IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LAZIO Sezione terza ter Ha pronunciato la presente ordinanza sul ricorso numero di registro generale 5283 del 2018, proposto da: Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura di Rieti, rappresentata e difesa dagli avvocati Raffaele Bifulco, Carlo Contaldi La Grotteria, con domicilio eletto presso lo studio Raffaele Bifulco in Roma, Lungotevere dei Mellini, 24; Contro Ministero dello sviluppo economico, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12; Nei confronti Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura di Viterbo; Francesco Monzillo; Unione delle Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura - unioncamere, rappresentata e difesa dall'avvocato Federico Tedeschini, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, largo Messico, 7; per l'annullamento: previa sospensione cautelare, del decreto ministeriale 16 febbraio 2018 del Ministero dello sviluppo economico, recante «Rideterminazione» delle circoscrizioni territoriali, istituzione di nuove camere di commercio, e determinazioni in materia di razionalizzazione delle sedi e del personale», pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 9 marzo 2018, n. 579; degli atti esecutivi e conseguenti del medesimo decreto, e in particolare: della nota del MISE in data 1° marzo 2018 n. 0080724; della determinazione n. 1 del 1° marzo 2018 del Commissario ad acta per l'accorpamento delle Camere di commercio di Rieti e Viterbo; di ogni atto presupposto, connesso e consequenziale. Visti il ricorso e i relativi allegati; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dello sviluppo economico e dell'Unione delle Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura unioncamere; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 30 gennaio 2019 il dott. Antonino Masaracchia e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Fatto 1. Con il ricorso in epigrafe la Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura di Rieti, in persona del Presidente pro tempore, ha impugnato il decreto ministeriale 16 febbraio 2018 (recante «Riduzione del numero delle camere di commercio mediante accorpamento, razionalizzazione delle sedi e del personale»), nonche' i relativi atti connessi, nella parte in cui, in attuazione dell'art. 3 del decreto legislativo n. 219 del 2016, recependo la proposta avanzata da Unioncamere (delibera del 30 maggio 2017), ha disposto l'accorpamento delle Camere di commercio di Rieti e di Viterbo, individuando in Viterbo, piuttosto che in Rieti, la sede del nuovo ente. Il decreto ministeriale impugnato e' identico al decreto ministeriale 8 agosto 2017, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 19 settembre 2017, e sostituito dopo la pronuncia della Corte costituzionale (sentenza n. 261 del 2017, depositata il 13 dicembre 2017) che ha dichiarato «l'illegittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 4 del decreto legislativo 25 novembre 2016, n. 219 [...], nella parte in cui stabilisce che il decreto del Ministro dello sviluppo economico dallo stesso previsto deve essere adottato sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, anziche' previa intesa con detta Conferenza». A seguito della detta pronuncia il Ministero sottoponeva alla Conferenza Stato-Regioni un nuovo schema di decreto, analogo al precedente, ai fini del raggiungimento dell'intesa con gli enti regionali. La Conferenza, dopo un primo rinvio nella seduta del 21 dicembre 2017, esaminava il testo nella seduta dell'11 gennaio 2018: in tale occasione varie Regioni formulavano obiezioni a seguito delle quali il verbale della seduta recava l'indicazione della «mancata intesa». Successivamente, appurato il mancato raggiungimento di un'intesa, il Consiglio dei Ministri, nella seduta dell'8 febbraio 2018, ai sensi dell'art. 3, comma 3, del decreto legislativo n. 281 del 1997, autorizzava il Ministro dello sviluppo economico ad adottare il citato decreto. 2. Avverso il citato decreto ministeriale 16 febbraio 2018 la Camera di Commercio di Rieti ha articolato le seguenti doglianze: violazione dell'art. 12, comma 4, della legge n. 580 del 1993 (come modificato dal decreto legislativo n. 219 del 2016) e del principio contenuto nell'art. 10, comma 1, lett. f, della legge-delega n. 125 del 2015 (in punto di rappresentanza equilibrata delle basi associative delle Camere accorpate); violazione dell'art. 17, commi 3 e 4, della legge n. 400 del 1988 e degli artt. 6 e 7 del decreto del Presidente della Repubblica n. 1092 del 1985; violazione dell'art. 3, comma 4, del decreto legislativo n. 219 del 2016 in combinato disposto con l'art. 12, comma 4, della legge n. 580 del 1993: cio', in particolare, con riferimento al fatto che il decreto ministeriale impugnato, pur avendo natura «chiaramente normativa», non reca la denominazione di «regolamento» ed e' stato adottato senza il previo parere del Consiglio di Stato; violazione dell'art. 3 del decreto legislativo n. 281 del 1997; eccesso di potere per carente attivita' istruttoria e per carenza di motivazione; illegittimita' costituzionale dell'art. 10, comma 2, della legge n. 124 del 2015 e dell'art. 3 del decreto legislativo n. 219 del 2016 per violazione dell'art. 117 Cost. e del principio di leale collaborazione, e conseguente illegittimita' derivata del decreto ministeriale 16 febbraio 2018. In sostanza la Camera ricorrente denunzia quindi, sotto plurimi profili, la violazione delle disposizioni in tema di accorpamento e razionalizzazione delle Camere di Commercio, la violazione dei principi stabiliti per l'attuazione della riforma, l'elusione sostanziale dei principi in materia di intesa tra Stato e regione e, come meglio chiarito in seguito, l'illegittimita' costituzionale delle disposizioni di legge applicate. 3. Si sono costituiti in giudizio il Ministero dello sviluppo economico, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, e l'Unione italiana delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura - Unioncamere, in persona del Presidente pro tempore, chiedendo il rigetto del ricorso. Alla pubblica udienza del 30 gennaio 2019 la causa e' stata trattenuta in la decisione. Rilievo della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 10 della legge n. 124 del 2015 e dell'art. 3 del decreto legislativo n. 219 del 2016. 4. In virtu' dell'art. 10 della legge n. 124 del 2015, e' stata conferita delega al Governo per l'emanazione di un decreto legislativo per la riforma dell'organizzazione, delle funzioni e del finanziamento delle Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, anche mediante la modifica legge n. 580 del 1993 ed il conseguente riordino delle disposizioni che regolano la relativa materia. Segnatamente l'art. 10, comma 1, lettera b, della legge n. 124 del 2015 prevede che il legislatore delegato possa procedere alla «ridefinizione delle circoscrizioni territoriali, con riduzione del numero dalle attuali 105 a non piu' di 60 mediante accorpamento di due o piu' camere di commercio; possibilita' di mantenere la singola camera di commercio non accorpata sulla base di una soglia dimensionale minima di 75.000 imprese e unita' locali iscritte o annotate nel registro delle imprese, salvaguardando la presenza di almeno una camera di commercio in ogni regione, prevedendo la istituibilita' di una camera di commercio in ogni provincia autonoma e citta' metropolitana e, nei casi di comprovata rispondenza a indicatori di efficienza e di equilibrio economico, tenendo conto delle specificita' gee economiche dei territori e delle circoscrizioni territoriali di confine, nonche' definizione delle condizioni in presenza delle quali possono essere istituite le unioni regionali o interregionali». L'esercizio della delega (art. 10, comma 2, cit.) doveva avvenire su proposta del Ministro dello sviluppo economico e, tra altro, «Previa acquisizione del parere della Conferenza unificata di cui all'art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281». Il Governo, «sentita la Conferenza Unificata in data 29 settembre 2016», emanava il decreto legislativo 25 novembre 2016, n. 219, il quale all'art. 3 («Riduzione del numero delle camere di commercio mediante accorpamento, razionalizzazioni delle sedi e del personale»), introduceva una procedura per l'emanazione di un decreto ministeriale che avrebbe dovuto realizzare la riduzione del numero delle Camere di commercio prevista nella legge di delega. In particolare era stabilito che Unioncamere (Unione italiana delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura) dovesse trasmettere al Ministero una propria proposta di accorpamento, sulla base di criteri desunti dalla legge di delega o introdotti direttamente dal decreto legislativo contemplando anche «un piano complessivo di razionalizzazione delle sedi delle singole Camere di commercio nonche' delle Unioni regionali, con individuazione di una sola sede per ciascuna nuova Camera di commercio e con razionalizzazione delle sedi secondarie e delle sedi distaccate» (art. 3, comma 2, lettera a, del decreto legislativo n. 219 del 2016). Sulla base della proposta di Unioncamere, il Ministero dello sviluppo economico ha da ultimo adottato il decreto ministeriale 16 febbraio 2018, a seguito dell'iter procedimentale sopra riportato; in virtu' del citato decreto e' stato disposto, tra l'altro, l'accorpamento delle Camere di commercio di Viterbo e di Rieti, con sede del nuovo ente in Viterbo, avverso il quale la ricorrente propone l'impugnativa in epigrafe. Alla luce della giurisprudenza della Corte costituzionale e per i motivi che si esporranno infra, questo tribunale amministrativo regionale dubita della legittimita' costituzionale dell'art. 10 della legge n. 124 del 2015 (norma di delega) e dell'art. 3 del decreto legislativo n. 219 del 2016 (norma delegata) ed intende pertanto sottoporli al sindacato della Corte costituzionale, per violazione del principio di leale collaborazione Stato-Regioni nell'esercizio della funzione legislativa (articoli 5, 117, 120 Cost.). Sulla rilevanza della questione di costituzionalita'. 5. La questione di costituzionalita' e' rilevante in quanto, come innanzi accennato, il decreto ministeriale 16 febbraio 2018 oggetto di gravame viene adottato in diretta applicazione dell'art. 3 del decreto legislativo n. 219 del 2016, a sua volta emanato in ragione della delega contenuta nell'art. 10 della legge n. 124 del 2015, disposizioni della cui legittimita' costituzionale si dubita. Ne consegue che evidentemente l'eventuale declaratoria di illegittimita' delle disposizioni legislative non solo influirebbe sulla disciplina in base alla quale giudicare la legittimita' del decreto ministeriale impugnato ma farebbe venire meno, integralmente, la base legislativa che disciplina e legittima il contestato accorpamento delle Camere di Commercio di Viterbo e di Rieti. Peraltro la rilevanza e' ribadita dalla circostanza che uno dei motivi di doglianza proposti dalla Camera ricorrente (in specie, il quarto) attiene proprio alla scelta, compiuta dal legislatore delegante, di prevedere, per l'adozione del decreto delegato, «invece della piu' pregnante intesa con le Regioni, il solo parere della Conferenza Unificata», censura, questa, rispetto alla quale la ricordata sentenza n. 261 del 2017 della Corte costituzionale - come si ricorda nel ricorso - «non e' entrata nel merito». Di conseguenza, costituendo l'illegittimita' del decreto ministeriale impugnato l'oggetto del petitum del presente giudizio a quo, la risoluzione della questione di costituzionalita' relativa alla normativa primaria, sulla base della quale e' stato adottato il decreto ministeriale, e' presupposto necessario per la pronuncia definitiva di questo giudice. La questione non puo' peraltro, ad avviso del Collegio, ritenersi irrilevante in base alla tesi delle parti resistenti secondo la quale il principio di leale collaborazione sarebbe stato sostanzialmente rispettato dato che il decreto ministeriale in questione e' stato emanato al termine di una procedura di intesa, conclusa peraltro non con un effettivo accordo ma solo con la deliberazione del Consiglio dei Ministri, assunta ai sensi dell'art. 3, comma 3, del decreto legislativo n. 281 del 1997. Difatti, e' necessario distinguere la necessita' dell'intesa in sede di adozione del decreto ministeriale, prevista dalla normativa delegata e sul quale non vi e' censura di incostituzionalita', dall'omessa previsione legislativa dell'intesa, con riferimento all'emanazione del decreto legislativo sulla cui base e' stato poi adottato il decreto ministeriale attuativo. La legge-delega ha previsto, su quest'ultimo piano, l'acquisizione del mero parere della Conferenza unificata, e il vizio di tale previsione, nella parte in cui non si e' richiesta viceversa l'intesa, non e' stato sanato ne' legislativamente, ne' di fatto, essendo pacifico che il Governo non abbia neppure ricercato l'intesa con il sistema regionale ai fini dell'adozione del decreto legislativo n. 219 del 2016. Cio' ha comportato che la proposta di accorpamento di Unioncamere, di cui il decreto ministeriale impugnato e' attuazione, sia stata formulata sulla base di criteri legislativi contenuti nel decreto legislativo n. 219 del 2016 vincolanti, e come tali sottratti all'apprezzamento sia del proponente, sia, in particolare, delle autonomie regionali, quando queste ultime sono state coinvolte ai fini dell'intesa sul solo decreto ministeriale La partecipazione del sistema regionale all'elaborazione delle linee guida fondanti ai fini dell'accorpamento e' percio' del tutto mancata, con la conseguenza che la leale collaborazione ha potuto manifestarsi solo per la minima parte del decreto ministeriale non pregiudicata dai criteri normativi formulati dal decreto legislativo n. 219 del 2016. Parimenti, la questione non puo' essere considerata irrilevante in base alla tesi della resistente Unioncamere secondo cui la Camera di commercio ricorrente non avrebbe interesse a far valere il pur lamentato vizio costituzionale, trattandosi di «questioni che presentano come unico soggetto interessato a sollevare un'ipotetica qlc proprio la Regione» (cfr. la memoria di Unioncamere depositata il 25 maggio 2018, pag. 17). Al contrario, e' fermo parere del Collegio che la Camera di commercio ricorrente ha interesse a dedurre il prospettato vizio di costituzionalita' (che, in effetti, essa ha dedotto) proprio perche', all'esito di un'eventuale pronuncia di incostituzionalita', cadrebbe tutto il decreto legislativo delegato e, con esso, il censurato accorpamento tra Camere di commercio. Sulla non manifesta infondatezza della questione di costituzionalita'. 6. La Corte costituzionale, in giudizio avviato in via principale, con sentenza 13 dicembre 2017, n. 261, ha gia' dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 4, del decreto legislativo n. 219 del 2016. L'illegittimita' e' stata: dichiarata perche' l'art. 3, comma 4, cit. disponeva che il decreto ministeriale per il riordino delle Camere di commercio fosse emanato previa acquisizione del parere della Conferenza permanente Stato-Regioni, anziche' previa intesa con la stessa Conferenza, in violazione del principio di leale collaborazione tra Stato e Regioni. Veniva avanzato in tale sede anche il tema dell'illegittimita' della norma di delega (art. 10, comma 1, della legge n. 124 del 2015); tale questione veniva dichiarata inammissibile per tardivita' essendo superato il termine perentorio di sessanta giorni stabilito dall'art. 127, secondo comma, Cost. In assenza di termini per il giudizio incidentale di legittimita', questo Collegio, ritiene di dover riproporre la medesima questione, dichiarata inammissibile, in quanto non manifestamente infondata alla luce dell'orientamento assunto dalla giurisprudenza costituzionale (come indicato dalla stessa Corte costituzionale, con riferimento proprio all'argomento in oggetto, «i principi che consentono di dare corretta soluzione alla questione sono desumibili della sentenza n. 251 del 2016» cfr. punto 2.6.4 della sentenza n. 261 del 2017). Ritiene dunque il Collegio che le censure di incostituzionalita' possano rivolgersi sia alle disposizioni di delega che, per illegittimita' derivata, alla legislazione delegata. La giurisprudenza costituzionale ha infatti gia' ritenuto ammissibile l'impugnazione della norma di delega, allo scopo di censurare le modalita' di attuazione della leale collaborazione tra Stato e Regioni ed al fine di ottenere che il decreto delegato sia emanato previa intesa anziche' previo parere in sede di Conferenza (Corte Cost., sentenza n. 251 del 2016). Ricorrono poi i presupposti oggettivi per far valere il principio di leale collaborazione stante l'oggetto della riforma ordinamentale; che il riassetto generale della disciplina Camere di Commercio sia materia ripartita tra prerogative statali e regionali e' stato gia' chiaramente affermato dalla Corte costituzionale (sentenza n. 261 del 2017, punto 12.1.1), in quanto il catalogo dei compiti svolti da questi enti e' riconducibile a competenze sia esclusive dello Stato, sia concorrenti e residuali delle Regioni; in questo settore le competenze di ciascun soggetto appaiono inestricabilmente intrecciate. Risultano infatti numerosi i profili in cui la riforma statale tocca attribuzioni legislative regionali stante la competenza generale spettante alle Camere di Commercio e tenuto conto che le principali materie riferibili all'economia ed alle attivita' produttive (agricoltura, industria, artigianato, commercio, turismo) possono essere ascritte anche alla competenza regionale. Peraltro l'attivita' delle Camere di Commercio appare riconducibile alla nozione di «sviluppo economico», nozione che costituisce una espressione di sintesi che comprende e rinvia ad una pluralita' di materie attribuite ex art. 117 Cost. «sia alla competenza legislativa esclusiva dello Stato, sia a quella concorrente, sia a quella residuale» (sentenza Corte costituzionale n. 165 del 2007); ne deriva che, se pure l'esistenza di esigenze di carattere unitario legittima l'avocazione allo Stato della potesta' normativa per la disciplina degli enti camerali, resta ferma la necessita' del rispetto del principio di leale collaborazione, mediante lo strumento dell'intesa (cfr. sentenze Corte costituzionale n. 251 del 2016, n. 165 del 2007 e n. 214 del 2006). In tale prospettiva infatti quando il legislatore delegato intende riformare istituti ed enti che incidono su competenze statali e regionali, inestricabilmente connesse, sorge la necessita' del ricorso all'intesa tra Stato e autonomie (cfr. sentenza n. 251 del 2016, cit., punto 3). Ne deve essere tratta la conseguenza che - posto che l'attivita' delle Camere di commercio incide su molteplici competenze, alcune anche di attribuzione regionale ex art. 117 Cost. - la riforma legislativa doveva concretizzarsi «nel rispetto del prificipio di leale collaborazione, indispensabile in questo caso a guidare i rapporti tra lo Stato e il sistema delle autonomie» (cfr. sentenza n. 261 del 2017, cit., le cui argomentazioni nella medesima appaiono analogicamente applicabili alla questione sollevata). In ragione di cio' il modulo ordinario di espressione della leale collaborazione va identificato nell'intesa presso la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province «contraddistinta da una procedura che consenta lo svolgimento di genuine trattative e garantisca un reale coinvolgimento» (sent. n. 261 del 2017, cit.). In conclusione, stante la natura delle materie incise dalle disposizioni censurate, attenendo le stesse a competenze statali e regionali inestricabilmente connesse, la norma di delega (art. 10, comma 2, della legge n. 124 del 2015) avrebbe dovuto prevedere - come presupposto per l'esercizio della delega - l'intesa in sede di Conferenza Stato Regioni, istituto «cardine della leale collaborazione anche quando l'attuazione delle disposizioni dettate dal legislatore statale e' rimessa a decreti legislativi delegati, adottati dal Governo sulla base dell'art. 76 Cost. i quali «finiscono, infatti, con l'essere attratti nelle procedure di leale collaborazione, in vista del pieno rispetto del riparto costituzionale delle competenze» (sent. n. 251 del 2016, cit., dove si evidenzia che «il luogo idoneo di espressione della leale collaborazione e' stato correttamente individuato dalla norma nella Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano. Il modulo della stessa, tenuto conto delle competenze coinvolte, non puo' invece essere costituito dal parere, come stabilito dalla norma, ma va identificato nell'intesa»). L'illegittimita' della disposizione delegante (art. 10 della legge n. 124 del 2015) si ripercuote, in via immediata e derivata per le stesse ragioni ora evidenziate, sulla legittimita' costituzionale della norma delegata (art. 3 del decreto legislativo n. 219 del 2016) in forza della quale e' stato adottato il decreto ministeriale 16 febbraio 2018, oggetto del presente giudizio. Va, quindi, dichiarata rilevante e non manifestamente infondata la descritta questione di legittimita' costituzionale dell'art. 10 della legge 7 agosto 2015, n. 124, e dell'art. 3 del decreto legislativo 25 novembre 2016, n. 219, per violazione del principio di leale collaborazione nella funzione legislativa di cui agli artt. 5, 117, 120 Cost., poiche' prevedono che l'esercizio delegato della potesta' legislativa sia condotto all'esito di un procedimento nel quale l'interlocuzione fra Stato e Regioni si realizzi (e si e' realizzata) nella forma inadeguata del parere e non gia' attraverso l'intesa in sede di Conferenza-Stato Regioni. Cio' posto, il presente giudizio va sospeso e gli atti processuali trasmessi alla Corte costituzionale.