Ricorso  (art.  127,  comma  1,  cost.)  per  il  Presidente  del
Consiglio  dei   ministri   in   carica,   rappresentato   e   difeso
dall'Avvocatura Generale dello Stato (codice fiscale: 80224030587; n.
fax 06/96514000 ed indirizzo P.E.C. per  il  ricevimento  degli  atti
ags.rm@mailcert.avvocaturastato.it e presso la stessa domiciliato  in
Roma alla via dei Portoghesi n. 12, giusta delibera del Consiglio dei
Ministri adottata nella riunione del 22 luglio 2020; 
    Contro la Regione Liguria, in persona del Presidente della Giunta
Regionale in carica; 
    per  la  declaratoria  dell'illegittimita'  costituzionale  degli
articoli 2, comma 1, 6 e 9 della legge della Regione Liguria  del  19
maggio 2020, n. 9, pubblicata nel  BUR  n.  4  del  27  maggio  2020,
recante «Disposizioni di adeguamento della normativa regionale»; 
    per violazione degli articoli 9, 117, comma 2, lett.  l),  m)  ed
s), e comma 6, e art. 97 Cost. 
    Con legge regionale n. 9 del 19 maggio 2020, pubblicata  nel  BUR
n. 4 del 27 maggio 2020, la Regione Liguria ha emanato  «Disposizioni
di adeguamento della normativa regionale». 
    In particolare, l'art. 2, comma 1, ha modificato l'art. 29, comma
13, della legge regionale n. 29 del 1994 contenente «Norme in materia
di protezione della fauna omeoterma  e  di  prelievo  venatorio».  Il
citato  art.  29,  rubricato  «esercizio  venatorio  da  appostamento
fisso», dispone al comma 13 che: «Anche gli  appostamenti  realizzati
con il consenso del proprietario o conduttore del  fondo,  costituiti
da attrezzature smontabili o da ripari di fortuna che non  comportino
modificazione del sito, ivi compresi i  cosiddetti  «palchi»  per  la
caccia  in  forma  tradizionale  al  colombaccio,  sono   considerati
temporanei. Il cacciatore deve rimuovere il materiale  usato  per  la
costruzione  dell'appostamento,  al  venir  meno  del  consenso   del
proprietario  o  conduttore   del   fondo».   L'art.   2,   comma   1
dell'impugnata l.r. vi ha aggiunto le parole: «il consenso si intende
validamente accordato nel caso in cui non esiste un formale diniego». 
    L'art.  6  ha  modificato  la  legge  regionale  n.  4  del  1999
contenente «Norme in materia di foreste e di assetto  idrogeologico»,
introducendo all'art. 35, comma 4, dopo la  lettera  j),  le  lettere
seguenti: «j-bis) la  posa  e  installazione  di  recinzioni  per  la
protezione dei terreni agricoli, sia di privati che  dei  coltivatori
diretti, dai danni della fauna  selvatica  non  costituenti  aree  di
fondo chiuso; j-ter) la pulizia  dei  canali  di  scolo  dei  terreni
agricoli e a lato delle strade interpoderali, sia  di  proprieta'  di
privati  che  di  coltivatori  diretti  qualora  non  ricompresi  nel
reticolo idrografico regionale; j-quater) la realizzazione di  canali
di scolo e rampe ex novo per volumi di  scalo  inferiori  ai  20  mc;
j-quinquies) ogni attivita' agricola che comporti movimenti di  terra
inferiori ai 20 mc; j-sexies) le  opere  provvisionali  di  messa  in
sicurezza  e  necessarie  al  transito  e  all'accesso  delle  strade
pubbliche e private per frane e smottamenti». 
    L'art. 9 modifica la legge regionale  n.  35  del  2006,  recante
«Attuazione dell'art. 9 della Direttiva Comunitaria n. 79/409  del  2
aprile 1979 sulla conservazione degli uccelli  selvatici.  Misure  di
salvaguardia per le Zone  di  protezione  speciale»,  sostituendo  la
lettera a) del comma 1 dell'art. 7 con  la  seguente:  «a)  esercizio
dell'attivita' venatoria nel mese di gennaio, con  l'eccezione  della
caccia da appostamento fisso e temporaneo e in forma vagante, nonche'
della caccia agli ungulati, per due giornate settimanali a scelta del
cacciatore». 
    Le suddette disposizioni appaiono costituzionalmente illegittime,
in  quanto  contrastano  con  la  legislazione  emanata  dallo  Stato
nell'esercizio della propria competenza  in  materia  di  tutela  del
paesaggio, di  ordinamento  civile,  di  determinazione  dei  livelli
essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili  e  sociali
che devono essere garantiti su tutto il territorio  nazionale,  e  di
tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali ,  nonche'
di buon andamento dell'amministrazione di cui agli articoli  9,  117,
comma 2, lett. l), m), s) e comma 6, e art. 97, della Costituzione. 
    Il Presidente del Consiglio  dei  ministri  propone  pertanto  il
presente ricorso, affidato ai seguenti motivi di 
 
                               Diritto 
 
1. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 1,  della  l.r.
Liguria del 19 maggio 2020, n. 9, per  violazione  dell'art.  117,  2
comma, lett. l) cost., in relazione all'art. 832 del codice civile. 
    L'art. 2, comma 1, dell'impugnata legge regionale modifica l'art.
29 della l.r. n 29 del  1994,  concernente  «Esercizio  venatorio  da
appostamento». Tale norma definisce gli appostamenti fissi e, in  via
residuale quelli temporanei, stabilendo, al comma 13 che i cacciatori
che si sono avvalsi di appostamenti temporanei  devono  rimuovere  il
materiale  usato  per  la  costruzione  dell'appostamento,  salvo  il
consenso del proprietario o conduttore del fondo. 
    Con la modifica  apportata  dalla  disposizione  in  esame  viene
stabilito che «il consenso si intende validamente accordato nel  caso
in cui non esiste un formale diniego». Tale previsione, che non trova
riscontro nella disciplina del prelievo venatorio di cui  alla  legge
quadro n. 157/1992, incide sul regime della  proprieta'  privata,  la
cui  disciplina  rientra  nella  materia   dell'ordinamento   civile,
regolata organicamente dal Libro III del codice civile, di competenza
esclusiva dello Stato, ai sensi dell'art. 117,  2  comma,  lett.  l),
cost. 
    L'impugnata disposizione, che consente ai cacciatori di mantenere
sul  fondo  altrui  il  materiale  utilizzato  per   la   costruzione
dell'appostamento, ai fini  della  caccia,  anche  oltre  il  termine
massimo della giornata, se il proprietario dei  fondo  non  manifesta
espressamente  il  suo  dissenso,  incide  infatti   sulle   facolta'
dominicali proprie del diritto di proprieta' garantite dall'art.  832
del codice civile, secondo cui «Il proprietario ha diritto di  godere
e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo, entro  i  limiti  e
con   l'osservanza   degli   obblighi   stabiliti    dall'ordinamento
giuridico». Si  viola  quindi  la  competenza  esclusiva  statale  in
materia di ordinamento civile di cui all'art. 117, comma  2,  lettera
l), della Costituzione, che non consente di ritenere che l'assenza di
un  formale  diniego  da   parte   del   proprietario   implichi   la
manifestazione di un consenso alla alterazione del proprio diritto di
proprieta'.  Invero,   non   possono   ritenersi   applicabili   alla
fattispecie le regole proprie del diritto amministrativo  riguardanti
il silenzio-assenso, che sono finalizzate a superare l'inerzia  della
Pubblica Amministrazione a fronte di una istanza provvedimentale, ne'
si possono vanificare gli strumenti di tutela sia civili  che  penali
che sono assicurati dall'ordinamento al proprietario ed al conduttore
a difesa dei propri diritti. 
2. - Illegittimita' dell'art. 6 della  l.r.  Liguria  del  19  maggio
2020, n. 9, per violazione degli articoli 9, 117, comma 2, lett. s) e
m), e comma 6, Cost.: in relazione agli articoli 142, 146 e  149  del
decreto legislativo n. 42/2004, nonche' all'art. 2 e all'allegato  A,
voci A.19 e A.20, del decreto del Presidente della Repubblica  n.  31
del 2017. 
  2.1. La disposizione di cui all'art. 6, modifica  l'art.  35  della
legge regionale 22 gennaio 1999, n. 4, in materia  di  foreste  e  di
assetto idrogeologico, introducendo, nel comma 4, ulteriori categorie
di opere «non  soggette  ad  alcun  titolo  abilitativo»,  diverse  e
ulteriori rispetto  a  quelle  indicate  nell'art.  149  del  decreto
legislativo n. 42/2004 e nell'allegato A del decreto  del  Presidente
della Repubblica 13 febbraio 2017, n. 31, che approva il «Regolamento
recante individuazione degli interventi  esclusi  dall'autorizzazione
paesaggistica o sottoposta a procedura autorizzatoria  semplificata».
L'art. 149, comma 1, lettere b) ed e), del Codice di beni culturali e
del paesaggio, esonera dall'autorizzazione  paesaggistica  unicamente
gli interventi inerenti  l'attivita'  agro-silvo-pastorale,  che  non
comportino alterazioni  permanenti  dello  stato  dei  luoghi  e  non
alterino l'assetto idrogeologico del territorio, e gli interventi  di
taglio   colturale,   forestazione   e   riforestazione,    bonifica,
antincendio e conservazione, previsti  e  autorizzati  in  base  alla
normativa forestale. Tali disposizioni e le  voci  A.19  e  A.20  del
decreto del Presidente della Repubblica n. 31  del  2017  formano  un
sistema chiuso, in quanto definiscono in modo compiuto  ed  esaustivo
il    novero     degli     interventi,     inerenti     all'attivita'
agro-silvo-pastorale   e   forestale,   esclusi   dall'autorizzazione
paesaggistica. 
    L'individuazione  degli  interventi  esclusi  dall'autorizzazione
paesaggistica compete, peraltro, soltanto allo Stato,  nell'esercizio
della  potesta'  legislativa  esclusiva  in  materia  di  tutela  del
paesaggio, di cui all'art. 117,  secondo  comma,  lettera  s),  della
Costituzione, nonche' della  potesta'  regolamentare  riservata  allo
Stato nella medesima materia, ai sensi dell'art.  117,  sesto  comma,
della Costituzione. Peraltro, lo Stato ha gia' assicurato  la  dovuta
considerazione alle esigenze di partecipazione delle Regioni e  delle
autonomie  locali  nella  definizione  degli   interventi   sottratti
all'autorizzazione paesaggistica, atteso che il regolamento approvato
con il decreto del Presidente della Repubblica n.  31  del  2017,  e'
stato concertato previamente mediante acquisizione dell'intesa  della
Conferenza unificata. 
    La disposizione censurata interviene quindi in una materia  nella
quale la Regione e' sfornita di  qualsivoglia  potesta'  legislativa,
individuando, in aggiunta alle fattispecie gia' tipizzate  a  livello
nazionale, ulteriori  interventi  su  terreni  coperti  da  boschi  e
foreste - ossia in ambiti soggetti a vincolo paesaggistico  ai  sensi
dell'art. 142, comma 1, lettera g), del decreto  legislativo.  n.  42
del  2004  -  che  possono  essere  realizzati  senza  alcun   titolo
abilitativo,  e   quindi   in   assenza   anche   dell'autorizzazione
paesaggistica, prevista dall'art. 146 del medesimo codice. 
    Il legislatore regionale ha cosi' invaso la potesta'  legislativa
esclusiva dello Stato in materia  di  tutela  del  paesaggio  di  cui
all'art. 117, secondo comma, lett. s),  della  Costituzione,  nonche'
gli ambiti riservati alla  potesta'  regolamentare  dello  Stato,  ai
sensi del sesto comma del medesimo art. 117. 
    A tal riguardo, codesta Corte costituzionale ha statuito che  «La
procedura  di   autorizzazione   paesaggistica   disciplinata   dalla
normativa statale, non derogabile da parte delle Regione, e' volta  a
stabilire proprio se  un  determinato  intervento  abbia  o  meno  un
impatto paesaggistico significativo», e  che  la  qualificazione,  da
parte della regione, di  taluni  interventi  come  paesaggisticamente
irrilevanti «si pone, dunque, in contrasto  con  il  richiamato  art.
146, oltre che con l'art. 149 del medesimo Codice dei beni  culturali
e  del  paesaggio,  che  individua  tassativamente  le  tipologie  di
interventi  in  aree  vincolate  realizzabili  anche  in  assenza  di
autorizzazione paesaggistica» (Corte cost. n. 189 del 2016). Anche  a
voler ammettere astrattamente una qualche possibilita' della  Regione
di intervenire nella materia riservata allo  Stato,  tale  intervento
dovrebbe limitarsi a  recepire  fedelmente  le  disposizioni  statali
vigenti, peraltro concertate con  le  Regioni.  Come  evidenziato  da
codesta Corte costituzionale, infatti, solo le disposizioni regionali
che  rispettano  il  contenuto  della  disciplina   statale   possono
considerarsi non affette da  illegittimita'  costituzionale,  poiche'
spetta  esclusivamente  al  legislatore  statale  individuare  quegli
interventi che, pur incidendo su beni vincolati, quali sono i  boschi
e le foreste, sono esonerati  dall'autorizzazione  paesaggistica,  in
quanto si configurano  come  attivita'  di  gestione  e  manutenzione
ordinaria, prevista e autorizzata dalla normativa vigente in  materia
(Corte cost., sentenza n. 201 del 2018).  Codesta  Corte  ha  inoltre
evidenziato che, anche nel caso in cui  le  competenze  regionali  in
materia di difesa del suolo possono rendere opportuni taluni esoneri,
gli stessi  devono  essere  realizzati  sulla  base  della  normativa
statale, ribadendo l'illegittimita' di norme regionali  che  ampliano
la  portata  della  disciplina  nazionale,  sia  quanto  al  tipo  di
interventi  esonerati,  sia  quanto  alle   condizioni   che   devono
sussistere per l'esonero (sentenza n. 88 del 2018). 
  2.2. L'art. 6 dell'impugnata legge regionale e' inoltre censurabile
in quanto incide sulla determinazione dei  livelli  essenziali  delle
prestazioni, che e' materia riservata allo Stato ai  sensi  dell'art.
117,  secondo  comma,  lett.  m),  della  Costituzione.   Come   gia'
evidenziato da codesta Corte costituzionale con le  sentenze  n.  207
del 2012 e  n.  238  del  2013,  le  esigenze  di  uniformita'  della
disciplina in  tema  di  autorizzazione  paesaggistica  su  tutto  il
territorio nazionale si impongono infatti sull'autonomia  legislativa
delle Regioni, alle quali  non  e'  pertanto  consentito  individuare
altre  tipologie   di   interventi   realizzabili   in   assenza   di
autorizzazione paesaggistica, al di fuori  di  quelli  tassativamente
determinati ai sensi della normativa sopra richiamata. 
    2.3. La norma impugnata viola anche l'art. 9 della  Costituzione,
in base al  quale  il  paesaggio  costituisce  valore  costituzionale
primario e assoluto (Corte cost., sentenza n. 378 del 2007). Infatti,
la Regione, ampliando  gli  interventi  sottratti  all'autorizzazione
paesaggistica, ha determinato l'abbassamento dei  livelli  di  tutela
posti a presidio dei beni paesaggistici. 
3. - Illegittimita' dell'art. 9, della l.r.  Liguria  del  19  maggio
2020, n. 9, per violazione degli articoli 117, comma 2, lett.  s),  e
97 Cost., in riferimento all'art. 18, commi 2 e  4,  della  legge  n.
157/1992 e all'art. 5, comma 1, lettera a), del decreto  ministeriale
17 ottobre 2007. 
    La disposizione di cui all'art. 9  modifica  la  lettera  a)  del
comma 1 dell'art. 7 della legge regionale, concernente le  misure  di
salvaguardia in ambito venatorio nelle Zone  di  Protezione  Speciale
(ZP5).  La  norma  novellata  vieta,  tra  l'altro,  nelle  Zone   di
Protezione Speciale, «l'esercizio dell'attivita' venatoria  nel  mese
di gennaio, con l'eccezione della  caccia  da  appostamento  fisso  e
temporaneo e in forma vagante, nonche' della  caccia  agli  ungulati,
per  due  giornate  settimanali  a   scelta   del   cacciatore».   La
disposizione consente  quindi  l'effettuazione  di  due  giornate  di
caccia a scelta del cacciatore (da appostamento fisso e temporaneo  e
in forma vagante, nonche' la caccia degli ungulati) all'interno delle
zone di protezione speciale nel mese di  gennaio,  in  contrasto  con
quanto previsto  dall'art.  5,  comma  1,  lettera  a),  del  decreto
ministeriale 17 ottobre 2007, che  vieta  l'esercizio  dell'attivita'
venatoria nel mese di gennaio, consentendolo solo  per  due  giornate
alla settimana  prefissate  dal  calendario  venatorio,  disciplinato
dall'art. 18, comma 4, della legge n. 157 del 1992, e non, quindi,  a
scelta del  cacciatore.  La  scelta,  rimessa  ai  cacciatori,  delle
giornate  in  cui  l'attivita'  venatoria  puo'  essere   esercitata,
rappresenta una  modifica  indiretta  e  surrettizia  del  calendario
venatorio previsto dall'art. 18, comma 4, della legge n. 157/1992 che
costituisce norma interposta nella  materia  tutela  dell'ambiente  e
dell'ecosistema, attribuita dall'art. 117, comma 2, lettera s), della
Costituzione, alla competenza esclusiva dello Stato. Nell'ordinamento
italiano la vigente normativa in materia di  protezione  della  fauna
selvatica e di prelievo venatorio e' contenuta nella  suddetta  legge
quadro 11 febbraio 1992, n. 157, concernente «Norme per la protezione
della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio»,  che  -
secondo la giurisprudenza di codesta Corte costituzionale - contiene,
ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera s),  Costituzione,  il
nucleo minimo di salvaguardia della fauna selvatica, il cui  rispetto
deve  essere  assicurato  sull'intero  territorio  nazionale   (Corte
costituzionale n. 233/2010). 
    Secondo  principi  costantemente  affermati  da  codesta   Corte,
«spetta  allo  Stato,  nell'esercizio  della   potesta'   legislativa
esclusiva in  materia  di  tutela  dell'ambiente  e  dell'ecosistema,
prevista dall'art. 117,  secondo  comma,  lettera  s),  Costituzione,
stabilire standard minimi e uniformi di tutela della  fauna,  ponendo
regole che possono essere modificate  dalle  Regioni,  nell'esercizio
della loro potesta' legislativa in materia di caccia,  esclusivamente
nella  direzione  dell'innalzamento  del  livello  di   tutela»   (ex
plurimis, sentenze n. 303 del 2103, n. 278, n. 116, n. 106 del 2012).
E' stato altresi' affermato che la disciplina  sulla  caccia  ha  per
oggetto la fauna selvatica, che rappresenta «un  bene  ambientale  di
notevole  rilievo,  la  cui  tutela  rientra  nella  materia  "tutela
dell'ambiente   e   dell'ecosistema",   affidata   alla    competenza
legislativa esclusiva dello Stato, che deve  provvedervi  assicurando
un livello di tutela, non "minimo", ma "adeguato e  non  riducibile"»
(Corte costituzionale, sentenza n. 193 del 2010). 
    Da cio' consegue che le norme  statali  rappresentano  un  limite
invalicabile per  l'attivita'  legislativa  della  Regione,  dettando
norme imperative che devono essere rispettate sull'intero  territorio
nazionale per primarie esigenze di tutela ambientale. Invero, sebbene
la caccia costituisce materia affidata  alla  competenza  legislativa
residuale  della  Regione  ai  sensi  dell'art.  117,  quarto  comma,
Costituzione, e' tuttavia necessario che  la  legislazione  regionale
rispetti  la  normativa  statale   adottata   in   tema   di   tutela
dell'ambiente e dell'ecosistema, che esprime regole minime e uniformi
(ex plurimis, Corte costituzionale, sentenze n. 2 del  2015,  n.  278
del 2012, n. 151 del 2011 e n. 315 del 2010)  e  costituiscono  (come
nel caso della legge 11 febbraio 1992, n. 157, recante «Norme per  la
protezione  della  fauna  selvatica  omeoterma  e  per  il   prelievo
venatorio»),  il  nucleo  minimo  di  salvaguardia  che  deve  essere
assicurato sull'intero territorio nazionale (Corte costituzionale  n.
233/2010). 
    In tale contesto, l'art. 18, comma 2, della  legge  n.  157/1992,
espressivo della competenza  di  cui  all'art.  117,  secondo  comma,
lettera  s),  Costituzione,  stabilisce  che   le   regioni   possono
modificare il calendario venatorio, con riferimento all'elenco  delle
specie cacciabili e al  periodo  in  cui  e'  consentita  la  caccia,
attraverso un procedimento che contempla  l'acquisizione  del  parere
dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica (nelle cui  competenze
oggi e' subentrato  l'Istituto  superiore  per  la  protezione  e  la
ricerca  ambientale  (ISPRA).  Lo  stesso  art.  18  della  legge  n.
157/1992, al relativo comma 4, nella parte  in  cui  dispone  che  il
calendario  venatorio  sia  approvato   con   regolamento   «esprime,
altresi', una scelta compiuta dal  legislatore  statale  che  attiene
alle modalita' di protezione della fauna e  si  ricollega,  per  tale
ragione, alla competenza esclusiva dello Stato in materia  di  tutela
dell'ambiente e dell'ecosistema» (cfr. Corte costituzionale  sentenza
n. 536/2002; in seguito, con  riferimento  alla  stagione  venatoria,
sentenze n. 165/2009, 313/2006, 393/2005, 311/2003 e 226/2003). 
    Alla luce delle suesposte considerazioni e del  quadro  normativo
eurounitario e statale in cui  si  colloca  la  tutela  delle  specie
oggetto della disposizione censurata, la norma regionale si  pone  in
contrasto  con  il  secondo  comma,   lettera   s),   dell'art.   117
Costituzionale, poiche' tende a ridurre in peius il livello di tutela
della fauna selvatica stabilito dalla legislazione nazionale e  dalle
direttive comunitarie in materia (direttiva 92/43/CEE c.d. «Direttiva
habitat» e direttiva n. 74/409/CEE c.d. Direttiva Uccelli), invadendo
illegittimamente la competenza legislativa esclusiva dello  Stato  in
materia di  tutela  dell'ambiente  e  dell'ecosistema,  confliggendo,
altresi', con il principio del  buon  andamento  dell'amministrazione
sancito dall'art. 97 Costituzionale.