LA CORTE D'APPELLO DI MILANO Sezione prima civile Composta dai giudici: Amedeo Santosuosso - Presidente; Raimondo Mesiano - Consigliere rel.; Anna Mantovani - Consigliere; nella causa di impugnativa di nullita' di lodo arbitrale iscritta al n. 1173/2013 del ruoto generale, promossa da AAT S.p.a. in liquidazione e concordato preventivo (gia' Aster Associate Termoimpianti S.p.a.), codice fiscale n. 00840630156, con sede in Vimodrone(MI), in persona dei liquidatori Dott. Ettore Agostoni e Dott. Giovanni La Croce e del liquidatore giudiziario Dott.ssa Elena Quadrio, difesa e rappresentata dagli Avvocati Giuseppe Visconti ed Edoardo Vassallo ed elettivamente domiciliata presso il loro studio in Milano, via Lanzone n. 4 - impugnante; Contro Cooperativa Muratori & Cementisti - C.M.C. di Ravenna, codice fiscale n. 00084280395, con sede in Ravenna, in persona del legale rappresentante, difesa e rappresentata dagli Avvocati Andrea Bernava, Stefano Pascali e Mikaela Valan ed elettivamente domiciliata presso il loro studio legale Chiomenti in Milano, via Verdi n. 2 - resistente; con atto di impugnazione notificato il 3 aprile 2013; Ha pronunciato la presente ordinanza, a scioglimento della riserva, di cui alla udienza collegale del 2 maggio 2017; Osserva 1. - Premesso che con lodo arbitrale del 17 - 18 luglio 2012 il Collegio arbitrale come in atti composto, a seguito di arbitrato rituale intervenuto fra AAT in liquidazione e concordato preventivo e CMC di Ravenna, accertava e dichiarava la risoluzione di un importante contratto di subappalto stipulato l'8 novembre 2002 e per l'effetto, affermata la sussistenza di opposte ragioni di credito fra le parti per rilevanti importi e dichiarata la compensazione fino alla concorrenza di € 11.717.078,49 fra detti crediti contrapposti, condannava AAT al pagamento in favore di CMC della residua somma di € 113.570,99 oltre interessi e rivalutazione, compensando interamente fra le parti le spese dell'arbitrato, della Ctu espletata nel procedimento arbitrale e quelle di difesa tecnica e legale; che, con impugnazione notificata a controparte in data 3 aprile 2012, AAT, come in atti autorizzata dal Giudice Delegato procedente, rappresentata e difesa, proponeva domanda di nullita' del detto lodo arbitrale anche per motivi di diritto, ai sensi dell'art. 829 c.p.c., come meglio precisata nel foglio di PC in atti; che si costituiva nel presente giudizio innanzi a questa Corte d'appello di Milano, CMC, come in atti rappresentata e difesa, con comparsa con cui chiedeva la declaratoria di inammissibilita' o il rigetto dell'avversaria impugnazione coma da fogli di PC in atti; che all'udienza del 9 febbraio 2016, la presente causa veniva rimessa in decisione sulle predette conclusioni delle parti, con l'assegnazione di termini per gli atti difensivi finali; che, con ordinanza depositata il 24 novembre 2016, questa Corte rimetteva la causa sul ruolo per l'udienza del 13 dicembre 2016 per la comparizione delle parti, intendendo suscitate cosi' il contraddittorio sul tema della possibile illegittimita' costituzionale degli art. 829 comma 3 codice procedura civile e della norma transitoria di cui al comma 4 dell'art. 27, del decreto legislativo n. 40/2006, secondo quanto appresso specificato; che, alla udienza del 13 dicembre 2016 la Corte assegnava alle parti termine fino al 20 gennaio 2017 per il deposito di eventuali note sulle predetta questione di legittimita' costituzionale con contestale riserva sulla futura decisione da prendere. 2. - Che con ordinanza depositata in data 8 marzo 2017, questa Corte - rilevato che nella diversa causa Rg 1667/2015, con ordinanza del 30 novembre 2016 e depositata il 15 dicembre 2016, aveva ritenuto «rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale, per contrarieta' agli articoli 3 e 41 della Costituzione, della norma di cui al combinato disposto dei seguenti articoli di legge, per come interpretati dal diritto vivente»: - Art. 829 comma 3 codice procedura civile: «l'impugnazione per violazione delle regole di diritto relative al merito della controversia e' ammessa se espressamente disposta dalle parti o dalla legge»; - Norma transitoria di cui al comma 4 dell'art. 27 del decreto legislativo n. 40/2006. «4. Le disposizioni degli articoli 21, 22, 23, 24 e 25 si applicano ai procedimenti arbitrali, nei quali la domanda di arbitrato e' stata proposta successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto»; - Entrambe interpretate corna da sentenze della Corte di Cassazione, Sezioni Unite, numeri 9341, 9284 e 9285 del 9 maggio 2016, che hanno composto il contrasto sull'applicazione temporale del mutato regime di impugnabilita' dei lodi arbitrali per errori di diritto, riconoscendo l'impugnabilita' per errori di diritto quando l'arbitrato sia reso dopo l'entrata in vigore detta novella del 2006, ma origini da una convenzione arbitrale anteriore alla stessa entrata in vigore della novella del 2006, convenzione che nulla dica sull'impugnabilita' per errori di diritto; ed aveva sollevato la relativa questione di legittimita' costituzionale rimettendo gli atti alla Corte costituzionale e sospeso il giudizio a quo - e ritenuto che nel presente giudizio si ponga identica questione di legittimita', disponeva la sospensione del presente giudizio (Rg 1173/2016), in attesa della definizione della questione di legittimita' costituzionale gia' rimessa alla Corte costituzionale con la citata ordinanza; che, con istanza depositata il 13 aprile 2017, i patrocinatori di CMC chiedevano la revoca della sospensione della presente causa e la pronuncia da parte di questa Corte di analoga ordinanza di rimessione degli atti di causa alla Corte costituzionale dato che essi, per un verso, intendevano patrocinare e discutete innanzi al giudice delle leggi la questione di legittimita' costituzionale sopra riferita, ma, per altro verso, la giurisprudenza della Corte costituzionale non ammette l'intervento di terzo nel procedimento di delibazione della legittimita' costituzionale di norma di legge, per l'assorbente ragione che , se esso intervento fosse ammesso, si avrebbe una procedura di delibazione di questione di legittimita' costituzionale di norme di legge sostanzialmente aperta a quisque de populo e cio' sarebbe contrario alla Costituzione, che riserva l'accesso alla giurisdizione di legittimita' costituzionale alle parti di un procedimento giurisdizionale; che, in calce a detta istanza, il Presidente di questa Sezione convocava le parti per l'udienza collegiale del 2 maggio 2017, alla quale i Patrocinatori di entrambe chiedevano la rimessione degli atti alla Corte costituzionale e questa Corte riservava la decisione; Ritenuto che la predetta concorde richiesta delle parti sia meritevole di accoglimento per dare loro modo di potere discutere la questione di legittimita' costituzionale delle stesse identiche norme e sotto gli stessi profili gia' evidenziati da questa Corte nella propria precedente ordinanza del 30 novembre 2016, depositata il 15 dicembre 2016 nel diverso giudizio Rg 1667/2015, si reputa opportuno ripercorrere anche qui i termini della questione, facendo ampio riferimento a detta precedente ordinanza. 3. - La questione della riforma e del regime transitorio. Si tratta di argomenti ampiamente noti ma che si ritiene utile richiamare brevemente a soli fini di chiarezza espositiva. 3.1. - La normativa anteriforma del 2006. Nel regime normativo previgente alla riforma del 2006 l'impugnazione del lodo per violazione di regole di diritto era sempre ammessa, salvo che le parti avessero autorizzato gli arbitri a decidere secondo equita' o avessero espressamente dichiarato il lodo non impugnabile. L'art. 829 comma 3 letteralmente recitava: «L'impugnazione per nullita' e' altresi' ammessa se gli arbitri nel giudicare non hanno osservato le regole di diritto, salvo che le parti li avessero autorizzati a decidere secondo equita' o avessero dichiarato lodo non impugnabile». Stante il tenore letterale della disposizione, il silenzio delle parti assumeva una valenza «positiva», ossia sottintendeva la volonta' delle parti che nell'eventuale giudizio d'impugnazione davanti al giudice ordinario potessero essere fatte valere le violazioni delle regole di diritto. 3.2 - Il nuovo regime e la disciplina transitoria L'art. 24 del decreto legislativo n. 40/2006 modifica l'art. 829 comma 3 e stabilisce la regola inversa, rendendo ammissibile l'impugnazione del lodo per violazione delle regole di diritto solo se «espressamente prevista dalle parti o dalla legge». Nella disciplina post riforma il silenzio delle parti assume, cosi', una valenza «negativa», ossia esclude la possibilita' di sottoporre al vaglio dell'Autorita' Giudiziaria Ordinaria la violazione delle regole di diritto. Le inevitabili questioni di diritto transitorio sono state espressamente regolate con l'art. 27 del medesimo decreto legislativo, che ha espressamente previsto che la nuova disciplina si applichi «ai procedimenti arbitrali, nei quali la domanda di arbitrato e' stata proposta successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto». Tale regime transitorio sembra valorizzare la relativa autonomia dell'atto di proposizione del lodo per una specifica controversia (che viene a essere regolata secondo il nuovo regime) rispetto alla clausola compromissoria, che, stante la sua natura e funzione normativa (tesa cioe' a regolare vicende giuridiche successive che vengono a intercorrere tra le parti), resta ancorata al tempo della sua stipulazione. Di qui la valorizzazione, ai fini dell'applicazione della nuova disciplina, del momento di proposizione della domanda di arbitrato piuttosto che di quello in cui sia stata stipulata la clausola compromissoria. Tuttavia, ci si e' interrogati su cosa ne sia della volonta' delle parti stipulanti la clausola arbitrale e, soprattutto, su quali siano i limiti che il legislatore incontra nell'intervenire sul contenuto di quella clausola (attribuendogli effetti diversi da quello voluto dalle parti) e sul regime giuridico degli atti conseguenti e ad essa connessi. Tali interrogativi sono stati valorizzati e posti in primo piano da un filone giurisprudenziale, da ultimo fatto proprio dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite, che ne ha tratto conclusioni che paiono problematiche. Di esse si discute in questa ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale, rimessione che a questa Corte d'appello pare, a questo punto, essere l'unica via non preclusa (come meglio si dira' piu' avanti). 3.3 - Criteri e i principi direttivi della legge delega n. 80/2005 e la ratio della riforma. Con nuovo regime il Legislatore delegante ha inteso razionalizzare l'intera disciplina delle impugnazioni di lodi arbitrali con l'obiettivo, in particolare, di restringere l'area delle censure deducibili contro lodo. L'impulso alla razionalizzazione e' richiamato nel testo della legge Delega n. 80/2005, ove, nell'indicazione dei principi e dei criteri direttivi, Legislatore Delegato viene chiamato a operare «una razionalizzazione delle ipotesi attualmente esistenti di impugnazione per nullita' [ai fine di] subordinare la controllabilita' del lodo ai sensi del secondo comma [ora terzo, ndr] dell'art. 829 del codice di procedura civile alla esplicita previsione delle parti, salvo diversa previsione di legge e salvo contrasto con i principi fondamentali dell'ordinamento giuridico». Il Legislatore, dunque, si e' misurato con due diverse esigenze, che sono esplicite nei lavori preparatori: in primo luogo, vi era la necessita' di limitare sindacato sulla pronuncia degli arbitri, anche al fine di non ostacolare la speditezza propria del procedimento arbitrale; in secondo luogo, era necessario assicurare una piena tutela alla garanzia costituzionale del sindacato di legittimita' da parte dell'autorita' giudiziaria. Il punto di equilibrio tra queste contrapposte esigenze e' stato individuato nel principio dell'autonomia delle parti: in altri termini, l'ampiezza sia del sindacato dell'autorita' giudiziaria ordinaria, sia dell'alveo delle censure deducibili contro il lodo sono interamente rimessi alla scelta discrezionale delle parti. Del resto, tale scelta trova fondamento nella natura stessa dell'istituto dell'arbitrato, che si caratterizza per essere uno strumento di risoluzione alternativa delle controversie, fondato su un atto negoziale, ossia la convenzione d'arbitrato. La previsione di tale istituto nel nostro ordinamento rappresenta, infatti, un esempio di «privatizzazione della giustizia», ove l'autonomia privata assume un ruolo predominante rispetto alla legge e all'amministrazione pubblica della giustizia, seppur sempre conformemente ai principi fondamentali dell'ordinamento giuridico. 4. - Le elaborazioni giurisprudenziali sul punto La nuova disciplina, ha suscitato alcune oscillazioni interpretative nella giurisprudenza tanto di merito quanto di legittimita', specie con riferimento all'applicabilita' del nuovo regime ai procedimenti arbitrali promossi dopo l'entrata in vigore del decreto legislativo n. 40/2006, ma fondati su convenzioni d'arbitrato stipulate dalle parti in un momento antecedente la riforma. 4.1 La giurisprudenza di legittimita'. La Corte di cassazione ha, in alcune occasioni, escluso l'applicazione della nuova disciplina e, in altre, ha ritenuto ineludibile il chiaro tenore letterale della norma transitoria (art. 27 comma 4 cit.), adottando la soluzione opposta. Conformemente al primo orientamento, la sentenza della prima sezione civile (n. 12379/2014), ha ritenuto che ratione temporis non potesse applicarsi l'art. 829 comma 3 codice di procedura civile, nuovo testo, a una fattispecie nella quale era rilevante la data della convenzione (che, sola, poteva contenere previsioni di impugnazione per violazione di regole di diritto), e non certo quella della impugnazione di nullita', e ha affermato: «si ritiene inaccettabile un'applicazione retroattiva di un regime di estesa generale impugnabilita' per ragioni di diritto a momenti negoziali anteriori alla sua entrata in vigore e nei quali il silenzio serbato era diretto a consentire quella impugnazione». Con tale sentenza, la Suprema Corte ha dato seguito all'allora recente pronuncia della prima sezione civile della medesima Corte (n. 6148 del 19 aprile 2012), che aveva proposto una lettura costituzionalmente orientata della norma transitoria (art. 27 comma 4 cit.). La Corte, prendendo le mosse dal principio di irretroattivita' della legge sancito dall'art. 11 delle Preleggi, ha ritenuto che gli effetti di un atto negoziale siano sottoposti, unicamente, alla disciplina in vigore al momento in cui ratto sia stato adottato. Su tali premesse, la Suprema Corte ha ritenuto illegittima l'applicazione del novellato art. 829 comma 3 codice di procedura civile alle convenzioni arbitrali concluse prima dell'entrata in vigore della riforma, poiche' in contrasto con i principi di successione delle leggi nel tempo: «laddove le convenzioni siano state concluse prima della entrata in vigore esse non possono che continuare a essere regolate dalla legge previgente, che disponeva l'impugnabilita' del lodo per violazione della legge sostanziale, a meno che le parti non avessero stabilito diversamente. E pertanto, in difetto di una disposizione che sancisca la nullita' di quelle convenzioni (per sopravvenute esigenze di natura imperativa) o che obblighi le parti ad adeguarle al nuovo modello, la salvezza di tali convenzioni deve ritenersi insita nel sistema, pur in difetto di un'esplicita previsione della norma transitoria, a pena di veder private le parti contraenti di un contratto - realizzante un dato assetto di interessi in ordine alla devoluzione per arbitri delle controversie che ne siano derivate - di una facolta' di contestazione sulla quale l'una o l'altra aveva fatto indiscutibile affidamento» (Cass. civ. sez. I, 19 aprile 2012, n, 6148; si veda anche Cassazione civ, sez. I, 18 giugno 2014, n. 13898; Cassazione civ. sez. I, 19 gennaio 2015, n. 745 e 748; Cassazione civ. sez. I, 28 ottobre 2015, n. 22007). Cosi' motivando, la Corte di cassazione ha inteso conformarsi alla consolidata giurisprudenza della Corte costituzionale che, in plurime occasioni, ha sottolineato rimportanza del principio di irretroattivita' della legge, in quanto «principio generale del nostro ordinamento [che] rappresenta, pur sempre, una regola essenziale del sistema a cui, salva un'effettiva causa giustificatrice, il legislatore deve ragionevolmente attenersi, in quanto la certezza dei rapporti preteriti costituisce un indubbio cardine della civile convivenza e della tranquillita' dei cittadini» (Corte costituzionale sentenza n. 155 del 1990, a cui la Cassazione rinvia espressamente nella pronuncia del 19 aprile 2012, n. 6148; in senso conforme, Corte costituzionale sentenza n. 118 del 1957). Tale orientamento e' stato, tuttavia, messo in discussione in occasione di successive pronunce della medesima Corte di cassazione (ex pluris, Cassazione civ. sez. VI, 17 settembre 2013, n. 21205; Cassazione civ. sez. I, 20 febbraio 2012, n. 2400; Cassazione sez. I, 25 settembre 2015, n. 19075). In particolare la Suprema Corte, nell'ordinanza n. 21205 della VI Sezione Civile del 17 settembre 2013, ha ritenuto che «il novellato art. 829 codice di procedura civile, si applica, come indicato nel decreto legislativo n. 40 del 2006, art. 27, comma 4, ai procedimenti arbitrali nei quali la domanda di arbitrato e stata proposta successivamente alla data di entrata in vigore del decreto, a nulla rilevando, secondo il chiarissimo disposto della norma transitoria, il riferimento temporale relativo alla clausola compromissoria». Alla medesima conclusione e' giunta la Suprema Corte in una recente ordinanza, ove ha ritenuto che «la disciplina transitoria e' univoca nel preferire la legge vigente al tempo del lodo rispetto a quella diversa, anteriore, mentre non sono ravvisabili ragioni superiori tali da giustificare una diversa interpretazione della norma cosi chiaramente formulata, tanto piu' che «l'intangibilita'» e l'immutabilita' di un determinato regime di impugnativa correlato a un dato occasionale, come l'epoca di stipulazione della clausola, non risulta assistito da alcuna garanzia costituzionale» (Cass. sez. I, 25 settembre 2015, n. 19075). In sintesi, i giudici di legittimita', in epoca piu' recente, e sino alle pronunce delle sezioni unite, di cui a breve si dira', si sono conformati, in maniera pressoche' unanime, alla tesi in base alla quale il chiaro dettato normativo di cui all'art. 27 comma, 4 del decreto legislativo n. 40/2006 non lasci all'interprete alcun margine di discrezionalita' nell'applicazione del nuovo regime. Si conseguenza deve applicarsi il nuovo regime agli arbitrati promossi successivamente al 2006, anche se basati su clausole compromissorie stipulate prima del 2006. 4.2 La giurisprudenza di merito La Corte d'Appello di Milano, dopo alcuni iniziali dubbi interpretativi e considerato il chiaro tenore letterale della norma transitoria, ha ritenuto nella fase piu' recente dl doversi conformare alla volonta' del legislatore e applicare la nuova disciplina a tutti i procedimenti arbitrali promossi mediante domanda d'arbitrato dopo il 2006, indipendentemente dal tempo della sottoscrizione della clausola arbitrale. Tale orientamento maggioritario, che ha trovato conferma in numerose sentenze, ha proposto un'interpretazione costituzionalmente orientata del combinato disposto di cui agli articoli 27 comma 4 del decreto legislativo n. 40/2006 e 829 comma 3 codice di procedura civile. Nella sentenza n. 2377 del 2015 della Corte d'Appello di Milano, l'applicazione del nuovo regime e' stata motivata considerando l'impossibilita' di interpretazioni alternative (stante l'evidenza del tenore letterale della norma) e la necessita' di garantire il rispetto del principio processuale del tempus regit processum, secondo il quale il processo civile e' regolato nella sua interezza dal rito vigente al momento della proposizione della domanda. Piu' specificamente, si e' fatto notare che un'interpretazione contraria, come quella che verra' proposta successivamente dalle sezioni unite (di cui fra breve si dira'), ha una valenza sostanzialmente abrogativa della norma transitoria (che se non regola i casi in cui la clausola compromissoria e' pre2006 non regola nulla), col risultato finale di un'interpretazione contra legem. A cio' si aggiunga che la soluzione interpretativa a favore dell'applicabilita' del nuovo regime tutela l'affidamento delle parti su un dato assetto processuale «le cui regole rispondono, di tempo in tempo a superiori interessi pubblici e il cui mutamento non contrasta con il principio di uguaglianza»; ne' in alcun modo appare fondata la tesi per cui, in siffatte circostanze, le parti sarebbero costrette a subire un mutamento della disciplina, ben potendo le stesse mutare il contenuto della clausola e prevedere espressamente l'impugnabilita' del lodo per violazione delle regole di diritto (Corte d'Appello di Milano, sezione I, sent. n. 2377/2015). Cosi' motivando, la Corte d'Appello di Milano ha assunto un orientamento sostanzialmente unanime e ha rigettato l'impugnazione dei lodi arbitrali promossi in virtu' di clausole compromissorie stipulate ante riforma e il cui contenuto non fosse stato modificato a fronte del nuovo regime. In altra sentenza la Corte d'appello di Milano ha cosi' motivato la legittimita' della norma transitoria: «a) il legislatore si e' conformato puntualmente al principio codificato in generale dall'art. 5 codice di procedura civile ovvero del tempus regit processum; b) nessun vulnus viene inferto al principio di uguaglianza, vero essendo che tutte le parti del processo arbitrale sono poste nella medesima condizione: la intervenuta esclusione della impugnabilita' del lodo per violazione delle regole di diritto riguarda sia l'impugnante sia la parte resistente, in un regime di perfetta parita'; [...] e) il novellato art. 829 codice di procedura civile se raffrontato col testo previgente, non sembra aver determinato alcun rilevante deficit di tutela del cittadino [...] apparendo la nuova disciplina, conformemente alla delega parlamentare ricevuta, volta a razionalizzare l'istituto dell'arbitrato, rafforzando ulteriormente l'autonomia delle parti ed evitando il protrarsi di tutte le zone d'ombra interpretative; g) il «potere di veto» che parrebbe per tale via introdotto compete a ciascuna parte alla stessa stregua cosicche', essendo le stesse in una posizione di reciproca e paritaria autonomia, non si verifica alcuna «imposizione» unilaterale e autoritativa; [...] i) appare del tutto ragionevole l'intento del legislatore di evitare che, proprio attraverso il sistema delle impugnative per nullita' dei lodi arbitrali, si possa incrementare quel contenzioso che l'arbitrato avrebbe dovuto, invece, contribuire a ridurre; k) non puo' dirsi violato l'affidamento riposto dai cittadini nella certezza dell'ordinamento giuridico, vero essendo che non si e in presenza di un caso di legge «retroattiva» quanto piuttosto di legge ad applicazione immediata» (Corte d'Appello di Milano, n. 1943/2012). La Corte d'Appello di Venezia, aderendo alla medesima soluzione interpretativa, ha ritenuto che «la disciplina transitoria e' univoca nel preferire la legge vigente al tempo del lodo rispetto a quella diversa, anteriore, mentre non sono ravvisabili ragioni superiori tali da giustificare una diversa interpretazione della norma cosi chiaramente formulata, tanto piu' che «l'intangibilita'» e l'immutabilita' di un determinato regime di impugnativa correlato ad un dato occasionale, come l'epoca di stipulazione della clausola, non risulta assistito da alcuna garanzia costituzionale. Una simile interpretazione e' l'unica idonea ad assicurare il pieno rispetto del principio del tempus regit actum» (Corte d'Appello di Venezia, 30 novembre 2015, n. 2722). Siffatta soluzione interpretativa ha trovato conferma in molteplici pronunce della Corte costituzionale che ha piu' volte ribadito che, lungi dal comportare un'applicazione retroattiva della nuova disciplina, la previsione di un regime transitorio ad hoc assicura una applicazione immediata della nuova disciplina in modo conforme alla norma generale di cui all'art. 5 codice di procedura civile, come si puo' leggere nell'ordinanza n. 11 del 2003: «il principio dell'affidamento [...] non puo' in alcun modo ritenersi leso dalle norme impugnate in quanto esse, escludendo dal divieto di devoluzione ad arbitri le sole controversie per le quali sia stata gia' notificata la domanda di arbitrato alla data di entrata in vigore del decreto-legge 11 giugno 1998, n. 180 (Misure urgenti per la prevenzione del rischio idrogeologico ed a favore delle zone colpite da disastri franosi nella regione Campania), non attribuiscono al suddetto divieto alcuna efficacia retroattiva ma al contrario fanno puntuale applicazione della norma generale enunciata dall'art. 5 del codice di procedura civile a tenore del quale «la giurisdizione e la competenza si determinano con riguardo alla legge vigente e allo stato di fatto esistente al momento della proposizione della domanda». 5. - Le pronunce 2016 delle sezioni unite come fatto nuovo A fronte di un contrasto giurisprudenziale che interessava la stessa Corte di cassazione, la prima sezione della suprema Corte ha investito le sezioni unite al fine di superare l'incertezza sui possibili motivi di impugnazione (Cass, Civ, Sez. I, ordinanza nn. 25039 e 25562 del 2015). 5.1. Le tre sentenze sezioni unite del 2016 e la loro ispirazione. Con tre sentenze gemelle (nn. 9341, 9284 e 9285 del 9 maggio 2016) le sezioni unite hanno composto il contrasto sull'applicazione temporale del mutato regime di impugnabilita' dei lodo per errori di diritto, riconoscendo l'impugnabilita' per errori di diritto quando l'arbitrato sia reso dopo l'entrata in vigore della novella del 2006, ma origini da una convenzione anteriore al 2006, che nulla dica sull'impugnabilita' per errori di diritto. Le sezioni unite, pur prendendo atto dell'inequivocabilita' del tenore letterale della norma transitoria, ritengono di poter escludere l'applicabilita' del riformato art. 829 comma 3 codice di procedura civile ai giudizi arbitrali promossi dopo il 2006, ma azionati in forza di clausole compromissorie stipulate in tempo antecedente la riforma. La soluzione data dalle sezioni unite e' incentrata su un'interpretazione letterale dell'art. 829, 3 comma, codice di procedura civile e, in particolare, sul concetto di «legge», che dispone espressamente rimpugnazione per violazione del diritto sostanziale (testualmente l'art. 829 comma 3 codice di procedura civile cosi recita: «l'impugnazione per violazione delle regole di diritto relative al merito della controversia e' ammessa se espressamente disposta dalle parti o dalla legge»). Le Sezioni unite s'interrogano, infatti, su quale sia la «legge» cui fa riferimento testo riformato, ai sensi della quale sarebbe ammissibile l'impugnazione per violazione di norme di diritto sostanziale e giungono alla conclusione che tale legge deve essere caratterizzata dai seguenti requisiti (pagg. 8-9 delle sentenze delle Sezioni unite, poc'anzi indicate): deve essere una disposizione di legge diversa dal nuovo art. 829, comma 3 c.p.c. deve essere una legge che disciplini la convenzione di arbitrato, in cui sono stabiliti i limiti dell'impugnabilita' del lodo; deve essere una legge vigente al momento della stipula della convenzione di arbitrato, perche' «solo la legge vigente in quel momento [...] puo' ascrivere al silenzio delle parti un significato normativamente predeterminato». Orbene, ad avviso delle Sezioni unite, la legge cui fa riferimento l'art. 829 comma 3 c.p.c., idonea a escludere limiti d'impugnabilita' del lodo, e', esclusivamente, quella vigente al momento della stipulazione della convenzione d'arbitrato. Solo una simile soluzione consentirebbe di attribuire al silenzio delle parti, comportamento di per se' neutro, il significato voluto dai contraenti. In altri termini, la neutralita' del silenzio obbliga l'interprete a tener conto del contesto normativo in cui lo stesso si sia formato, in quanto, solo un simile approccio interpretativo, consente di attribuire al silenzio un «significato normativamente predeterminato» (pag. 9 sentenze Corte di cassazione a Sezioni unite) rispettoso della volonta' delle parti contraenti. Conformemente alla tesi sostenuta dalle Sezioni unite, ammettere l'applicazione del riformato art. 829 comma 3 c.p.c. anche alle convenzioni stipulate prima della stia entrata in vigore, significherebbe modificare la portata del silenzio tenuto dalle parti nella stipulazione della convenzione, attribuendogli un significato diverso rispetto a quello preesistente e conosciuto dalle parti. Pertanto, il significato del silenzio delle parti al momento della stipulazione della clausola arbitrale deve essere stabilito sulla base della legge vigente al momento in cui essa e' avvenuta, a nulla rilevando la modifica sopravvenuta della disciplina in materia di arbitrato. Ne' tantomeno, proseguono le Sezioni unite, e' in alcun modo meritevole di accoglimento la tesi in forza della quale le parti, consapevoli del sopravvenuto mutamente legislativo, possono rinnovare la convenzione, prevedendo la libera impugnabilita' del lodo per violazione delle regole di diritto relative al merito della controversia. Si tratterebbe di una soluzione pressoche' irrealizzabile, «perche' la conclusione della nuova convenzione richiederebbe il consenso di tutti gli stipulanti, anche di quelli eventualmente interessati al mantenimento del vincolo precedente» (pag. 10 delle sentenze della Corte di cassazione a Sezioni unite). In definitiva, nell'interpretazione delle Sezioni unite il regime normativo cui far riferimento per l'impugnabilita' del lodo nel caso di errores in judicando, derivante da un giudizio arbitrale disciplinato da una convenzione d'arbitrato antecedente al 2 marzo 2006, e' quello previsto dal vecchio art. 829, comma 2 c.p.c. Sulla base di queste argomentazioni (qui succintamente riportate), la Corte ha accolto il ricorso e formulato il seguente principio di diritto: «in applicazione della disciplina transitoria dettata dall'art. 27 decreto legislativo n. 40 del 2006, l'art. 829, comma 3 c.p.c., come riformulato dall'art. 24 decreto legislativo n. 40 del 2006, si applica nei giudizi arbitrali promossi dopo l'entrata in vigore del suddetto decreto, ma la legge cui lo stesso art. 829, comma 3 c.p.c. rinvia, per stabilire se e' permessa l'impugnazione per violazione delle regole di diritto relative al merito della controversia, e' quella vigente al momento della stipulazione della convenzione d'arbitrato». Dunque, se la convenzione e' anteriore all'entrata in vigore del decreto legislativo n. 40/2006, e le parti nulla hanno previsto in essa, il lodo sara' impugnabile per violazione di regole di diritto sostanziale relative al merito della controversia, anche nel caso in cui il procedimento sia instaurato dopo il 2 marzo 2006. 5.2. Il valore giuridico delle pronunce a Sezioni unite dopo la riforma dell'art. 374 c.p.c. e la loro vincolativita'. Posto il contenuto delle decisioni delle Sezioni unite e considerato l'orientamento opposto consolidatosi presso questa Corte d'appello, non e' irrilevante la questione del grado di vincolativita' che oggi assume una pronuncia della Corte di cassazione a Sezioni unite (quali sono le decisioni in questione) per un giudice di merito, quale questa Corte e'. La riforma del comma 3 dell'art. 374 c.p.c. (introdotta dal decreto legislativo n. 40/2006 - lo stesso che ha modificato anche l'art. 829 c.p.c. ma senza alcuna diretta connessione) ha ridefinito rapporto tra le Sezioni semplici e le Sezioni unite della Suprema Corte, rafforzando notevolmente la funzione di garanzia che queste ultime hanno sull'uniforme interpretazione della legge. Invero, in un'ottica di valorizzazione della funzione nomofilattica della Corte di cassazione, la novella ha introdotto il nuovo principio giuridico per le Sezioni semplici della vincolativita' del decisum delle Sezioni unite della Suprema Corte, stabilendo che «se la Sezione semplice ritiene di non condividere il principio di diritto enunciato dalle Sezioni unite, rimette a queste ultime, con ordinanza motivata, la decisione del ricorso». Quindi, mentre nella disciplina previgente le Sezioni semplici potevano pronunciarsi in modo difforme in ordine ad una quaestio iuris gia' decisa dalle Sezioni unite, oggi una Sezione semplice non puo' decidere in modo difforme dalle Sezioni unite e, qualora non ne condivida l'orientamento, e' tenuta a reinvestire queste ultime con ordinanza motivata. La Novella ha il chiaro obiettivo di ridurre le oscillazioni che talvolta si riscontrano fra le diverse sentenze e di favorire il dispiegamento della funzione nomofilattica della Corte. Il nuovo assetto introdotto dal legislatore in seno alla Cassazione ha effetti sull'intero sistema giudiziario e, quindi, anche sui giudici di merito che sanno in anticipo che una loro eventuale decisione in difformita' dalle Sezioni unite non potra' essere accolta se non dopo aver subito il vaglio di una Sezione semplice che intenda risollecitare le Sezioni unite. Si tratta, invero, di una norma posta a presidio della funzione nomofilattica riconosciuta in capo alla Corte di Cassazione e che introduce una vera e propria «procedimentalizzazione» della nomofilachia, che non necessariamente comporta un irrigidimento del sistema. Tale norma non opera anche nei confronti del giudice di merito, il quale, formalmente, non e' costretto a uniformarsi al principio di diritto enunciato dalle Sezioni unite. E' anche vero, tuttavia, che una sua pronuncia difforme rispetto al principio enunciato dalle Sezioni unite della Corte cassazione non potrebbe essere accolta direttamente da una Sezione semplice. Comporterebbe invece due diversi possibili esiti: 1) la Sezione semplice, condividendo il principio di diritto enunciato dalle Sezioni unite, respinge la soluzione interpretativa proposta dal giudice di merito, cassando la sentenza da questi emessa. 2) la Sezione semplice, ritenendo vi siano nuove argomentazioni in grado di mettere in discussione la fondatezza e la razionalita' della soluzione interpretativa adottata da una decisione a Sezioni unite, puo' sollecitare nuovamente le Sezioni unite. Questo metodo procedurale consente il raggiungimento di una piena intesa tra le Corti finalizzata a ottenere la massima garanzia dei diritti fondamentali. 5.3. Le pronunce a Sezioni unite come diritto vivente secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale. Oltre a prestare la massima considerazione alla vincolativita' che intrinsecamente portano le decisioni delle Sezioni unite nei termini appena esposti, questa Corte e' altrettanto attenta a non trascurare il rilievo che la Corte costituzionale attribuisce al «diritto vivente», nell'esplicazione del proprio potere-dovere di procedere alla ricognizione degli indirizzi espressi dal giudice della nomofilachia. Per la Corte costituzionale sono molteplici e diverse le condizioni affinche' un enunciato interpretativo possa essere considerato idoneo a rappresentare un consolidato indirizzo giurisprudenziale, tale da poterlo ritenere espressivo di un «diritto vivente». Sono stati ritenuti indici di «diritto vivente» (a) il carattere di stabilita' di un dato indirizzo della Corte di Cassazione; (b) il carattere di costanza e ripetizione; (c) o, per quanto concerne il profilo quantitativo, quando le pronunce della Corte di cassazione che hanno accolto una data interpretazione sono numerose e distribuite nell'arco di un lungo periodo, valorizzando «il numero elevato, la sostanziale identita' di contenuto [delle medesime] e la funzione nomofilattica dell'organo decidente» (Sentenza 14 marzo 2008, n. 64). Non sembrano esservi incertezze nel ritenere l'esistenza di un «diritto vivente» in presenza di pronunce delle Sezioni unite. A questo scopo e' stata giudicata sufficiente anche una sola decisione delle Sezioni unite, sopravvenuto «in presenza di un orientamento non univoco», enfatizzando che con esso «le Sezioni unite civili della Corte di cassazione hanno ritenuto, nell'esercizio della propria funzione nomofilattica, di cui questa Corte deve tenere conto, di superare [...] il contrasto», costituendo «siffatta interpretazione [...] diritto vivente, del quale si deve accertare la compatibilita' con i parametri costituzionali» (in questi termini, Corte costituzionale 22 dicembre 2011, n. 338). In una sentenza del 1997 la Corte costituzionale ha affrontato esplicitamente la situazione in cui viene a trovarsi il giudice di merito di fronte al diritto vivente: «Pur essendo indubbio che nel vigente sistema non sussiste un obbligo per il giudice di merito di conformarsi agli orientamenti della Corte di cassazione (salvo che nel giudizio di rinvio), e' altrettanto vero che quando questi orientamenti sono stabilmente consolidati nella giurisprudenza - al punto da acquisire i connotati del "diritto vivente" - e' ben possibile che la norma, come interpretata dalla Corte di legittimita' e dai giudici di merito, venga sottoposta a scrutinio di costituzionalita', poiche' la norma vive ormai nell'ordinamento in modo cosi' radicato che e' difficilmente ipotizzabile una modifica dei sistema senza l'intervento del legislatore o di questa Corte. In altre parole, in presenza di un diritto vivente non condiviso dal giudice a quo perche ritenuto costituzionalmente illegittimo, questi ha la facolta' di optare tra l'adozione, sempre consentita, di una diversa interpretazione [ma, si badi bene la pronuncia e' precedente alla modifica dell'art. 374 c.p.c., ndr], oppure - adeguandosi al diritto vivente - la proposizione della questione davanti a questa Corte (Corte costituzionale n. 350/1997). Va inoltre, e sotto diverso profilo, rilevato che, con il riconoscimento del «diritto vivente» la Corte costituzionale ha ritenuto di porre limite alla sua stessa potesta' reinterpretativa, astenendosi dal fornire una propria interpretazione della disposizione censurata, qualora una stabile elaborazione giurisprudenziale abbia identificato ed enunciato il significato normativa da attribuirle. In definitiva, in presenza di un'interpretazione stabilizzata e consolidata fornita dal giudice della nomofilachia, la Corte puo' e deve esclusivamente procedere ad «accertar[ne] la compatibilita' con i parametri costituzionali evocati» dal rimettente (sentenza 338/2011). Questa soluzione risponde a un'esigenza di rispetto del ruolo dei giudici comuni - e segnatamente all'organo giudiziario depositario della funzione di nomofilachia - nell'attivita' interpretativa. La Corte costituzionale ha, in plurime occasioni, ritenuto che «in presenza di un indirizzo giurisprudenziale costante o, comunque, ampiamente condiviso - specie se consacrato in una decisione delle Sezioni unite della Corte di cassazione - la Corte costituzionale assume la disposizione censurata nel significato in cui essa attualmente 'vive' nell'applicazione giudiziale» (Corte costituzionale, sentenza 12 ottobre 2012 n. 230; in senso conforme ordinanza del 30 luglio 1997, n. 297). Sul problema sul quale questa Corte d'appello e' chiamata a decidere, la Corte di Cassazione si e' espressa per ben tre volte a Sezioni unite componendo quel contrasto interpretativo che si era verificato nella giurisprudenza di legittimita' (e di merito) sull'applicazione temporale del mutato regime d'impugnabilita' del lodo per errori di diritto. Questa interpretazione delle Sezioni unite sembra avere i requisiti per essere qualificata «diritto vivente» nei termini sopra esposti e, quindi, puo' essere sottoposta al vaglio della Corte costituzionale, perche' sia eventualmente dichiarata incostituzionale la disposizione nella sua costante interpretazione giurisprudenziale. 6. - L'alternativa che si offre alla Corte d'appello dopo le pronunce delle Sezioni unite. Definito il quadro legislativo e giurisprudenziale come sopra, questa Corte si trova di fronte all'alternativa se seguire l'orientamento delle Sezioni unite, ma violare la Costituzione, oppure seguire la propria giurisprudenza basata su un'interpretazione costituzionalmente orientata, ma decidere in senso contrario alle Sezioni unite. Qui di seguito vengono illustrati i termini di tale alternativa. 6.1. Seguire le Sezioni unite, ma violare la costituzione. I motivi in base ai quali seguire l'interpretazione proposta dalle Sezioni unite comporterebbe una violazione della Costituzione vengono esposti nel paragrafo relativo alla non manifesta infondatezza (7.2 Non manifesta infondatezza e norme violate: artt. 3, 24 e 101 cost.) al quale si rinvia. 6.2. Seguire la propria giurisprudenza conforme alla costituzione, ma contraria alle Sezioni unite. Vi e' certo la possibilita' materiale che questa Corte disattenda le Sezioni unite e continui a decidere nel senso della immediata applicabilita' delle nuove norme, secondo quanto prescritto dalla norma transitoria ad hoc (per motivi sinteticamente riportati nel par. 4.2.). Tuttavia questa Corte ritiene che una tale strada non sia in realta' percorribile. In primo luogo, vi sono motivi di correttezza istituzionale che sconsigliano di ignorare tali autorevoli pronunce: le sentenze delle Sezioni unite devono essere prese sul serio, altrimenti ne risulterebbe lesa la credibilita' complessiva del sistema, Cassazione e giudici di merito compresi. In secondo luogo, vi e' l'ostacolo giuridico del nuovo regime dell'art. 374 del codice di procedura civile e dei suoi effetti sul sistema nel suo complesso (vedi sopra par. 5.2). In terzo luogo, le sentenze Sezioni unite di cui sopra si ritiene che abbiano i requisiti per essere qualificate «diritto vivente», come tale non suscettibile di diversa interpretazione, fatto salvo il sindacato di costituzionalita' (vedi sopra par. 5.3.). Ed e' per questi motivi che con la presente ordinanza viene sollevata la questione di costituzionalita', nei termini che vengono precisati qui di seguito. 7. - Esistenza dei presupposti per la rimessione alla Corte costituzionale. La norma che questa Corte sospetta d'incostituzionalita' e' quella di cui al combinato disposto dei seguenti articoli, come interpretati dal «diritto vivente» costituito dalle sentenze della Corte di cassazione, Sezioni unite, e in particolare: - art. 829, comma 3, codice di procedura civile: «L'impugnazione per violazione delle regole di diritto relative al merito della controversia e' ammessa se espressamente disposta dalle parti o dalla legge»; - norma transitoria di cui al comma 4 dell'art. 27 del decreto legislativo n. 40/2006: «4. Le disposizioni degli articoli 21, 22, 23, 24 e 25 si applicano ai procedimenti arbitrali, nei quali la domanda di arbitrato e' stata proposta successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto»; entrambe come interpretate dal «diritto vivente» costituito dalle sentenze della Corte di cassazione, Sezioni unite, nn. 9341, 9284 e 9285 del 9 maggio 2016. 7.1 Rilevanza. E' evidente, nel caso di specie, la rilevanza della questione ai fini del decidere, dato che il sindacato di merito che spetta alla Corte d'appello, perche' venga valutata la fondatezza o meno delle domande di parte impugnante, non puo' prescindere dalla preliminare valutazione sull'ammissibilita' o meno dell'impugnazione: Difatti, nel caso in cui si dovesse ritenere immediatamente applicabile il nuovo regime, cosi' come stabilito dal novellato art. 829 comma 3 del codice di procedura civile, l'impugnazione del lodo arbitrale proposta da Ferri sarebbe da considerarsi inammissibile, poiche' non prevista espressamente dalla clausola compromissoria, la quale, letteralmente, cosi dispone: «Il presente contratto normativo, come pure tutti i contratti specifici posti in essere in sua applicazione, sono retti dalla legge italiana. Ogni disputa, contestazione o controversia fra le parti derivante dal presente contratto normativo o da ciascun contratto specifico, oppure ai medesimi inerente, verra' deferita a un collegio di tre arbitri il quale giudichera' in via rituale, procedendo ai sensi degli articoli 816 e seguenti del codice di procedura civile. La parte che intende promuovere il giudizio arbitrale dovra' comunicarlo all'altra parte mediante lettera raccomandata contenente l'oggetto della controversia, le proprie richieste, l'invito alla procedura e la designazione del proprio arbitro. Qualora l'altra parte, entro venti giorni dalla ricezione della predetta comunicazione, non proceda con le stesse formalita' alla designazione del proprio arbitro oppure qualora, entro venti giorni dalla designazione del secondo arbitro, i due arbitri designati non avessero scelto il terzo arbitro, alla nomina dell'arbitro o degli arbitri non designati procedera', su istanza della parte interessata, il presidente del Tribunale di Milano. In ogni caso, il collegio arbitrale giudichera' con sede in Milano anche in merito all'entita' e all'accollo delle spese di giudizio, nonche' alla fissazione dell'ammontare dei danni conseguenti alta violazione del contratto.». Diversamente, nel caso in cui si dovesse applicare il diritto vivente come scaturente dalle sentenze delle Sezioni unite del maggio 2016, la Corte d'appello, essendo stata stipulata la clausola compromissoria in un momento antecedente l'entrata in vigore del decreto legislativo n. 40/2006, dovrebbe rigettare l'eccezione d'inammissibilita' proposta da Unicredit S.p.a. e procedere all'esame dell'impugnazione per violazione di norme di diritto relative al merito della controversia. Non sono ravvisabili vie diverse e tutte dipendono dall'interpretazione della norma transitoria sopra citata. Per completezza si fa notare che la rilevanza della questione nel caso di specie e' concreta ed effettiva e non «meramente ipotetica e virtuale» (Corte costituzionale sentenza n. 281/2013) e presenta un carattere di pregiudizialita' rispetto all'esame delle questioni di nullita' del lodo. 7.2 Non manifesta infondatezza e norme violate: artticoli 3, 24 e 101 Costituzione. La non manifesta infondatezza si fonda sui seguenti punti di contrasto tra la norma oggetto della presente rimessione e le norme costituzionali: 1. Art. 3 - Violazione del principio d'uguaglianza. La norma che scaturisce dall'intervento delle Sezioni unite viola il principio d'uguaglianza di cui all'art. 3 Costituzione, in quanto comporta una disparita' di trattamento tra situazioni sostanzialmente analoghe che il legislatore del 2006 ha, invece, volutamente posto sullo stesso piano: la situazione di tutti coloro i quali promuovono un arbitrato dopo il 2006. In tal modo, la Corte di cassazione applica due regimi normativi diversi a situazioni analoghe, determinando un'irragionevole disparita', in termini di norme processuali applicabili, tra coloro i quali hanno proposto la domanda di arbitrato dopo il 2006, per il solo fatto che la clausola compromissoria era stata stipulata in momenti diversi. Una simile soluzione interpretativa si pone, tra l'altro, in contrasto con un consolidato orientamento della Corte costituzionale, la quale, in plurime occasioni, ha sottolineato che «il fluire del tempo - il quale costituisce di per se' un elemento diversificatore che consente di trattare in modo differenziato le stesse categorie di soggetti, atteso che la demarcazione temporale consegue come effetto naturale alla generalita' delle leggi - non comporta, di per se', una lesione del principio di parita' di trattamento [e pertanto, ndr] lo scorrere del tempo e la collocazione in esso dei fatti giuridici possono legittimare una diversa modulazione dei rapporti che ne scaturiscono» (Corte costituzionale ordinanza n. 77/2008; conformemente si segnalano: sentenza n. 409/1998, sentenza n. 342/2006, sentenza 94/2009, sentenza 376/2001, ordinanza n. 401/2008, ordinanza n. 224/2011), In conclusione, il fluire del tempo e, di conseguenza, uno ius superveniens volto a incidere direttamente su rapporti giuridici preesistenti non contrastano, di per se', col principio di uguaglianza. 2. Violazione del principio del tempus regit processum e dell'art. 3 della Costituzione. La norma che scaturisce dall'intervento delle Sezioni unite viola il principio tempus regit processum e il principio di uguaglianza in quanto pone in comparazione entita' di natura giuridica diversa, la clausola compromissoria (di natura sostanziale) e l'atto di impugnazione del lodo (atto processuale). Non pare condivisibile la tesi secondo la quale l'applicazione del nuovo regime anche ai procedimenti arbitrali fondati su una clausola compromissoria stipulata prima del 2006 comporterebbe una violazione del principio del tempus regit actum. Una simile argomentazione non tiene conto di quella che e' la natura della nuova disciplina introdotta, Si tratta, invero, di una normativa volta a incidere, esclusivamente, sul piano processuale, sul momento della proposizione dell'impugnazione del lodo arbitrale. E' necessario, infatti, che i termini della comparazione, ai fini della valutazione alla luce dell'art. 3 Costituzione, siano omogenei. Non puo' pertanto effettuarsi una commistione tra due dimensioni giuridiche diverse e, per tale ragione, sottoposte a regimi normativi differenti: da un lato, la clausola compromissoria e' un negozio autonomo, di natura normativa e sostanziale; dall'altro, l'impugnazione di un lodo arbitrale e', a tutti gli effetti, un atto di natura processuale e, di conseguenza, sottoposto alla legge vigente al momento dell'impugnazione del lodo. La disciplina del 2006 e' intervenuta esclusivamente sul piano processuale, non incidendo in alcun modo sulla validita' e sul contenuto della clausola compromissoria, che e' e resta totalmente rimessa nel suo contenuto all'autonomia contrattuale delle parti. Infine, l'applicazione del regime del 2006 non comporta una violazione dell'affidamento dei contraenti in merito al regime processuale applicabile. In realta', la nuova disciplina ha assicurato il pieno rispetto del principio della certezza del diritto e, di conseguenza, dell'affidamento dei contraenti. Quest'ultimo non puo' che venire in rilievo al momento dell'impugnazione del lodo, e non certo quando le parti stipulano la clausola compromissoria: si tratta, infatti, di un affidamento rispetto a un rapporto giuridico in fieri, i cui contorni verranno definitivamente stabiliti solo al momento della proposizione della domanda di arbitrato o, rectius, d'impugnazione del lodo. 3. Art. 41 Costituzione: la norma che scaturisce dall'intervento delle Sezioni unite e in contrasto con l'autonomia contrattuale delle parti e con l'art. 41 Costituzione. La norma che scaturisce dall'intervento delle Sezioni unite viola il principio dell'autonomia privata e della liberta' contrattuale dei contraenti di cui all'art. 41 Costituzione. Secondo la Sezioni unite n. 9585/2016 la nuova normativa limita considerevolmente l'autonomia contrattuale delle parti e viola la volonta' contrattuale «ascrivendo ai silenzio delle parti un significato convenzionale che le vincoli per il futuro in termini diversi da quelli definiti dalla legge vigente al momento della conclusione del contratto» (Cassazione Sezioni unite n. 9585/2016). In realta', come meglio si dira', e' proprio la non applicazione immediata del nuovo regime a limitare considerevolmente l'autonomia delle parti fondata sull'art. 41 Costituzione. La norma che scaturisce dall'intervento delle Sezioni unite e' in contrasto con la logica del legislatore del 2006 e la natura stessa dell'istituto dell'arbitrato, il quale si caratterizza per essere uno strumento di risoluzione alternativa delle controversie, fondato su un atto negoziale, espressione della piu' ampia manifestazione dell'autonomia contrattuale. Con la Riforma del 2006, e' stato ridotto (salvo diversa volonta') novero delle possibili censure formulabili al lodo e cosi' si e' valorizzato il ruolo degli arbitri all'interno dell'ordinamento, assimilando sempre piu', di fatto, la decisione arbitrale a una pronuncia dell'autorita' giudiziaria ordinaria. Di conseguenza, il nuovo regime e la disciplina transitoria in esso contenuta, diversamente da quanto ritenuto dalle Sezioni unite, hanno comportato una considerevole valorizzazione del ruolo dell'autonomia contrattuale, dando ai contraenti la possibilita' di modificare contenuto della clausola compromissoria e prevedere espressamente un regime d'impugnazione ad hoc. Ne' valgono, a tal proposito, le argomentazioni secondo le quali mutamento della disciplina comporta un disequilibrio di poteri tra le parti nel caso in cui uno solo dei contraenti volesse rinegoziare il contenuto della clausola in prospettiva di una futura vertenza e l'altro vi si opponga. In realta', una simile circostanza (peraltro del tutto astratta, perche' prima della controversia e del lodo, nessuno puo' sapere se puo' essere conveniente un regime processuale di maggiore o minore ampiezza della possibile impugnazione) altro non e' che una manifestazione dell'autonomia contrattuale, che il nostro ordinamento riconosce alle parti, nella sua pienezza e totalita', nella fase di determinazione del contenuto del contratto. Una simile situazione d'incertezza tra i contraenti e' coessenziale alla natura stessa della clausola compromissoria che, in quanto negozio normativo, detta una disciplina pro futuro, potendosi attivare solo ed esclusivamente col sorgere di possibili vertenze tra le parti. Pertanto, stante l'impossibilita' di sapere in anticipo se un lodo sara' impugnato o meno, va da se' che, essendo la clausola finalizzata a incidere su rapporti giuridici futuri, i contraenti siano esposti alla possibile sopravvenienza di una modifica del regime del processo. In sintesi, si puo' dire che, se si assume come cardine dell'arbitrato la volonta' delle parti, la modifica legislativa del 2006 rende possibili diverse soluzioni tra le quali si segnalano le seguenti: a) le parti rinegoziano la clausola compromissoria; b) le parti non rinegoziano la clausola accettando implicitamente il nuovo regime delle impugnazioni dei lodi post 2006; c) le parti non rinegoziano la clausola, ma si accordano, prima di attivare un arbitrato e con distinta specifica contrattazione, sul fatto che quel solo lodo possa essere eventualmente impugnato anche per violazione di regole di diritto, immutata la clausola compromissoria per le future eventuali altre controversie. In tutti i casi la liberta' negoziale delle parti era assicurata maggiormente dal regime transitorio previsto dalla legge del 2006 piuttosto che dalla norma che scaturisce dall'intervento delle Sezioni Unite. 4. Art. 24 Cost. la norma che scaturisce dall'intervento delle Sezioni Unite non e' necessaria per porre rimedio a una menomazione del diritto di difesa, per avere il regime del 2006 precluso alle parti la facolta' di esercitare il diritto di difesa e di azione. Alla luce della giurisprudenza della Corte Costituzionale sull'art. 24, e dei principi cardine del nostro ordinamento, l'inviolabilita' del diritto di difesa, e posta a presidio della necessita' di "assicurare a tutti e sempre, per qualsiasi controversia, un giudice e un giudizio" (si veda, tra tutte, la sentenza n. 18/1992). La nuova disciplina non ha comportato alcun rilevante deficit di tutela del cittadino rispetto alla possibilita' di sottoporre il lodo al controllo giurisdizionale dell'autorita' giudiziaria, nei limiti in cui l' autonomia contrattuale delle parti ha deciso di confermare, per inerzia, o modificare il contenuto della clausola compromissoria. In piu', la nuova disciplina e' perfettamente conforme alla delega parlamentare (L. Delega n. 80/2005), volta alla razionalizzazione dell'istituto dell'arbitrato (di cui si e' gia' detto sopra) e la valorizzazione della volonta' delle parti circa il regime del lodo e della sua impugnazione. La norma che scaturisce dall'intervento delle Sezioni Unite e' in contrasto con l'art. 11 delle Preleggi e conseguentemente viola la disposizione di cui all'art. 12 delle Preleggi. Sulla base delle argomentazioni sinora svolte e, in particolare, considerata la natura sostanziale e non processuale della clausola arbitrale, non appaiono condivisibili le argomentazioni delle Sezioni Unite in base alle quali il Legislatore avrebbe illegittimamente applicato retroattivamente la nuova disciplina. Cosi' come piu' volte ribadito in circostanze analoghe dalla Corte Costituzionale, in ipotesi del genere si e' in presenza non di una legge retroattiva ma piuttosto di una legge ad applicazione immediata (vedi sopra par 4.2.). In definitiva, la disciplina non incide sulla clausola compromissoria e, pertanto, non puo' dirsi applicata retroattivamente in quanto regola esclusivamente l'impugnazione di un lodo promosso successivamente alla sua entrata in vigore.