qualita' della motivazione deve essere modulata in funzione della gravita' dell'ingerenza nella sfera dei diritti dell'uomo. Piu' questa ingerenza e' marcata, piu' la motivazione della decisione giudiziaria deve essere dettagliata e sostenuta da argomenti forti. Ora, io noto che l'ampiezza del margine di azione che la Corte lascia agli Stati in materia di motivazione delle decisioni giudiziarie non e' sempre adeguato alla gravita' dell'ingerenza nella sfera dei diritti umani, soprattutto se tale ingerenza e' di natura penale. In questo contesto, e' possibile legittimamente porsi la questione della coerenza e della forza persuasiva della giurisprudenza sviluppata dalla Corte. L'approccio adottato necessita dunque di essere ripensato e rivisto. Occorre qui sottolineare che l'obbligo di motivare le decisioni giudiziarie puo' anche discendere da altre disposizioni materiali della Convenzione. Secondo la giurisprudenza della Corte, una ingerenza delle autorita' nazionali nelle liberta' tutelate dalla Convenzione deve essere giustificata da motivi pertinenti e sufficienti (si veda ad esempio Morice c. Francia, § 144). Se l'ingerenza assume la forma di una decisione giudiziaria, ne discende che il giudice che emette questa decisione deve fornire dei motivi pertinenti e sufficienti».