LA CORTE DEI CONTI 
            Sezione giurisdizionale per la Regione Lazio 
 
    Rappresentata dal cons. Anna Bombino, ha pronunciato la  seguente
ordinanza nel giudizio instaurato con il ricorso iscritto  al  numero
76959 del registro di segreteria; 
    Proposto da Minerva Vito, nato a Modugno (BA) il 7  maggio  1937,
residente in Roma, via dei Giordani n. 27, ricorrente in  proprio  ed
elettivamente  domiciliato  presso  la   segreteria   della   Sezione
giurisdizionale per la Regione Lazio; 
    Contro l'I.N.P.S., in persona del Presidente pro tempore  avverso
la riduzione del proprio trattamento pensionistico ex art.  1,  comma
261 della legge n. 145 del 2018. 
    Visto il ricorso e tutti i documenti di causa; 
    Uditi nella pubblica udienza del 9 ottobre 2019, con l'assistenza
del segretario dott.  Federica  Sperapani,  il  cons.  relatore  Anna
Bombino, l'avv. Sebastiano Caruso in rappresentanza dell'I.N.P.S.; 
 
                        Considerato in fatto 
 
    Parte attrice, ex magistrato della Corte dei  conti  cessato  dal
servizio in data 7  maggio  2012,  titolare  di  pensione  I.N.P.S. -
Gestione  ex  Inpdap,  ricorre  contro  l'Istituto  Nazionale   della
Previdenza Sociale - I.N.P.S., in persona del  legale  rappresentante
pro  tempore,  avverso  il  trattamento  pensionistico  attribuito  a
partire dal mese di gennaio 2019, nella parte in cui e'  assoggettato
al contributo di solidarieta' previsto dall'art. 1, comma 261,  della
legge n. 145 del 2018 per il riconoscimento del diritto  a  percepire
il trattamento  pensionistico  privo  delle  decurtazioni  introdotte
dall'art. 1, comma 261 della legge n.  145/2018  e  per  la  condanna
dell'Istituto Nazionale della Previdenza Sociale,  alla  restituzione
di quanto trattenuto per tale titolo, con rivalutazione monetaria  ed
interessi dal di di ciascuna trattenuta e rateo di pensione  sino  al
soddisfo e delle spese di giudizio; quanto sopra,  previa  occorrendo
rimessione degli atti alla Corte  costituzionale  per  l'esame  della
questione di costituzionalita': a) dei commi 261, 263 e 265 dell'art.
1 della legge n. 145/2018 per contrasto con gli articoli 3,  36,  38,
53 e 97 della Cost., nella parte in cui, nel quinquennio 2019-2023, i
trattamenti pensionistici corrisposti da enti  gestori  di  forme  di
previdenza  obbligatorie  complessivamente  superiori  a  quattordici
volte  il  trattamento  minimo  I.N.P.S.,  sono  assoggettati  ad  un
contributo di solidarieta' nelle percentuali ivi stabilite. 
    A   sostegno   della   dedotta   questione   di    illegittimita'
costituzionale della normativa de qua ha sostenuto: 
        «la legge non precisa le  specifiche  finalita'  cui  saranno
impiegate le somme prelevate, limitandosi a prevedere  al  comma  265
che presso l'I.N.P.S. e gli altri enti previdenziali interessati sono
istituiti appositi Fondi denominati «Fondo risparmio sui  trattamenti
di importo elevato»  in  cui  confluiscono  le  somme  prelevate  per
effetto dei commi da 261  a  263.  Le  somme  ivi  confluite  restano
accantonate»; 
        l'applicazione  di  tali  norme,   attraverso   l'illegittima
decurtazione  del  trattamento   pensionistico   in   godimento   del
sottoscritto, produce un  ingiustificato  incameramento  della  quota
parte di  retribuzione  versata,  e  quindi  la  lesione  di  diritti
quesiti, determinando un danno tanto piu' rilevante in relazione alla
durata del  servizio  effettivo  prestato  dal  1960  al  2012,  alla
carriera disciplinata dalla legge, nonche' al  trattamento  economico
apicale conseguito, con la qualifica di presidente aggiunto; 
        al sottoscritto, quindi, per la seconda volta ed  a  distanza
di pochi anni dal primo avvenuto negli anni 2014-16 (e per un periodo
maggiore - cinque anni - che in aggiunta ai tre anni fanno otto e per
di piu' con aliquote sensibilmente maggiorate) e'  stato  ridotto  il
trattamento pensionistico gia' maturato e in  godimento  (allorquando
ha maturato l'eta' di ottantatre anni superiore  alle  previsioni  di
vita media in cui maggiori sono le necessita' di assistenza e  tutela
sanitaria cui' far fronte con spese straordinarie)». 
    Ad avviso del ricorrente, le disposizioni impugnate si appalesano
in contrasto con il principio di tutela del legittimo  affidamento  e
della tutela previdenziale del  lavoratore  fissato  dall'Ordinamento
dell'Unione europea e dagli articoli 6 e 13 Convenzione  europea  per
la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali e
art. 1 del Primo Prot. Agg. Convenzione europea per  la  salvaguardia
dei diritti dell'uomo e delle liberta'  fondamentali;  violative  dei
limiti     ragionevolezza,     non     ripetitivita',     affidamento
proporzionalita' e tutela previdenziale  posti  dagli  art.  3  e  38
Cost., per cui si impone uno scrutinio di stretta  costituzionalita',
come affermato dal giudice delle legge nella  sentenza  n.  173/2016;
violative del principio di eguaglianza di cui  all'art.  3  Cost.  in
quanto la  decurtazione  e'  operata  in  maniera  discriminatoria  a
prescindere dall'eta', dalla  qualifica  e  sui  soli  percettori  di
reddito da  pensione,  e  tra  questi  sui  trattamenti  diretti  non
calcolati interamente  con  il  metodo  contributivo;  violative  del
principio di equita' e progressivita' in quanto la norma de  qua  non
tiene  conto  delle  diverse  anzianita'  di  servizio  e  qualifiche
conseguite  e   dell'ammontare   delle   ritenute   versate   facendo
riferimento   al   solo    ammontare    pensionistico    prescindendo
dall'anzianita' del servizio prestato e pertanto in contrasto con  lo
stesso principio  contributivo  che  connota  l'evoluzione  normativa
pensionistica; difatti, rileva il ricorrente, che il  legislatore  ha
esentato  dalla  decurtazione  pensionati  con  il  regime  calcolato
«interamente» con il metodo contributivo, ma non ha tenuto  conto  di
coloro che come l'interessato la pensione e' stata calcolata dal 1960
al 1992 con il metodo retributivo e per un ampio periodo (dal 1992 al
2012) con il metodo contributivo (dal 1992 al 2012), che nella specie
(venti anni) puo' risultare superiore a quello di  lavoratori  per  i
quali e' stata applicato interamente il metodo contributivo; 
    Deduce altresi' che: 
        il legislatore non ha operato un discrimine  nelle  posizioni
di coloro che hanno conseguito la pensione  attraverso  una  lunga  e
complessa carriera  disciplinata  dalla  legge  e  quelli  che  hanno
conseguito pensioni anche elevate in base a trattamenti  elargiti  da
enti pubblici, sulla base di inquadramenti favorevoli e  di  semplici
provvedimenti amministrativi in corrispondenza di rapporti  di  breve
durata; 
        la norma viola  anche  il  principio  del  buon  andamento  e
imparzialita' della pubblica amministrazione in quanto  incide  sulle
aspettative di dirigenti e funzionari  piu'  elevati  della  pubblica
amministrazione, con scelte discriminatorie e punitive,  e  dell'art.
53 Cost. in quanto altera il  criterio  dell'obbligo  di  «concorrere
alle spese pubbliche in ragione della capacita' contributiva»,  sulla
base  del  principio  della   progressivita'   da   applicarsi   alla
generalita' dei contribuenti; 
        il legislatore non ha salvaguardato coloro  ai  quali  l'ente
pensionistico ha prelevato i contributi anche dopo i quaranta anni di
servizio, periodo ritenuto  non  utile  ai  fini  del  calcolo  della
percentuale di pensione; 
        legislatore non indica le  finalita'  perequative  perseguite
con  le  nuove  norme  ma  si  e'  limitato  a  prevedere   un   mero
«accantonamento» delle somme prelevate forzosamente, perseguendo  una
scelta politica di penalizzare i pensionati anziche' ricorrere ad  un
serio contrasto dell'evasione fiscale; 
        non ha ravvisato condizioni di necessita'  e  urgenza  in  un
contesto di  aumento  delle  spese  correnti,  quali  il  reddito  di
cittadinanza e le modifiche alla legge Fornero. 
    A  sostegno  delle  sue  ragioni  il   ricorrente   richiama   le
motivazioni della sentenza della  Corte  costituzionale  n.  173/2016
secondo la quale la disposizione di cui al comma 486, art.  l,  legge
n. 147/2013 superava (al limite) lo scrutinio di costituzionalita' in
quanto  si  poneva  «come   misura   contingente,   straordinaria   e
temporalmente circoscritta». Invece la norma censurata  supera  detti
limiti in quanto reitera il prelievo a distanza  di  poco  tempo,  ne
allunga la durata e ne aggrava le percentuali. 
    Rileva altresi' che il giudice delle leggi ha  osservato  che  il
contributo sulle pensioni deve costituire una  misura  eccezionale  e
non puo' tradursi in  un  meccanismo  di  alimentazione  del  sistema
previdenziale, ne' le aliquote possono essere  eccessive  ma  debbono
rispettare  un  principio  di  prevedibilita',  ragionevolezza  della
misura e di proporzionalita'. 
    Alla luce delle osservazioni e considerazioni  sopra  esposte  il
ricorrente ha ritenuto quindi illegittima anche la  Circolare  n.  62
del 7 maggio 2019 con la quale l'I.N.P.S. ha impartito le  istruzioni
per l'applicazione della legge n. 145 del 2018. 
    Con memoria di costituzione e risposta,  l'I.N.P.S.,  premettendo
che le questioni sollevate dal ricorrente sono omologhe a quelle gia'
affrontate dal Giudice delle leggi con  riferimento  a  provvedimenti
limitativi della spesa pensionistica (richiama la  sentenza  250/2017
in materia di perequazione automatica), ha confermato la legittimita'
del proprio operato in ordine all'applicazione  della  disciplina  de
qua; con riferimento alla  dedotta  questione  di  illegittimita'  di
controparte ha eccepito  l'inammissibilita'  e  l'infondatezza  delle
questioni sollevate. 
    Relativamente all'art. 3 Cost. ha sottolineato la mancanza di  un
tertium comparationis; in ordine all'art. 38 Cost. ha  richiamato  la
consolidata  giurisprudenza  costituzionale  nella  direzione   della
discrezionalita'  spettante  al  Legislatore,  sulla   base   di   un
ragionevole bilanciamento dei  valori  costituzionali,  tenuto  conto
delle risorse attingibili e fatta salva  la  garanzia  irrinunciabile
delle esigenze minime di protezione della  persona  (Corte  cost.  n.
30/2004); le ragioni del  contenimento  della  spesa  pubblica  e  di
quella previdenziale, nella specie, rendono infondate le  ragioni  ex
adverso sostenute volte a censurare disposizioni che ad avviso  della
difesa dell'Istituto non concretizzano un vulnus ma  precludono  agli
interessati di ottenere un sistema previdenziale piu' vantaggioso; in
via principale, ha  concluso  per  il  rigetto  del  ricorso  perche'
infondato. Alla udienza del 9 ottobre 2019  la  difesa  dell'Istituto
insisteva  per  il  rigetto  del  ricorso,  previa  declaratoria   di
inammissibilita'   della   dedotta   questione   di    illegittimita'
costituzionale della normativa applicata al ricorrente. 
 
                         Ritenuto in diritto 
 
    1.  Come  emerge  dagli  atti  introduttivi  del   giudizio,   il
ricorrente  chiede  dichiararsi  il   diritto   alla   corresponsione
dell'intero trattamento di pensione, senza le decurtazioni introdotte
dal comma 261,  art.  1,  legge  30  dicembre  2018,  n.  145  e  dai
provvedimenti presupposti (Circolare I.N.P.S. n. 62  del  2019,)  con
condanna dell'Amministrazione alla restituzione di quanto trattenuto,
con conseguente rivalutazione monetaria e interessi,  dalla  data  di
ciascuna trattenuta al soddisfa e spese di giudizio. 
    Parte attrice lamenta in  sostanza  di  subire  ingiustamente  la
decurtazione del proprio trattamento di  pensione  (passata  da  euro
10.594,34  a  6.137,77)  dal  3  giugno  2019   per   effetto   delle
decurtazioni imposte dal comma 261, art. 1,  legge  145  del  2018  a
partire dal 1º gennaio 2019 e per la durata di cinque anni. 
    Detta normativa fa seguito a  quella  precedente  introdotta  dai
commi 483 e segg. della legge n. 147/2013  che  ha  previsto  analogo
meccanismo di decurtazioni dei trattamenti pensionistici  di  importo
superiore a euro 90.000,00 per il triennio 2014-16, ed  al  quale  e'
stato sottoposto l'odierno ricorrente, collocato a riposo  dal  2012.
Ad avviso del ricorrente, la  normativa  introdotta  dalla  legge  di
stabilita' 2019 si appalesa illegittima per violazione degli articoli
3, 36 e 38, 53 e 97 della Cost., nonche' 6 e 13  Convenzione  europea
per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo   e   delle   liberta'
fondamentali e art. 1 del Primo Prot. Agg. Convenzione europea per la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali. 
    Su tale richiesta questo giudice non puo' pronunciarsi se non con
riferimento alle norme intervenute dopo il collocamento a riposo  del
ricorrente e pertanto la eccezione di  illegittimita'  costituzionale
prospettata concernente  dette  norme,  risulta  rilevante  ai  sensi
dell'art. 23 secondo comma della legge costituzionale 11 marzo  1953,
n. 1. 
    Sembra inoltre a questa Corte  non  manifestamente  infondata  ai
sensi del predetto art. 23 , nei limiti della  deliberazione  di  sua
competenza, l'eccezione di violazione degli articoli 3,  36,  38,  53
della Costituzione per effetto dell'entrata in vigore dei commi 261 -
268 dell'art. l, legge n. 145/2018 (stabilita' 2019). 
    Difatti, le norme denunciate  (commi  da  261  a  268)  prevedono
decurtazioni    dei    trattamenti    pensionistici    di     importo
complessivamente superiore  a  100.000  euro  lordi  su  base  annua,
calcolate in base a cinque aliquote percentuali (15% -25%  -30%  -35%
-40%) in relazione ad altrettanti scaglioni di reddito (a partire  da
100.000 e oltre  a  500.000).  Sono  escluse  le  pensioni  liquidate
interamente con il sistema  contributivo.  Presso  l'I.N.P.S.  e  gli
altri enti previdenziali interessati sono  istituiti  appositi  fondi
denominati «Fondo risparmio sui trattamenti pensionistici di  importo
elevato » in cui confluiscono i risparmi derivati dai commi da 261  a
263. Le somme ivi confluite  restano  accantonate  (comma  265).  Nel
Fondo di cui al comma 265 affluiscono  le  risorse  rivenienti  dalla
riduzione di cui ai commi da 261 a  263,  accertate  sulla  base  del
procedimento di cui all'art. 14 della legge 7  agosto  1990,  n.  241
(comma 266). 
    Cio' posto, in relazione alle contestazioni del ricorrente, giova
richiamare   i   principi   affermati   e   ribaditi   dalla    Corte
costituzionale,  con  riferimento  agli  interventi  sui  trattamenti
pensionistici ai fini di rimodulazione  e  contenimento  della  spesa
previdenziale imponendo, come nel  caso  in  esame,  decurtazioni  di
carattere temporaneo ovvero bloccando temporaneamente  il  meccanismo
perequativo (Cost. n. 116/2013; n. 70/2015; n. 250/17). 
    Cosi come anche dalla sentenza n. 250/2017, emessa dalla Consulta
in  occasione  del  giudizio  sulla  costituzionalita'  dei   criteri
introdotti dal decreto-legge n. 65/2015, conv. in legge n.  109/2015,
per la perequazione delle pensioni,  si  evincono  diversi  principi,
rilevanti anche per il caso in  esame,  fra  cui:  la  necessita'  di
valutare l'entita' dell'onere imposto ai pensionati tenendo conto del
trattamento complessivo  in  loro  godimento,  con  il  limite  della
salvaguardia di  un  reddito  che  consenta  di  non  comprimerne  le
esigenze; la natura non tributaria delle misure, di mero risparmio di
spesa,  riguardanti  il  blocco  temporaneo  della  perequazione;  la
centralita' del principio di ragionevolezza, che deve essere  sotteso
alle scelte legislative, nel  bilanciamento  fra  il  rispetto  degli
articoli 3, 36, primo comma, e 38, secondo comma, della  Cost.  e  la
necessita' di contenimento della spesa in materia pensionistica,  nei
mutevoli contesti economici. 
    Per quanto qui di interesse occorre poi richiamare la sentenza n.
173/2016 della Corte costituzionale che ha, dichiarato l'infondatezza
delle questioni di legittimita'  costituzionale  dell'art.  1,  comma
486, della legge n. 147/2013  (legge  di  stabilita'  per  il  2014),
disciplinante il «contributo di solidarieta'» sulle pensioni  statali
oltre i 91.216,51 euro, che erano state sollevate. 
    Nello specifico, nei consideranda 11.1. la sentenza  n.  173/2016
ha affermato - «In linea di principio, il contributo di  solidarieta'
sulle pensioni puo' ritenersi misura consentita al legislatore ove la
stessa non ecceda i limiti entro i quali e' necessariamente costretta
in  forza  del  combinato   operare   dei   principi,   appunto,   di
ragionevolezza, di affidamento e della tutela previdenziale (articoli
3 e 38 Cost.), il cui rispetto e' oggetto di uno scrutinio  «stretto»
di  costituzionalita',  che  impone  un   grado   di   ragionevolezza
complessiva ben piu' elevato di quello che,  di  norma,  e'  affidato
alla mancanza di arbitrarieta'. 
    In tale prospettiva, e' indispensabile che la legge  assicuri  il
rispetto  di  alcune  condizioni,  atte  a  configurare  l'intervento
ablativo  come   sicuramente   ragionevole,   non   imprevedibile   e
sostenibile.  Il  contributo,  dunque,   deve   operare   all'interno
dell'ordinamento previdenziale, come misura di solidarieta'  «forte»,
mirata  a  puntellare  il  sistema  pensionistico,  e   di   sostegno
previdenziale ai  piu'  deboli,  anche  in  un'ottica  di  mutualita'
intergenerazionale, siccome imposta da una situazione di grave  crisi
del sistema stesso, indotta da vari fattori - endogeni ed esogeni (il
piu'   delle   volte   tra   loro   intrecciati:   crisi    economica
internazionale, impatto  sulla  economia  nazionale,  disoccupazione,
mancata  alimentazione  della  previdenza,  riforme  strutturali  del
sistema  pensionistico)  -  che  devono  essere  oggetto  di  attenta
ponderazione  da  parte  del  legislatore,  in  modo   da   conferire
all'intervento quella incontestabile ragionevolezza, a  fronte  della
quale soltanto puo' consentirsi di derogare (in termini  accettabili)
al principio di affidamento in ordine al mantenimento del trattamento
pensionistico gia' maturato (sentenze n. 69  del  2014,  n.  166  del
2012, n. 302 del 2010, n. 446 del 2002, ex plurimis).  L'effettivita'
delle  condizioni  di  crisi  del  sistema  previdenziale   consente,
appunto, di salvaguardare anche il principio dell'affidamento,  nella
misura in  cui  il  prelievo  non  risulti  sganciato  dalla  realta'
economico-sociale, di  cui  i  pensionati  stessi  sono  partecipi  e
consapevoli. 
    Anche in un  contesto  siffatto,  un  contributo  sulle  pensioni
costituisce, pero', una misura del tutto eccezionale, nel  senso  che
non  puo'  essere  ripetitivo  e  tradursi  in  un   meccanismo   di'
alimentazione del sistema di previdenza. 
    Il prelievo, per essere solidale e ragionevole, e non  infrangere
la garanzia  costituzionale  dell'art.  38  Cost.  (agganciata  anche
all'art. 36 Cost.,  ma  non  in  modo  indefettibile  e  strettamente
proporzionale: 
        sentenza n. 116 del 2010), non puo', altresi',  che  incidere
sulle «pensioni piu' elevate»;  parametro,  questo,  da  misurare  in
rapporto  al  «nucleo   essenziale»   di   protezione   previdenziale
assicurata dalla Costituzione, ossia la «pensione  minima».  Inoltre,
l'incidenza sulle pensioni (ancorche')  «piu'  elevate»  deve  essere
contenuta  in  limiti  di  sostenibilita'  e  non  superare   livelli
apprezzabili: per cui, le aliquote di  prelievo  non  possono  essere
eccessive e devono rispettare il principio di  proporzionalita',  che
e' esso stesso criterio, in se', di ragionevolezza della  misura.  In
definitiva, il contributo di solidarieta', per superare lo  scrutinio
«stretto»  di  costituzionalita',  e  palesarsi  dunque  come  misura
improntata effettivamente alla solidarieta' previdenziale «articoli 2
e 38 Cost.), deve: operare all'interno del complessivo sistema  della
previdenza; essere  imposto  dalla  crisi  contingente  e  grave  del
predetto sistema; incidere sulle pensioni piu' elevate  (in  rapporto
alle  pensioni  minime);  presentarsi  come   prelievo   sostenibile;
rispettare  il  principio  di   proporzionalita';   essere   comunque
utilizzato come misura una tantum....». 
    La Corte ha ammesso quindi la  costituzionalita'  del  richiamato
contributo, escludendone la natura tributaria e ritenendolo legittimo
nel  configurarsi  come   misura   improntata   effettivamente   alla
solidarieta' previdenziale (oltre che intergenerazionale) (articoli 2
e 38  Cost.)  a  condizione  che:  si  tratti  di  un  contributo  di
solidarieta' interno al sistema previdenziale,  giustificato  in  via
del tutto eccezionale dalla crisi contingente  e  grave  del  sistema
stesso, incidente sulle  pensioni  piu'  elevate  (in  rapporto  alle
pensioni minime); si presenti come prelievo sostenibile; rispetti  il
principio di proporzionalita'; sia comunque  utilizzato  come  misura
una tantum. 
    Tali condizioni si  appalesano  non  rispettate  nella  legge  di
stabilita' per l'anno 2019, con riferimento  alla  norma  in  oggetto
sotto plurimi profili: 
        il prelievo e' applicato in percentuali  elevate  (15%,  25%,
30%, 35%, 40%) rispetto alle  percentuali  inferiori  del  precedente
contributo di solidarieta' (6%,1295,18%); 
        il contributo e' reiterato a  breve  distanza  temporale  del
contributo gia' introdotto fino al 2016 (durata  triennale)  di  piu'
ampia durata (cinque anni); 
        si appalesa una chiara disparita' di trattamento fra  i  vari
tipi di pensioni (ad esempio non e' pagato  da  alcune  categorie  di
professionisti (es. Notai), ma e' pagato dai dirigenti di  azienda  a
carico dell'INPS); 
        e' destinato ad un Fondo all'interno dell'INPS di cui non  e'
chiara la finalita',  e  sembra  avere  piu'  natura  tributaria  che
interna al «circuito endoprevidenziale»; 
        si  presenta  in  violazione  dell'art.  l   del   Protocollo
aggiuntivo alla Convenzione europea sui Diritti dell'Uomo. 
        non tiene conto delle ricadute  sulle  pensioni  miste  (come
quella del ricorrente) laddove il sistema contributivo copre un lungo
periodo di servizio complessivo reso  dal  dipendente  (20  anni  nel
caso); 
        vi e' una completa assenza di individuazione delle  finalita'
perseguite dal legislatore come si evince dal tenore dei citati commi
che dispongono:  «I  risparmi  derivanti  dalle  riduzioni  in  esame
confluiscono in  appositi  fondi  presso  l'INPS  e  gli  altri  enti
previdenziali interessati (denominati Fondo risparmio sui trattamenti
pensionistici di importo elevato), dove rimangono accantonati  (comma
265). Le determinazioni relative alle somme  da  destinare  ai  fondi
suddetti sono operate  mediante  la  procedura  della  Conferenza  di
servizi (comma 266),  sulla  base  del  principio  che,  in  caso  di
pluralita' di  trattamenti  di  cui  sia  titolare  il  soggetto,  la
riduzione viene ripartita tra i medesimi in  proporzione  all'importo
di ciascuno di essi (comma 263). 
    Nella relazione della Camera dei deputati, al progetto  di  legge
di stabilita' 2019, con riferimento allo strumento  della  conferenza
di servizi disciplinato dall'art. 14 e segg. e seguenti  della  legge
n. 241/1990 si suggerisce all'esecutivo  di  chiarire  in  modo  piu'
puntuale  le  modalita'  di  funzionamento  dello   strumento   della
conferenza di servizi in relazione alla fattispecie in esame. Mancano
infatti indicazioni certe in ordine alle  destinazioni  finali  degli
«accantonamenti» dei prelievi effettuati sulle  pensioni  (nonche'  i
soggetti attori delle conferenze), e cio' costituisce palese elusione
di  quei  criteri  e  fini  (e  limiti)   individuati   dalla   Corte
costituzionale cui debbono sottostare  gli  interventi  (frequenti  e
anche drastici) effettuati sui trattamenti di pensione che da  misura
«una tantum» rischiano di divenire strumenti di «sistema» in luogo di
opzioni percorsi o scelte alternative di politica economica (spending
review, lotta all'evasione...). 
    Orbene per effetto di tali decurtazioni (di importo e  di  durata
maggiori rispetto a quanto gia' previsto dal precedente contributo di
solidarieta' ritenuto legittimo dalla Corte  costituzionale),  si  e'
venuta a verificare una irrazionale discriminazione tra  soggetti  il
cui trattamento pensionistico e' stato calcolato interamente  con  il
sistema retributivo o  misto  rispetto  a  quelli  soggetti  al  solo
sistema contributivo, esclusi dal contributo di  solidarieta',  senza
tener  conto  delle  diverse  anzianita'  di  servizio  e  qualifiche
conseguite  e  dell'ammontare   delle   ritenute   versate,   facendo
riferimento  sic  et  sempliciter   all'ammontare   del   trattamento
pensionistico annuo lordo, prescindendo dall'anzianita'  di  servizio
effettivo  prestato.  Inoltre  non  sono  ravvisabili  condizioni  di
necessita' e urgenza che diversamente dagli anni  precedenti  possano
giustificare l'adozione di tale misura per la durata  di  ben  cinque
anni, tenuto conto che la misura de qua  riguarda  soggetti  di  eta'
avanzata (come nel caso) cui  viene  sottratto  parte  rilevante  del
reddito maturato dopo una lunga carriera  frustrando  cosi'  le  loro
legittime aspettative di un tenore di vita dignitoso in  cui  avevano
riposto affidamento durante la loro attivita' lavorativa. 
    Sembra pertanto a questo giudice che  le  disposizioni  normative
sopra citate, avendo reiterato  a  distanza  di  pochi  anni,  misure
peggiorative dei trattamenti pensionistici ordinari, con applicazioni
di percentuali superiori a quelli precedenti e su ampi  scaglioni  di
reddito,  di  maggiore  durata,  abbiano  violato   i   principi   di
uguaglianza, di cui all'art. 3  Costituzione  e  (forse  ancor  piu')
quelli di proporzionalita' e adeguatezza alle esigenze vitali di  cui
agli articoli 36 e 38. 
    Tutto  quanto  sopra  premesso,  e  ritenuto,   in   applicazione
dell'art. 23 della legge costituzionale n.  87/1953,  riservata  ogni
altra  decisione  all'esito   del   giudizio   innanzi   alla   Corte
costituzionale, il  G.U.  solleva  l'incidente  di  costituzionalita'
dell'art. 1,  commi  261  e  segg.  della  legge  n.   145/2018   con
riferimento agli articoli 2, 3, 36, 38, 53 e  97  della  Costituzione
per le ragioni che precedono, con rimessione degli  atti  alla  Corte
costituzionale. 
    Visti gli articoli 134 e 37  Costituzione,  art.  1  della  legge
costituzionale 9 febbraio 1948 n. 1; legge 11 marzo 1953, n. 87;