UFFICIO DI SORVEGLIANZA per le circoscrizioni di Lecce e Brindisi Il Magistrato di sorveglianza decidendo sul reclamo ex art. 35-bis dell'ordinamento penitenziario, avanzato da D.D.M., detenuta presso la Casa circondariale di Lecce in espiazione di condanna della Corte d'appello di Lecce del 6 luglio 2015, sentenza n. 2557/14, fine pena 30 maggio 2021, con cui si impugna il rigetto di ammissione al beneficio di cui all'art. 21-bis dell'ordinamento penitenziario da parte dell'Amministrazione penitenziaria, deducendo l'illegittimita' del diniego in considerazione del contrasto dell'art. 21-bis dell'ordinamento penitenziario, con l'interesse dei minori e la tutela della famiglia, posti a fondamento della norma invocata; Letti atti; Sentito il pubblico ministero e il difensore all'odierna udienza e sciogliendo la riserva di cui al separato verbale; Osserva a) In fatto: D.D.M. veniva condannata per la commissione dei reati di cui agli articoli 73 e 74 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990 alla pena di anni 4 e mesi 10. In considerazione della presenza di prole (tre figli, due gemelli di anni 5 e un figlio di anni 3) e della assenza anche della figura genitoriale paterna, la detenuta procedeva alla formulazione di richiesta di ammissione all'assistenza all'esterno dei figli minori, di cui all'art. 21-bis dell'ordinamento penitenziario. Tale istanza veniva pero' rigettata dall'Amministrazione penitenziaria sulla scorta della esplicita previsione dell'art. 21 dell'ordinamento penitenziario, cui la citata norma del 21-bis dell'ordinamento penitenziario rinvia, che espressamente prevede che il beneficio possa esser disposto per i detenuti in espiazione di reato ostativo di cui all'art. 4-bis, commi 1, 1-ter, 1-quater dell'ordinamento penitenziario, solo dopo l'espiazione di un terzo della pena, in concreto non ancora maturatasi per la reclamante. Tanto disponeva, evidenziando altresi' prematuro l'avvio di una progettualita' esterna, stante l'esiguita' della pena espiata. All'udienza difensore insisteva nel reclamo, deducendo l'illegittimita' costituzionale della norma dell'art. 21-bis dell'ordinamento penitenziario, per contrasto con gli articoli 3, 27, 29, 30, 31 della Costituzione. b) Sulla rilevanza della questione prospettata: questo giudicante ritiene che la dedotta questione sia rilevante atteso che, con il reclamo ex art. 35-bis dell'ordinamento penitenziario, si deduce ai sensi dell'art. 68, comma 2, lettera b) dell'ordinamento penitenziario, l'attuale e grave pregiudizio determinato dall'adozione di un atto di rigetto dell'ammissione al beneficio da parte dell'amministrazione: la detenuta, condannata per reato ostativo, non risulta aver espiato un terzo della pena; ne consegue che la questione pregiudiziale di legittimita' della norma dell'art. 21-bis dell'ordinamento penitenziario, sollecitata anche dalla difesa, si appalesa rilevante ai fini della definizione del presente procedimento, potenzialmente definitiva. Deve ulteriormente evidenziarsi, ai fini della rilevanza nel giudizio a quo, che, sebbene a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 76/2017 dell'8 marzo 2017, la detenuta possa avanzare istanza di detenzione speciale ex art. 47-quinquies dell'ordinamento penitenziario, essendo caduta la preclusione del comma 1-bis della citata disposizione, in concreto la condannata non risulta ancora nelle condizioni di merito per accedere alla misura alternativa, attesa l'esiguita' della pena espiata e la valutazione di prematurita' per l'avvio di una progettualita' in esternato, espressa anche dall'Equipe di osservazione in atti. A tal proposito deve osservarsi come la misura dell'art. 47-quinquies dell'ordinamento penitenziario, costituisca uno strumento trattamentale non sovrapponibile, bensi' complementare e progressivo rispetto a quello dell'assistenza all'esterno dei figli minori, che conserva carattere inframurario, come meglio si dira' nel paragrafo successivo; ne consegue che la reclamante conserva interesse alla fruizione del minor beneficio penitenziario dell'art. 21-bis dell'ordinamento penitenziario, e che la questione di legittimita' costituzionale permane rilevante nel giudizio a quo. c) In ordine alla non manifesta infondatezza: questo giudicante dubita della legittimita' costituzionale della norma per contrasto con gli articoli 3, 29, 30, 31 della Costituzione nella parte in cui l'art. 21-bis dell'ordinamento penitenziario, facendo rinvio all'art. 21 dell'ordinamento penitenziario, esclude dal beneficio il detenuto per reato ostativo che non abbia ancora espiato almeno un terzo della pena. Deve rilevarsi che l'art. 21-bis dell'ordinamento penitenziario, veniva introdotto dalla legge n. 40 del 2001, unitamente alla detenzione domiciliare speciale, da poco oggetto di sindacato di costituzionalita' (Corte costituzionale n. 76/2017), e alla modifica di altre disposizioni del codice penale e di rito, aventi ad oggetto la condizione delle detenute madri. Dall'esame dei resoconti stenografici del disegno di legge (atto Camera 4426-B) emergeva la volonta' di dare giusto valore alla maternita' e alla relazione tra madre e figli allo scopo di evitare che venisse esercitata violenza sui bambini, strappati alle madri all'eta' di tre anni per essere mandati in istituto: si intendeva massimamente tutelare, cioe', il diritto del minore ad avere nella prima infanzia un sano e corretto rapporto con la madre detenuta, diritto ritenuto non usufruibile in un contesto, come quello carcerario, del tutto inadatto ad un corretto e sano sviluppo psicofisico del minore, realizzando cosi' un sistema che, pur rispettoso dell'esigenza di un effettivo esercizio della potesta' punitiva dello Stato nei confronti di chi commenta un reato, non si ponesse - tuttavia - in conflitto con la necessaria tutela della maternita' e con una moderna concezione dell'infanzia riconosciuta dall'art. 31 della Costituzione. La questione odiernamente sottoposta a scrutinio della Corte costituzionale evidenzia invece un automatismo di preclusione assoluta contenuto nella norma che, in assenza di indicazione altri indici concreti, sin pone in patente contrasto con gli articoli 3, 29, 30, 31 della Costituzione: la norma, volta a tutelare l'interesse del minore a mantenere un rapporto all'esterno con la madre, diritto peraltro gia' riconosciuto sia dalla Costituzione che dall'ordinamento internazionale (Convenzione sui diritti del fanciullo di New York del 20 novembre 1989 e Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea del 7 dicembre 2000), collide con il principio secondo cui l'interesse del minore, qualificato come «superiore e preminente», possa essere «limitato», in occasione delle decisioni relative ad esso assunte da autorita' pubbliche o istituzioni private, solo a seguito di un bilanciamento con interessi contrapposti (come quelli di difesa sociale, sottesi all'esecuzione della pena, cfr. sentenza della Corte costituzionale n. 239/2014), che nella norma impugnata invece non contempla. Non si ignora che il citato «bilanciamento dei contrapposti interessi» sia rimesso a scelte discrezionali di politica legislativa, ma si censura nella questione de quo che la norma in argomento non esprima alcun criterio valutativo ulteriore, ma si limiti a fissare una preclusione rigida, che non esprime di per se' una ragione sufficiente all'esclusione dal beneficio per esigenze di difesa sociale. La formulazione attuale della norma impedisce cioe' la concessione del beneficio in mancanza dell'avvenuta espiazione di un congruo periodo di pena, rispetto al quale il minore, destinatario prevalente degli effetti del beneficio trattamentale, viene privato in concreto della assistenza da parte del genitore, nella primissima infanzia, senza che possa essere effettivamente verificato in concreto la ricorrenza di una ragione contraria prevalente nell'ambito di un giudizio di bilanciamento. La disposizione, inoltre, si inserisce disarmonicamente nel sistema che consente alle madri condannate per delitti ostativi di essere da subito ammesse a misura alternativa a prescindere dall'entita' della pena da espiare, quando puo' essere disposto il rinvio obbligatorio o facoltativo dell'esecuzione della pena ai sensi degli articoli 146 e 147 del codice penale (art. 47-ter, comma 1-ter dell'ordinamento penitenziario), sia - di recente - alla misura della detenzione domiciliare speciale, in forza della recente sentenza della Corte costituzionale n. 76 del 2017. A fronte di tale intervento di ortopedia giuridica, l'art. 21-bis dell'ordinamento penitenziario, si pone come ultimo tassello normativo costituzionalmente illegittimo nella misura in cui esclude temporaneamente le condannate per reato ostativo, con una presunzione assoluta di immeritevolezza, sganciata da alcuna valutazione idonea a salvaguardare il bilanciamento di interessi, ritenuto unico elemento di confronto rispetto all'interesse del minore, come detto, Nemmeno appare dirimente sotto il profilo della rilevanza della questione il fatto che la detenuta sia legittimata - ad oggi - a formulare istanza per ottenere la diversa misura extramuraria della detenzione speciale di cui all'art. 47-quinquies dell'ordinamento penitenziario, atteso che quest'ultima misura introduce un beneficio maggiormente ampio sotto il profilo del trattamento, che importa la formale scarcerazione e dunque la sottoposizione ad un regime differente e meno contenitivo rispetto a quello derivante dalla sottoposizione del beneficio di cui all'art. 21-bis, che importa - invece - solo una differente una modalita' di trattamento inframurario, in cui la condannata cioe' permane in una condizione di restrizione massima di soggetto detenuto in carcere. Proprio dunque la previsione di una progressivita' di trattamento, valutabile nei requisiti di meritevolezza e affidabilita' da parte della magistratura di sorveglianza, impone logicamente una identita' di presupposti di ammissibilita', opportunamente valutabili in relazione al caso concreto e bilanciabili con le summenzionate esigenze di contenimento della pericolosita' sociale che debbono, come detto, orientare la decisione nel caso di soggetto detenuto per reati di cui all'art. 4-bis dell'ordinamento penitenziario, che, come nel caso concreto, da poco ha iniziato l'espiazione (come evidenziato dalla relazione dell'equipe di osservazione e trattamento, che si esprime negativamente rispetto ad una proiezione del trattamento in esternato). Tanto premesso, appare non manifestamente infondato il dubbio che la norma dell'art. 21-bis dell'ordinamento penitenziario, possa collidere con gli articoli 3, 29, 30, 31 della Costituzione, sicche' si impone la rimessione della questione alla Corte costituzionale affinche' ne verifichi la fondatezza.