TRIBUNALE ORDINARIO DI LECCE Ufficio del Giudice per le indagini preliminari Il GIP dott. Stefano Sernia all'udienza preliminare del giorno 12 dicembre 2017, nel processo pendente nei confronti di R. V., nato a ... il ... sentite le parti, ha pronunziato la seguente ordinanza. A seguito di emissione di decreto che ne disponeva il giudizio immediato in ordine all'imputazione di detenzione per uso non personale di gr. 12,341 di sostanza stupefacente del genere canapa indiana (che la c.t. in atti indica idonei alla preparazione di circa 20 dosi aventi effetto stupefacente), l'imputato avanzava richiesta di essere giudicato con rito abbreviato, per la cui trattazione il giudicante ha fissato l'odierna udienza in cui, ammesso il rito abbreviato e sentite le parti, ha emesso la presente ordinanza. Il materiale probatorio e' quindi cristallizzato in quello raccolto durante le indagini e documentato come in atti. Va osservato che gli elementi a carico dell'imputato (che peraltro, posto agli arresti domiciliari dal pubblico ministero ex art. 386, comma 5 del codice di procedura penale, non si presento' all'udienza di convalida e non risulta aver rilasciato alcuna dichiarazione, tantomeno di natura confessoria) risiedono nei risultati della perquisizione personale e domiciliare cui lo stesso venne sottoposto d'iniziativa di militi appartenenti alla Compagnia dei Carabinieri di Taurisano, che a tale attivita' particolarmente invasiva (si pensi alla perquisizione personale) e limitatrice della liberta' personale, oltre che dell'inviolabilita' del domicilio, furono motivati - stando a quanto desumibile dal contenuto dei pp.vv. di perquisizione ed arresto - da fonti confidenziali che avevano indicato nel R. uno spacciatore; sicche', avendo in precedenti occasioni rilevato, in quella zona, un andirivieni di soggetti noti come tossicodipendenti (peraltro non indicati), ed avendo scorto un giovane che consegnava una banconota all'imputato, i Carabinieri avevano proceduto all'immediata identificazione di tali soggetti. Pur avendo cosi' accertato che l'altro giovane altri non era che R. C., fratello dell'imputato, e pur avendo il suddetto R. C. chiarito che stava consegnando al fratello del danaro per le spese di casa, i Carabinieri - in assenza di qualsiasi contesto significativo di un'attivita' di spaccio in corso - avevano quindi proceduto a perquisizione personale dell'odierno imputato e, avendogli trovato in tasca tre involucri di sostanza stupefacente, avevano esteso la perquisizione all'abitazione, dove avevano rinvenuto la restante parte della sostanza per cui e' processo. Si pone il problema della liceita' della perquisizione e della utilizzabilita' dei suoi esiti; e della costituzionalita' della disciplina in tal senso vigente, quale risultante del diritto vivente nascente dalla monolitica giurisprudenza di legittimita', stabilmente applicata anche in sede locale dal competente Tribunale del riesame e dalla Corte di appello. La questione e' gia' stata sollevata da questo Giudice con ordinanza emessa in data 5 ottobre 2017, le cui argomentazioni si riproducono in questa sede in corsivo, con l'aggiunta, in caratteri normali, di ulteriori considerazioni ed argomentazioni a sostegno di tale questione. Va invero premesso che l'imputato non e' gravato da precedenti in materia di stupefacenti, e che le fonti confidenziali non possono essere in alcun modo utilizzate (argomenta ex articoli 273, 195 comma 7 e 203 c.p.p.) per la prova dei fatti (ivi compresa, ex art. 167 c.p.p., la prova dei fatti da cui discende l'applicazione di norme processuali), sicche' - escluso che nella situazione scorta dalla p.g. fosse rilevabile una situazione di flagranza di reato (tanto piu' una volta che si era accertato che l'interlocutore dell'imputato ne era il fratello e non un estraneo che potesse essere inteso come un potenziale cliente; ed escluso che il mero fatto della ricezione di una banconota sia significativo di un'attivita' di spaccio in atto) - va altresi' ritenuto che non ricorressero quei fondati motivi che ex art. 103 decreto del Presidente della Repubblica n. 309/90 avrebbero potuto legittimare una perquisizione, apparendo inammissibile la tesi che pretenda che il giudice debba ritenere la sussistenza dei presupposti di tali atti, solo perche' lo affermi, senza alcuna concreta indicazione o spiegazione, la p.g. Con l'ordinanza emessa da questo giudice in data 5 ottobre 17, si e' osservato, e qui si reitera, che «invero, la situazione di flagranza di reato, che evidentemente si e' manifestata solo dopo la perquisizione, non puo' aver quindi svolto la funzione di preventiva legittimazione di tale atto, che la legge ordinaria (articoli 354 e 356 c.p.p.) e costituzionale (articoli 13 e 14 Cost.) le assegnano in deroga al principio generale per cui simili atti, limitando la liberta' personale (e della inviolabilita' del domicilio per quel che attiene alla perquisizione domiciliare), possono essere disposti solo dall'A.G. e nei casi e modi previsti dalla legge; allo stesso modo, un non meglio specificato «atteggiamento sospetto» non puo' valere a significare la ricorrenza di un fondato motivo atto, ai sensi dell'art. 103 decreto del Presidente della Repubblica n. 309/90, a far ritenere il possesso di sostanze stupefacenti. Cio' premesso, va sottolineata la cautela del legislatore costituzionale, che ha assegnato solo all'Autorita' giudiziaria il potere di disporre atti di perquisizione ed ispezione, prevedendo solo in via eccezionale quelli [rectius quello] della p.g. ed entro ambiti ben delimitati, fissati dalla legge, e con rispetto delle garanzie di liberta' della persona. I limiti fissati dalla legge si atteggiano, invero, in ragione della previsione costituzionale che li assiste, come invalicabili e di stretta interpretazione; e qualsiasi interpretazione che, comunque, si risolva in una vanificazione dei limiti posti alla p.g. (ad es., impedendo la verifica circa il rispetto di tali limiti; o stabilendo l'irrilevanza processuale di tali violazioni) o nella lesione - sia pure mediata - della liberta' personale, appare da rigettarsi. Invero, l'art. 13 Cost. (richiamato, quanto a garanzie e forme ivi previste, dall'art. 14 Cost. in tema di ispezioni, perquisizioni e sequestri domiciliari) prescrive che ogni atto di limitazione della liberta' personale - tra i quali annovera non solo l'arresto o il fermo, ma anche le perquisizioni e le ispezioni personali, sia riservato ad «atto motivato dell'autorita' giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge»; riserva di legge e di provvedimento dell'Autorita' giudiziaria, quindi, cui puo' derogarsi solo per casi eccezionali previsti dalla legge, atteso che la norma prosegue prevedendo che solo «in casi eccezionali di necessita' ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge, l'autorita' di pubblica sicurezza puo' adottare provvedimenti provvisori, che devono essere comunicati entro quarantotto ore all'autorita' giudiziaria e, se questa non li convalida nelle successive quarantotto ore, si intendono revocati e restano privi di ogni efficacia». Ai sensi dell'art. 13 Cost., costituiscono quindi restrizioni della liberta' personale - la cui nozione e' dal Legislatore costituzionale accolta e tutelata in un'accezione particolarmente ampia, ricomprendente tutti i casi in cui il corpo dell'individuo debba sottostare a manipolazioni ed attivita' degli organi pubblici - non solo i casi dell'arresto e fermo, ma anche la sottoposizione ad atti di ispezione e perquisizione personale, non foss'altro perche' per il compimento di tali atti la persona si vede limitata nella sua liberta' di locomozione e volizione perche' assoggettata alla potesta' pubblica, costretta a sottoporsi al compimento di atti invasivi (e potenzialmente anche pesantemente invasivi) della sua sfera personale (o domiciliare). E' quindi per tali ragioni, evidenzianti come il compimento di tali atti si ponga in termini di concreta lesione di diritti costituzionali fondamentali dell'individuo, che, a garanzia dell'effettivita' della tutela di tali diritti, il legislatore costituzionale stabilisce in primo luogo che solo la legge puo' e deve indicare i casi ed i modi in cui e' possibile procedere a tali atti, riservando inoltre il potere di' disporli all'autorita' giudiziaria, che puo' adottarli solo con provvedimento motivato. I suddetti diritti sono quindi assistiti - a sottolinearne l'importanza nell'assetto democratico dell'ordinamento repubblicano voluto dal legislatore costituzionale come fondato sulla tutela di quelle liberta' individuali tendenzialmente negate o fortemente compresse dal precedente regime - da un corredo di significative cautele date dalla riserva di legge, dalla riserva del potere giudiziario, dall'obbligo di provvedere con atto motivato. Solo in casi eccezionali di necessita' ed urgenza, che spetta alla legge indicare tassativamente, agli organi di pubblica sicurezza (e cioe' alle forze di polizia, che di tali compiti sono titolari unitamente a quelli di polizia giudiziaria) e' attribuito un potere di intervento, provvisorio e soggetto a perdere ogni effetto in caso di mancata convalida da parte dell'A.G. con provvedimento che, sebbene cio' non sia espressamente previsto dalla norma, deve ritenersi debba anch'esso essere motivato, dato che non vi e' ragione di ritenere che il legislatore costituzionale, per l'ipotesi di particolare delicatezza costituzionale data della convalida (la cui funzione e' verificare che la p.g. non abbia agito in tali delicatissime materie abusando dei propri poteri, fuori dei casi in cui essi sono loro riconosciuti), abbia voluto esonerare l'Autorita' giudiziaria dalla necessita' di motivare i propri provvedimenti (come peraltro previsto gia' in via generale dall'art. 111, comma 6 Cost.). Come si e' accennato, tali garanzie sono estese dall'art. 14 Cost. anche al caso delle perquisizioni, ispezioni e sequestri domiciliari, giusta il richiamo che tale noma opera alle garanzie prescritte (dall'art. 13 Cost.) per la tutela della liberta' personale; caso che in questo caso specifico non interessa, ma che si ritiene utile menzionare al fine di sottolineare l'unitarieta' della visione del legislatore costituzionale in tema di tutela di liberta' fondamentali della persona. L'ipotesi principale ed originaria prevista dalla legge ordinaria a legittimare l'intervento eccezionale delle forze di polizia, e' data dai casi di flagranza di reato, allorche' gli organi di polizia intervengono in un momento in cui il reato e' in corso di esecuzione, o il reo, subito dopo la commissione del reato, ne reca indosso le tracce, o e' inseguito dalla polizia, dalla persona offesa o da altri: casi di evidenza probatoria che, nel giudizio del legislatore, rendono meno pericolosa la deroga ai poteri dell'Autorita' giudiziaria (cfr. sul punto anche C. cassazione SS.UU. 39131/2015 che ha anche statuito, in tale linea di pensiero, che la c.d. quasi flagranza rileva solo in quanto le forze di polizia abbiano assistito alla commissione del reato o abbiano direttamente percepito le tracce del reato sulla persona del reo). Non si e' mai dubitato che le ipotesi della flagranza di reato, concorrendo il requisito della pericolosita' dell'autore come segnalata dalla sua personalita' o dalla gravita' del reato (pericolosita' e gravita' presunte nei casi dei piu' gravi delitti di cui all'art. 380 c.p.p., e da valutarsi nel concreto nei casi di cui all'art. 381 c.p.p.) valgano ad individuare delle ipotesi generali di necessita' ed urgenza tassativamente ben delineate, in cui si giustifichi l'esercizio provvisorio dei poteri di arresto da parte della p.g.; cosi', in relazione alla gravita' del reato (che la legge ancora all'entita' della pena o all'appartenenza a ben definite tipologie di delitto), il pericolo di fuga appare altra situazione di necessita' ed urgenza che legittimi l'esercizio del potere di fermo e la conseguente restrizione della liberta' personale. Allo stesso modo, senz'altro la flagranza del reato integra una situazione di necessita' ed urgenza quanto agli atti di perquisizione e conseguente sequestro ad opera della p.g., finalizzati ad acquisire al processo fonti di prova che altrimenti il reo, sapendo di essere stato scoperto, provvederebbe verosimilmente a distruggere o disperdere; sicche' anche gli articoli 352 e 354 c.p.p. appaiono rispettosi del dettato costituzionale. Sia per le perquisizioni e sequestri che per gli atti di arresto e fermo, la legge prevede poi la necessita' della convalida da parte dell'A.G., con provvedimento motivato, ed il dettato costituzionale e' rispettato. Norme speciali hanno ampliato i casi in cui alla p.g. e' consentito procedere ad atti di ispezione e perquisizione. Oltre all'ipotesi prevista dall'art. 4 della legge n. 152/1975 (che prevede la perquisizione personale, nei casi eccezionali di necessita' ed urgenza, alla ricerca di armi e strumenti di effrazione, nei confronti di soggetti la cui presenza o atteggiamento non appaia giustificabile in relazione a specifiche o concrete circostanze di tempo o di luogo) e dall'art. 41 TULPS - che peraltro riguarda le perquisizioni domiciliari e non quelle personali - per la ricerca di armi di cui, anche per indizio, la polizia abbia notizia dell'esistenza all'interno di locali pubblici o privati, quella piu' frequentemente ricorrente e' quella di cui all'art. 103, commi 2 e 3 decreto del Presidente della Repubblica n. 309/90 che disciplinano, rispettivamente, le attivita' di controllo ed ispezione dei mezzi di trasporto e dei bagagli e degli effetti personali, e gli atti di perquisizione in senso stretto, sia domiciliari che personali; in tutti tali casi e' previsto un provvedimento di controllo da parte dell'Autorita' giudiziaria, nella specie il pubblico ministero, che assumera' le forme della convalida nel caso degli atti di ispezione controllo, e quello dell'autorizzazione preventiva, anche orale telefonica, nei casi di perquisizione (in verita', l'art. 4 legge n. 152/75 prevede solo l'invio del verbale al pubblico ministero, essendo verosimilmente apparsa implicita la necessita' della convalida, in base ai principi generali); solo per i casi di particolare necessita' ed urgenza che non consentano di richiedere l'autorizzazione telefonica, la polizia puo' procedere ad atti di perquisizione senza previa autorizzazione del pubblico ministero, che dovra' comunque successivamente convalidare, se del caso, l'operato della p.g. Invero, l'art. 103 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309/90 cosi' recita: «2. Oltre a quanto previsto dal comma l [che riguarda ispezioni e perquisizioni negli spazi doganali, n.d.r.], gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria, nel corso di operazioni di polizia per la prevenzione e la repressione del traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope, possono procedere in ogni luogo al controllo e all'ispezione dei mezzi di trasporto, dei bagagli e degli effetti personali quando hanno fondato, motivo di ritenere che possano essere rinvenute sostanze stupefacenti o psicotrope. Dell'esito dei controlli e delle ispezioni e' redatto processo verbale in appositi moduli, trasmessi entro quarantotto ore al procuratore della Repubblica il quale, se ne ricorrono i presupposti, li convalida entro le successive quarantotto ore. Ai fini dell'applicazione del presente comma, saranno emanate, con decreto del Ministro dell'interno di concerto con i Ministri della difesa e delle finanze, le opportune norme di coordinamento nel rispetto delle competenze istituzionali. 3. Gli ufficiali di polizia giudiziaria, quando ricorrano motivi di particolare necessita' ed urgenza che non consentano di richiedere l'autorizzazione telefonica del magistrato competente, possono altresi' procedere a perquisizioni dandone notizia, senza ritardo e comunque entro quarantotto ore, al procuratore della Repubblica il quale, se ne ricorrono i presupposti, le convalida entro le successive quarantotto ore.». L'art. 103 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309/90, pertanto, legittima - nel corso di operazioni finalizzate alla prevenzione e repressione del reati in tema di stupefacenti - le perquisizioni, anche fuori dei casi di flagranza, allorche' la p.g. abbia «fondato motivo di ritenere» (analogamente alla «notizia anche per indizio» secondo quanto prescrive l'art. 41 TULPS in tema di perquisizioni domiciliari alla ricerca di armi) che taluno detenga sostanza stupefacente; con l'ulteriore necessita' dell'autorizzazione telefonica preventiva del pubblico ministero o, ove l'urgenza non consenta di ricercarla, successiva comunicazione al pubblico ministero e convalida ad opera dello stesso. A parere di questo Giudice, un'interpretazione di tutte le norme surrichiamate, che voglia essere rispettosa del dettato costituzionale, impone che, perche' la p.g. possa procedere a quegli atti limitativi della liberta' personale e dell'inviolabilita' del domicilio, che sono gli atti di perquisizione personale o domiciliare, debba ricorrere un requisito minimo di comprovabilita' e verificabilita' della ricorrenza del presupposto all'esercizio del potere di perquisizione da parte della p.g.: fuori dei casi di flagrante detenzione di armi o stupefacenti, pertanto, sara' necessario che di tale detenzione, quale condizione legittimante la perquisizione da compiersi, dovranno gia' esservi almeno indizi, sia pure semplici e non gravi; ma non potra' procedersi al di sotto della soglia indiziaria, espressamente richiesta dall'art. 41 TULPS, e la cui assenza impedirebbe il concretizzarsi del «fondato motivo» di cui all'art. 103 decreto del Presidente della Repubblica n. 309/90 o la condivisibile valutazione di «ingiustificatezza» della presenza del perquisendo «in relazione a specifiche o concrete circostanze di tempo o di luogo» prevista dall'art. 4 della legge n. 152/1975. Una diversa interpretazione attribuirebbe, di fatto, alla p.g. un potere insindacabile di procedere ad atti di perquisizione, e vanificherebbe quindi quel limiti che la Costituzione ha invece ritenuto necessari, sia pure demandandone la determinazione alla legge ordinarla; e la legge ordinaria, per quel che qui interessa, ha richiesto che la p.g. abbia fondato motivo di ritenere che taluno detenga sostanza stupefacente; e l'esistenza di un indizio in tal senso deve necessariamente essere verificabile, posto che altrimenti si attribuirebbe alla p.g. il potere di ledere ad libitum la liberta' personale e violare la vita privata e domiciliare della persona (in spregio anche a quanto prescritto dall'art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell'Uomo). Se cosi' non fosse, se si ammettesse (come non di rado la Suprema Corte ha affermato) la liberta' della p.g. di procedere a perquisizione in forza di un mero inverificabile e soggettivo sospetto, o di un asserito «indizio» che non dovesse essere nemmeno specificato nella fonte (C. cassazione Sez. 3, Sentenza n. 19365 del 17 febbraio 2016, ad es., che e' giunta ad affermare che «Le perquisizioni che la polizia giudiziaria, nel caso di sospetto di illecita detenzione di sostanze stupefacenti, e' legittimata a compiere in forza del disposto dell'art. 103 del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, non presuppongono necessariamente la commissione di un reato, ma possono essere effettuate sulla base di notizie confidenzialmente apprese, senza obbligo di avvertire la persona sottoposta a controllo del diritto all'assistenza di un difensore; in ogni caso, anche se effettuate illegittimamente, non rendono illegittimo l'eventuale sequestro dello stupefacente e delle altre cose pertinenti al reato rinvenute all'esito della perquisizione»), si impedirebbe ogni controllo giurisdizionale sulla legittimita' dell'agire della p.g. e sulla attendibilita' dei risultati della sua azione; si vanificherebbe la previsione di inefficacia contenuta nell'art. 13 Cost.; si contravverrebbe di fatto al regime dell'utilizzabilita' delle prove (che pacificamente riguarda anche gli indizi) per come stabilito dalla legge (nella specie, l'art. 191 c.p.p. per quel che riguarda il divieto di utilizzazione di prove acquisite in violazione di un divieto posto dalla legge); si vanificherebbe quindi (incentivandone le violazioni per l'inesistenza di sanzioni processuali all'utilizzabilita' degli esiti delle perquisizioni) la tutela costituzionale della inviolabilita' del domicilio; si realizzerebbe, infine, una potenziale lesione della liberta' personale, atteso che questa verrebbe ad essere giurisdizionalmente limitata per effetto di una apparenza di flagranza di reato conseguente (e non preesistente) alla perquisizione, senza che sia possibile verificare la affidabilita' della catena indiziaria che ha portato all'emersione di quella situazione di apparenza probatoria, la cui genuinita' dovra' quindi essere assunta per atto di fede. Pertanto, deve ritenersi, in via del tutto conseguente, che, a fondamento della ricorrenza di un indizio di detenzione delle armi o sostanze stupefacenti: a) non possano essere utilizzate fonti anonime o confidenziali, perche' queste non sono in alcun modo verificabili dal giudice, che verrebbe cosi' privato di ogni effettivo potere di controllo circa la legittimita' dell'azione della p.g. e circa l'affidabilita' della catena indiziaria che porta alla perquisizione ed all'acquisizione dei risultati di essa; si deve sottolineare che cio' realizzerebbe una ingiustificata disparita' di trattamento, con conseguente violazione dell'art. 3 della Costituzione, tra indagato perquisito ed altri indagati, rispetto all'ordinario regime della prova, posto che fonti confidenziali e fonti anonime sono in via generale inutilizzabili (cfr. articoli 273, 195 comma 7, 203 comma 1 c.p.p., che in via generale prevedono l'inutilizzabilita' delle deposizioni de relato fondate su fonti che non si intenda o non si' possa indicare, risolvendosi queste in fonti anonime non utilizzabili come. gia' previsto dall'art. 240 c.p.p. per il divieto di utilizzazione dei documenti anonimi) e non sussumibili nella nozione di indizio, che indica l'elemento di prova non univocamente concludente ma utilizzabile, posto che per giurisprudenza pacifica ed assolutamente condivisibile, l'art. 191 c.p.p. si applica anche agli indizi; b) l'A.G. dovra' poter conseguentemente verificare se l'elemento posto a fondamento della «notizia» circa l'esistenza delle armi nei locali da perquisire, abbia dignita' di indizio utilizzabile; in caso contrario si avrebbe una violazione degli articoli 111 e 117 Cost. (con riferimento all'art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo) essendo solo apparente la possibilita' di godere dell'esame di un giudice imparziale ed indipendente, laddove questo Giudice non abbia un adeguato potere di verifica delle circostanze costituenti elementi a carico dell'imputato. Pertanto, in via del tutto conseguente, che, a fondamento della ricorrenza di un indizio di detenzione di stupefacenti o armi, ai sensi degli articoli 103 decreto del Presidente della Repubblica n. 309/90 e 41 TULPS: c) non possano essere utilizzate fonti anonime o confidenziali, perche' queste sono in via generale inutilizzabili e non sussumibili nella nozione di' indizio, che indica l'elemento di prova non univocamente concludente ma utilizzabile; d) l'AG dovra' poter conseguentemente verificare se l'elemento posto a fondamento della «notizia» o del «ragionevole motivo di ritenere» circa l'esistenza delle armi o stupefacenti, sulla persona o nei locali da perquisire, abbia dignita' di indizio utilizzabile. E' bene sottolineare che questo Giudice ha sottolineato i profili di possibile incostituzionalita' di interpretazioni che ammettano, a presupposto degli atti di perquisizione, elementi probatori particolarmente deboli o inutilizzabili, al solo fine di far risaltare l'importanza da riconoscersi alla tutela della liberta' personale e dell'inviolabilita' del domicilio e come tali materie siano uno dei punti qualificanti dell'effettivita' di uno Stato di diritto, come disegnato dalla Costituzione e dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, in cui il riconoscimento di diritti fondamentali della persona e' necessariamente accompagnato dalla previsione di un Giudice non solo imparziale ed indipendente, ma anche dotato degli strumenti di verifica e controllo atti ad assicurarne l'effettiva tutela; peraltro, in uno Stato di diritto, lo Stato e di suoi organi sono per primi vincolati al rispetto delle leggi di cui pur pretendono l'osservanza da parte dei consociati, e cio' comporta non solo l'impegno a non violare tali leggi, ma anche a garantire l'effettivo rispetto dei diritti che tali leggi prevedono ed attribuiscono. La giurisprudenza della Cassazione non e' univocamente attestata su posizioni come quella espressa dalla gia' menzionata C. cassazione Sez. 3, sentenza n. 19365 del 17 febbraio 2016, essendo rinvenibili nella giurisprudenza di legittimita' anche ben piu' condivisibili pronunzie, quali ad es.: Sez. 6, Sentenza n. 40952 del 15 giugno 2017, che ha statuito che «E' configurabile l'esimente della reazione ad atti arbitrari del pubblico ufficiale qualora il privato opponga resistenza ad un pubblico ufficiale che pretende di eseguire presso il suo domicilio una perquisizione finalizzata, ai sensi dell'art. 4 legge 22 marzo 1975, n. 152, alla ricerca di armi e munizioni fondata su meri sospetti e non su dati oggettivi certi, anche solo a livello indiziario, circa la presenza delle suddette cose nel luogo in cui viene eseguito l'atto. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da vizi la mancata convalida dell'arresto per il reato previsto dall'art. 337 codice penale all'imputato per essersi opposto alla perquisizione disposta dopo la contestazione di una contravvenzione al codice stradale, senza che fossero emersi indizi significativi circa il possesso di armi o di oggetti atti ad offendere); Sez. 6, Sentenza n. 34450 del 22 aprile 2016, che ha statuito che «Sulla base di una denuncia anonima non e' possibile procedere a perquisizioni, sequestri e intercettazioni telefoniche, trattandosi di atti che implicano e presuppongono l'esistenza di indizi di reita'. Tuttavia, gli elementi contenuti nelle denunce anonime possono stimolare l'attivita' di iniziativa del pubblico ministero e della polizia giudiziaria al fine di assumere dati conoscitivi, diretti a verificare se dall'anonimo possano ricavarsi estremi utili per l'individuazione di una «notitia criminis». (In applicazione di tale principio, la Corte ha ritenuto legittimi l'attivita' di perquisizione ed il sequestro di un telefono cellulare e di materiale informatico eseguiti a seguito di un'attivita' investigativa, avviata sulla base di una denuncia anonima, nel corso della quale era emersa la pubblicazione in rete di numerosi post a contenuto diffamatorio pubblicati mediante l'account creato sul social network facebook a nome dell'imputato, indagato in relazione ai reati di cui agli articoli 278, 291 e 214 codice penale); Sez. 6, Sentenza n. 36003 del 21 settembre 2006, che ha statuito che «Sulla base di una denuncia anonima non e' possibile procedere a perquisizioni, sequestri e intercettazioni telefoniche, trattandosi di atti che implicano e presuppongono l'esistenza di indizi di reita'. Tuttavia, gli elementi contenuti nelle denunce anonime possono stimolare l'attivita' di iniziativa del pubblico ministero e della polizia giudiziaria al fine di assumere dati conoscitivi, diretti a verificare se dall'anonimo possano ricavarsi estremi utili per l'individuazione di una "notitia criminis"». (In applicazione di tale principio, la Corte ha ritenuto che la polizia giudiziaria aveva legittimamente proceduto alla perquisizione di un'autovettura e al conseguente sequestro di sostanza stupefacente, dopo aver avviato, a seguito di una denuncia anonima, un'indagine sul posto attraverso la quale aveva acquisito la notizia di reato); Sez. 5, Ordinanza n. 37941 del 13 maggio 2004, che ha statuito che: «Il decreto di perquisizione e sequestro emesso a seguito di denuncia anonima, ed utilizzato come mezzo di acquisizione di una "notitia criminis" e non come mezzo di ricerca della prova, e' nullo. Infatti la denuncia confidenziale o anonima, che non e' inseribile agli atti e non e' utilizzabile, non puo' essere qualificata come una notizia di reato idonea a dare inizio alle indagini preliminari, cosicche' l'accusa non puo' procedere a perquisizioni, sequestri ed intercettazioni telefoniche, trattandosi di atti che implicano e presuppongono l'esistenza di indizi di reita'.». Si rinvengono quindi una serie di pronunzie della suprema Corte, che a parere di questo giudicante rispondono pienamente ai principi costituzionali e convenzionali nella individuazione del minimum probatorio necessario a rendere legittima una perquisizione; di talche' non puo' ritenersi la ricorrenza di un diritto vivente che imponga di denunziare l'illegittimita' costituzionale delle opposte interpretazioni, pur non assenti nella giurisprudenza di legittimita'. Cio' che invece appare deficitario sotto il profilo dei principi costituzionali, nella giurisprudenza di legittimita', e' il rilievo da assegnarsi all'illiceita' della perquisizione, sul piano della valenza probatoria dei suoi esiti: valenza probatoria che comunemente si ritiene permanga intatta, anche nel caso di una perquisizione eseguita in assenza di ogni presupposto di legittimita'. Riprendendo le fila del discorso, poiche' all'atto della perquisizione cui venne sottoposto l'imputato non risultava gia' evincibile una situazione di flagranza, ne' nel verbale di perquisizione e' specificato in cosa consistessero gli elementi atti a definire l'imputato come soggetto dedito allo spaccio, o comunque atti a qualificare come un atto di acquisto di stupefacenti la dazione del danaro che il fratello gli aveva appena consegnato, quella compiuta dalla p.g. si manifesta come una perquisizione personale abusiva perche' assolutamente ingiustificata - in base al giudizio ex ante che deve presiedere ad ogni valutazione circa la legittimita' dell'operato della p.g. in tutti gli atti che interferiscono con l'esercizio di liberta' costituzionalmente tutelate - e compiuta al di fuori di una situazione di flagranza. Tale abusivita' non puo' non riflettere i propri effetti anche sulla successiva perquisizione domiciliare, specie laddove si - come questo giudicante ritiene dovrebbe essere in base ai principi costituzionali - si dovesse ritenere l'inutilizzabilita' degli esiti della perquisizione personale. Tali attivita' di perquisizione ed ispezione, inoltre, sono state convalidate dal pubblico ministero con un provvedimento assolutamente immotivato, consistente nella sola formula «v°, si convalida», e che pertanto non permette di rilevare (e valutare) in base a quali ragioni il pubblico ministero abbia ritenuto legittimamente esercitato il potere che l'art. 13 Cost. vuole limitato ai casi tassativamente previsti dalla legge e del tutto eccezionale e, in quanto limitativo della liberta' personale (come gia' si e' notato l'art. 13 Cost. assegna tale natura agli atti di ispezione e perquisizione personali) sottoposto a convalida dell'A.G., sotto espressa pena di inefficacia assoluta degli effetti dell'atto illegittimo (cfr. art. 13, comma 3 Cost.). Non ricorrendo le ipotesi della flagranza o le altre ipotesi previste da leggi speciali che a tanto facultizzino le forze di polizia, deve ritenersi che gli atti di perquisizione, ispezione e sequestro da queste eseguiti siano stati compiuti in violazione di un divieto, derivante dalla generale riserva di tali atti alla sola Autorita' giudiziaria; la conseguenza, in base a quanto previsto dall'art. 191 c.p.p., che sancisce la inutilizzabilita' delle prove vietate dalla legge, dovrebbe quindi essere la inutilizzabilita' degli esiti di detta perquisizione; ma la giurisprudenza della suprema Corte, come meglio oltre si dira', e' assolutamente di segno contrario, nonostante la sanzione dell'inutilizzabilita' sembri emergere gia' direttamente a livello di previsione costituzionale. Come si e' detto, gli articoli 13 e 14 Cost. (che infatti richiama le garanzie dell'art. 13 Cost.) prevedono che «in casi eccezionali di necessita' ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge, l'autorita' di pubblica sicurezza puo' adottare provvedimenti provvisori, che devono essere comunicati entro quarantotto ore all'autorita' giudiziaria se questa non li convalida nelle successive quarantotto ore, si intendono revocati e restano privi di ogni efficacia»; cio' comporta, a parere di questo Giudice, che gli atti di ispezione, perquisizione e sequestro abusivamente compiuti dalla p.g. o non motivatamente convalidati dall'A.G. rimangano senza effetto anche sul piano probatorio; la legge ordinaria ha quindi dato attuazione alla previsione costituzionale, prevedendo casi tassativi per l'esercizio dei poteri di arresto, fermo, perquisizione, ispezione e sequestro da parte delle forze di polizia, ed ha introdotto in via generale, con l'art. 191 c.p.p., la previsione della inutilizzabilita' delle prove acquisite in violazione di un divieto di legge; come pero' si vedra', il diritto vivente quale discendente dalla monolitica interpretazione delle norme di legge (in particolare, proprio dell'art. 191 c.p.p.) dettate a sanzione di inutilizzabilita' dell'assunzione di prove vietate dalla legge, non assegna conseguenze di inutilizzabilita' agli esiti delle perquisizioni ed ispezioni compiute dalle forze di polizia fuori dei casi in cui la legge glielo consente; con il prevedere l'utilizzabilita' probatoria del corpo di reato e delle cose pertinenti al reato acquisite grazie a tali perquisizioni ed ispezioni, anche se avvenute in violazione di un divieto, la giurisprudenza della suprema Corte (vero e proprio diritto vivente, stante la sua monoliticita'), a parere di questo Giudice, vanifica le garanzie costituzionali, dando luogo ad un diritto vivente che si pone in contrasto con esse, come meglio oltre si dira'. A prescindersi poi dalla gia' chiara lettera dell'art. 13, comma 3 Cost., gia' le ordinarie disposizioni processuali dovrebbero condurre al risultato interpretativo della inutilizzabilita' degli esiti della perquisizione illegittima, in presenza di una norma, come l'art. 191 c.p.p., che sanziona con l'inutilizzabilita' le prove acquisite in violazione di un divieto di legge. Nel caso in oggetto non rileva la questione circa la inadeguatezza costituzionale della norma, nella parte in cui prevede la idoneita' della autorizzazione telefonica orale senza espressamente prevedere la necessita' di una sua documentazione successiva con motivazione che soddisfi i requisiti di forma richiesti dall'art. 13 Cost.; ed invero, nel caso in oggetto e' presente una convalida scritta, apposta in calce al p.v. di perquisizione, che si risolve unicamente e semplicemente nella formula «si convalida» seguita da data e firma e priva di ogni motivazione. Compiuta tale preliminare ricognizione delle norme, costituzionali e di legge ordinaria, che disciplinano la materia delle perquisizioni personali e domiciliari, deve quindi ribadirsi che le prove a carico dell'imputato consistono di quanto rinvenutogli indosso a seguito di una perquisizione personale eseguita al di fuori dei casi e modi previsti dalla legge, atteso che ne' ricorreva una percepibile situazione di' flagranza del reato, ne', come gia' detto, risulta ricorressero i presupposti di cui all'art. 103 decreto del Presidente della Repubblica n. 309/90; illegittima la perquisizione personale, deve poi ritenersi la sua inidoneita' a fungere da legittimo presupposto della successiva perquisizione domiciliare; ed anche a volersi ritenere diversamente, la questione mantiene la sua rilevanza, atteso che la pena da irrogarsi e' in funzione della gravita' del fatto (art. 133 c.p.), e questa discende anche dalla quantita' di sostanza stupefacente detenuta; sicche' la possibilita' di computare, o meno, nel calcolo di cio' che e' ascrivibile all'imputato, anche quanto rinvenuto sulla sua persona, rende in ogni caso rilevante la questione che qui si affronta. Invero, se quanto operato dalla p.g. a limitazione della liberta' personale e' sottoposto, per previsione costituzionale, a verifica e controllo da parte dell'Autorita' giudiziaria, che per convalidarne l'operato deve emettere provvedimento motivato, cio' implica necessariamente che la p.g. debba dare atto degli specifici elementi valutati e che l'hanno indotta a ravvisare un «fondato motivo di ritenere che possano essere rinvenute sostanze stupefacenti o psicotrope»; qualsiasi diversa interpretazione che legittimasse l'operato della p.g. sulla base di elementi da essa indicati in via del tutto generica ed astratta, si da impedirne una concreta valutazione, sarebbe necessariamente da ritenersi incostituzionale. Cio' detto, in forza di quanto previsto dall'art. 13 Cost., cio' dovrebbe condurre all'inutilizzabilita' della perquisizione e del sequestro, in quanto, essendo stata la perquisizione e l'ispezione eseguite fuori dei casi e modi tassativamente previsti dalla legge e non convalidate con provvedimento motivato dell'A.G., detti atti «si intendono revocati e restano privi di ogni efficacia»: con linguaggio la cui chiarezza non e' stata finora adeguatamente apprezzata, il Legislatore costituzionale aveva cioe' chiaramente introdotto la sanzione dell'inutilizzabilita' degli esiti degli atti di p.g. illegittimamente invadenti la sfera della liberta' personale. Ed invero, la sanzione delle «revoca e perdita di ogni efficacia» e' dalla norma costituzionale assegnata non solo alla illegittima esecuzione di atti di arresto o di fermo, ma genericamente e complessivamente al caso dell'adozione dei «provvedimenti» di polizia, in materia di liberta' personale, fuori dei casi previsti dalla legge; e - a meno di voler affermare che il legislatore costituzionale abbia impiegato con imprecisione e scarsa padronanza la lingua italiana - i provvedimenti in questione non possono non essere che tutti quelli contemplati dalla norma stessa, e quindi anche le ispezioni e le perquisizioni personali, che l'art. 13 Cost. tutti ricomprende nell'ambito degli atti che limitano la liberta' personale. Non appare quindi corretta l'interpretazione che voglia limitare la previsione costituzionale della «perdita di efficacia» ai soli provvedimenti soppressivi della liberta' personale, quali l'arresto ed il fermo, atteso che l'art. 13 Cost. utilizza una formula omnicomprensiva (i «provvedimenti provvisori» adottabili dalla p.g.) che a tutti i provvedimenti da detta norma contemplati risulta riferirsi, come evincibile anche dalla disciplina adottata dall'art. 14 Cost., che espressamente li richiama «nominatim» («ispezioni, perquisizioni o sequestri») prevendone l'adattabilita' da parte della p.g. «secondo le garanzie prescritte per la tutela della liberta' personale». Cio' precisato, va osservato che l'unica efficacia perdurante nel tempo (e di cui la norma costituzionale si e' preoccupata di prevedere la cessazione), che puo' ipotizzarsi rispetto ad atti di perquisizione o ispezione che siano gia' stati compiuti e terminati nella loro esecuzione (come e' necessariamente, dato che ne e' prevista la convalida entro 96 ore al massimo dalla loro esecuzione), e' solo quella che attiene alla loro capacita' probatoria; la sanzione di perdita dell'efficacia equivale quindi a quella, nel linguaggio del codice di procedura repubblicano, quarant'anni dopo l'approvazione della Costituzione, dell'inutilizzabilita' introdotta dall'art. 191 c.p.p. per le prove assunte in violazione di un divieto di legge. E' bene precisare che l'art. 13 Cost. riconnette la conseguenza delle perdita di efficacia degli atti di polizia, alla circostanza che essi non vengano convalidati dall'A.G. in un termine dato; ma la ratio della norma costituzionale sarebbe senz'altro frustrata se la convalida si risolvesse in una pura forma non esprimente un effettivo controllo circa la legalita' dell'atto di p.g.; di qui la prescrizione (a parere di questo Giudice evincibile dal comma 2 dell'art. 13 Cost., come si e' gia' osservato) che l'atto di convalida debba essere motivato, poiche' e' solo con un atto avente tali caratteristiche che l'art. 13 Cost. consente che l'A.G. incida sulla liberta' personale: e non avrebbe senso prevedere la necessita' dell'atto motivato allorche' l'A.G., titolare in via ordinaria di tale potere, proceda di sua iniziativa, e non gia' allorche' debba verificare che la p.g. non abbia esorbitato dai (od addirittura abusato dei) casi del tutto eccezionali in cui la legge le concede di intervenire in materia di liberta' personale. E' quindi ovvio che, nel sistema delineato dall'art. 13 Cost., la convalida operi in quanto espressione di un effettivo potere di verifica in ordine alla concreta ricorrenza dei presupposti legali di esecuzione della perquisizione personale (non e' un caso, ad es., che lo stesso art. 103 decreto del Presidente della Repubblica n. 309/90 prevede, come peraltro e' ovvio, che l'A.G. convalidera' la perquisizione «ove ne ricorrano i presupposti»), e non sia sufficiente un mero provvedimento di convalida assolutamente immotivato e non riconducibile ad una situazione di concreta ravvisabilita' della situazione legittimante la perquisizione personale: situazione che, nel vigente sistema, e' data fondamentalmente dalla ricorrenza della flagranza del reato o dalla ricorrenza di fondate ragioni che inducano a ritenere che sia in corso l'esecuzione di un delitto in materia di stupefacenti o armi (con riferimento alle due norme - gli articoli 103 decreto del Presidente della Repubblica n. 309/90 e 41 TULPS - legittimanti la perquisizione fuori dei casi di flagranza, di maggiore rilevanza statistica). Peraltro, non solo le norme nazionali, costituzionali e di legge ordinaria, impongono che la polizia giudiziaria proceda a perquisizioni solo nei casi tassativamente stabiliti dalla legge, e che il loro operato sia sottoposto ad un effettivo controllo da parte dell'Autorita' giudiziaria. Infatti, a proposito della necessita' di una valutazione concreta e condivisibile da parte dell'A.G., circa la ricorrenza di ragioni adeguatamente giustificatrici dell'esercizio del potere di perquisizione, va anche richiamata, per l'assoluta importanza della fonte, che assegna alla decisione rilievo costituzionale ex art. 117 Cost., la sentenza 16 marzo 2017, Modestou c. Grecia, con la quale la Corte europea dei diritti dell'uomo (d'ora in poi per brevita' CEDU) ha ritenuto essersi verificata violazione dell'art. 8 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, in un caso in cui era stata eseguita perquisizione presso il domicilio personale e professionale del ricorrente senza alcun controllo giurisdizionale ex ante e sulla scorta di un mandato di perquisizione generico; ne' era stato previsto un immediato controllo giurisdizionale ex post, considerato che la Corte d'appello, adita dal ricorrente, aveva respinto la doglianza non solo piu' di due anni dopo la perquisizione in questione, ma nemmeno indicando neppure i motivi «rilevanti e sufficienti» giustificativi della perquisizione: sentenza dalla quale si trae quindi conferma che l'A.G. debba operare una illustrazione motivata (e condivisibile) delle ragioni della perquisizione, al fine di rendere verificabile la legittimita' dell'esercizio del relativo potere; statuizione che, se vale per le perquisizioni autorizzate dall'A.G., deve a maggior ragione valere per quelle operate direttamente dalla P.G. e successivamente convalidate dalla A.G. Poiche' quindi e' ad un provvedimento adeguatamente motivato che l'art. 13 Cost. ricollega la salvezza degli effetti dell'operato della p.g., ne consegue che, sebbene le nullita' degli atti per difetto di motivazione siano generalmente rilevabili ad eccezione di parte, in questo caso debba invece ritenersi che la ricorrenza di un atto di convalida adeguatamente motivato, nella sua funzione costituzionale di salvezza degli effetti dell'atto di p.g., sia un elemento della fattispecie «sanante» la cui ricorrenza debba essere verificata d'ufficio; cosi' come dovra' verificarsi che, a prescindere da quanto eventualmente affermato col provvedimento di convalida (si pensi ad es. al caso di una motivazione non aderente ai dati fattuali emergenti dagli atti; o che da questi tragga conclusioni assolutamente illogiche o non giustificate), ricorressero effettivamente i presupposti perche' la p.g. esercitasse i suoi poteri previsti in via del tutto eccezionale (sul punto, relativo alla portata dell'art. 191 c.p.p., si dira' meglio oltre). Tanto premesso, va peraltro preso atto che tali esiti epistemologici sono estranei alla interpretazione accolta dalla giurisprudenza assolutamente dominante che, a far data dall'insegnamento espresso dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione con la sentenza n. 5021 del 27 marzo 1996, ha ritenuto la piena utilizzabilita' probatoria degli esiti delle perquisizioni e sequestri eseguiti dalla p.g. al di fuori dei casi previsti dalla legge, pur prendendo le mosse da statuizioni di principio di segno apparentemente opposto alle conclusioni finali. In realta', con la suddetta sentenza, le Sezioni Unite della suprema Corte di cassazione hanno in primo luogo affermato a chiare lettere che la conseguenza di un'attivita' di illecita acquisizione della prova, nello specifico una perquisizione illegittima, non puo' limitarsi a mere sanzioni amministrative, disciplinari o penali nei confronti dell'autore dell'illecito, ma deve comportare l'inutilizzabilita' della prova stessa, statuendo che: «non e' certamente difficile riconoscere che allorquando una perquisizione sia stata effettuata senza l'autorizzazione del magistrato e non nei "casi" e nei "modi" stabiliti dalla legge, cosi' come disposto dall'art. 13 della Costituzione, si e' in presenza di un mezzo di ricerca della prova che non e' piu' compatibile con la tutela del diritto di liberta' del cittadino, estrinsecabile attraverso il riconoscimento dell'inviolabilita' del domicilio. L'illegittimita' della ricerca di una prova, pur quando non assuma le dimensioni dell'illiceita' penale (Cfr. art. 609 c.p.), non puo' esaurirsi nella mera ricognizione positiva dell'avvenuta lesione del diritto soggettivo, come presupposto per l'eventuale applicazione di sanzioni amministrative o penali per colui o per coloro che ne sono stati gli autori. La perquisizione, oltre ad essere un atto di' investigazione diretta, e' il mezzo piu' idoneo per la ricerca di una prova preesistente e, quindi, diviene partecipe del complesso procedimento acquisitivo della prova, a causa del rapporto strumentale che si pone tra la ricerca e la scoperta di cio' che puo' essere necessario o utile ai fini della indagine: nessuna prova, diversa da quelle che possono formarsi soltanto nel corso del procedimento, potrebbe essere acquisita al processo se una sua ricerca non sia stata compiuta e questa non abbia avuto esito positivo. Se e' vero che una perquisizione, quale mezzo di ricerca di una prova, non puo' essere a quest'ultima assimilata e, quindi, e' di per se' stessa sottratta alla materiale possibilita' di essere suscettibile di una diretta utilizzazione nel processo penale, e' altrettanto vero che il rapporto funzionale che avvince la ricerca alla scoperta non puo' essere fondatamente escluso. Ne consegue che il rapporto tra perquisizione e sequestro non e' esauribile nell'area riduttiva di una mera consequenzialita' cronologica, come si era affermato in numerose pronunce di questa Corte prima dell'entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale, e com'e' stato, anche in epoca successiva, qualche volta, ribadito (cfr. Sez. I - 17 febbraio 1976 ric. Cavicchia; Sez. VI - 23 gennaio 1973 ric. Ferraro; Sez. V - 24 novembre 1977 ric. Manussardi; Sez. I -15 marzo 1984 ric. Zoccoli; Sez. VI - 24 aprile 1991 ric. Lione; Sez. V - 12 gennaio 1994 ric. Vetralla, etc): la perquisizione non e' soltanto l'antecedente cronologico del sequestro, ma rappresenta lo strumento giuridico che rende possibile il ricorso al sequestro.». Proseguiva inoltre la Corte osservando che, pur vero che esista una distinzione concettuale tra la perquisizione, quale mezzo di ricerca della prova, ed il sequestro quale strumento di acquisizione della prova, cio' non ha alcuna rilevanza ai fini della inutilizzabilita' della prova acquista a seguito di una perquisizione illegittima, atteso che: «la stessa utilizzabilita' della prova e' pur sempre subordinata alla esecuzione di un legittimo procedimento acquisitivo che si sottragga, in ogni sua fase, a quei vizi che, incidendo negativamente sull'esercizio di diritti soggettivi irrinunciabili, non possono non diffondere i loro effetti sul risultato che, attraverso quel procedimento, sia stato conseguito. Del resto, non puo' neppure ignorarsi che e' lo stesso ordinamento processuale ad aver riconosciuto il rapporto funzionale esistente tra perquisizione e sequestro: l'art. 252 codice di procedura penale impone il sequestro delle «cose rinvenute a seguito della perquisizione» e l'art. 103 comma VII dello stesso codice espressamente sancisce l'inutilizzabilita' dei risultati delle perquisizioni allorquando queste sono state eseguite in violazione delle particolari garanzie di cui debbono fruire i difensori per poter esercitare congruamente il diritto di difesa. E non si vede perche' a diverse ed opposte conclusioni dovrebbe pervenirsi quando una perquisizione sia stata comunque eseguita in violazione di particolari disposizioni normative che assicurano, in concreto, l'attuazione di quella ineludibile garanzia costituzionale, nei limiti in cui essa e' stata riconosciuta dall'art. 13, secondo comma della Costituzione: si tratta pur sempre di un procedimento acquisitivo della prova che reca l'impronta ineludibile della subita lesione ad un diritto soggettivo, diritto che, per la sua rilevanza costituzionale, reclama e giustifica la piu' radicale sanzione di cui l'ordinamento processuale dispone, e cioe' l'inutilizzabilita' della prova cosi acquisita in ogni fase del procedimento.». Il prosieguo della statuizione della suprema Corte si risolveva peraltro nella vanificazione della portata pratica di tali principi appena enunciati; continuava infatti detta sentenza affermando comunque valido il sequestro, perche' atto dovuto, allorche' avesse ad oggetto il corpo del reato o cose pertinenti al reato; di fatto, l'unico sequestro che sarebbe stato inutilizzabile a fini probatori, sarebbe stato quello gia' di per se' inutile e che non avrebbe quindi comunque dovuto essere disposto, perche' non relativo ne' al corpo del reato, ne' a cose pertinenti al reato; affermava infatti la suprema Corte a SSUU: «Orbene, se e' vero che l'illegittimita' della ricerca della prova del commesso reato, allorquando assume le dimensioni conseguenti ad una palese violazione delle norme poste a tutela dei diritti soggettivi oggetto di specifica tutela da parte della Costituzione, non puo', in linea generale, non diffondere i suoi effetti invalidanti sui risultati che quella ricerca ha consentito di acquisire, e' altrettanto vero che allorquando quella ricerca, comunque effettuata, si sia conclusa con il rinvenimento ed il sequestro del corpo del reato o delle cose pertinenti al reato, e' lo stesso ordinamento processuale a considerare del tutto irrilevante il modo con il quale a quel sequestro si sia pervenuti: in questa specifica ipotesi, e ancorche' nel contesto di una situazione non legittimamente creata, il sequestro rappresenta un "atto dovuto", la cui omissione esporrebbe gli autori a specifiche responsabilita' penali, quali che siano state, in concreto, le modalita' propedeutiche e funzionali che hanno consentito l'esito positivo della ricerca compiuta. Con cio' non si intende affatto affermare che l'oggetto del sequestro, a causa della sua intrinseca illiceita', ovvero per il rapporto strumentale che esso puo' esprimere in relazione al reato commesso, possa, per cio' solo, dissolvere quella connessione funzionale che lega la perquisizione alla scoperta ed all'acquisizione di cio' che si cercava, ma si vuole soltanto precisare che allorquando ricorrono le condizioni previste dall'art. 253, primo comma codice di procedura penale, gli aspetti strumentali della ricerca, pur rimanendo partecipi del procedimento acquisitivo della prova, non possono mai paralizzare l'adempimento di un obbligo giuridico che trova la sua fonte di legittimazione nello stesso ordinamento processuale ed ha una sua razionale ed appagante giustificazione nell'esigenza che l'ufficiale di polizia giudiziaria non si sottragga all'adempimento dei doveri indefettibilmente legati al suo "status", qualunque sia la situazione - legittima o no - in cui egli si trovi ad operare». Concludevano quindi le SS.UU. osservando che gli agenti di p.g. avrebbero poi potuto testimoniare sugli esiti della perquisizione, ferma restano l'inutilizzabilita' di essa in quanti tale (e cioe', par di capire, del verbale che ne documenta modalita', tempo, luoghi e risultato). Da tale arresto delle Sezioni Unite ha tratto origine e sviluppo una giurisprudenza che si e' ancorata unicamente alle statuizioni circa la legittimita' ed utilizzabilita' a fini probatori del sequestro, rimanendo apparentemente dimentica dell'insegnamento e dei principi affermati dalle stesse SS.UU. nella prima parte della propria statuizione, e che probabilmente avrebbero meritato una riflessione e sviluppo ulteriori: come, ad es., quella che volesse limitare l'utilizzabilita' probatoria del sequestro alla res in quanto tale, cioe' nella sua materiale idoneita' a provare la sussistenza del fatto (si pensi al rinvenimento di un'arma o di sostanza stupefacenti, idonei a provare i reati di detenzione illecita di tali oggetti) ed a fungere da eventuale supporto di tracce di reato (impronte digitali, materiale biologico suscettibile di comparazione del DNA) aventi carattere individualizzante: interpretazione, questa, sostenuta da questo Giudice in precedenti procedimenti, ma non condivisa dai Giudici competenti per i successivi gradi, che si sono sempre rimessi alla giurisprudenza che si e' richiamata e che delle citate SS.UU. coglieva, sostanzialmente, solo quanto risultante dal dispositivo e dalla massima. Come si e' detto, la successiva giurisprudenza di legittimita' di e' monoliticamente assestata su tali esiti interpretativi, confermando reiteratamente la legittimita' del sequestro conseguente ad una perquisizione illegittima, e la sua piena utilizzabilita' probatoria; si citano, ad es., ed in assenza di pronunzie di segno contrario, che lo scrivente magistrato non e' riuscito a rinvenire: Sez. 3, Ordinanza n. 3879 del 14 novembre 1997; Sez. l, Sentenza n. 2791 del 27 gennaio 1998, Sez. 5, Sentenza n. 6712 del 7 dicembre 1998, Sez. 3, Sentenza n. 1228 del 17 marzo 2000, Sez. 4, Sentenza n. 8052 del 2 giugno 2000, Sez. 6, Sentenza n. 3048 del 3 luglio 2000, Sez. 2, Sentenza n. 12393 del 10 agosto 2000, Sez. 1, Sentenza n. 45487 del 28 settembre 2001, Sez. 1, Sentenza n. 41449 del 2 ottobre 2001, Sez. 1, Sentenza n. 497 del 5 dicembre 2002, Sez. 5, Sentenza n. 1276 del 17 dicembre 2002, Sez. 2, Sentenza n. 26685 del 14 maggio 2003, Sez. 2, Sentenza n. 26683 del 14 maggio 2003, Sez. 1, Sentenza n. 18438 del 28 aprile 2006, Sez. 2, Sentenza n. 40833 del 10 ottobre 2007, Sez. 6, Sentenza n. 37800 del 23 giugno 2010, Sez. 1, Sentenza n. 42010 del 28 ottobre 2010, Sez. 2, Sentenza n. 31225 del 25 giugno 2014, Sez. 3, Sentenza n. 19365 del 17 febbraio 2016, Sez. 2, Sentenza n. 15784 del 23 dicembre 2016. Alla luce di richiamati principi espressi dagli articoli 13 e 14 Cost., questo giudicante dubita che le norme vigenti, per come interpretate dalla giurisprudenza assolutamente prevalente (e tale da dar luogo ad un vero e proprio diritto vivente), siano rispettose del dettato costituzionale, ed in particolare degli articoli 3, 13, 14 e 117 (con riferimento all'art. 8 della Convenzione EDU) della Costituzione, nella parte in cui le norme di diritto ordinario consentono l'utilizzabilita' processuale - mediante deposizione testimoniale o lettura o altra - forma di utilizzazione del verbale di quanto risultante dalla perquisizione e dal sequestro - della valenza probatoria degli esiti di una perquisizione o ispezione e di quanto eventualmente sequestrato in occasione dell'esecuzione di tali atti, allorche' essi siano eseguiti dalla p.g. fuori dei casi in cui la legge costituzionale e quella ordinaria le attribuiscono il relativo potere. L'interpretazione maggioritaria circa l'irrilevanza della illegittimita' della perquisizione sulla utilizzabilita' dei suoi esiti si risolverebbe quindi, del tutto paradossalmente, nella teorizzazione di un sistema giuridico che vuole inefficaci ab origine le leggi incostituzionali, ma efficacissimi gli atti di p.g. compiuti in violazione dei diritti costituzionali del cittadino. Tale giurisprudenza, invero: a) sembra operare una confusione di piani tra il sequestro inutilizzabile ed il sequestro inutile probatoriamente, posto che, di fatto, e data l'estensione concettuale della nozione di cose pertinenti al reato, finisce con escludere la validita' - in caso di perquisizione illegittima - solo del sequestro inutile: il che e' assolutamente inconferente rispetto alle tematiche e problematiche poste dall'art. 191 c.p.p.; b) non considera che il sequestro non e' una prova, ma il mezzo che serve ad assicurare al processo la res che puo' essere fonte di prova; c) non considera che la valenza probatoria di una determinata res e' generalmente data non dalla sola cosa in se' (la quale puo' generalmente provare la sussistenza del fatto ma non necessariamente chi lo abbia commesso, se non nel caso in cui sulla res siano rinvenibili tracce biologiche, papillari o di altro genere che ne permettano la riconducibilita' ad un determinato soggetto), ma anche dalle circostanze del suo rinvenimento, specie allorche' si tratti appunto del corpo del reato, essendo il suo possesso (svelato dalla perquisizione) ad essere indizio grave di commissione del reato stesso; d) non osserva che, pertanto, cio' che sommamente rileva non e' tanto la legittimita' del sequestro, quanto quella della perquisizione tramite la quale si e' rinvenuta la res (con suo successivo sequestro), atteso che e' la perquisizione che generalmente comprova quella relazione personale tra la cosa indiziante di delitto e l'autore dello stesso; e) non avverte che la ratio della norma di cui all'art. 191 c.p.p., che prevede l'inutilizzabilita' delle prove acquisite in violazione di un divieto di legge, e' quella di offrire un valido presidio ai diritti costituzionalmente garantiti, disincentivandone le violazioni finalizzate all'acquisizione della prova, rendendone inutilizzabili gli esiti probatori (si veda ad es. la disciplina della inutilizzabilita' delle intercettazioni illegittime ex art. 271 c.p.p.; si pensi all'inutilizzabilita' ex art. 188 c.p.p. di una confessione assunta sotto tortura o sotto l'effetto di metodi che possano influire sulle capacita' di autodeterminazione della persona dichiarante; si considerino le conseguenze di un'acquisizione di tabulati del traffico telefonico eseguita dalla p.g. in assenza di provvedimento motivato dell'A.G.); f) non assegna adeguato valore alla circostanza che una perquisizione domiciliare o personale, eseguita da chi non ne ha il potere, e' un caso tipico di prova vietata dalla legge ed in violazione di diritti costituzionali della persona (cfr. articoli 13 e 14 Cost.; art. 8 CEDU), e la conseguenza deve necessariamente essere la inutilizzabilita' dei suoi risultati (come previsto dall'art. 13, comma 3 Cost.), conformemente a quella che e' la ratio dell'art. 191 c.p.p. che, inibendo l'utilizzabilita' degli esiti delle prove vietate perche' assunte in violazione di diritti costituzionali, intende appunto scoraggiare la violazione di quei diritti costituzionali; g) non considera che ritenere altrimenti, lasciando aperta la possibilita' di una sorta di «sanatoria» ex post, legata agli esiti della perquisizione, equivale a negare la tutela del cittadino dai possibili abusi della p.g.: tutela assicurata in via generale ed astratta dagli articoli 13 e 14 Cost., ma che verrebbe vanificata dall'incentivazione agli abusi per mancanza di conseguenze processuali relative alla inutilizzabilita' dei loro risultati; ed i drammatici fatti di Genova e di Bolzaneto appaiono esserne storica conferma e dimostrazione. La scarsa tenuta logica di una simile interpretazione - vera e propria mina di irrazionalita', che si presta ad introdurre trattamenti irrispettosi del principio di eguaglianza delle situazioni processuali equiparabili: si pensi alla gia' richiamata giurisprudenza che riconosce la non utilizzabilita' di altre prove vietate, quali gli anonimi e le fonti confidenziali, nemmeno ai fini della legittimazione di una perquisizione - deve invece condurre a ritenere che una perquisizione eseguita in forza di elementi non utilizzabili, e senza che ricorresse gia' una preesistente situazione di flagranza, sia non solo illegittima, ma anche improduttiva di elementi utilizzabili ai fini della prova in danno dell'imputato, atteso che cio' non solo e' imposto dagli articoli 13 e 14 Cost., ma anche da una piana lettura dell'art. 191 c.p.p. rispettosa dei principi costituzionali, ma allo stato negata dal diritto vivente. Nei casi considerati ricorrerebbero infatti, a parere di questo Giudice, i presupposti di applicabilita' della conseguenza della inutilizzabilita' processuale ai sensi dell'art. 191 c.p.p., in base ad una piana lettura della norma ed alla ratio della stessa, come colta al punto f) che precede; ed infatti, appare evidente che la p.g., allorche' proceda ad un atto di perquisizione fuori dei casi a lei consentiti, compia un atto che le e' vietato - e non semplicemente un atto irrituale o nullo, come pure talora si e' sostenuto in talune pronunzie della Corte di cassazione - atteso che sia la legge ordinaria che quella costituzionale prevedono (oltre alla riserva di legge dettata dagli articoli 13 e 14 Cost.) una riserva del potere di perquisizione all'Autorita' giudiziaria, nella delineazione di una serie di garanzie a tutela della effettivita' dello Stato di diritto (e delle liberta' individuali che questo deve garantire), in cui i poteri della polizia e degli organi amministrativi sono sottoposti al principio di legalita', prevedendosi addirittura una riserva di potere dell'Autorita' giudiziaria, nei casi che coinvolgono l'esercizio di diritti costituzionali fondamentali dei privati (quali la liberta' personale e quella domiciliare, che ex art. 14 comma 2 Cost. e' «aggredibile» solo «negli stessi casi e modi stabiliti dalla legge secondo le garanzie prescritte per la tutela della liberta' personale»). L'interpretazione dominante che comunque consente di «recuperare» ed utilizzare gli esiti delle perquisizioni illegittime, negando l'applicabilita' dell'art. 191 c.p.p. al sequestro del corpo del reato o di cosa pertinente al reato, appare pertanto negare concreta attuazione a quanto previsto dagli articoli 13 e 14 Cost. in ordine alla perdita di efficacia della perquisizione e delle ispezioni e dei sequestri ad esse conseguenti, allorche' eseguiti in violazione dei divieti; l'art. 191 c.p.p., come esistente nel diritto vivente, appare quindi in contrasto con i predetti articoli 13 e 14 della Costituzione. Non e' peraltro fuori luogo osservare, come peraltro da tempo rilevato non solo dalla dottrina, ma anche dalla suprema Corte, che la ragione d'essere della disciplina delle inutilizzabilita' stabilita dall'art. 191 c.p.p. non e' tanto di ordine etico (e cioe', il rifiuto del legislatore di riconoscere valore probatorio ad atti illeciti), quanto di ordine politico costituzionale, essendosi rilevato che l'effettivita' della tutela dei valori costituzionali che piu' facilmente vengono lesi in caso di assunzione di prova in violazione di un divieto, riposa nel negare ogni utilizzabilita' a quanto cosi' venga acquisito: atteso che, grazie a tale divieto di utilizzabilita', si scoraggeranno e disincentiveranno quelle pratiche di acquisizione della prova con modalita' illegali (e talora francamente illecite), che violano i diritti costituzionali a cui presidio sono appunto posti i divieti rinvenibili nel codice di rito e nelle norme speciali. La giurisprudenza formatasi sulla scorta della citata C. cassazione SS.UU. 5021/1996 realizza, pertanto, anche una violazione dell'art. 3 Cost., in quanto del tutto irragionevolmente ed a fronte di una palese identita' di ratio, nega la conseguenza dell'inutilizzabilita' di cui all'art. 191 c.p.p. a casi del tutto sovrapponibili ad altri (per certi versi addirittura meno gravi) per i quali la legge espressamente la prevede: basti pensare, ad es., non solo alle ipotesi di intercettazioni eseguite d'iniziativa dalla p.g. e quindi in assenza di decreto motivato dell'A.G. (caso sanzionato di inutilizzabilita' dall'art. 271 c.p.p., avente la medesima ratio dell'art. 191 c.p.p.), ma anche al caso dell'acquisizione dei tabulati del traffico telefonico eseguito senza provvedimento motivato del pubblico ministero, ipotesi che le stesse SS.UU. della suprema Corte di cassazione hanno ritenuto dar luogo ad un'ipotesi di inutilizzabilita' della prova perche' acquista in violazione di un divieto di legge (cfr. Sez. U. Sentenza n. 21 del 13 luglio 1998). L'interpretazione stabilizzatasi dell'art. 191 c.p.p., in tema di conseguenza di una perquisizione illegittima e di legittimita', per contro, del conseguente sequestro, si risolve quindi nell'operare anche una ingiustificata disparita' di trattamento tra indagati in situazioni del tutto analoghe, con conseguente violazione dell'art. 3 Cost. Sempre in tema di violazione dell'art. 3 Cost., appare necessario rilevare come tale norma si atteggi a scrigno in cui e' racchiuso in germe e riassunto il principio di' necessaria razionalita' dell'ordinamento dello Stato di diritto disegnato dalla Costituzione; razionalita' che risulta gravemente violata dalla corrente interpretazione circa la utilizzabilita' degli esiti delle perquisizioni illegittime; e cio' in quanto che: a) l'interpretazione maggioritaria circa l'irrilevanza della illegittimita' della perquisizione sulla utilizzabilita' dei suoi esiti si risolve attualmente, in maniera del tutto paradossale, nella teorizzazione di un sistema giuridico che vuole inefficaci ab origine le leggi incostituzionali (argomenta ex art. 30, comma 3 e 4, legge n. 87/1953), e la loro efficacia sospendibile dal giudice ordinario che ne ravvisi un possibile contrasto con le norme costituzionali, ma efficacissimi, anche sotto il profilo probatorio, gli atti di p.g. - e non disapplicabili ne' discutibili dal Giudice - compiuti in violazione dei diritti costituzionali del cittadino; b) la suddetta interpretazione appare realizzare una negazione radicale dei principi dello Stato di diritto quale tratteggiato dalla Costituzione, racchiuso in germe nell'art. 3 Cost. (come gia' si e' osservato), e piu' in particolare sviluppato dall'art. 2 Cost., in quanto finisce per risolversi nell'assenza di effettive garanzie contro violazioni dei diritti inviolabili dell'uomo, tra i quali appare senz'altro rientrare quello alla liberta' personale, laddove invece il suddetto art. 2 Cost. impone alla Repubblica non solo di riconoscere tali diritti, ma di garantirli: il che implica la necessaria adozione di tutte le cautele necessarie non solo a reprimere, ma prima di tutto a scoraggiare la violazione di tali diritti; e la sanzione dell'inutilizzabilita' probatoria che discenderebbe dall'art. 191 c.p.p. (nella lettura che risulterebbe dall'operazione di ortopedia costituzionale che questo Giudicante ritiene necessaria), nel deprivare di effetti processuali il risultato «probatorio» di tali violazioni, costituisce la prima e piu' efficace forma di garanzia che uno Stato di diritto possa assicurare ai diritti della persona; c) l'interpretazione che si avversa, inoltre, nega lo Stato di diritto quale configurato dall'art. 97, comma 3 Cost., che vuole - con norma generale che appare applicabile anche alle definizione dei poteri degli organi di polizia - l'azione dei pubblici poteri sottomessa al principio di legalita'; se, come gia' si e' osservato, in uno Stato di diritto, lo Stato ed i suoi organi sono per primi vincolati al rispetto delle leggi di cui pur pretendono l'osservanza da parte dei consociati, e se cio' comporta non solo l'impegno a non violare tali leggi, ma anche a garantire l'effettivo rispetto dei diritti che tali leggi prevedono ed attribuiscono, appare innegabile che ammettere l'efficacia - e per di piu' nel processo penale ed in aggressione ai diritti di liberta' - degli atti compiuti dai pubblici poteri in violazione di un divieto, appare negare anche il principio di cui all'art. 97 Cost., oltre ad attribuire all'azione illegale degli organi statuali una prevalenza sui diritti costituzionali dei consociati, che appare realizzare, sotto questo profilo, una ulteriore palese violazione dell'art. 3 Cost., in un ordinamento che vuole centrali i diritti inviolabili della persona - e quindi quanto meno gli stessi sullo stesso piano di quelli della collettivita' e dello Stato - ma finisce invece per violare tale condizione di pari importanza per assegnare prevalenza all'interesse alla repressione dei reati; d) l'interpretazione di cui si contesta la costituzionalita', inoltre, viola l'art. 3 Cost. anche perche', del tutto irrazionalmente, convive con quella che riconosce l'inutilizzabilita' di prove vietate dalla legge solo in virtu' della loro non verificabilita' (scritti anonimi, fonti confidenziali), mentre la nega a prove acquisite in diretta violazione di un divieto scaturente dalla legge (anche costituzionale) e che, comunque, si caratterizzano anch'esse per una ridotta verificabilita': si pensi appunto a come l'insondabilita' degli elementi che hanno spinto la p.g. alla perquisizione non consenta di verificare la genuinita' della «catena indiziaria» e di escludere che possano essere stati proprio i terzi autori della propalazione confidenziale o anonima (ma in ipotesi non risultante neppure dal p.v. di perquisizione), o addirittura - come talora e' purtroppo accaduto - le stesse forze di polizia, ad introdurre nell'abitazione la «res illicita» costituente supposta prova del reato; cosi' evidenziandosi, sotto tale profilo, anche un contrasto con l'art. 24 della Costituzione, per l'evidente limite che la tesi dell'utilizzabilita' pone all'esplicazione del diritto di difesa, introducendo nell'ambito delle prove utilizzabili elementi di cui sia di fatto impossibile verificare approfonditamente la genuinita'. L'interpretazione consolidatasi si pone infine in contrasto con l'art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, e quindi in contrasto con l'art. 117 Cost. che impone allo Stato italiano il rispetto delle Convenzioni internazionali, in quanto si risolve nel non adottare efficaci disincentivi agli abusi delle forze di polizia, e di qualsiasi organo dello Stato in genere, che, limitando la liberta' della persona, si risolvano in indebite interferenze nella sua vita privata o nel suo domicilio, non giustificate da oggettive esigenze di prevenzione o repressione dei reati. A parere di questo giudicante, la conseguenza della dedotta incostituzionalita' e' anche il divieto di testimonianza, per gli operatori di p.g., in ordine al risultato delle attivita' di ispezione, perquisizione e sequestro indebitamente eseguite; tale divieto, invero, appare conseguire alla perdita di ogni efficacia di tali attivita'; ammettere tali deposizioni, peraltro, equivarrebbe a vanificare tale divieto e la ratio sottostante ai divieti di utilizzabilita' di cui all'art. 191 c.p.p.. Ne consegue che la questione e' rilevante nel presente giudizio abbreviato anche laddove si volesse ipotizzare, per ovviare alla inutilizzabilita' che dovrebbero essere ravvisate nelle perquisizioni, l'assoluta necessita' di procedere, ex art. 441, comma 5 c.p.p. di procedere all'ascolto dei verbalizzanti in ordine a quanto rinvenuto sulla persona e nel bagaglio dell'imputato: ed invero, come osservato, la sanzione dell'inutilizzabilita' dovrebbe investire, in un'interpretazione corretta dell'art. 191 c.p.p., anche l'eventuale deposizione in ordine agli esiti della perquisizione illegittima.