TRIBUNALE PER I MINORENNI DI BRESCIA Il Tribunale dei minorenni di Brescia, in funzione di Tribunale di sorveglianza, riunito in Camera di consiglio nella persona dei signori: Cristina Maggia, Presidente; Federico Allegri, Giudice rel., Simona Pedretti, Giudice on., Maurizio Prandelli, Giudice on., a scioglimento della riserva assunta udienza camerale; Letti gli atti del procedimento di sorveglianza relativo alla applicazione di misure di comunita' ex decreto legislativo n. 121/18 al condannato N... A... residente a Gandosso ..., sottoposto alla misura di sicurezza del riformatorio giudiziario presso la Comunita' ...., difeso di fiducia dall'avv. Glauco Arcaini del Foro di Brescia, in relazione all'esecuzione della pena di anni cinque, mesi quattro di reclusione di cui all'Ordine di esecuzione per la carcerazione con contestuale decreto di sospensione n. 8/2020 SIEP emesso in data 11 giugno 2020 dal Procuratore della Repubblica presso questo Tribunale (in relazione alla sentenza del Giudice per l'udienza preliminare presso questo Tribunale in data 26 agosto 2018, irr. il 10 gennaio 2020, che, all'esito di giudizio abbreviato e previa riconoscimento delle attenuanti generiche, della minore eta' e del vizio parziale di mente, ha inflitto al prevenuto la citata pena in relazione a reati di violenza sessuale, anche di gruppo, ai danni di minorenni nonche' violazione legge stupefacenti e atti osceni commessi in ... tra agosto 2015 e settembre 2016); Rilevato che, contestualmente alla sentenza di condanna, il Giudice per l'udienza preliminare ha emesso ordinanza con la quale ha applicato al prevenuto in via provvisoria, ritenendolo affetto da disturbo antisociale di personalita' e socialmente pericoloso, la misura di sicurezza del riformatorio giudiziario, misura che e' poi stata confermata dal Tribunale con sentenza ex art. 38 decreto del Presidente della Repubblica n. 448/88 in data 7 febbraio 2019, a sua volta confermata, a seguito di impugnazione, dalla Corte di appello di Brescia, con sentenza in data 14 maggio 2019 (che ha confermato pure la sentenza di condanna del 26 agosto 2018), poi divenuta definitiva a seguito di inammissibilita' del ricorso per Cassazione; Rilevato che a far data dal 18 febbraio 2019 la misura di sicurezza del riformatorio giudiziario ha trovato esecuzione nelle forme del collocamento in comunita, come previsto dall'art. 36, secondo comma, decreto del Presidente della Repubblica n. 448/88 ed e' tuttora in atto; Rilevato che con l'ordine di esecuzione di cui sopra (integrato e corretto con successivo provvedimento in data 15 luglio 2020) il pubblico ministero ha sospeso l'esecuzione della pena detentiva, ha disposto che il N.... restasse in comunita' ex art. 656, X comma, codice di procedura penale e ha trasmesso gli atti a questo Tribunale di sorveglianza per la decisione in merito all'eventuale applicazione di una misura di comunita' alternativa al carcere ai sensi del decreto legislativo n. 121/18; Rilevato che con i provvedimenti teste' citati il pubblico ministero ha, infatti, determinato in anni tre, mesi sei, giorni quindici la residua pena detentiva da espiarsi, dopo aver sottratto alla pena detentiva inflitta con sentenza - pari ad anni cinque, mesi quattro - il periodo di mesi cinque, giorni ventiquattro) di misura cautelare patita dal N..., tra il 20 ottobre 2016 e il 12 aprile 2017 ed inoltre dope aver sottratto anche il periodo di anni uno, mesi tre, giorni ventuno (dal 18 febbraio 2019 al 10 giugno 2020) durante il quale e' stata eseguita la misura di sicurezza; Ritenuto che tale modalita' di determinazione della residua pena espianda non possa essere condivisa in quanto l'art. 657 codice di procedura penale dispone che il pubblico ministero, nel determinare la pena detentiva da eseguire, computi il periodo di custodia cautelare (come il pubblico ministero nel caso di specie ha correttamente fatto con riferimento al periodo di mesi cinque, giorni ventiquattro) e computi altresi' il periodo di applicazione provvisoria della misura di sicurezza detentiva, ma solo a condizione che la misura di sicurezza non sia poi stata applicata in via definitiva, cio' che invece si e' proprio verificato nel caso in esame, posto che sia il Tribunale che la Corte di appello hanno confermato in via definitiva la misura di sicurezza del riformatorio giudiziario applicata in via provvisoria dal Giudice per l'udienza preliminare; Ritenuto, di conseguenza, che la residua pena espianda e' quella di anni cinque, mesi quattro di reclusione (pena inflitta) meno mesi cinque, giorni ventiquattro (misura cautelare) e quindi e' pari ad anni quattro, mesi dieci, giorni sei, pena che ai sensi del decreto legislativo n. 121/18 non puo' essere espiata in regime di misura di comunita' in quanto quest'ultimo testo di legge prevede la possibilita' di applicare misure di comunita' a condizione che la pena da espiarsi sia minore o uguale ad anni quattro di reclusione per l'affidamento in prova al servizio sociale di cui all'art. 4 (ma anche all'art. 5, disposizione di legge che prevede l'affidamento in prova con detenzione domiciliare) e sia minore e uguale ad anni tre per la detenzione domiciliare ex art. 6; Che, inoltre, nel caso in esame non si versa nella situazione di cui all'art. 94 decreto del Presidente della Repubblica n. 309/90 per un affidamento in prova ai servizi sociali in casi particolari (per il quale e' previsto un elevamento del limite di pena ad anni sei) in quanto il N., non e' persona tossicodipendente; Ritenuto, pertanto, che la normativa vigente non consente al N. di accedere a misure di comunita' e che quindi il residuo pena di cui sopra comporta necessariamente l'ingresso in carcere del condannato (a norma dell'art. 212, primo comma, codice penale, l'esecuzione di una misura di sicurezza applicata a persona imputabile e' sospesa se questa deve scontare una pena detentiva, e riprende il suo corso dopo l'esecuzione della pena) sino a quando il residuo pena non avra' la raggiunto la misura di anni quattro, con la conseguenza che il condannato, che si trova in comunita' educativa da oltre un anno e mezzo, dovra' necessariamente interrompere il percorso rieducativo e di reinserimento sociale che sta positivamente svolgendo e che ha indotto gli operatori dell'USSM, della comunita', del CPS a progettare la prosecuzione del percorso riabilitativo in comunita', addirittura con attivita' esterne alla struttura e anche consentendogli periodici rientri a casa dalla madre; Ritenuto, tuttavia, che il Tribunale dubita della legittimita' costituzionale dei limiti di pena fissati dal decreto legislativo n. 121/18 per la concessione delle misure di comunita', in primo luogo, in quanto l'art. 85, lettera p) della legge n. 103/2017 (cd. Riforma Orlando), nel delegare al Governo l'adeguamento delle norme dell'ordinamento penitenziario alle esigenze educative dei detenuti minori di eta' (laddove per minorenne si intende, pacificamente, colui che ha commesso il reato da minorenne), aveva, fra l'altro, indicato ai punti 5) e 6) i seguenti criteri: ampliamento dei criteri per l'accesso alle misure alternative alla detenzione, con particolare riferimento ai requisiti per l'ammissione dei minori all'affidamento in prova ai servizi sociali e alla semiliberta', di cui rispettivamente agli articoli 47 e 50 della legge n. 354/75 e successive modificazioni; eliminazione di ogni automatismo e preclusione per la revoca o per la concessione dei benefici penitenziari, in contrasto con la funzione rieducativa della pena e con il principio dell'individuazione del trattamento; Ritenuto che tale «ampliamento dei criteri di accesso» e tale «eliminazione di ogni automatismo e preclusione» non sembrano essere stati realizzati dal Legislatore delegato che, trascurando i criteri impartiti dalla legge delega e quindi ponendosi in contrasto con il dettato dell'art. 76 Cost., ha previsto limiti di pena per la concessione delle misure di comunita' rigidi e, soprattutto, sostanzialmente identici a quelli previsti per gli adulti, giacche': l'art. 47, legge n. 354/75 prevede per l'affidamento in prova al servizio sociale dell'adulto un limite di pena di anni tre, ma al comma 3-bis innalza tale limite ad anni quattro sulla base di valutazioni talmente discrezionali, da consentire di fatto una generale applicazione della misura dell'affidamento a chi non debba scontare una pena superiore agli anni quattro; l'art. 47-ter L. cit. prevede per la detenzione domiciliare dell'adulto una molteplicita' di livelli sanzionatori: l'assenza di limiti di pena per gli ultrasettantenni (comma 01) o nell'ipotesi in cui debba o possa essere disposto il rinvio dell'esecuzione della pena ex articoli 147 o 147 codice penale (comma 1-ter); quattro anni di pena, fra l'altro, proprio per i minori di anni ventuno per comprovate esigenze di salute, di studio, di lavoro e di famiglia (comma 1 richiamato espressamente dall'art. 6 decreto legislativo n. 121/18); anni due negli altri casi; gli articoli 47-quater e 47-quinquies legge cit., per espressa previsione dell'art. 6 decreto legislativo n. 121/18 sono applicati in modo identico a maggiorenni e minorenni; Ritenuto, in secondo luogo, che la previsione di un trattamento penitenziario dei minorenni sostanzialmente sovrapponibile, sotto tali profili, a quello degli adulti, si pone in contrasto anche con l'art. 3 della Cost. in quanto comporta un trattamento uguale di situazioni profondamente diverse, non essendo assimilabile la situazione del condannato minorenne a quella del condannato maggiorenne, posto che, a parita' di sanzione detentiva da espiarsi, ben diversi sono gli effetti della pena detentiva sull'adulto e sul minore in crescita, sicche' e' assolutamente ragionevole prevedere, come del resto stabilito dal Legislatore delegante, che i minorenni possano accedere a misure di comunita' anche nei casi in cui agli adulti siano precluse a causa dell'entita' della pena da espiarsi; Ritenuto, in terzo luogo, che la scelta del Legislatore delegato, oltre ad apparire irrispettosa della legge delega e del principio di uguaglianza, di fatto si pone contrasto con la funzione rieducativa della pena e con il principio dell'individuazione del trattamento poiche' si danno casi - e quello in esame ne e un esempio - in cui la previsione di un rigido limite di pena anche per il minorenne, cioe' di una persona che per definizione sta crescendo e maturando, puo' in concreto rivelarsi una dannosa interruzione dei processi evolutivi in atto, cio' che fa si' che possano prospettarsi anche violazioni dell'art. 27, terzo comma, Cost., che vuole che la pena debba tendere alla rieducazione del condannato, e dell'art. 31, secondo comma, Cost., che stabilisce che la Repubblica protegga la gioventu' favorendo gli istituti necessari a tale scopo, istituti fra i quali non puo' non essere ricompresa la misura di comunita' dell'affidamento in prova al servizio sociale, misura che all'evidenza protegge la gioventu' dai deteriori effetti criminogeni della reclusione in carcere; Ritenuto, in definitiva, che, come insegna la Sentenza della Corte costituzionale n. 263 del 2019 (e le sentenze della Corte in essa richiamate), i limiti di pena di cui sopra impediscano quelle prognosi individualizzate e quella flessibilita' di trattamento che devono considerarsi costituzionalmente imposti per consentire al Tribunale di sorveglianza un potere di apprezzamento della specificita' di ciascun caso (salva ovviamente la valutazione, caso per caso, dell'idoneita' e della meritevolezza delle misure extramurarie secondo il progetto educativo costruito sulle esigenze del caso singolo, senza quindi che siano mortificate le esigenze di tutela della persona offesa e della collettivita') e dunque un'esecuzione penale a misura di minore in cui la funzione rieducativa della pena sia accentuata grazie ad un trattamento individualizzato e flessibile che ponga al centro la promozione umana della persona del minore e non le istanze afflittive e retributive inevitabilmente connesse all'esecuzione intramuraria della sanzione penale; Ritenuto che la questione di costituzionalita' sia rilevante nel caso di specie in quanto l'applicazione delle disposizioni di legge sopra citate e del limiti di pena in esse previsti impediscono l'applicazione al N... - che all'epoca dei fatti era minorenne, sicche' gli deve essere applicato l'ordinamento penitenziario minorile istituito dal decreto legislativo n. 121/18 - delle misure di comunita' da lui invocate, che questo Tribunale giudica in linea con le sue attuali esigenze educative; Ritenuto pertanto di sollevare d'ufficio la questione e di rimettere gli atti alla Corte costituzionale per la sua decisione;