TRIBUNALE DI TORINO 
 
 
           Sezione dei giudici per le indagini preliminari 
 
    Il Tribunale di Torino, Sezione G.i.p.-G.u.p., nella persona  del
giudice Luca Fidelio; 
    Visti gli atti del procedimento penale in atto nei confronti di: 
      Z S M N, nata a , l'  ,  con  domicilio  dichiarato  presso  la
propria residenza in , via ,  difesa  di  fiducia  dall'avv.  Roberto
Brizio e dall'avv. Piero Paolo Cassini entrambi del Foro  di  Torino,
giusta dichiarazione di domicilio e nomina fiduciaria del 18 febbraio
2021; 
    Libera - Presente. 
    Imputata del delitto di cui all'art.  589-bis,  1  comma,  codice
penale perche',  mentre  si  trovava  alla  guida  dell'automobile  ,
targata in sul corso , giunto  all'altezza  del  civico,  per  colpa,
consistita in negligenza, imprudenza  imperizia  e  violazione  delle
norme sulla circolazione della strada  (artt.  141-142  codice  della
strada) cagionava la morte di G e, segnatamente, perche',  procedendo
a circa 70 km/h, ometteva di regolare la propria  velocita'  in  modo
rispettare il limite  vigente  (50  km/h)  e  da  evitare  di  creare
pericolo per  la  sicurezza  delle  persone,  e  cosi'  investiva  il
predetto G G il  quale  stava  attraversando  la  strada  a  piedi  e
riportava, a causa dell'urto e  della  successiva  caduta  al  suolo,
lesioni (politrauma,  trauma  cranica,  frattura  parietale)  da  cui
derivava il successivo decesso avvenuto il... , 
    In... , l'... , 
    Identificate le persone offese in: 
      C C , G M , G  V,  G  F,  G  L,  prossimi  congiunti  di  G  G,
rappresentati e difesi dall'avv. Fabio Ghiberti del Foro di Torino  e
presso lo stesso domiciliati ex lege; 
      all'esito dell'udienza in Camera di consiglio del 21 marzo 2022
ha pronunciato la seguente ordinanza: 
1.Il procedimento a quo. 
    Si procede nei confronti di Z S, M N, per il delitto di  omicidio
colposo stradale meglio descritto in epigrafe. 
    Alla  prima  udienza  del  29  novembre   2021,   verificata   la
regolarita' delle notifiche e dichiarata l'assenza dell'imputata,  il
difensore ha chiesto un rinvio al fine di  risarcire  il  danno  agli
eredi della vittima, anticipando l'intenzione di definire il giudizio
con un rito alternativo; nulla  opponendo  il  P.M.,  il  giudice  ha
disposto  in  conformita',   dichiarando   sospesi   i   termini   di
prescrizione. 
    Alla  successiva  udienza  del  7  febbraio  2022   i   difensori
dell'imputata hanno chiesto  un  ulteriore  breve  rinvio  segnalando
l'avvenuto accordo per l'integrale risarcimento del danno alle pp.oo.
e producendo atti di liquidazione e di quietanza, con il giudice che,
nulla opponendo il pubblico ministero e il  difensore  delle  persone
offese, ha disposto in conformita', dichiarando sospesi i termini  di
prescrizione del reato. 
    Alla  seguente  udienza   del   21   febbraio   2022   l'imputata
personalmente ha presentato istanza scritta di messa  alla  prova  ex
art. 168-bis e ss. c.p., depositando documentazione attestante: 
      a) l'insorgenza di un  disturbo  post-traumatico  da  stress  a
seguito dell'incidente per cui si procede; 
      b) l'esistenza di regolare contratto di lavoro. 
    In subordine, il difensore e procuratore  speciale  ha  domandato
sollevarsi questione di legittimita' costituzionale dell'art. 168-bis
comma 1 del  codice  penale  nella  parte  in  cui  non  consente  la
sospensione del processo con messa alla prova per la  fattispecie  di
omicidio colposo stradale nell'ipotesi in cui ricorra l'attenuante ad
effetto speciale del concorso di cause nella causazione del sinistro. 
    Il giudice, prima di  pronunciarsi  sull'ammissione  alla  prova,
ritiene  necessario  sospendere  il  procedimento  e  rimettere  alla
valutazione della Corte costituzionale la questione  di  legittimita'
costituzionale che verra' di seguito esposta. 
2. La ricostruzione del fatto. 
    Prima di dare conto delle ragioni per cui il Tribunale ritiene la
questione non manifestamente  infondata,  e'  necessario  dare  conto
della rilevanza della questione, soffermandosi in primo  luogo  sulla
ricostruzione del fatto storico. 
    Dall'esame degli atti  processuali  (costituiti  dalla  C.n.r.  e
annotazioni della  Polizia  Municipale  di  Torino,  dai  certificati
medici e dalla c.t. a firma ing. Capello),  i  fatti  possono  essere
ricostruiti nei termini che seguono. 
    Nell'annotazione della Polizia Municipale di Torino si legge  che
in data..., intorno alle ore..., si verificava un  sinistro  stradale
in..., a..., all'altezza del civico n. , allorquando  un  pedone,  in
seguito identificato in  G  G,  veniva  investito  dalla  vettura...,
tg..., condotta dall'odierna imputata Z S. 
    Come   riferito    dalla    polizia    giudiziaria    intervenuta
nell'immediatezza, l'odierna imputata: «rimaneva sul posto e  non  si
allontanava dal luogo del sinistro rimanendo sempre a disposizione  e
delle pattuglie intervenute  sul  posto»  (cfr.  annotazione  dell'11
febbraio 2021, ff. 35-36). 
    Il  suddetto  veicolo,  che  si  ripete  stava   percorrendo   la
carreggiata centrale del viale, presentava il parabrezza vistosamente
danneggiato, con tracce di sangue e di capelli. 
    G G , rinvenuto a terra privo di coscienza in zona  non  prossima
all'attraversamento  pedonale  e  a   circa   80   mt   dall'incrocio
semaforico,  veniva  immediatamente  trasportato   all'Ospedale   San
Giovanni Bosco di Torino,  ove  decedeva  circa  una  settimana  piu'
tardi, in data , in conseguenza di gravi  ferite  multiple  e  trauma
cranico. 
    Nell'immediatezza non veniva rinvenuto  alcun  testimone  oculare
dei fatti. 
    Venivano poi acquisiti i filmati  registrati  dagli  impianti  di
videosorveglianza della  banca  Intesa  San  Paolo  ubicata  in...  e
dell'Istituto Amedeo Avogadro: ebbene dalla visione delle riprese, di
scarsa qualita' e di  visuale  non  ottimale,  non  si  immortala  il
momento preciso dell'impatto, notandosi tuttavia il pedone che  viene
sbalzato e proiettato in alto a seguito del forte urto con la vettura
(si vedano fotogrammi riportati alle pagine 3 e seguenti del  verbale
di  accertamenti  tecnici  ripetibili  della  Polizia  Municipale  di
Torino). 
    Nel verbale di accertamenti urgenti di polizia giudiziaria  (cfr.
verbale di accertamento  e  rilievi  ff.  66-73),  si  legge  che  la
carreggiata centrale di nel tratto che interessa e' separata: 
      da quella laterale nord da una sede  tranviaria,  delimitata  a
nord da  barriere  anzi-attraversamento  e  da  uno  sparti  traffico
rialzato e alberato parzialmente adibito alla sosta dei veicoli; 
      da  quella  laterale  sud  da  uno  spartitraffico  rialzato  e
alberato adibito alla sosta dei veicoli, 
    In prossimita' della zona  dell'investimento,  lungo  il  margine
nord della carreggiata centrale, e' presente  una  banchina  rialzata
adibita a fermata del trasporto pubblico di linea  (cfr.  verbale  di
accertamento e rilievi ff. 67 e 71). 
    Nella consulenza tecnica  cinematica  a  firma  Ing.  Capello  si
legge, in sintesi, che: 
      a) il limite di velocita' della zona e' pari a 50 km/h; 
      b) quella giornata era soleggiata  con  possibili  fenomeni  di
abbagliamento; 
      c) la visuale era ottima e l'asfalto asciutto; 
      d) in  prossimita'  del  luogo  dell'investimento  vi  era  una
fermata del tram; 
      e)  l'esame  del  veicolo  condotto  dall'imputata  rivela  una
vistosa  compressione  della   parte   destra   del   paraurti,   una
deformazione  cilindrica  nella  zona  anteriore  destra  del  cofano
motore, un'ampia rottura del parabrezza tale da coinvolgere circa 2/3
del cristallo con epicentro nella parte destra del mezzo  (si  vedano
fotogrammi c.t. pagine 22-27); 
      f)  risulta  difficile  determinare  la  velocita'  esatta  del
veicolo, potendosi tuttavia stimare, in ragione dei danni occorsi  al
veicolo e delle lesioni subite dalla vittima, una  velocita'  intorno
ai 60  Km/h  al  momento  dell'impatto  e  di  circa  70  Km/h  prima
dell'investimento; 
      g)  nella  specie  si  tratta  certamente  di  un  investimento
frontale, con il pedone che, dopo aver  percorso  circa  3,5  mt  dal
margine ovest della carreggiata  e  trovandosi  fuori  dalle  strisce
pedonali, veniva dapprima  colpito  negli  arti  inferiori,  per  poi
sbattere con la fronte sul vetro e venire sbalzato in avanti; 
      h) il sinistro puo' essere ascritto, in  concorso,  all'odierna
imputata, la quale teneva una velocita' eccessiva  e,  nonostante  un
possibile fenomeno di abbagliamento, non si avvedeva  della  presenza
del pedone fuori dalle strisce. 
    Dalla documentazione prodotta dalla difesa emerge che  l'imputata
non e' stata mai convolta in ulteriori sinistri stradali. 
    Nella consulenza tecnica di parte a firma ing. Alberto  Giulietta
si evidenzia in particolare che non  vi  e'  certezza  sul  punto  di
impatto e che la velocita' del mezzo  non  risulta  determinabile  in
modo certo e obiettivo. 
    2.1. La qualificazione giuridica del fatto. 
    La condotta sopra descritta  va  correttamente  qualificata  come
omicidio colposo stradale ex art. 589-bis c.p.. 
    Nell'affrontare casi di investimento ai danni di pedone simili  a
quello che ci occupa la giurisprudenza di legittimita' ha piu'  volte
affermato che la responsabilita' del conducente e'  esclusa  soltanto
se la  condotta  del  pedone  investito  si  pone  come  eccezionale,
atipica, imprevista ed imprevedibile: «In tema di  omicidio  colposo,
per escludere la responsabilita' del  conducente  per  l'investimento
del pedone e' necessario che la condotta  di  quest'ultimo  si  ponga
come  causa  eccezionale  ed  atipica,  imprevista  e  imprevedibile,
dell'evento, che sia  stata  da  sola  sufficiente  a  produrlo.  (In
applicazione del principio la Corte ha ritenuto immune da censure  la
sentenza di condanna per il reato di omicidio stradale del conducente
di un furgone, chiuso nella parte posteriore e privo  di  dispositivi
idonei a monitorare il percorso in retromarcia, per l'investimento di
un pedone avvenuto durante tale manovra, che  avrebbe  dovuto  essere
eseguita con particolare attenzione, avvalendosi  anche  dell'ausilio
di terzo, non essendo imprevedibile la  presenza  di  un  pedone  sul
percorso stradale da compiere in retromarcia)» (cosi' Cassazione Pen.
Sez IV n. 37622/2021). 
    Piu' nel dettaglio, nel  trattare  un  caso  di  investimento  di
pedone in fase di  attraversamento  fuori  dalla  strisce  del  tutto
identico a quello in esame, con sentenza  n.  20912/2021  la  Suprema
Corte  di  cassazione  Sez.  IV  ha  affermato  che:  «In   tema   di
circolazione  stradale,  il  principio  dell'affidamento   trova   un
temperamento nell'opposto principio secondo il quale  l'utente  della
strada e' responsabile  anche  del  comportamento  imprudente  altrui
purche' questo rientri nel limite  della  prevedibilita',  tanto  che
l'obbligo di moderare adeguatamente la velocita', in  relazione  alle
caratteristiche del veicolo e alle condizioni ambientali,  va  inteso
nel senso che il conducente deve essere in grado di padroneggiare  il
veicolo in. ogni situazione (nella  specie,  e'  stato  rigettato  il
ricorso presentato da un automobilista condannato per la morte di  un
pedone, investito mentre attraversava la strada pur  se  fuori  dalle
strisce pedonali: infatti, era risultata dimostrata in sede di merito
la  ragionevole  prevedibilita'  della  condotta  della  vittima,  in
ragione della vicinanza di una fermata degli autobus e  del  traffico
pedonale   conseguente,   con   la   conseguente   condotta   colposa
dell'automobilista che non aveva saputo tenere una condotta di  guida
accorta a contrastare anche le imprudenze altrui)» 
    D'altra parte, costituisce principio altrettanto  consolidato  in
sede di legittimita' quello per cui in tema di circolazione stradale,
il principio  dell'affidamento  trova  un  temperamento  nell'opposto
principio secondo il quale  l'utente  della  strada  e'  responsabile
anche del comportamento imprudente altrui purche' questo rientri  nel
limite della prevedibilita' (cfr., tra le molte, Cassazione Pen. Sez.
4, n. 5691 del 2 febbraio 2016 - dep. 11 febbraio 2016, Rv. 26598101;
nonche' Cassazione Pen. Sez. 4, n. 27513 del 10 maggio 2017 - dep. 1°
giugno 2017...., Rv.  26999701),  tanto  che  l'obbligo  di  moderare
adeguatamente la velocita', in  relazione  alle  caratteristiche  del
veicolo ed alle condizioni ambientali, va inteso  nel  senso  che  il
conducente deve essere in grado di padroneggiare il veicolo  in  ogni
situazione. 
    Ora nel caso in esame l'odierna imputata,  come  evidenziato  dal
P.M., ha certamente violato la disposizione di cui all'art. 141 C. d.
S , comma 2 secondo cui: «il conducente  deve  sempre  conservare  il
controllo del proprio veicolo ed essere in grado di compiere tutte le
manovre necessarie in condizione di sicurezza, specialmente l'arresto
tempestivo del veicolo entro i limiti del suo campo di visibilita'  e
dinanzi a qualsiasi ostacolo prevedibile», omettendo di  regolare  la
velocita' in un tratto di strada caratterizzato dalla presenza di una
fermata del tram di linea  e  da  parcheggi  a  spina  di  pesce  sul
controviale, con prevedibile presenza di pedoni fuori dalle strisce. 
    In altre parole, all'imputata puo' essere mosso l'addebito di non
aver tenuto una velocita' adeguata a compiere una improvvisa  manovra
di arresto, dal momento che il tratto di strada percorso  si  trovava
in prossimita' di una  fermata  di  tram,  la  cui  presenza  rendeva
prevedibile anche un attraversamento sconsiderato da parte dei pedoni
ed  imponeva  un'andatura  di  guida  particolarmente   moderata   ed
un'adeguata attenzione per evitare ogni possibile sinistro. 
    A cio' si aggiunga che il punto d'urto con il pedone (frontale) e
il tratto da questi compiuto all'interno della carreggiata  (circa  3
mt) rivelano la possibilita' di avvistamento. 
    Nella specie non ricorre alcuna  aggravante  (l'imputata  non  si
trovava in stato di ebbrezza o  alterazione,  non  viaggiava  ad  una
velocita' superiore a 70  Km/h,  non  attraversava  un  incrocio  con
semaforo rosso, non circolava contromano ne' compiva una  manovra  di
sorpasso o inversione del  senso  di  marcia)  mentre  certamente  e'
ravvisabile l'attenuante ad effetto speciale del  concorso  di  colpa
della vittima nella causazione  dell'evento  (art.  589-bis  comma  7
c.p.). 
    La vittima infatti attraversava fuori dalle  strisce  pedonali  a
notevole distanza dall'incrocio semaforico,  arrivando  a  percorrere
oltre 3 metri della carreggiata centrale. 
    2.2. La valutazione sulla messa alla prova. 
    Il Tribunale ritiene che nella specie ricorrano in concreto tutti
gli estremi per la sospensione del processo con messa alla  prova  ex
art. 168-bis c.p.. 
    L'interessata, che  mai  prima  ha  usufruito  della  m.a.p.,  ha
formulato  la  richiesta  tempestivamente  nel   corso   dell'udienza
preliminare, inoltrando la relativa istanza  all'U.E.P.E.  di  Torino
per l'elaborazione del programma trattamentale. 
    L'imputata e' persona incensurata, dotata di  regolare  attivita'
lavorativa e mai prima d'ora coinvolta in sinistri stradali, dal  che
discende  una  valutazione  prognostica  ampiamente  positiva   circa
l'astensione dalla commissione di ulteriori reati. 
    La stessa Z. ha poi interamente risarcito  il  danno  agli  eredi
della vittima, attivandosi personalmente presso la propria  compagnia
assicurativa (cfr. atti  di  quietanza  prodotti  all'udienza  del  7
febbraio 2022). 
    L'imputata si e' inoltre dichiarata disponibile a svolgere lavori
di pubblica utilita', mediante l'espletamento di compiti  di  rilievo
sociale anche nel settore della sicurezza stradale. 
    Si ritiene dunque che nel caso sottoposto al  giudizio  ricorrano
tutti gli estremi per la messa alla prova. 
    Sennonche',  per  le   ragioni   che   verranno   subito   meglio
esplicitate,  anche  prendendo  in  considerazione   la   circostanza
attenuante ad effetto speciale di cui all'art. 589-bis comma 7  c.p.,
i limiti edittali di pena  massima  del  reato  di  omicidio  colposo
stradale non consentono  in  astratto  l'adozione  della  messa  alla
prova. 
    L'art. 168-bis codice penale prevede infatti che la m.a.p.  possa
essere richiesta solo per i reati puniti con pena edittale  detentiva
non superiore a quattro anni nel massimo. 
    Il riferimento testuale e'  dunque  alla  pena  edittale  massima
prevista dalla legge. 
    Il delitto di cui all'art. 589-bis codice penale  e'  punito  con
una pena massima di sette anni e una  pena  minima  di  due  anni  di
reclusione. 
    L'attenuante ad effetto speciale  del  concorso  di  cause  nella
verificazione dell'evento prevede una riduzione sino alla meta' della
pena, dal che  discende  che,  anche  tenendo  conto  della  suddetta
diminuente nel computo della pena edittale, il delitto diventa punito
con una pena da uno a sei anni, undici mesi  e  ventinove  giorni  di
reclusione, dovendosi ridurre del massimo la pena minima e del minimo
la pena massima. 
    Al riguardo non e' inutile ricordare che,  in  termini  generali,
quando occorre determinare la pena massima  astrattamente  irrogabile
in caso di circostanze attenuanti e' necessario fare riferimento alla
minima riduzione operabile per  le  attenuanti  (cfr.  tra  le  molte
Cassazione Pen. Sez. II n. 8906/2002 in tema di limiti  di  pena  per
l'adozione di misure cautelare personali ex art. 278 c.p.p.). 
    Ove invece si  tenesse  conto  della  massima  riduzione  per  la
diminuente nel caso di  specie  sarebbe  ammissibile  la  messa  alla
prova. 
    2.3.   Sulla   rilevanza   della   questione   di    legittimita'
costituzionale. 
    La disposizione di cui all'art. 168-bis comma 1 c.p., nella parte
in cui stabilisce ai fini dell'ammissibilita'  astratta  della  messa
alla  prova,  la  sola  pena  edittale  massima  senza   contemplare,
nell'ipotesi in cui ricorra una  circostanza  attenuante  ad  effetto
speciale, la massima riduzione per siffatta diminuente e'  d'ostacolo
all'applicazione della messa alla prova nel caso ora in esame. 
    Ove fosse rimossa  tale  preclusione  -  della  cui  legittimita'
costituzionale il Tribunale  dubita  -  si  potrebbe  ammettere  alla
m.a.p. l'odierna imputata. 
    Da   qui   la   rilevanza   della   questione   di   legittimita'
costituzionale che si ritiene non manifestamente infondata. 
    3. Non manifesta infondatezza  della  questione  di  legittimita'
costituzionale. 
    Il Tribunale  ritiene  che  nel  caso  in  esame  la  preclusione
astratta all'ammissione della m.a.p. discendente dal tenore letterale
della disposizione di cui all'art. 168-bis c.p., sia in contrasto con
il principio di uguaglianza, irragionevole e contraria  al  principio
di proporzionalita' delle pene. 
    Non si intende in questa sede censurare la cornice  edittale  del
reato di omicidio  colposo  stradale  ne'  in  alcun  modo  criticare
l'entita' della risposta sanzionatoria. 
    Il dubbio di legittimita' costituzione si fonda sulle conseguenze
irragionevoli e manifestamente incoerenti del dettato  normativa  che
precludono nel caso di specie l'ammissibilita' astratta  della  messa
alla prova, pur ricorrendo  una  circostanza  attenuante  ad  effetto
speciale  che  nella  sua   massima   estensione   consentirebbe   la
percorribilita' dell'istituto. 
    Per meglio illustrare la questione di legittimita' costituzionale
che si intende sottoporre alla Corte e' indispensabile  porre  alcune
premesse. 
    Con la sentenza n. 36272/2016  le  Sezioni  Unite  della  Suprema
Corte di cassazione hanno sancito il seguente principio  di  diritto:
Ai fini «dell'individuazione dei  reati  ai  quali  e'  astrattamente
applicabile la disciplina dell'istituto della sospensione  con  messa
alla prova, il richiamo contenuto  nell'art.  168-bis  codice  penale
alla pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quattro anni
va riferito alla pena massima prevista per la  fattispecie-base,  non
assumendo  a  tal  fine  alcun  rilievo  le  circostanze  aggravanti,
comprese le circostanze ad effetto speciale e quelle per cui la legge
stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato». 
    La Corte di legittimita', dopo aver premesso che  l'art.  168-bis
codice penale - a  differenza  di  altre  fattispecie  sostanziali  e
processuali - non contiene alcuna precisazione in ordine  ai  criteri
da seguire per la quantificazione della  pena  edittale  massima,  ha
anzitutto chiarito  che  non  vi  e'  un  criterio  unitario  per  la
determinazione della  pena  ai  fini  dell'applicazione  di  istituti
processuali. 
    La Corte ha poi sottolineato  che  la  messa  alla  prova  e'  un
istituto di  natura  ibrida,  sia  sostanziale  che  processuale,  in
quanto, da un lato,  si  configura  come  un  rito  speciale  in  cui
l'imputato rinuncia al processo ordinario  in  cambio  del  vantaggio
costituito da un trattamento sanzionatorio non detentivo; dall'altro,
come   una    fattispecie    sostanziale    che    persegue    «scopi
specialpreventivi in una fase anticipata, in cui viene «infranta»  la
sequenza  cognizione-esecuzione  della   pena.,   in   funzione   del
raggiungimento della risocializzazione del soggetto»  (cfr.  pag.  10
della sentenza indicata). 
    La Corte di cassazione ha quindi posto l'accento sulle  finalita'
special-preventive che connotano la messa alla prova, ponendo in luce
il dato per cui l'istituto risulta applicabile anche a reati ritenuti
astrattamente gravi. 
    Vale pena riportare testualmente  alcuni  passaggi  dell'indicata
sentenza contenuti al punto 7 del considerato in diritto, da  cui  in
parte trovano fondamento i dubbi di  legittimita'  che  si  intendono
sottoporre al vaglio della Corte delle leggi: «Sembra evidente, sulla
base di un approccio sistematico alla lettura dell'art. 168-bis c.p.,
che  la  gravita'  del  reato  non  debba  essere   pregiudizialmente
enfatizzata  nel  momento  dell'astratto  rilievo  dei   criteri   di
ammissibilita', in quanto il giudizio  effettivo  di  ammissione  del
rito resta riservato alla valutazione del giudice  circa  l'idoneita'
del programma trattamentale proposto  e  la  prognosi  di  esclusione
della recidiva:  valutazione,  questa,  che  si  svolge  in  base  ai
parametri dell'art. 133 c.p., i quali  attengono  alla  gravita'  del
reato, desunta dalla condotta, dall'entita' del danno o del  pericolo
cagionato alla persona offesa e dalla intensita' del dolo o dal grado
della colpa. Ed e' proprio questa la fase in cui assume  effettivo  e
concreto rilievo la gravita' dell'illecito. 
    Anticipare  questa  valutazione  sin  dai  criteri  astratti   di
ammissibilita' cui fa riferimento l'art.  168-bis  c.p.,  equivale  a
restringere, in forza di una interpretazione praeter legem,  l'ambito
operativo  della  messa  alla  prova,  utilizzando  automatismi   che
irrigidiscono l'istituto in un'ottica di sola  prospettiva  premiale.
Al contrario, la lettura corretta della norma amplia il perimetro  di
operativita' del  rito,  spostando  sul  giudice  e  sul  suo  potere
discrezionale la motivata valutazione in merito alla fondatezza della
richiesta   dell'imputato,    coerentemente    con    le    finalita'
specialpreventive della messa alla prova. 
    La soluzione che ritiene l'irrilevanza delle circostanze  risulta
confermata non solo dall'interpretazione letterale dell'art.  168-bis
c.p., che pone in evidenza  la  mancanza  di  ogni  riferimento  agli
accidentalia delicti, e dalla ricostruzione della voluntas legis,  ma
anche da un'interpretazione logico-sistematica, la' dove  si  osservi
che l'effetto di estendere  l'ambito  applicativo  della  messa  alla
prova a reati che possono  presentare  un  maggiore  disvalore  trova
piena giustificazione con il fatto che si tratta di un  istituto  che
prevede,  comunque,  un  «trattamento  sanzionatorio»   a   contenuto
afflittivo, non  detentivo,  che  puo'  condurre  all'estinzione  del
reato.  Tale  carattere,  infine,  e'  confermato  dall'art.  657-bis
c.p.p., in cui si prevede che nel determinare la pena da eseguire  in
caso di fallimento della prova  (a  seguito  di  revoca  o  di  esito
negativo della messa alla prova) venga comunque detratto  il  periodo
corrispondente a quello della prova eseguita». 
    La Corte di  legittimita'  nulla  ha  specificato  in  ordine  ai
criteri da seguire nel caso in cui ricorrano  circostanze  attenuanti
ad effetti ad effetto speciale e se di esse si debba tener conto -  e
in che modo - nel determinare la pena base ai fini dell'art.  168-bis
c.p.- 
    Nel silenzio della legge e tenuto conto del principio di  diritto
e del  tenore  della  motivazione  sopra  riassunta,  si  reputa  che
siffatte  diminuenti  possano  -  e  debbano  -   essere   prese   in
considerazione  al  fine  di  determinare   la   pena   astrattamente
applicabile in caso di messa alla prova. 
    La Corte di cassazione ha infatti escluso che  possano  avere  un
rilievo ai sensi dell'art. 168-bis codice penale le sole  circostanze
aggravanti,  incluse  quelle  ad  effetto  speciale  e  autonome,  al
dichiarato fine di ampliare il  perimetro  applicativo  dell'istituto
premiale della messa alla prova. 
    La Corte di legittimita' ha inoltre chiarito  che,  nel  silenzio
della    legge,    occorre    evitare    rigidita'    con    riguardo
all'ammissibilita'     astratta     dell'istituto,     focalizzandosi
principalmente  sulla  fattispecie  concreta  sottoposta  al   vaglio
giudiziale  e  sulla  ricorrenza  in  fatto  degli  estremi  per   la
praticabilita' della messa alla prova. 
    In applicazione di tali dettami ritiene il Tribunale che ai  fini
di determinare la pena edittale massima  per  l'ammissibilita'  della
messa  alla  prova  debbano  essere  prese   in   considerazione   le
circostanze attenuanti ad effetto speciale. 
    Tale opzione ermeneutica, oltre ad apparire  la  piu'  fedele  ai
principi sanciti dalla Suprema Corte di legittimita', ha il pregio di
espandere  la  portata  applicativa  dell'istituto,  con   innegabili
ricadute positive in termini di riduzione dei carichi di lavoro e  di
contenimento dei tempi di durata dei procedimenti penali. 
    Cio'    chiarito,    si    osserva    che,     in     conseguenza
dell'interpretazione fornita dal diritto vivente, la sospensione  del
processo con messa alla prova risulta astrattamente ammissibile anche
rispetto a fatti puniti con pena decisamente piu' elevata rispetto  a
quella dell'omicidio colposo stradale attenuato dal concorso di altre
cause nella causazione dell'evento lesivo. 
    Si pensi, ad esempio, alle lesioni dolose gravissime punite nella
forma aggravata con una pena da  sei  a  dodici  anni  di  reclusione
(artt. 582, 583 c.p.). 
    Si  consideri,  ancora,  il  delitto  di  resistenza  a  pubblico
ufficiale aggravato dal numero di piu' di cinque  persone  riunite  e
dall'impiego di armi, sanzionato con  una  pena  edittale  da  tre  a
quindici anni di reclusione (artt. 337 e 339 c.p.). 
    Sul punto giova poi richiamare  la  fattispecie  di  ricettazione
aggravata dalla  finalita'  di  agevolare  una  associazione  mafiosa
(artt. 648 e 416-bis legge c.p.), punita da due anni e otto mesi sino
dodici anni di reclusione. 
    In tutte le ipotesi sopra descritte, si noti procedibili con rito
ordinario nella forma aggravata e sanzionate con  una  pena  edittale
sensibilmente piu' elevata di quella applicabile all'omicidio colposo
stradale  sia  nel  minimo  sia   nel   massimo   edittale,   risulta
astrattamente percorribile la messa alla prova, dal  momento  che  il
reato nella sua forma semplice  risulta  punito  con  pena  base  non
superiore  nel  massimo  a  quattro  anni  di  reclusione  o  incluso
nell'elenco di cui all'art. 550 comma 2 c.p.p.. 
    Viceversa, per l'ipotesi di omicidio colposo  stradale  attenuato
dal  concorso  di  colpa  della  vittima  e'  inibita   in   astratto
l'operativita' della messa alla prova. 
    Tale   preclusione,   ad   avviso   di   questo   Tribunale,   e'
manifestamente  irragionevole  e  non  appare  sorretta   da   alcuna
giustificazione 
    Non si vede infatti per quale ragione il responsabile di un fatto
colposo in cui l'elemento psicologico risulta senza dubbio lieve e di
modesta entita', specie in conseguenza del concorso  di  colpa  della
vittima, e la verificazione  dell'evento  lesivo  non  sia  esclusiva
conseguenza  della  condotta  negligente  del  colpevole,  non  possa
accedere alla messa alla prova, a differenza di un soggetto autore di
reati dotati di maggiore gravita' astratta e concreta,  commessi  con
notevole  impiego  di  violenza  e  contraddistinti  da  un  elemento
psicologico intenso e talvolta intenzionale (si pensi  alle  violenze
commesse ai danni di pubblici ufficiali da  piu'  di  cinque  persone
riunite e con armi o alla ricezione di beni di  provenienza  illecita
con la precisa finalita' di agevolare un sodalizio mafioso). 
    Si tratta di una irragionevolezza che assume aspetti tali da  non
essere sorretta da alcuna giustificazione e  stride  con  i  principi
costituzionali di uguaglianza e proporzionalita'. 
    Nel caso di specie,  infatti,  l'astratta  preclusione  normativa
all'ammissibilita'  della  messa  alla  prova,  si   ripete   fondata
esclusivamente sulla pena massima astrattamente  applicabile,  appare
manifestamente incoerente con il disvalore concreto ed effettivo  del
fatto  e  palesemente  ingiustificata,  considerando  che  la  m.a.p.
risulta   in   astratto   percorribile   in   fattispecie   criminose
contrassegnate da un indubbio e palese maggior disvalore e punite con
una pena decisamente piu' elevata nel minimo e nel  massimo  edittale
(come detto la resistenza  a  pubblico  ufficiale  pluriaggravata  e'
punita con una pena pari ad oltre il doppio  di  quella  in  astratto
applicabile  all'omicidio  colposo  stradale  con  l'attenuante   del
concorso di cause nella verificazione dell'evento). 
    Peraltro, proprio la Corte di cassazione nella sentenza a Sezioni
unite sopra richiamata pone l'accento  sulla  necessita'  di  evitare
rigidi formalismi in sede di ammissibilita' astratta della  m.a.p.  e
suggerisce di ancorare la percorribilita' dell'istituto alla concreta
gravita' del fatto, valutando i parametri di cui all'art. 133 c.p.. 
    D'altra parte, per la affine e conciata  fattispecie  di  lesioni
colpose stradali (art. 590-bis c.p.), e' percorribile la  messa  alla
prova,  anche  nell'ipotesi  in  cui  ricorrano  plurime  circostanze
aggravanti (quali ad esempio l'eccesso  di  velocita',  la  fuga  del
conducente o lo stato di ebrezza), trattandosi di  reato  procedibile
con citazione diretta a giudizio ex art. 550  comma  2  lett,  e  bis
c.p.p.. 
    Ora, ponendosi nel solco dei canoni ermeneutici  tracciati  dalla
Suprema Corte di cassazione, si osserva  che  nel  caso  concreto  la
sussistenza dell'attenuante ad effetto speciale di cui  all'art.  589
comma 7  codice  penale  determina  una  ridotta  offensivita'  della
condotta, tenuto conto degli argomenti che si andranno di seguito  ad
esporre. 
    Non ignora il giudice che la Corte costituzionale,  con  sentenza
n.  88/2019,  ha  chiarito  che  l'attenuante   in   parola   attiene
all'efficacia causale e non all'offensivita' del delitto: «Si  tratta
di un'attenuante tutt'affatto speciale nel panorama delle circostanze
del reato proprio perche' afferisce al  rapporto  causale  retto  dal
generale principio  dell'equivalenza  delle  cause  (art.  41  codice
penale  ),  che  vuole  che  il  concorso  di  cause  preesistenti  o
simultanee o  sopravvenute,  anche  se  indipendenti  dall'azione  od
omissione del colpevole, non esclude il rapporto  di  causalita'  fra
l'azione od omissione e l'evento; e cio'  e'  vero  anche  quando  la
causa preesistente o simultanea o  sopravvenuta  consiste  nel  fatto
illecito altrui». 
    Cionondimeno, si reputa che la diminuente  in  discorso  comporti
una  sensibile  attenuazione  della  gravita'  concreta   del   fatto
sottoposto al giudizio, posto che, anzitutto, e' innegabile che nella
specie il decesso della vittima sia dovuto  non  solo  alla  condotta
colpevole dell'odierna imputata (che non  moderava  la  velocita'  in
modo da arrestare con prontezza la marcia) ma anche  al  concorso  di
colpa dello stesso soggetto passivo  (che  attraversava  fuori  dalle
strisce pedonali a notevole distanza dall'incrocio semaforico). 
    La verificazione dell'evento lesivo nella specie e'  attribuibile
non soltanto alla condotta di guida negligente dell'odierna  imputata
ma anche ad altri fattori causali (nella  specie  il  fatto  illecito
della  vittima  che  attraversava  fuori  dalle  strisce)  che  hanno
contribuito alla verificazione dell'esito mortale. 
    In secondo luogo, l'attenuante di cui all'art.  589-bis  comma  7
codice penale determina una decisa riduzione del  grado  della  colpa
addebitabile all'odierna imputata,  considerata  anche  l'assenza  di
elementi aggravatori. 
    Proseguendo nell'analisi dei criteri di cui all'art.  133  codice
penale  e  soffermandosi  piu'  nel  dettaglio  sulla   capacita'   a
delinquere del reo, e' indubbio che nella  specie  ricorrano  plurimi
elementi  positivi  da  cui  si   trae   una   minima   pericolosita'
dell'odierna imputata e per la precisione: 
      1) si tratta di persona incensurata e immune da pendenze: 
      2) il comportamento antecedente al reato rivela che Z  non  era
mai stata prima  coinvolta  in  alcun  incidente  stradale,  dal  che
discende l'estemporaneita' ed occasionalita' dell'illecito, frutto di
una momentanea ed isolata disattenzione alla guida; 
      3) il comportamento contemporaneo al  reato  riflette  altresi'
una inesistente capacita' criminale, dal momento che l'imputata  dopo
l'impatto rimaneva sul posto sottoponendosi a tutti gli  accertamenti
del caso; 
      4) anche la condotta susseguente al reato si rivela positiva  e
apprezzabile, tenuto conto che Z si attivava per  far  ottenere  agli
eredi della vittima un integrale risarcimento del danno e mostrava un
autentico sentimento di disagio e  sofferenza  per  quanto  accaduto,
sottoponendosi ad un percorso di sostegno psicologico; 
      5)  il  carattere  e  le  condizioni   sociali   e   famigliari
dell'interessata (dotata di regolare attivita' lavorativa) rafforzano
ulteriormente il giudizio positivo sopra rassegnato. 
4. Impossibilita' di  interpretazioni  alternative  del  testo  della
legge. 
    Va preliminarmente evidenziato  che  il  tenore  letterale  della
disposizione della cui legittimita' si dubita e'  chiaro  e  che  non
risultano praticabili interpretazioni alternative del testo capaci di
consentire l'applicazione della messa alla prova al caso in esame. 
    Il senso proprio delle parole rende  esplicito  quale  sia  stato
l'intento del legislatore: precludere l'astratta praticabilita' della
messa alla prova  per  i  reati  puniti  con  pena  edittale  massima
superiore a quattro anni di reclusione. 
    Anche considerando la riduzione per l'attenuante di cui  all'art.
589-bis comma 7 c.p., la pena massima  astrattamente  applicabile  e'
pari ad anni  sette  meno  un  giorno  di  reclusione,  il  che  osta
all'ammissibilita' della messa alla prova. 
    Non si danno,  pertanto,  interpretazioni  alternative  a  quella
esplicitata nel testo della legge che consentano di superare i  dubbi
di legittimita' costituzionale di cui si e' detto e meglio si dira'. 
    L'impossibilita' di interpretazioni alternative impone dunque  di
esporre analiticamente i dubbi  di  legittimita'  costituzionale  che
investono direttamente il testo dell'art. 168-bis comma l c.p. 
5. Le norme costituzionali violate. 
    Il  Tribunale  ritiene   che   la   preclusione   astratta   alla
percorribilita' della m.a.p. nel caso sopra ricostruito cozzi con  il
principio di uguaglianza e di proporzione di cui all'art. 3 Cost. Non
consentire la messa alla prova in caso di omicidio  colposo  stradale
attenuato dal  concorso  di  colpa  della  vittima  nella  causazione
dell'evento e in  assenza  di  aggravanti  si  pone  in  antitesi  al
principio di uguaglianza  e  di  proporzione,  posto  che  per  reati
astrattamente e concretamente ben piu' gravi e  di  maggiore  allarme
sociale (quali le lesioni  volontarie  gravissime,  la  resistenza  a
pubblico ufficiale pluriaggravata ex art. 339 c.p.,  la  ricettazione
aggravata dalla finalita' di agevolare una  associazione  mafiosa)  i
limiti edittali della pena base, cosi' come ricostruiti  dal  diritto
vivente  ed  in  particolare  dalla  Suprema  Corte  di   cassazione,
consentono l'adozione astratta della m.a.p. 
    La  violazione  del  principio  di  uguaglianza  trae   ulteriore
fondamento  ove  si  consideri  che  per  la  analoga   e   collegata
fattispecie di lesioni colpose stradali (art.  590-bis  c.p.),  anche
nella forma aggravata, e' astrattamente possibile accedere alla messa
alla prova. 
    Ad avviso del Tribunale tale disparita' di trattamento non  trova
alcuna ragionevole giustificazione. 
    La preclusione alla messa alla  prova  nel  caso  di  specie,  si
ripete fondata esclusivamente sui limiti edittali della pena  massima
astrattamente  applicabile,   stride   inoltre   con   la   finalita'
rieducativa  della  pena  di'  cui  all'art.  27,   comma   3   della
Costituzione, in  quanto  l'odierna  imputata,  si  ripete  priva  di
precedenti  giudiziari  e  di  pendenze  e  mai  prima  coinvolta  in
incidenti stradali, verrebbe condannata ad una pena della  reclusione
anziche' scontare la sanzione svolgendo lavori di pubblica  utilita',
anche nel  settore  della  sicurezza  stradale,  con  un  trattamento
sanzionatorio    alternativo    che    consentirebbe    meglio     la
risocializzazione del soggetto. 
    Di conseguenza, in caso di condanna, l'imputata non potrebbe  che
avvertire  come  ingiusta  e   sproporzionata   la   sanzione   della
reclusione,  atteso  che  gli  autori  di  altre  e  ben  piu'  gravi
fattispecie criminose possono beneficiare dell'istituto  della  messa
alla prova (si veda tra le molte  Corte  costituzionale  sentenza  n.
40/2019). 
    In piu' occasioni,  infatti  la  Corte  costituzionale  ha  posto
l'accento sul «volto costituzionale della pena» e sulla extrema ratio
della  sanzione  della  reclusione,  che  deve  sempre  tendere  alla
rieducazione del condannato. 
    D'altra parte, la principale finalita' della messa alla prova  e'
proprio  quella  special-preventiva  di   adottare   un   trattamento
sanzionatorio alternativo alla detenzione  e  specifico,  parametrato
alla tipologia e gravita' di reato commesso dall'imputato e alla  sua
pericolosita'. 
    La soluzione qui propugnata avrebbe il vantaggio di consentire un
ampliamento del perimetro di operativita' dell'istituto  della  messa
alla prova, con innegabili ricadute positive in termini di deflazione
del contenzioso e di riduzione della durata dei procedimenti penali. 
    L'espansione del raggio di operativita' dell'istituto della messa
alla prova e' esigenza avvertita anche nella recente legge delega  n.
134/2021 di riforma del processo penale. 
    All'art. 1, comma 22 si delega infatti il Governo all'adozione di
decreti legislativi chiaramente volti ad  estendere  il  catalogo  di
reati per cui e' ammissibile la messa alla prova. 
    Nella legge delega si prevede appunto che il  legislatore  dovra'
riformare l'istituto  con  l'obiettivo  di:  «estendere  l'ambito  di
applicabilita' della sospensione  del  procedimento  con  messa  alla
prova dell'imputato, oltre ai casi previsti dall'art. 550,  comma  2,
del codice di procedura penale, a ulteriori specifici  reati,  puniti
con pena edittale detentiva non superiore nel massimo a sei anni, che
si  prestino  a  percorsi  risocializzanti  o  riparatori,  da  parte
dell'autore, compatibili con l'istituto». 
    Non vi e' chi non veda come il caso in esame si presti a percorsi
risocializzanti  e  riparatori,   in   buona   parte   gia'   avviati
dall'odierna imputata. 
6. Conclusioni sulla non manifesta infondatezza  della  questione  di
legittimita' costituzionale: il petitum. 
    Riassumendo,  l'esclusione  astratta  della  applicazione   della
m.a.p, in caso di omicidio colposo  stradale  in  cui  ricorrano  gli
estremi del concorso di colpa  della  vittima  e  di  conseguenza  si
ravvisi la circostanza attenuante ad effetto speciale di cui all'art.
589-bis comma 7 codice penale si pone in contrasto con l'art. 3 Cost.
-  violando   i   principi   di   eguaglianza,   proporzionalita'   e
ragionevolezza - e con il principio di rieducazione della pena di cui
all'art. 27 Cost. 
    Risulta violato il  principio  di  uguaglianza  e  ragionevolezza
nella misura in cui la messa alla prova puo' trovare applicazione per
fattispecie ben piu' gravi in astratto e in concreto mentre nel  caso
di specie l'applicazione dell'istituto e' inibita esclusivamente  dai
limiti astratti della pena massima,  senza  considerare  che  ove  si
tenesse conto  della  massima  estensione  dovuta  all'attenuante  ad
effetto speciale sopra citata i limiti  di  pena  consentirebbero  la
praticabilita' dell'istituto. 
    Risulta parimenti vulnerato ii principio  di  proporzionalita'  e
adeguatezza della pena, posto che la sanzione  maggiormente  adeguata
al caso di specie e' senza dubbio quella alternativa alla  detenzione
attraverso lo svolgimento di lavori di pubblica utilita',  anche  nel
settore della sicurezza stradale. 
    Non  resta  che  esplicitare   la   questione   di   legittimita'
costituzionale che si intende sollevare e sottoporre al vaglio  della
Corte: si chiede alla Corte  costituzionale  di  valutare  se  l'art.
168-bis comma l c.p., codice penale  risulti  in  contrasto  con  gli
articoli 3 e 27, comma 3, Cost.  nella  parte  in  cui  non  consente
l'ammissibilita' astratta della messa alla prova in caso di  omicidio
colposo stradale in cui non ricorra alcun  aggravante  e  si  ravvisi
l'attenuante ad effetto speciale del concorso di colpa della  vittima
nella causazione dell'evento di cui all'art. 589-bis comma 7 c.p. 
    Per tale ragione, il processo deve  essere  sospeso  e  gli  atti
trasmessi alla Corte costituzionale.