CORTE DI APPELLO DI NAPOLI 
                       Settima sezione civile 
 
    Nella persona del consigliere designato, dott. Michele  Magliulo,
nel procedimento iscritto al n. 1635/2022 V.G., in  materia  di  equa
riparazione ex legge n. 89/2001, vertente tra: 
        Diallo Alhassane  (C.F.  DLLLSS99A01Z319S),  rappresentato  e
difeso dall'avv. De Vincentis Gianluca, ricorrente, 
        e  Ministero  della  giustizia,  (c.f.  n.  97591110586),  in
persona del Ministro pro tempore, resistente; 
    Letto il ricorso presentato in data  13  luglio  2022  da  Diallo
Alhassane   con   il   quale   viene   richiesto   l'indennizzo   per
l'irragionevole durata del processo di seguito indicato; 
 
                               Osserva 
 
    Il ricorrente, sig. Diallo Alhassane, ha chiesto l'indennizzo per
l'irragionevole durata del processo civile svoltosi  in  primo  grado
dinanzi al Tribunale di Napoli - Sezione specializzata in materia  di
immigrazione, da lui introdotto con ricorso ex art.  35-bis,  decreto
legislativo n. 25/2008, depositato in data 6 febbraio 2019, che aveva
ad  oggetto  l'impugnazione   della   decisione   della   Commissione
territoriale per il riconoscimento della protezionale  internazionale
di Salerno, notificata il  24  gennaio  2019,  che  aveva  negato  al
predetto la cd. protezione internazionale e la protezione per  motivi
umanitari. 
    All'esito  dell'istruttoria  svolta,  il  procedimento  e'  stato
definito con decreto n. 3622/2022 del 14 marzo 2022  che  ha  accolto
parzialmente la domanda, riconoscendo al sig. Diallo  il  diritto  al
rilascio di permesso di soggiorno per protezione speciale ex art. 32,
comma 3, decreto legislativo n. 25/2008. 
    Il ricorso e' certamente ammissibile ex art. 4, legge n. 89/2011,
in quanto e' stato depositato il 13 luglio 2022,  quindi,  nel  pieno
rispetto del termine semestrale  previsto  per  la  proposizione  del
ricorso ex legge Pinto. 
    Parte ricorrente ha dedotto che il giudizio presupposto e' durato
tre anni e due mesi, e che  il  termine  di  durata  ragionevole  dei
procedimenti, come quello in  questione,  dovrebbe  identificarsi  in
quattro  mesi,  ossia  nel  termine  fissato  per  la  decisione  del
Tribunale dall'art. 35-bis, comma  13,  decreto  legislativo  del  28
gennaio 2008, n. 25, modificato dal decreto-legge 17  febbraio  2017,
n. 13, convertito in legge 13 aprile 2017, n. 46, da considerarsi lex
specialis rispetto al termine fissato, in via generale, in  tre  anni
per il primo grado di giudizio dall'art. 2,  comma  2-bis,  legge  n.
89/2001. 
    La tesi sostenuta dal ricorrente non risulta condivisibile. 
    L'art. 2, comma 2-bis legge Pinto stabilisce  che  «si  considera
rispettato il termine ragionevole di cui al comma l  se  il  processo
non eccede la durata di tre anni in primo grado, due in secondo grado
e un anno nel giudizio di legittimita'». Tali disposizioni sono state
introdotte  dall'art.  55,  comma  1,  lettera  a),  numero  2),  del
decreto-legge n. 83 del 2012, al  fine  di  adottare  una  disciplina
legale uniforme dei termini entro  cui  il  giudizio  deve  reputarsi
rispettoso del  principio  della  ragionevole  durata  del  processo,
enunciato  dall'art.  111,  secondo  comma,  Cost.  e  dall'art.   6,
paragrafo 1, della CEDU. 
    Ad avviso di  questo  giudice,  il  superamento  del  termine  di
quattro  mesi  per  la  decisione  previsto  dalla  normativa   sopra
richiamata, che ha pacificamente natura ordinatoria,  non  rileva  di
per se' ai fini dell'equo indennizzo, perche' non puo' ritenersi  che
tale  termine,  avente  finalita'  meramente   acceleratoria,   possa
considerarsi   sostitutivo   e   derogatorio   di   quello   previsto
specificamente dalla legge in materia di  equa  riparazione.  Vi  e',
cioe', un'obiettiva  indipendenza  dei  due  termini  rispettivamente
previsti dall'ordinamento per la decisione del procedimento de quo  e
per la ragionevole durata del processo, di guisa che  il  superamento
del primo di essi e' insufficiente ai  fini  del  riconoscimento  del
diritto all'equo indennizzo di cui alla legge  n.  89  del  2001.  Un
ragionamento analogo a quello appena svolto e' pacificamente  seguito
per il termine di durata ragionevole  dei  procedimenti  della  legge
Pinto, fissato notoriamente in un anno nonostante che l'art. 3, comma
4, preveda che il giudizio debba essere deciso  entro  trenta  giorni
dal deposito del ricorso, e l'art. 5-ter, comma 5 che la  definizione
del giudizio di opposizione debba avvenire  entro  quattro  mesi  dal
deposito del ricorso. 
    L'unico termine  decisivo  resta  quello  stabilito  dalla  legge
Pinto, non potendosi dubitare che l'art. 2,  comma  2-ter  citato  si
applichi   anche   al   procedimento   in   materia   di   protezione
internazionale perche' esso si estende «ad ogni  procedimento  civile
per cui non  sia  disposto  diversamente,  e  non  solo  al  giudizio
ordinario di cognizione; tanto e'  vero  che,  per  alcune  procedure
speciali, come quella esecutiva, e quella concorsuale,  la  legge  ha
previsto termini diversi e specifici» (cosi' Corte costituzionale  n.
36 del 19 febbraio 2016). 
    Cio'  posto,  vanno,  per  converso,   considerati:   la   natura
personalissima  dei  diritti  umani  coinvolti  (riconosciuti   dalle
convenzioni  internazionali  e  dalla  Costituzione   italiana),   la
peculiarita' del procedimento connotato dalla semplicita' delle forme
e da esigenze  di  snellezza  e  sommarieta'  delle  indagini  (cosi'
Cassazione 10 settembre 2020, n. 18787),  la  stessa  previsione  del
termine di quattro mesi per la decisione del  giudice  (peraltro  non
reclamabile), nonche' l'indicazione  contenuta  nel  comma  15  dello
stesso art. 35-bis secondo cui la «controversia e' trattata  in  ogni
grado in via di urgenza»;  rilievi  dai  quali  si  desume,  in  modo
univoco e convergente, che la tutela  in  materia  di  riconoscimento
della protezione internazionale debba essere  certamente  soddisfatta
con particolare rapidita' e celerita'. 
    Alla stregua di tali considerazioni, non  vi  e'  dubbio  che  la
speciale delicatezza e la notevole rilevanza  della  materia  oggetto
dei procedimenti in esame, inerente il  godimento  di  diritti  umani
fondamentali, esigono, nei giudici, un'accentuata  diligenza  ed  una
specifica loro efficienza anche sul piano temporale, con  conseguente
riduzione del parametro di ragionevole durata del processo. Non puo',
percio', ritenersi che,  anche  rispetto  a  tale  procedimento,  sia
adeguato  e  rispettoso  dei  principi  costituzionali   il   termine
triennale  di  durata  ragionevole  previsto  in  via  generale   con
riferimento ai procedimenti civili. 
    Ricapitolando, l'art. 2, comma  2-bis  della  legge  n.  89/2001,
imponendo  di  considerare  ragionevole  la  durata   triennale   del
procedimento di primo grado  materia  di  protezione  internazionale,
finisce per equiparare e trattare  in  modo  uniforme  procedure  del
tutto  diverse  sotto  l'aspetto  della   congruita'   della   durata
ragionevole dei giudizi, posto che la individuazione di  tale  durata
ex  art.  111,  secondo  comma  Cost.  non  puo'  prescindere   dalle
caratteristiche e dalla natura del procedimento.  In  tal  senso,  va
altresi' ricordato che, in sede di interpretazione dell'art. 6  della
Convenzione europea sui diritti dell'uomo, la Corte di Strasburgo  ha
sempre tenuto conto, in particolare, della complessita' della causa e
della rilevanza della «posta in gioco» al fine  della  determinazione
del termine ragionevole, e, tra gli esempi di categorie di cause che,
per loro natura, esigono particolare diligenza e  sollecitudine  sono
fatte rientrare le cause in materia di stato civile  e  di  capacita'
personale (cfr. Corte europea diritti dell'uomo sez.  I,  5  dicembre
2019, n. 35516). 
    Ne consegue che l'art. 2, comma 2-bis citato, nella parte in  cui
si  applica  anche  ai  procedimenti   in   materia   di   protezione
internazionale, appare contrastante sia con  l'art.  3,  primo  comma
della Costituzione, sia con gli articoli 111, secondo comma,  e  117,
primo  comma,  della  Costituzione,  per  violazione  degli  obblighi
internazionali derivanti dall'art. 6 della Convenzione europea per la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali  che
stabilisce l'analogo principio del «termine ragionevole». 
    Ne' il giudice potrebbe interpretare l'art. 2,  comma  2-bis,  in
senso conforme alla Costituzione, derogando alla suddetta  previsione
normativa e sostituendo al termine triennale un termine inferiore  da
lui  individuato,  ad  esempio,  in  via  analogica,  quello  annuale
previsto per le procedure di  legge  Pinto,  cosi'  come  deciso  nei
precedenti allegati dal ricorrente. Al  riguardo,  deve  condividersi
l'opinione secondo la quale  i  commi  2-bis  e  2-ter  dell'art.  2,
nell'affermare che il termine ivi indicato «Si considera rispettato»,
sono univoci e non possono che  essere  intesi  nel  senso  che  tale
termine debba essere ritenuto sempre ragionevole, perche' considerato
dal  legislatore  insensibile  alla  natura   del   procedimento   ed
all'eventuale accertamento della maggiore semplicita'  dello  stesso.
Cio' trova conferma nel fatto che questa  affermazione  si  inserisce
nell'ambito di un  intervento  normativa  diretto  a  sottrarre  alla
discrezionalita' giudiziaria la determinazione della  congruita'  del
termine, per affidarla invece ad una previsione legale  di  carattere
generale. In tal senso si e' correttamente osservato che  «di  fronte
all'esplicita  previsione   normativa,   che   non   prevede   durate
diversificate in  ragione  del  diverso  grado  di  complessita'  dei
giudizi, ogni argomento contrario e' recessivo»  (cfr.  Cassazione  6
dicembre  2021,  n.  38471).  Anche   nei   lavori   preparatori   al
decreto-legge n. 83/2012, in particolare all'art. 55,  si  legge  che
l'osservanza dei termini di durata dei  singoli  gradi  di  giudizio,
introdotti dall'art. 2, comma 2-bis, «fa si' che  sia  rispettato  il
termine  ragionevole  di  durata  del  procedimento  e,  quindi,  non
permette alcuna domanda di indennizzo». 
    Significativo, del resto, e'  che  l'individuazione  del  termine
annuale di durata ragionevole del processo della cd. legge Pinto  non
e' il frutto di una  operazione  interpretativa  dell'art.  2,  comma
2-bis della stessa legge, ma e' conseguente al necessario  intervento
demolitorio della Corte  costituzionale  che,  con  sentenza  del  19
febbraio 2016, n. 36, ha dichiarato costituzionalmente illegittimo  -
per violazione degli articoli 111 e 117, comma 1, Cost. -  il  citato
art. 2, comma 2-bis nella parte in cui si  applica  alla  durata  del
processo di primo grado previsto dalla legge  n.  89  del  2001.  Va,
ancora, evidenziato che, nella pronunzia suindicata, la Corte,  sulla
base di  argomentazioni  identiche  a  quelle  sopra  illustrate,  ha
rigettato l'eccezione sollevata dall'Avvocatura generale dello  Stato
secondo  cui  sarebbe  stato  possibile  adottare  un'interpretazione
costituzionalmente conforme  delle  disposizioni  impugnate,  ed  ha,
quindi, disatteso la tesi che il legislatore avrebbe introdotto  solo
«un parametro cui il giudice deve attenersi senza  esserne  vincolato
in termini assoluti», potendone prescindere alla  luce  della  natura
del procedimento. 
    In conclusione, il carattere  vincolante  ed  inderogabile  della
previsione normativa in tema di durata ragionevole  del  procedimento
esclude    la    possibilita'    di    adottare    un'interpretazione
costituzionalmente orientata della  norma  in  esame,  obbligando  il
giudice a sollevare la relativa questione di costituzionalita'. 
    Non si ritiene, poi, compito del giudice a quo indicare quale sia
il termine piu' adeguato al caso di specie, come pure non puo' essere
di ostacolo alla denuncia di illegittimita' costituzionale il rilievo
che, una volta rimossa la norma  incostituzionale,  l'intervento  del
legislatore possa ritardare o mancare del tutto, potendo l'interprete
sopperire  a  tale  lacuna  utilizzando  i  principi  espressi  dalla
giurisprudenza della Corte di Strasburgo e della Corte di  cassazione
antecedente alla novella introdotta dal decreto-legge n. 83/2012. 
    Evidente,  infine,  e'   la   rilevanza   della   questione   nel
procedimento in esame, dal momento che l'individuazione della  durata
ragionevole del processo presupposto,  contenuta  nelle  disposizioni
della cui legittimita' costituzionale si dubita,  influisce  in  modo
determinante  sul  diritto  all'indennizzo  richiesto  nonche'  sulla
misura dello stesso, e, di conseguenza, sulla decisione richiesta dal
ricorrente.