Ricorso ex art. 127 della costituzione per il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura generale dello Stato presso i cui uffici e' domiciliato in Roma alla via dei Portoghesi, 12 contro la Regione Siciliana, in persona del Presidente della Giunta regionale pro tempore, per la declaratoria di illegittimita' costituzionale degli articoli 3 e 10, comma 3, della legge Regionale Siciliana n. 12/2021 del 26 maggio 2021, recante «Norme in materia di aree sciabili e di sviluppo montano», come da delibera del Consiglio dei ministri in data 22 luglio 2021. Sul B.U.R. della Regione Siciliana n. 24 del 4 giugno 2021, e' stata pubblicata la legge Regionale n. 12/2021 del 26 maggio 2021, recante «Norme in materia di aree sciabili e di sviluppo montano». L'art. 3 della predetta legge recita: «Associazioni fra comuni e partecipazione a societa'. 1. I comuni possono accordarsi o associarsi secondo le forme previste dalla normativa vigente al fine di programmare e perseguire le finalita' di cui alla presente legge. 2. I comuni, singolarmente o in forma associata, possono costituire o partecipare a societa', anche con altri enti pubblici o con privati, che abbiano come oggetto sociale il perseguimento delle finalita' di cui all'articolo 1 o, comunque, lo sviluppo delle attivita' di cui all'art. 2» L'art. 10 comma 3 della predetta legge recita: «Commissione di coordinamento per le aree sciabili. 1. [..] 2. [..] 3. La Commissione dura in carica cinque anni. Ai lavori della Commissione possono essere invitati tecnici ed esperti, il cui parere sia ritenuto utile e necessario per l'esame di singole questioni. La Commissione si riunisce ordinariamente almeno due volte l'anno presso l'Assessorato regionale del Turismo, dello sport e dello spettacolo». Il Presidente del Consiglio ritiene che dette disposizioni m materia di aree sciabili e di sviluppo montano siano censurabili, in quanto eccedono dalle competenze attribuite alla Regione Siciliana dallo Statuto Speciale di autonomia, R.D.Lgs. 15 maggio 1946, n. 455, convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2, e violano la Costituzione, specificamente l'art. 117, terzo comma, in relazione alla materia del coordinamento della finanza pubblica, l'art. 97, in relazione al principio di buon andamento, nonche' l'art. 81, in relazione alla mancata indicazione della copertura finanziaria. Pertanto, si propone questione di legittimita' costituzionale ai sensi dell'art. 127 comma 1 cost. per i seguenti Motivi 1) Illegittimita' dell'art. 3 della legge Regionale Siciliana n. 1212021 per contrasto con l'art. 4 del «Testo unico in materia di societa' a partecipazione pubblica» (TUSP) di cui al decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175 (norma interposta) e con gli articoli 117 terzo comma e 97 della Costituzione, nonche' 14 e 17 dello Statuto Speciale di autonomia, R.D.Lgs. 15 maggio 1946, n. 455, convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2. 1. L'art. 3, rubricato Associazioni fra comuni e partecipazione a societa', prevede, al comma 2, che i comuni, singolarmente o in forma associata, possano costituire o partecipare a societa', anche con altri enti pubblici o con privati, che abbiano come oggetto sociale il perseguimento delle finalita' di promozione e tutela delle «localita' montane e le relative aree sciabili in ragione della loro valenza in termini di sviluppo economico e culturale, di coesione sociale e territoriale», nonche' di sostegno «alla pratica dello sci e di ogni altra attivita' ludico-sportiva e ricreativa, invernale o estiva, che utilizzi impianti e tracciati destinati all'attivita' sciistica», di cui all'articolo 1 della stessa L.R. o, comunque, lo sviluppo «delle attivita' con attrezzi, quali lo sci alpino, lo snowboard lo sci da fondo, lo slittino» di cui all'art. 2 della medesima legge. La disposizione in argomento si pone in contrasto con l'art. 4 del «Testo unico in materia di societa' a partecipazione pubblica» (TUSP) di cui al decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175, concernente le finalita' perseguibili mediante l'acquisizione e la gestione di partecipazioni pubbliche. L'art. 4 del decreto legislativo n. 175/2016, nel riprendere quanto gia' prescritto dall'art. 3, comma 27, della legge n. 244 del 2007, al comma 1, stabilisce che «Le amministrazioni pubbliche non possono, direttamente o indirettamente, costituire societa' aventi per oggetto attivita' di produzione di beni e servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalita' istituzionali, ne' acquisire o mantenere partecipazioni, anche di minoranza, in tali societa'». Il successivo comma 2 cosi' dispone: «2. Nei limiti di cui al comma 1, le amministrazioni pubbliche possono, direttamente o indirettamente, costituire societa' e acquisire o mantenere partecipazioni in societa' esclusivamente per lo svolgimento delle attivita' sotto indicate: a) produzione di un servizio di interesse generale, ivi inclusa la realizzazione e la gestione delle reti e degli impianti funzionali ai servizi medesimi; b) progettazione e realizzazione di un'opera pubblica sulla base di un accordo di programma fra amministrazioni pubbliche, ai sensi dell'art. 193 del decreto legislativo n. 50 del 2016; c) realizzazione e gestione di un'opera pubblica ovvero organizzazione e gestione di un servizio d'interesse generale attraverso un contratto di partenariato di cui all'art. 180 del decreto legislativo n. 50 del 2016, con un imprenditore selezionato con le modalita' di cui all'art. 17, commi 1 e 2; d) autoproduzione di beni o servizi strumentali all'ente o agli enti pubblici partecipanti o allo svolgimento delle loro funzioni, nel rispetto delle condizioni stabilite dalle direttive europee in materia di contratti pubblici e della relativa disciplina nazionale di recepimento; e) servizi di committenza, ivi incluse le attivita' di committenza ausiliarie, apprestati a supporto di enti senza scopo di lucro e di amministrazioni aggiudicatrici di cui all'art. 3, comma 1, lettera a), del decreto legislativo n. 50 del 2016». In sostanza, il citato art. 4 introduce un doppio vincolo: - cd. «vincolo di scopo pubblico» (comma 1) e - un «vincolo di attivita'» (comma 2), consentendo la costituzione di societa' ovvero l'acquisizione di partecipazioni societarie solo se cio' permette, o favorisce, la cura di almeno uno dei fini istituzionali attribuiti all'amministrazione socia dal medesimo art. 4. Tale circostanza viene evidenziata nel parere n. 968/2016 del Consiglio di Stato (reso sullo «Schema di decreto legislativo recante testo unico in materia di societa' a partecipazione pubblica, in attuazione dell'art. 2 della legge 7 agosto 2015, n. 124 (1) , recante "Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche"»): «L'importante novita' dello schema di decreto e' rappresenta dal secondo comma che aggiunge a tale limite un ulteriore vincolo di attivita' - non presente nella disciplina vigente (cfr. retro, parte I, par. 6) - ammettendo soltanto le societa' che svolgono «esclusivamente» le attivita' indicate alle lettere a), b), c), d) ed e)». Sull'argomento la giurisprudenza contabile e' piu' volte intervenuta, in particolare con riguardo alle questioni afferenti le modalita' di applicazione degli articoli 20 e 24 del TUSP, riguardanti il processo di' razionalizzazione delle partecipazioni pubbliche. La Corte dei conti - Sezione regionale di controllo per la Lombardia, con la deliberazione 348/2017/PAR, ha sottolineato che «Il legislatore .... presuppone, che, in sede di revisione straordinaria, ex art. 24, gli enti pubblici provvedano a dismettere le societa' non riconducibili alle missioni istituzionali attribuite dalla legge agli enti pubblici» e ancora che «tale forma di revisione straordinaria [...] non puo' non condurre all'adozione di provvedimenti di alienazione/scioglimento». In tale contesto appare utile richiamare la nozione di «servizio di interesse generale» resa dal TUSP all'art. 2, comma 1, lettera h), (che rileva anche ai fini dell'art. 4, comma 2, lettera a) dello stesso decreto legislativo) secondo cui sono tali «le attivita' di produzione e fornitura di beni o servizi che non sarebbero svolte dal mercato senza un intervento pubblico o sarebbero svolte a condizioni differenti in termini di accessibilita' fisica ed economica, continuita', non discriminazione, qualita' e sicurezza, che le amministrazioni pubbliche, nell'ambito delle rispettive competenze, assumono come necessarie per assicurare la soddisfazione dei bisogni della collettivita' di riferimento, cosi' da garantire l'omogeneita' dello sviluppo e la coesione sociale, ivi inclusi i servizi di interesse economico generale». Alla luce della definizione di servizio generale introdotta dal citato decreto legislativo, che replica proposizioni gia' espresse dalla normativa comunitaria, la Corte dei conti (Sezione regionale di controllo per la Lombardia, deliberazione 398/PAR/2016) ha chiarito che il servizio puo' essere svolto dall'ente locale se l'intervento dell'ente stesso sia necessario per garantire l'erogazione del servizio, alle condizioni stabilite nella disposizione appena richiamata, ossia se, senza l'intervento pubblico, sarebbero differenti le condizioni di accessibilita' fisica ed economica, continuita', non discriminazione qualita' e sicurezza al servizio oggetto di attenzione. La disposizione in esame, inoltre, prevedendo che i comuni possano partecipare a organismi societari in cui siano presenti altri enti pubblici o soggetti privati, senza tuttavia precisare che tale partecipazione dovra' comunque essere acquisita e gestita nel rispetto dei principi e limiti previsti dal TUSP consentirebbe anche l'acquisizione di partecipazioni di minoranza. Sul punto, sempre per il diritto vivente, la Corte dei conti, con la citata deliberazione 398/PAR/2016, precisa che «nel caso in cui la partecipazione dell'ente sia minoritaria (ed in assenza di altri soci pubblici, che consentano il controllo della societa'), il servizio espletato non e' da ritenere «servizio di Interesse generale» posto che, a prescindere da ogni altra considerazione relativa alle finalita' istituzionali dell'ente, l'intervento pubblico (stante la partecipazione minoritaria) non puo' garantire l'accesso al servizio cosi' come declinato nell'art. 4: l'accesso al servizio non sarebbe svolto dal mercato o sarebbe svolto a condizioni differenti in termini di accessibilita' fisica, economica, continuita', non discriminazione. Infatti, una partecipazione poco significativa non sarebbe in grado di determinare le condizioni di accesso al servizio che potrebbero legittimare il mantenimento della quota». Del medesimo tenore quanto affermato dalla Corte dei conti - Sezione regionale di controllo per il Piemonte, che con la deliberazione 9/2016/SRCPIE/VSG, ha sottolineato che le partecipazioni c.d, «polvere», non consentendo un controllo sulla partecipata da parte del socio pubblico, non sembrerebbero coerenti con una valutazione di strategicita' della partecipazione, riducendosi al rango di mero investimento in capitale di rischio, oggi non piu' ammesso, per tutto quanto sopra riportato, dall'attuale quadro normativo. Pertanto, il possesso di una eventuale partecipazione minoritaria, la cui acquisizione appare legittimata dalla previsione della norma regionale, non consentirebbe certamente di realizzare le condizioni affinche' la pubblica amministrazione possa determinare le condizioni di accesso al servizio pubblico e, per esso, perseguire le proprie finalita' istituzionali come richiesto dall'art. 4, comma 1, del TUSP. Come si e' visto, il comma 2 del richiamato art. 4 il TUSP specifica, in positivo, le categorie di societa' legittimamente costituibili o detenibili da enti pubblici, le quali possono espletare esclusivamente le seguenti attivita': a) produzione di un servizio di interesse generale, inclusa la realizzazione e la gestione delle reti e degli impianti strumentali; b) progettazione e realizzazione di un'opera pubblica sulla base di un accordo di programma fra PA (art. 193 del decreto legislativo 50/2016); c) realizzazione e gestione di un'opera pubblica o di un servizio d'interesse generale attraverso un contratto di partenariato (art. 180 del decreto legislativo 50/2016); d) autoproduzione di beni o servizi strumentali all'ente o agli enti pubblici partecipanti, o allo svolgimento delle loro funzioni; e) servizi di committenza, incluse le attivita' di committenza ausiliarie, apprestati a supporto di enti senza scopo di lucro e di amministrazioni aggiudicatrici. Tutto cio' premesso, tenuto conto che le attivita' che si intendono realizzare attraverso la partecipazione societaria degli enti locali prevista dalla norma, non appaiono strettamente necessarie per il perseguimento delle finalita' istituzionali, deve concludersi che la norma recata dall'art. 3, comma 2, della L.R. in esame, in ragione del contrasto con l'art. 4 del TUSP, si pone in contrasto con gli articoli 3, comma 1, e 4 del TUSP di cui al decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175, in relazione agli articoli 14 e 17 dello Statuto Speciale di autonomia, R.D.Lgs. 15 maggio 1946, n. 455, convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2 (che disciplinano la potesta' legislativa della Regione Siciliana), con diretto riferimento sia alla materia del coordinamento della finanza pubblica, di cui all'art. 117, comma 3, Cost., sia al principio di buon andamento di cui all'art. 97, comma 2, Cost. che viene chiaramente leso dalla norma impugnata. 2) Illegittimita' dell'art. 10, comma 3 L.R. Siciliana n. 12/2021 per contrasto con l'art. 19 legge 31 dicembre 2009, n. 196 (norma interposta) e l'art. 81 della Costituzione. La disposizione di cui all'articolo 10, comma 3 prevede la possibile partecipazione di tecnici ed esperti ai lavori della Commissione di coordinamento per le aree sciabili. In base al comma 1 dell'art. 10, la Commissione opera «quale organo consultivo della Regione in materia di gestione e fruizione delle aree sciabili» ed al comma 2 e' stabilito che «i componenti della Commissione svolgono i loro compiti a titolo gratuito e senza rimborso spese». Tale previsione tuttavia, da un lato non e' sufficiente ad escludere la sussistenza di spese di funzionamento diverse dai compensi dei componenti; dall'altro il comma 3 della disposizione prevede che «Ai lavori della Commissione possono essere invitati tecnici ed esperti, il cui parere sia ritenuto utile e necessario per l'esame di singole questioni»; la norma appare quindi suscettibile di comportare oneri non quantificati, per i quali non e' indicata la copertura finanziaria, in contrasto con l'art. 81, terzo comma, della Costituzione. La disposizione e' pertanto illegittima sia a causa della mancata previsione circa la quantificazione della spesa derivante dalla sua applicazione, sia per l'omessa previsione delle risorse per dare copertura all'intervento (se tramite un fondo speciale o mediante riduzione di spesa o per mezzo di nuove o maggiori entrate), con conseguente violazione dell'art. 81 Cost. (sentenza n. 181/2013). Si richiama al riguardo quanto gia' affermato dalla Corte: «Quanto al giudizio di idoneita' delle modalita' di copertura delle diverse tipologie di spesa, questa Corte ha gia' avuto modo di affermare che il principio dell'equilibrio di bilancio di cui all'art. 81, quarto comma, Cost., opera direttamente, a prescindere dall'esistenza di norme interposte. Con riguardo al caso in esame, il carattere precettivo generale dell'art. 81, quarto comma, Cost. e' in grado di vincolare la disciplina delle fonti di spesa di carattere pluriennale, aventi componenti variabili e complesse (sentenze n. 70 del 2012, n. 25 del 1993, n. 384 del 1991, n. 19 del 1970). Gli articoli 17 e 19 della legge n. 196 del 2009 costituiscono una mera specificazione del principio in questione con riguardo a detta categoria di spese: l'art. 17 inerisce alle modalita' di copertura finanziaria delle leggi statali; l'art. 19 le estende a tutte le Regioni e alle Province autonome di Trento e Bolzano. In sostanza le due disposizioni non comportano un'innovazione al principio della copertura, bensi' una semplice puntualizzazione tecnica (come confermato, tra l'altro, dall'incipit dell'art. 17: «in attuazione dell'art. 81, quarto comma, della Costituzione...») ispirata dalla crescente complessita' della finanza pubblica. Questa Corte ha costantemente affermato che: a) le leggi istitutive di nuove spese debbono contenere una «esplicita indicazione» del relativo mezzo di copertura (ex plurimis, sentenze n. 386 e n. 213 del 2008, n. 359 del 2007 e n. 9 del 1958); b) che a tale obbligo non sfuggono le norme regionali (ex plurimis, sentenze n. 213 del 2008 e n. 16 del 1961); c) che solo per le spese continuative e ricorrenti e' consentita l'individuazione dei relativi mezzi di copertura al momento della redazione e dell'approvazione del bilancio annuale, in coerenza con quanto previsto - tra l'altro - dall'art. 3, comma 1, del decreto legislativo n. 76 del 2000 (sentenze n. 446 del 1994, n. 26 del 1991 e n. 331 del 1988)» (sentenza n. 26/2013). Tenuto conto che il tipo di previsione di spesa in esame appartiene alla categoria degli oneri pluriennali con carattere non uniforme e temporalmente circoscrivibile, il difetto di quantificazione della relativa spesa, nonche' l'omessa previsione dei mezzi di finanziamento dimostrano la fondatezza della censura formulata. (1) L'art. 18, comma 1, lettera b) delle legge delega 124/2015, fissa il seguente principio: «b) ai fini della razionalizzazione e riduzione delle partecipazioni pubbliche secondo criteri di efficienza, efficacia ed economicita', ridefinizione della disciplina, delle condizioni e dei limiti per la costituzione di societa', l'assunzione e il mantenimento di partecipazioni societarie da parte di amministrazioni pubbliche entro il perimetro dei compiti istituzionali o di ambiti strategici per la tutela di interessi pubblici rilevanti, quale la gestione di servizi di interesse economico generale; applicazione dei principi della presente lettera anche alle partecipazioni pubbliche gia' in essere;