CORTE DI APPELLO DI POTENZA 
                           Sezione civile 
 
    La  Corte,  riunita  in  camera  di  consiglio  in  persona   dei
magistrati: 
        dott. Rocco Pavese, Presidente relatore; 
        dott. Cataldo Carmine Collazzo, consigliere; 
        dott.ssa Mariadomenica Marchese, consigliere, 
    ha pronunciato la  seguente  ordinanza  nella  causa,  avente  ad
oggetto: ricorso ex art. 95, decreto del Presidente della  Repubblica
n. 396/2000, e vertente 
    tra  A.  M.  e  V.  D.  C.,  in  proprio  e  quali  esercenti  la
responsabilita' genitoriale nei confronti del figlio L. M.,  nato  il
..., iscritto presso il registro di stato civile col  cognome  D.  C.
M., rappresentati e difesi dall'avv. Domenico Pittella, reclamanti 
    e Comune di L., in persona del  sindaco  pro  tempore,  reclamato
contumace 
    nonche' Procuratore generale presso questa Corte, interventore ex
lege. 
 
                      Svolgimento del processo 
 
    1. Con decreto 4 novembre 2020  il  Tribunale  di  Lagonegro,  su
conforme parere del pubblico ministero, ha  dichiarato  inammissibile
il ricorso proposto dai coniugi M. e D. C. ex art.  95,  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 396/2000, che avevano richiesto: 
        in  via  principale  -  previa  disapplicazione  della  norma
consuetudinaria che dava prevalenza al  cognome  paterno,  in  quanto
contra legem - che si ordinasse al Comune di L. di iscrivere presso i
registri dello stato civile il figlio L. M. col solo cognome  materno
(gia' proprio delle altre figlie -  F.  M.  e  M.  -  nate  quando  i
ricorrenti non erano ancora sposati, e riconosciute dalla  sig.ra  M.
per  prima),  iscrizione  invece  denegata   con   provvedimento   da
quell'ufficiale di stato civile, che aveva registrato il neonato  coi
cognomi D. C. M.; 
        in  subordine,  ove  si  aderisse  alla  tesi  della   natura
legislativa della norma in questione - desumibile  dagli  artt.  237,
262, 299 del codice civile, 72, primo comma, r.d. n.  1238/1939,  33,
34, decreto del Presidente della Repubblica  n.  396/2000  -  che  ne
fosse sollevata la questione  di  legittimita'  costituzionale  nella
parte in cui prevedeva la prevalenza  del  cognome  paterno,  o,  per
effetto della sentenza della Corte  costituzionale  n.  286/2016,  il
doppio cognome in caso di accordo dei coniugi in tal senso. 
    2. Il primo giudice, in sintesi, ha basato la  propria  decisione
sui rilievi: 
        che la norma consuetudinaria della trasmissione  del  cognome
paterno al figlio  nato  in  costanza  di  matrimonio  poteva  essere
superata esclusivamente da un intervento legislativo, non potendo  il
giudice sostituirsi al legislatore in un ambito a questo riservato; 
        che peraltro la invocata tutela della integrita'  del  nucleo
familiare  ben  poteva  essere  salvaguardata  dall'attribuzione  del
cognome di entrambi i genitori a tutti i figli; 
        che  non  poteva   rimettersi   la   questione   alla   Corte
costituzionale,  non  ravvisandosi  profili  di  illegittimita'   nel
vigente assetto normativo. 
    3. Hanno  proposto  tempestivo  reclamo  i  coniugi,  in  sintesi
sostenendo: 
        che il Tribunale, pur ritenendo di natura consuetudinaria  la
regola dell'attribuzione del cognome paterno, erroneamente non  aveva
proceduto alla sua disapplicazione, essendo la  stessa  in  contrasto
con  numerose  disposizioni,  poste  a  tutela   dell'identita'   dei
minorenni, del principio dell'autonomia dei  genitori  nell'esercizio
della relativa responsabilita', del principio dell'eguaglianza tra  i
coniugi; 
        che tuttavia, secondo l'indirizzo tradizionale, la regola del
patronimico aveva natura legislativa, rappresentando  la  «traduzione
in regola dello Stato di un'usanza consolidata  nel  tempo»  come  da
sentenza  Corte  costituzionale  n.  286/2016,  e  per  questo   essi
reclamanti  avevano  chiesto,  in  via  subordinata,  di   sollevarne
questione  di  legittimita'  costituzionale,  per  violazione   delle
suddette disposizioni; 
        che, contrariamente a quanto statuito dal  Tribunale,  questa
materia non verteva in un  ambito  riservato  a  scelte  di  politica
legislativa, come provato dal fatto che la  Corte  costituzionale  si
era gia' pronunciata  con  sentenza  n.  286/2016  su  una  questione
connessa,  dichiarando   l'incostituzionalita'   della   regola   del
patronimico nella parte in cui precludeva l'attribuzione  del  doppio
cognome, a superamento della propria tradizionale giurisprudenza; 
        che, a seguire il ragionamento del  decreto  impugnato,  essi
reclamanti sarebbero stati costretti ad attribuire al terzogenito  un
cognome differente rispetto alle sorelle,  con  evidente  pregiudizio
per  l'armonico  sviluppo  della  personalita'  dei  figli,   o,   in
alternativa, dare anche alle prime due figlie il doppio cognome,  con
pregiudizio per l'identita' di queste ultime (in particolare per  F.,
undicenne e quindi con identita' pienamente formata nella  comunita',
innanzitutto scolastica); 
        che  quindi  doveva  essere  riproposta   la   questione   di
legittimita' costituzionale della norma desumibile dalle disposizioni
di cui agli artt. 237, 262, 299 del codice civile, 72,  primo  comma,
r.d. n. 1238/1939, 33, 34, decreto del Presidente della Repubblica n.
396/2000, nella parte  in  cui  prevede  la  prevalenza  del  cognome
paterno e (per effetto della sentenza della Corte  costituzionale  n.
286/2016)  il  doppio  cognome  in  caso  di  accordo  dei   coniugi,
residuandone infatti la preclusione per i coniugi  di  attribuire  il
solo cognome materno; 
        che al riguardo si osservava: 
          che  la  questione  di   legittimita'   era   indubbiamente
rilevante per decidere la controversia; 
          che essa era fondata, poiche' la norma denunciata si poneva
in contrasto: 
cogli artt. 2, 3, 29, secondo comma, 30 della Costituzione, oltre che
117  della  Costituzione  e   5   della   Convenzione   sui   diritti
dell'infanzia, poiche' nel caso concreto la scelta di  dare  il  solo
cognome materno non era motivata da un capriccio bensi' dall'esigenza
di tutelare l'interesse dei figli minorenni,  e  soltanto  l'adozione
del  medesimo  cognome   contribuiva   all'unitarieta'   del   nucleo
familiare,  assicurando  al  contempo  la  formazione  dell'identita'
personale del terzo figlio in maniera omogenea  rispetto  agli  altri
due; il tutto  alla  luce  dell'autonomia  dei  privati  in  base  al
principio  di  sussidiarieta'  orizzontale  previsto  dall'art.  118,
ultimo comma della Costituzione; 
cogli artt. 3 e  29,  primo  comma  della  Costituzione,  poiche'  la
diversita' di trattamento  tra  i  coniugi  era  espressione  di  una
concezione patriarcale della famiglia  e  dei  rapporti  tra  coniugi
ormai superata, tanto piu' nel confronto con altri Paesi; che poi era
del tutto ragionevole l'interesse dei coniugi a trasmettere ai  figli
il solo cognome  materno,  che  nella  Comunita'  di  L.  evocava  il
patrimonio morale e sociale di cui era  stato  portatore  il  defunto
nonno E. N. M., titolare di diversi incarichi politici  e  che  aveva
improntato la propria esistenza ad alti valori morali; 
cogli artt. 117 della Costituzione, 8 e 14 della  Convenzione  per  i
diritti dell'uomo, risolvendosi in una  discriminazione  fondata  sul
sesso dei genitori, e, comunque, in una  ingiustificata  compressione
delle scelte familiari; 
con la Convenzione di New  York  18  dicembre  1979,  ratificata  nel
nostro Paese con legge n. 132/1985, che all'art. 16 ha impegnato  gli
Stati aderenti a eliminare la  discriminazione  nei  confronti  della
donna in tutte le questioni matrimoniali e familiari; 
          che essa era ammissibile, poiche' in caso  di  accoglimento
non vi  sarebbe  stato  un  vuoto  normativo,  ma  la  sola  apertura
all'accordo dei  coniugi  sulla  scelta  del  cognome  materno:  c.d.
soluzione a rima obbligata  -  fermo  restando  che  ormai  la  Corte
costituzionale ammetteva un  intervento  anche  in  mancanza  di  una
soluzione obbligata, tramite  individuazione  nel  tessuto  normativo
della disposizione  idonea  a  sanare  la  violazione  costituzionale
ravvisata. 
    4. Istituito il contraddittorio, il Comune di L., gia'  contumace
in primo grado, non si e' costituito  in  giudizio,  ne'  la  Procura
generale ha espresso parere. All'udienza 30 marzo 2021,  svoltasi  in
forma cartolare  giusta  normativa  di  contrasto  alla  pandemia  da
COVID-19,  la  Corte  -  preso  atto  della  nota  scritta  di  parte
reclamante (che ha ribadito le proprie conclusioni, anche  alla  luce
di analoga questione sollevata dal Tribunale  di  Bolzano)  -  si  e'
riservata la decisione. 
 
                       Motivi della decisione 
 
    5. In via preliminare, va dichiarata la contumacia del Comune  di
L.,  che  non  si  e'  costituito  in  giudizio  nonostante   rituale
instaurazione del contradditorio. 
    6. Col primo motivo i reclamanti si  sono  doluti  della  mancata
disapplicazione della regola del patronimico, pur avendo essa  natura
consuetudinaria e non legislativa. Il motivo e' infondato, poiche' la
giurisprudenza sia costituzionale che di legittimita' e'  consolidata
nell'affermare l'esistenza della norma e  il  suo  rango  legislativo
(Corte costituzionale, sentenza n. 286/2016: «Non vi  e'  ragione  di
dubitare dell'attuale vigenza e forza imperativa della norma in  base
alla quale il cognome del padre  si  estende  ipso  iure  al  figlio.
Sebbene non abbia trovato corpo in una disposizione espressa, essa e'
presupposta  e  desumibile   dalle   disposizioni,   regolatrici   di
fattispecie diverse, individuate dal rimettente (artt. 237, 262 e 299
del  codice  civile,  33  e  34  del  decreto  del  Presidente  della
Repubblica n. 396 del 2000; nonche', solo a  fini  esplicativi,  art.
72, primo comma, del r.d. n. 1238 del 1939,  abrogato  dall'art.  110
del citato  decreto  del  Presidente  della  Repubblica),  e  la  sua
perdurante immanenza nel sistema, come  traduzione  in  regola  dello
Stato di un'usanza consolidata nel tempo, e' stata gia'  riconosciuta
sia dalla giurisprudenza costituzionale, sia dalla giurisprudenza  di
legittimita'»; Corte di cassazione sentenza n. 13298/2004, pagg.  3/8
motivazione: «...  ritiene  il  Collegio  che  una  norma  nel  senso
indicato  sia  chiaramente  desumibile   dal   sistema,   in   quanto
presupposta da una serie di disposizioni regolatrici  di  fattispecie
diverse... . L'individuazione di una norma siffatta, nella necessaria
correlazione con il disposto dell'art. 6 del codice civile, il  quale
riconosce il diritto di ogni persona al nome  che  le  e'  per  legge
attribuito, induce a dissentire dall'opinione espressa nella sentenza
impugnata, sostenuta anche da parte della dottrina,  che  ravvisa  il
fondamento della attribuzione al figlio legittimo del cognome paterno
in una consuetudine. E' peraltro appena il caso di ricordare  che  la
consuetudine, quale strumento di formazione  spontanea  del  diritto,
postula una reiterazione e continuita' di comportamenti  conformi  ad
una medesima regola da parte della generalita' dei  consociati  nella
convinzione della loro doverosita': tali elementi non sono certamente
riscontrabili nella vicenda dell'attribuzione  del  cognome  paterno,
segnata da un'attivita' vincolata dell'ufficiale dello stato  civile,
a fronte della quale la volonta'  ed  il  convincimento  dei  singoli
dichiaranti non trovano alcuno spazio»). 
    Ne consegue che l'invocata disapplicazione non puo' aver luogo. 
    7. Col secondo motivo i reclamanti si  sono  doluti  del  mancato
accoglimento da parte del Tribunale di Lagonegro della  eccezione  di
legittimita' costituzionale della norma in esame, e ne hanno ribadito
la rilevanza e la fondatezza. 
    Il motivo deve essere accolto. 
    7.1. Per quanto riguarda la rilevanza, si osserva  che  la  norma
censurata (artt. 237, 262, 299 del codice civile,  72,  primo  comma,
r.d. n. 1238/1939, 33, 34, decreto del Presidente della Repubblica n.
396/2000)  non  e'  suscettibile  di  una  (diversa)  interpretazione
costituzionalmente orientata. 
    Infatti  la  regola  del   patronimico   e'   caratterizzata   da
automatismo, e d'altronde la Corte costituzionale,  con  sentenza  n.
286/2016,  e'  intervenuta  su  analoga  questione  con  sentenza  di
accoglimento - il che  presuppone  appunto  l'impossibilita'  di  una
diversa interpretazione della  norma  denunciata  (era  in  esame  la
legittimita' della stessa disposizione, ma limitatamente  alla  parte
che non consentiva ai coniugi, di comune accordo, di  trasmettere  ai
figli anche il cognome materno, mentre qui e' invocato il diritto dei
coniugi, di  comune  accordo,  di  trasmettere  soltanto  il  cognome
materno). 
    Ne consegue che la presente controversia non puo'  essere  decisa
indipendentemente  dalla  risoluzione  della  suddetta  questione  di
legittimita' costituzionale. 
    7.2. Nel merito, la questione non puo'  ritenersi  manifestamente
infondata (quel che costituisce il perimetro di valutazione da  parte
del giudice a quo). E infatti la disposizione in  esame  si  pone  in
contrasto: 
        coll'art. 2 della Costituzione, che tutela  il  diritto  alla
formazione dell'identita' personale in maniera omogenea tra i figli e
il diritto alla unitarieta' familiare; 
        cogli artt. 3 e 29, secondo comma della Costituzione, poiche'
«... la diversita' di trattamento dei coniugi  nell'attribuzione  del
cognome ai figli, in quanto espressione di  una  superata  concezione
patriarcale della  famiglia  e  dei  rapporti  fra  coniugi,  non  e'
compatibile ne' con il principio di uguaglianza, ne' con il principio
della loro pari dignita' morale e  giuridica»  (Corte  costituzionale
sentenza n. 286/2016, par. 3.4.2); 
        coll'art. 117, primo comma della  Costituzione  in  relazione
agli artt. 8 e 14 della Convenzione europea per la  salvaguardia  dei
diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU), poiche'  «...
in questa stessa cornice si inserisce anche la  giurisprudenza  della
Corte europea dei diritti dell'uomo, che ha ricondotto il diritto  al
nome nell'ambito della tutela offerta dall'art. 8 della CEDU, firmata
a Roma il 4 novembre 1950 e resa esecutiva  con  la  legge  4  agosto
1955, n. 848. In particolare, nella sentenza C. F. contro Italia, del
7  gennaio  2014...  la  Corte  di  Strasburgo   ha   affermato   che
l'impossibilita'  per  i  genitori  di  attribuire  al  figlio,  alla
nascita, il cognome della madre, anziche' quello del  padre,  integra
violazione dell'art. 14 (divieto di  discriminazione),  in  combinato
disposto con l'art. 8 (diritto  al  rispetto  della  vita  privata  e
familiare) della CEDU, e deriva da una lacuna del  sistema  giuridico
italiano, per superare la quale «dovrebbero essere  adottate  riforme
nella legislazione e/o nelle prassi italiane». La Corte  europea  dei
diritti dell'uomo ha, altresi', ritenuto che tale impossibilita'  non
sia  compensata  dalla  successiva  autorizzazione  amministrativa  a
cambiare il cognome dei figli minorenni aggiungendo a quello  paterno
il cognome della madre.» (Corte costituzionale sentenza n.  286/2016,
par. 3.4.1).