TRIBUNALE DI LECCE II Sezione penale Il Tribunale in composizione monocratica; letto il reclamo proposto nell'interesse di S D A R avverso il decreto con il quale in data 29 settembre 2021 il giudice per le indagini preliminari sede, a seguito di richiesta del pubblico ministero, ha disposto l'archiviazione del procedimento in epigrafe indicato iscritto a suo carico per i reati di cui agli articoli 319 ter, 321, 346 bis, 56-610 c.p.; Visti gli atti del procedimento e sciogliendo la riserva; Osserva 1. La vicenda processuale Il procedimento penale de quo trae origine dal procedimento R.G.N.R. n. 742/2016 iscritto a carico di altri soggetti che hanno visto la loro posizione gia' definita in primo grado con pronunce emesse in sede di rito abbreviato e dibattimentale, allo stato ancora sub iudice. Le pronunce giurisdizionali de quibus, allegate dal pubblico ministero su supporto informatico, si fondano su un corposo compendio istruttorio, attentamente vagliato dalle Autorita' giudiziarie dinanzi alle quale gli imputati sono stati tratti in giudizio, nell'ambito del quale particolare pregnanza hanno assunto le dichiarazioni collaborative rese dall'odierno coindagato. Quest'ultimo, nell'ambito del propalato acquisito nel corso del procedimento penale ha, in particolare, delineato i rapporti intercorrenti con commercialista legato da rapporti di vecchia data ad alcuni magistrati della Procura di , e con S D , consulente tecnico di fiducia e punto di riferimento dei predetti requirenti. In particolare emerge dalle dichiarazioni del una specifica vicenda attinente all'intervento posto in essere dal su sollecitazione del Pm , presso S.D., quale giudice tributario, al fine di ottenere la soluzione di una controversia con l'Agenzia delle entrate del valore di circa 30.000 euro in favore dello stesso . Secondo l'organo d'Accusa detta vicenda, pur rinvenendo adeguato riscontro probatorio in una serie di elementi documentali, captativi e dichiarativi versati agli atti dei rispettivi processi penali, risulta tuttavia circoscritta ad annualita' talmente risalenti - 2010/2011 - da imporre la richiesta di archiviazione per intervenuta prescrizione, essendo decorso il termine minimo di dieci anni previsto per il reato di cui all'art. 319-ter codice penale ritenuto ascrivibile agli odierni indagati nella formulazione vigente illo tempore. Sempre il compendio dichiarativo offerto dal ha, inoltre, delineato altra vicenda consumatasi tra i mesi di febbraio ed il marzo 2016 e riguardante la consegna nelle mani del della somma di euro 120.000 da destinare all'azienda gestita dal cognato del S quale controprestazione per l'intervento di quest'ultimo sul Presidente della Corte d'Appello di al fine di garantire all'assoluzione nell'ambito del procedimento penale pendente a suo carico in secondo grado dinanzi alla predetta Corte. L'episodio - qualificato dall'organo di accusa in termini di millantato credito in considerazione dell'assenza di indizi relativi al coinvolgimento del Presidente della Corte d'Appello - e' pero' risultato privo di idonei elementi di riscontro in quanto l'effettiva destinazione delle somme al S si fondava su mere dichiarazioni de relato sprovviste di riscontri oggettivi individualizzanti. Il sin qui detto ha, quindi, condotto ad una richiesta di archiviazione per i restanti reati contestati a carico del S per mancanza di elementi sufficienti a sostenere l'accusa in giudizio. Sulla scorta delle argomentazioni esposte dal pubblico ministero il giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di in data 29 settembre 2021 ha disposto l'archiviazione del procedimento espressamente richiamando e condividendo le motivazioni sottese alla richiesta formulata dall'organo inquirente. 2. Il reclamo proposto nell'interesse dell'indagato Con il reclamo in oggetto S D A R rappresenta che dal mese di gennaio del 2020 - mese in cui aveva ricevuto notifica della richiesta di proroga delle indagini formulata dal pubblico ministero ed in seguito accolta dal giudice per le indagini preliminari nonostante la propria opposizione - non aveva piu' ricevuto alcuna notizia in ordine al procedimento in esame, nell'ambito del quale il reato di cui all'art. 319-ter codice penale veniva indicato come semplicemente «accertato a ottobre 2018». Pertanto, con atto depositato in data 25 ottobre 2021 richiedeva al pubblico ministero di assumere le necessarie determinazioni, senza pero' ricevere alcun riscontro. Avveniva pero' che nell'ambito di altro procedimento (R.G.N.R. n. 1456/2019) - instaurato a seguito di denuncia per calunnia e diffamazione presentata dallo stesso contro il ed il per le accuse di corruzione dai predetti mosse nei suoi confronti proprio per la richiamata vicenda tributaria - l'odierno reclamante veniva informato, quale persona offesa, della richiesta di archiviazione formulata in data 13 ottobre 2021 per i suddetti reati sulla scorta del fatto che le dichiarazioni accusatorie degli indagati erano state dall'organo inquirente considerate assolutamente veritiere, come confortato dal fatto che nel procedimento penale dalle stesse generato - id est il procedimento per cui e' stato proposto reclamo - era stata richiesta l'archiviazione soltanto perche' maturata la prescrizione dei reato. A quel punto il S con atti datati 26 ottobre 2021 e 28 ottobre 2021 dichiarava di rinunciare alla prescrizione comunicando tale determinazione al pubblico ministero ed al Gip. Con atto del 2 novembre 2021 il pubblico ministero dichiarava il non luogo a provvedere rilevando che era ormai intervenuto decreto di archiviazione depositato dal giudice per le indagini preliminari in data 29 settembre 2021 e che non sussistevano i presupposti per la riapertura delle indagini ai sensi dell'art. 414 codice di procedura penale (essendo stata chiesta l'archiviazione dopo approfondite investigazioni e tenendo conto anche della memoria difensiva depositata dallo stesso indagato). Con riguardo alla rinuncia alla prescrizione il PM, dopo aver evidenziato la sua intempestivita' attesa la conoscenza della pendenza del procedimento da parte dell'indagato, richiamava la pronuncia n. 818/2015 con cui la Suprema Corte di cassazione aveva sancito l'impossibilita' per l'indagato di proporre opposizione o ricorso per Cassazione avverso il decreto di archiviazione del giudice per le indagini preliminari in quanto atto non pregiudizievole dei suoi interessi nonche' altro arresto n. 26289/2018 con cui il Supremo Consesso aveva riconosciuto il diritto dell'indagato ad impugnare il decreto di archiviazione emesso de plano solo in caso di preventiva rinuncia alla prescrizione e di concreto interesse ad una pronuncia di merito (ad esempio in vista della successiva richiesta di indennizzo per riparazione per ingiusta detenzione). Con il reclamo in esame, dunque, l'indagato si duole della nullita' del decreto di archiviazione per violazione del principio del contraddittorio, non essendo egli stato messo in grado di conoscere preventivamente le determinazioni del pubblico ministero in modo da poter assumere le necessarie decisioni in punto di rinuncia alla prescrizione. L'interessato, invero, assume che tale omissione ben puo' essere fatta valere in sede di reclamo ex art. 410-bis c.p., a dispetto dell'apparente tassativita' delle ipotesi ivi previste, avendo la Suprema Corte gia' avuto modo di statuire in fattispecie simile l'annullamento della sentenza dichiarativa dell'estinzione del reato per intervenuta prescrizione attesa l'intervenuta rinuncia alla prescrizione formulata dall'indagato non previamente interpellato (Cass. pen. n. 4671/2019). Con riguardo al caso di specie nel reclamo viene nello specifico evidenziato che, sebbene il S fosse a conoscenza del procedimento penale a suo carico, egli, tuttavia, non aveva alcuna contezza delle specifiche condotte a lui ascritte (non essendo stata formulata dall'organo inquirente neanche l'incolpazione provvisoria ed essendo il tempus commissi delicti indicato con la mera data dell'accertamento effettuato ad ottobre 2018). Ne' il reclamante ritiene possa ragionevolmente esigersi da parte dell'indagato una dichiarazione di rinuncia alla prescrizione senza che egli sia stato previamente messo in grado di avere esatta conoscenza degli addebiti mossi nei suoi confronti e delle conseguenti determinazioni assunte dall'organo di accusa, tenuto conto - tra l'altro - che il diritto di rinunciare alla prescrizione puo' essere esercitato in ogni stato e grado del giudizio. Invero, secondo quanto statuito dalla stessa Corte costituzionale nella sentenza n. 580/1990, nel caso di emersione di una causa di estinzione del reato rinunciabile da parte dell'indagato, il Gip, anziche' pronunciare immediata declaratorie di proscioglimento ex art. 129 c.p.p., sarebbe tenuto a restituire gli atti al pubblico ministero il quale, avvalendosi dei poteri di cui all'art. 375 c.p.p., dovrebbe a sua volta invitare l'indagato a comparire per consentirgli di esprimersi sull'esercizio del diritto a rinunciare alla causa estintiva. Il reclamante rileva, altresi', la violazione dell'art. 6 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali sotto il profilo del principio del contraddittorio letto alla luce del «diritto ad essere ascoltati» («right to be heard» art. 6 § 3 lettera d CEDU) in cui deve sussumersi il diritto di rinunciare alla prescrizione (Corte EDU Dvorski c. Croazia § 101; Pishchalnikov c. Russia § 77-79). Tra l'altro nell'atto viene evidenziato che anche le Sezioni Unite della Suprema Corte di cassazione hanno da tempo sancito che «rinunciare ad un diritto gia' maturato, ossia a quello di far valere gli effetti dell'estinzione del reato per il decorso del termine prescrizionale, significa - in definitiva - esercitare il «diritto al processo» e, quindi, alla prova, nell'ambito dell'inalienabile diritto alla difesa, sancito dall'art. 24 Cost., in sintonia, peraltro, con la presunzione di innocenza, di cui all'art. 27, comma 2, della stessa Carta costituzionale, ed all'art. 6, par 2, CEDU. La rinuncia implica, dunque, opzione per la prosecuzione del processo verso l'epilogo di una pronuncia nel merito della regiudicanda e comporta, pertanto, anche rivitalizzazione della pretesa punitiva statuale, altrimenti affievolita dal decorso del termine di prescrizione» (SSUU n. 18953/2016). 3. Lo strumento del reclamo di cui al comb. disp. degli articoli 410-bis e 411 c.p.p. E' noto che, nell'ambito dei numerosi interventi di riforma del sistema processuale penale posti in essere con la legge 23 giugno 2017 n. 103, si e' provveduto altresi' all'inserimento dell'art. 410-bis codice di procedura penale con contestuale interpolazione dei precedenti articoli 408 e 409 codice di procedura penale e del conseguente art. 411 codice di procedura penale nonche' prevedendo l'abrogazione dell'ultimo comma dell'art. 408 codice di procedura penale in ordine alla ricorribilita' in Cassazione dell'ordinanza di archiviazione nei soli casi di nullita' previsti dall'art. 127 comma 5 c.p.p. Il nuovo art. 410-bis codice di procedura penale ha un'indubbia valenza sistematica poiche' nei primi due commi codifica patologie del provvedimento di archiviazione attribuendo loro una precisa natura sanzionatoria (nullita'), mentre nei successivi altri due commi predispone, per la loro neutralizzazione, un nuovo rimedio (reclamo) diverso dal previgente ricorso per Cassazione. E' da evidenziare che, se per l'ordinanza di archiviazione adottata all'esito dell'udienza in Camera di consiglio la novella disciplina ribadisce il rinvio ai casi di nullita' espressamente previsti nell'art. 127, comma 5, c.p.p., per il decreto emesso de piano si colma invece una lacuna del sistema, stilando ex novo l'elenco delle ipotesi determinanti nullita' da tempo note nella prassi giurisprudenziale. Il primo gruppo di patologie afferisce agli strumenti informativi che pongono la persona offesa nelle condizioni di contraddire rispetto alle determinazioni dell'ufficio del pubblico ministero che formula una richiesta di archiviazione. Un'altra ipotesi riconducibile al genus «oneri informativi» - contraddistinta dall'omesso invio del relativo avviso - riguarda la persona sottoposta alle indagini e la persona offesa nell'ipotesi in cui sia richiesta l'archiviazione per particolare tenuita' del fatto (art. 411, comma l bis, c.p.p.). Sono poi prese in considerazione ulteriori possibili patologie del provvedimento di archiviazione perche' adottato prima che il termine concesso per proporre opposizione sia inutilmente decorso ossia senza pronunciarsi sulla doglianza ritualmente depositata oppure dichiarandola inammissibile al di fuori dell'ipotesi ex art. 410 comma 1 c.p.p. Sostanzialmente, quindi, l'istituto in esame serve a presidiare la tutela del diritto al contraddittorio, individuando nullita' tassativamente indicate e prevedendo quale rimedio alla sua pretermissione il reclamo al tribunale in composizione monocratica, che decide con ordinanza non impugnabile. In ordine al sindacato spettante al giudice del reclamo la Suprema Corte ha insistito in maniera granitica sulla natura dell'impugnativa, consentita rispetto ai provvedimenti di archiviazione solo per il mancato rispetto delle regole poste a garanzia del contradditorio e senza possibilita' di censurare le valutazioni espresse dal giudice a fondamento dell'ordinanza (cfr. ex multis Cassazione penale sez. V, 9 luglio 2018 n. 40127). Quanto alla non impugnabilita' del provvedimento che decide sul reclamo, la giurisprudenza di legittimita' ha da tempo avuto modo di rilevare che, atteso il principio di tassativita' dei mezzi di impugnazione, il ricorso per Cassazione non e' esperibile avverso siffatto provvedimento conclusivo e, ove proposto, deve essere dichiarato inammissibile ai sensi dell'art. 591 c.p.p., comma 1, lettera b), ribadendo nel contempo la legittimita' della scelta del legislatore e la conformita' della stessa ai principi fondamentali interni e convenzionali (cfr. da ultimo Cassazione penale sez. II, 23 ottobre 2020 n. 35192; Cassazione penale sez. VI, 24 giugno 2020 n. 21050; Cassazione penale sez. III, 5 aprile 2018 n. 32508; Cassazione penale sez. VI, 23 marzo 2018 n. 17535). Dunque l'attuale sede processuale in cui le doglianze dell'indagato si esplicano converge il proprio campo di valutazione nell'ambito di un controllo a carattere prevalentemente formale, limitato alla verifica del rispetto del principio del contraddittorio - sotto il duplice profilo dei suoi limiti esterni ed interi costituiti dall'osservanza degli obblighi informativi, delle tempistiche e delle comici contenutistiche fissate dalla legge - in margini operativi strettamente delineati dalle ipotesi tassative di nullita' normativamente indicate e destinato a sfociare in un esito sostanzialmente definitivo insuscettibile di essere rivisitato in gradi di giudizio successivi. 4. Profili di illegittimita' costituzionale della normativa applicabile e loro rilevanza nel caso di specie Tanto premesso ai soli fini di un rapido inquadramento dell'istituto in esame e dei margini di manovra delibativa consentiti al Tribunale da esso investito - rilevanti per comprendere la portata della problematica in oggetto e dei suoi possibili riflessi su diritti di rilevanza costituzionale - si ritiene utile a questo punto ricordare che nel caso di specie il reclamante richiede l'annullamento del decreto di archiviazione impugnato in quanto emesso in assenza di qualsivoglia preventiva interlocuzione con l'indagato il quale, di contro, appena avuta notizia del provvedimento, ha manifestato il proprio interesse alla prosecuzione del procedimento al fine di ottenere una delibazione di merito. L'impugnazione, dunque, avrebbe ad oggetto la violazione di un diritto al contraddittorio per elusione di un onere informativo non previsto da alcuna norma e, conseguentemente, non sussumibile in via immediata e diretta in alcuna delle ipotesi di nullita' del provvedimento di archiviazione tassativamente previste dagli articoli 410-bis e 411 c.p.p. Come gia' precedentemente esposto, infatti, la disciplina codicistica in tema di richiesta di archiviazione impone la notificazione di un avviso esclusivamente nei riguardi della persona offesa, fatta eccezione per il caso di archiviazione per particolare tenuita' del fatto, avendo il legislatore in tale specifica ipotesi previsto un onere informativo gravante sul pubblico ministero anche nei riguardi dell'indagato tramite l'inserimento del comma 1-bis dell'art. 411 c.p.p. Ci si deve, pertanto, domandare se l'omessa previsione della possibilita' di un contraddittorio preventivo con l'indagato in caso di archiviazione per estinzione del reato per intervenuta prescrizione, cosi' come l'omessa previsione della nullita' del provvedimento di archiviazione che accolga la richiesta del pubblico ministero che quell'interlocuzione obliteri, non costituiscano un vulnus all'interno dell'ordinamento, contrastante con norme aventi rango costituzionale. Naturalmente l'eventuale risposta positiva alla questione avrebbe diretta rilevanza nel presente procedimento incidendo sul suo esito in quanto, in assenza dell'obbligatorieta' di suddetto incombente informativo, nessuna nullita' si potrebbe profilare in sede di reclamo e, pertanto, lo stesso andrebbe dichiarato inammissibile con ordinanza non impugnabile, cosi' sbarrando definitivamente la strada all'istanza di prosecuzione procedimentale avanzata dall'interessato mediate il legittimo esercizio del suo diritto a rinunciare alla prescrizione del reato a lui ascritto. Non vi e', invero, spazio - a parere di chi scrive - per svolgere, come auspicato dalla difesa, un'interpretazione costituzionalmente orientata della disciplina in tema di reclamo si' da renderla applicabile anche all'ipotesi in esame. Ed infatti a tal fine il reclamante ha invocato una recente decisione della Corte di cassazione (Cassazione penale sez. I - 3 ottobre 2019, n. 4671) che ha annullato la sentenza di proscioglimento per intervenuta prescrizione emessa dal giudice per le indagini preliminari investito di una richiesta di decreto penale di condanna a seguito della dichiarazione di rinuncia alla prescrizione formulata dall'imputato con l'impugnazione stessa. In realta' nel richiamato arresto il Supremo Consesso ha ritenuto il ricorso ammissibile sulla scorta del disposto di cui all'art. 568 comma 2 codice di procedura penale che prevede la ricorribilita' in Cassazione di tutte le sentenze. Soltanto una volta «assodato il corretto inquadramento dell'impugnazione quale ricorso per cassazione» la Corte ha proceduto a vagliare la compatibilita' della tutela del diritto di difesa di cui all'art. 24 Cost. con la disciplina regolatrice della fase decisoria connessa alla richiesta di decreto penale di condanna. Non e' chi non veda che il medesimo principio non sarebbe mutuabile in sede di reclamo, non essendovi similare addentellato normativo che consenta di superare la tassativita' delle ipotesi di impugnabilita' del provvedimento di archiviazione prevista dal codice di rito con la conseguenza che l'eventuale accoglimento del reclamo nei termini auspicati dalla difesa, pur non costituendo provvedimento abnorme (in quanto, sebbene contra ius, non determinerebbe la stasi del procedimento e l'impossibilita' di proseguirlo; cfr. Sez. U, n. 17 del 10 dicembre 1997 - dep. 1998 - Di Battista; Sez. U, n. 26 del 24 novembre 1999 - dep. 2000 Magnani; da ultimo Cassazione penale sez. V, 28 giugno 2022, n. 36028), determinerebbe tuttavia un'illegittima regressione del procedimento sulla scorta di un'ipotesi di nullita' non prevista dalla legge. 5. Non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 411 codice di procedura penale in comb. disp. con l'art. 410-bis c.p.p. Cio' posto, ritiene il Tribunale che l'assenza di un onere informativo previsto dalla legge in caso di richiesta di archiviazione avanzata per intervenuta prescrizione del reato ingiustificatamente pretermetta il diritto dell'indagato a rinunciare alla causa estintiva e, conseguentemente, risulti violare: l'art. 3 della Costituzione, creando evidente disparita' di trattamento rispetto a chi ben puo' agevolmente avvalersi del diritto di rinuncia alla prescrizione soltanto perche' la maturazione della causa estintiva casualmente coincide con una diversa fase processuale (o perche' puo' rinunciare alla prescrizione nel corso del giudizio o perche', in caso di sentenza di proscioglimento emessa de plano, ha diritto a far valere la rinuncia con l'impugnazione della sentenza); l'art. 24 comma 2 della Costituzione in quanto la rinuncia o meno alla prescrizione rientra in una precisa scelta processuale dell'indagato/imputato formulabile in ogni stato e grado del processo ed esplicativa del proprio inviolabile diritto di difesa inteso come diritto al giudizio e con esso a quello alla prova; l'art. 111 comma 2 e 3 della Costituzione attesa l'elusione del contraddittorio con l'indagato necessario ad assicurargli la piena facolta' di esercitare i suoi diritti, tra cui quello alla rinuncia alla prescrizione. Si ritiene utile evidenziare, a riguardo, che recentemente si e' registrata una particolare sensibilita' delle pronunce emesse dalla Corte di cassazione sul tema, che ha cosi' ricevuto una maggiore valorizzazione rispetto al passato, specialmente in relazione alla riscontrata caratura della problematica a livello costituzionale. Basti pensare alla stessa sentenza della Cassazione penale sez. I n. 4671 del 3 ottobre 2019 richiamata dal reclamante che ha espressamente riconosciuto che «l'atto di rinuncia costituisce l'oggetto di una facolta' riconnessa a diritto personalissimo che il titolare puo' esercitare in ogni stato e grado del giudizio, mediante una dichiarazione di volonta' espressa e specifica che non ammette equipollenti, nel rispetto dell'art. 157 cp., comma 7, cosi' da aprire la strada alla celebrazione del giudizio di merito o, comunque, al dispiegamento della piena cognitio della fattispecie, altrimenti preclusa dall'obbligo di immediata declaratoria della causa di estinzione del reato fissato dall'art. 129 c.p.p., comma 1 (v. sull'argomento Sez. U, n. 43055 del 30 settembre 2010, Dalla Serra, cit., Rv. 248379). 4.2. Non si esclude, d'altro canto, che, in relazione alla struttura del rito monitorio, proprio allo scopo di perfezionare il contraddittorio nelle ipotesi di emersione di causa di estinzione del reato per le quali sia esercitabile il diritto dell'imputato alla loro rinuncia, il giudice per le indagini preliminari non emetta il chiesto decreto penale, ne' renda immediatamente la corrispondente sentenza di proscioglimento, ma restituisca gli atti al pubblico ministero che, a sua volta, inviti l'imputato a comparire onde consentirgli di esprimersi sull'esercizio del diritto di rinunciare alla causa estintiva (esplicitamente Corte Cost. n. 580 del 1990, ha osservato che il pubblico ministero, in particolare avvalendosi dei poteri di cui all'art. 375 c.p.p., ha titolo a invitare la persona interessata, con il contestuale invio dell'informazione di garanzia ex art. 369 c.p.p., a presentarsi, precisando il tipo di atto per il quale l'invito e' predisposto e, quindi, rendendo chiaro che il destinatario viene sollecitato a dichiarare se intenda o meno rinunciare, in quel caso, all'amnistia ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica n. 75 del 1990, art. 5 al fine di conseguire un giudizio di merito, con l'avvertenza che altrimenti si procedera' alla declaratoria di estinzione del reato). 4.3. In ogni caso, deve ritenersi che - ove il giudice di merito non abbia perseguito, nel modo suddetto o mediante forme equipollenti, l'obiettivo di informare in modo compiuto l'imputato della situazione procedimentale determinatasi nel rito monitorio, in ragione dell'emersione del reato a lui contestato e della causa di estinzione del reato stesso, allo scopo di consentirgli di determinarsi sulla scelta se rinunciare o meno alla causa estintiva (quando la rinuncia sia contemplata dall'ordinamento), nella specie per prescrizione - la sentenza di proscioglimento che venga emessa per essersi il reato estinto per prescrizione e' suscettibile di essere utilmente impugnata dall'imputato, a condizione che egli contestualmente formuli validamente l'atto di rinuncia alla prescrizione». Parimenti la Suprema Corte di cassazione penale sez. III con pronuncia n. 15758 del 30 gennaio 2020 ha ritenuto che «allorquando l'imputato, condannato in primo grado e ricorrente per cassazione avverso la sentenza di non doversi procedere per estinzione del reato - emessa de plano in secondo grado, in violazione del contraddittorio - abbia rinunciato alla prescrizione e conseguentemente alleghi un interesse concreto ed attuale alla celebrazione del giudizio di appello da lui promosso, per ottenere una piu' favorevole pronuncia di proscioglimento nel merito, la sentenza impugnata dev'essere annullata senza rinvio con trasmissione degli atti al giudice d'appello per la celebrazione del giudizio». Tra l'altro anche le Sezioni Unite della Cassazione (Sez. U, n. 28954 del 27 aprile 2017, Iannelli, Rv. 269810), richiamate dalla pronuncia appena indicata e richieste di pronunciarsi in merito alle sorti di una sentenza d'appello di non doversi procedere per intervenuta prescrizione emessa in fase predibattimentale, pur sancendo la prevalenza della causa estintiva sulla nullita' della sentenza per violazione del principio del contraddittorio, hanno tuttavia affermato che «l'eventuale interesse dell'imputato a proseguire l'attivita' processuale, in vista di un auspicato proscioglimento con formula liberatoria di merito, sarebbe tutelato dalla possibilita' di rinunciare alla prescrizione e deve bilanciarsi, alla luce della normativa vigente, con l'obiettivo, di pari rilevanza, della sollecita definizione del processo, che trova fondamento nella previsione di cui all'art. 111 Cost., comma 2, che codifica il principio della ragionevole durata del processo». In realta' proprio il corretto bilanciamento tra diritto al processo e diritto alla ragionevole durata dello stesso e' stato impeccabilmente vagliato e sostanzialmente rivisitato di recente dalla Corte costituzionale chiamata a pronunciarsi sempre in fattispecie attinente ad un giudizio di appello definito con sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione, illegittimamente emessa in fase predibattimentale senza citazione delle parti e comunque senza alcuna forma di contraddittorio (Corte Cost. n. 111/2022). E' interessante osservare che la questione di legittimita' costituzionale era stata proposta dalla prima sezione penale della Corte di cassazione che, dopo aver visto la restituzione del ricorso da parte delle Sezioni Unite cui era stata rimessa la decisione sulla scorta della non condivisione del principio sancito dalla precedente sentenza delle SSUU n. 28954 del 2017, aveva ritenuto opportuno sollevare il contrasto del diritto vivente maturato dopo suddetta pronuncia «con i principi costituzionali di ragionevolezza, di inviolabilita' del diritto di difesa e di indefettibilita' del giusto processo, rappresentando il contraddittorio tra le parti il postulato ineliminabile di ogni pronuncia terminativa del giudizio che abbia forma di sentenza». La Corte costituzionale, nel dichiarare fondata la sollevata questione di legittimita' costituzionale, ha evidenziato che «il bilanciamento tra l'interesse dell'imputato ad impugnare per la mancata valutazione di cause di proscioglimento nel merito, ai sensi dell'art. 129, comma 2, codice di procedura penale, la sentenza predibattimentale d'appello, che abbia dichiarato l'estinzione del reato per prescrizione senza alcun contraddittorio, e il principio di ragionevole durata del processo, come operato dalla interpretazione radicata nella giurisprudenza di legittimita' non condivisa dal rimettente, non appare rispettoso dell'art. 24, secondo comma, e dell'art. 111, secondo comma, Cost., stando all'elaborazione costituzionale del diritto di difesa e della garanzia del contraddittorio». Invero si e' sottolineato che il principio di ragionevole durata del processo sancito dall'art. 111 comma 2 Cost. puo' ritenersi violato soltanto nel caso in cui risulti assolutamente ingiustificata la dilazione dei tempi processuali in quanto non sorretta da alcuna logica esigenza (cfr. nello stesso senso Corte costituzionale sentenze n. 260 del 2020, n. 124 del 2019, n. 12 del 2016 e n. 159 del 2014). Esso, invero, va sempre bilanciato con la salvaguardia di altre componenti del giusto processo, oltre che con lo stesso diritto di difesa tutelato dall'art. 24 Cost. poiche' la comparazione dei diritti costituzionalmente rilevanti in gioco non puo' in alcun modo prescindere dalla complessiva considerazione della completezza del sistema di garanzie previste. In altre parole, come afferma causticamente la Corte costituzionale, «un processo non «giusto», perche' carente sotto il profilo delle garanzie, non e' conforme al modello costituzionale, quale che sia la sua durata» in quanto diversamente ragionando si tratterebbe di sacrificare, piuttosto che bilanciare, i diritti di rilevanza costituzionale e convenzionale del contraddittorio (art. 111 Cost.) e di difesa (art. 24 Cost.). Pertanto, anche dinanzi ad una pronuncia di matrice estintiva, l'esigenza di rapida definizione processuale non puo' mai pregiudicare il diritto al contraddittorio e di difesa dell'interessato: di cio' ne e' prova, ad esempio, il disposto dell'art. 469 codice di procedura penale che consente di addivenire ad una sentenza predibattimentale emessa in Camera di consiglio soltanto dopo aver sentito «il pubblico ministero e l'imputato e se questi non si oppongono». Non sfugge, inoltre, che nel citato arresto la Corte costituzionale, nel dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'art. 568 comma 4 codice di procedura penale «in quanto interpretato nel senso che e' inammissibile, per carenza di interesse ad impugnare, il ricorso per cassazione proposto avverso sentenza di appello che, in fase predibattimentale e senza alcuna forma di contraddittorio, abbia dichiarato non doversi procedere per intervenuta prescrizione del reato», ha lucidamente osservato che una simile pronuncia de plano, sostanzialmente soppressiva di un grado di giudizio, «limita l'emersione di eventuali ragioni di proscioglimento nel merito e, di fatto, comprime la stessa facolta' dell'imputato di rinunciare alla prescrizione, in maniera non piu' recuperabile nel giudizio di legittimita', la cui cognizione e' fisiologicamente piu' limitata rispetto a quella del giudice di merito». Ebbene, a parere di chi scrive le considerazioni da ultimo richiamate risultano assolutamente ribaltabili al caso di specie, sebbene con i correttivi che lo specifico contesto processuale impone. Ed infatti la pronuncia di un decreto di archiviazione de plano dichiarativo dell'estinzione del reato per intervenuta prescrizione senza che sia previsto alcun preventivo onere informativo dell'indagato sulla determinazione conclusiva assunta dal pubblico ministero e, conseguentemente, alcuna sanzione per la mancata interlocuzione, elide in radice ogni possibilita' per l'indagato di attivare il proprio diritto ad una verifica di merito, rendendo assolutamente superflua addirittura la stessa dichiarazione di rinuncia alla causa estintiva formulata con il reclamo ex art. 410-bis codice di procedura penale sebbene la legge sancisca la rinunciabilita' alla prescrizione in ogni stato e grado del giudizio. Non puo' obliterarsi, invero, il fatto che detta facolta' e' stata inserita a seguito di intervento della stessa Corte costituzionale (sentenza n. 275 del 1990) che, proprio valorizzando il «diritto al giudizio» insito nel diritto di difesa esercitabile da chi subisce un procedimento penale, ha dichiarato «l'illegittimita' costituzionale dell'art. 157 del codice penale nella parte in cui non prevede che la prescrizione del reato possa essere rinunziata dall'imputato» sulla scorta dell'argomentazione per cui «il legislatore, nel disciplinare l'istituto sostanziale della prescrizione, non poteva dunque non tener conto del carattere inviolabile del diritto alla difesa, inteso come diritto al giudizio e con esso a quello alla prova. Insomma e' privo di ragionevolezza rispetto ad una situazione processuale improntata a discrezionalita', che quell'interesse a non piu' perseguire (sorto a causa di circostanze eterogenee e comunque non dominabili dalle parti) debba prevalere su quello dell'imputato, con la conseguenza di privarlo di un diritto fondamentale». Ovviamente una facolta' e' realmente tale soltanto se si pone il suo titolare nell'effettiva condizione di esercitarla: nel caso di specie l'indagato non avrebbe possibilita' di formulare la rinuncia alla prescrizione prima del decreto di archiviazione in quanto potenzialmente mai informato della relativa richiesta e la formulerebbe inutilmente in sede di reclamo non essendo prevista la mancata preventiva interlocuzione quale causa di nullita' del provvedimento impugnato. Dunque, nell'attuale assetto normativo, in caso di decreto di archiviazione per intervenuta prescrizione emesso de plano il diritto dell'indagato al giudizio, che pur la legge costituzionale (artt. 24 e 111 Cost.) ed ordinaria (art. 157 comma 7 c.p.) gli riconosce, verrebbe irrimediabilmente frustrato. Ne' una simile scelta legislativa potrebbe rinvenire adeguata giustificazione costituzionalmente apprezzabile nella necessita' di non rallentare l'iter processuale con oneri informativi posti a carico del pubblico ministero richiedente in quanto, come si e' gia' avuto modo di evidenziare, l'esigenza di ragionevole durata del processo non puo' mai legittimare il sacrificio di altri diritti aventi pari dignita' costituzionale in assenza di alcuna esigenza logica. Tra l'altro appare opportuno evidenziare che la previsione di oneri informativi risulta connaturale alla disciplina legislativamente prevista in materia di archiviazione: ne sono un esempio non solo l'avviso alla persona offesa prescritto dall'art. 408 comma 2 e 3-bis c.p.p., ma altresi' l'avviso all'indagato richiesto dal comma 1-bis dell'art. 411 codice di procedura penale in caso di archiviazione richiesta per particolare tenuita' del fatto. L'assenza di una pari modalita' procedimentale per l'ipotesi di richiesta di archiviazione per intervenuta prescrizione costituisce una disparita' di trattamento che non rinviene nel sistema giustificazione alcuna e con riflessi irrimediabilmente penetranti nella sfera personale del soggetto che, nel caso non sia stato attinto da alcuna misura custodiale, potrebbe scoprire anche a distanza di notevole tempo dell'archiviazione a suo carico per causa estintiva, con possibili effetti pregiudizievoli non piu' emendabili. Questo giudice e' ben consapevole che la strada indicata per il superamento del segnalato vulnus costituzionale non appare sic et sempliciter costituzionalmente obbligata, ben potendo il legislatore nell'esercizio della propria potesta' articolare anche diversamente l'ipotesi in esame. Tuttavia questo giudice ugualmente auspica un intervento della Corte adita, segnalando che proprio la disposizione di cui al comma 1-bis dell'art. 411 codice di procedura penale offrirebbe un preciso punto di riferimento, gia' presente nel sistema legislativo, in grado di orientare l'intervento della Corte costituzionale verso una soluzione non arbitraria. Invero, in tema di ampiezza e limiti dell'intervento esplicabile dalla Corte costituzionale appare sufficiente evocare alcune recenti decisioni della giurisprudenza costituzionale (sentenze n. 185 del 2021, n. 40 del 2019, n. 233 e n. 222 del 2018, n. 236 del 2016, n. 63 del 2021, n. 252 e n. 224 del 2020, n. 242 del 2019 e n. 99 del 2019) che hanno escluso il carattere inammissibile di questioni di legittimita' costituzionale che non consentano di individuare un'unica soluzione costituzionalmente obbligata al vulnus denunciato «ben potendo questa Corte reperire essa stessa soluzioni costituzionalmente adeguate, gia' esistenti nel sistema e idonee a colmare temporaneamente la lacuna creata dalla stessa pronuncia di accoglimento della questione; ferma restando poi la possibilita' per il legislatore di individuare, nell'esercizio della propria discrezionalita', una diversa soluzione nel rispetto dei principi enunciati da questa Corte». Ed infatti il margine di intervento riconosciuto alla Corte costituzionale deve ritenersi privo di ostacoli quando le scelte del legislatore «si siano rivelate manifestamente arbitrarie od irragionevoli ed il sistema legislativo consenta l'individuazione di soluzioni, anche alternative tra loro, che siano tali da «ricondurre a coerenza le scelte gia' delineate a tutela di un determinato bene giuridico, procedendo puntualmente, ove possibile, all'eliminazione di ingiustificabili incongruenze» (richiamando Corte costituzionale sentenza n. 236 del 2016; nello stesso senso Corte costituzionale n. 222/2018). Invero in punto di sanzioni, il Supremo Consesso Costituzionale ha gia' avuto modo di sottolineare che «l'ammissibilita' delle questioni di legittimita' costituzionale che riguardano l'entita' della punizione risulta condizionata non tanto dalla presenza di un'unica soluzione costituzionalmente obbligata, quanto dalla presenza nel sistema di previsioni sanzionatorie che, trasposte all'interno della norma censurata, garantiscano coerenza alla logica perseguita dal legislatore (sentenza n. 233 del 2018). Nel rispetto delle scelte di politica sanzionatoria delineate dal legislatore e ad esso riservate, occorre, infatti, evitare che l'ordinamento presenti zone franche immuni dal sindacato di legittimita' costituzionale proprio in ambiti in cui e' maggiormente impellente l'esigenza di assicurare una tutela effettiva dei diritti fondamentali, tra cui massimamente la liberta' personale, incisi dalle scelte sanzionatorie del legislatore». A sommesso parere di chi scrive la medesima osservazione ben puo' attagliarsi al caso di specie in quanto la mancata previsione di una qualsivoglia interlocuzione con l'indagato in caso di decreto di archiviazione emesso de plano per prescrizione del reato frusta ab origine il suo diritto di difesa ed il suo diritto al contraddittorio senza che nell'ordinamento possano rinvenirsi ulteriori misure compensative suscettibili di salvaguardare la dignita' personale dell'indagato che auspica l'ottenimento di una pronuncia di merito a se' favorevole. E la soluzione normativa che appare piu' adeguata e congeniale con il sistema vigente risulta l'estensione della disciplina gia' stabilita dal legislatore per il caso di richiesta di archiviazione per particolare tenuita' del fatto anche all'ipotesi di richiesta di archiviazione per intervenuta prescrizione del reato. Tra l'altro non sfugge che lo stesso art. 411 codice di procedura penale al primo comma richiama anche detta ipotesi nell'alveo dei casi di operativita' della disciplina prevista in tema di archiviazione («le disposizioni degli articoli 408, 409, 410 e 410-bis c.p,p. si applicano anche quando risulta [...] che il reato e' estinto») per cui la previsione di un'estensione applicativa del comma 1-bis anche alla predetta causa estintiva si rivelerebbe soluzione di chiusura in assoluta sintonia con le disposizioni gia' vigenti. Il richiamo, infine, al comma 1-bis dell'art. 411 codice di procedura penale operato dall'art. 410-bis codice di procedura penale consentirebbe di configurare anche in caso di mancanza del predetto avviso un'ipotesi di nullita' del decreto di archiviazione eccepibile con lo strumento del reclamo dinanzi al Tribunale in composizione monocratica. Pertanto questo Giudice chiede a Codesta Corte di dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'art. 411 comma 1-bis codice di procedura penale per violazione degli articoli 3, 24 e 111 Cost. nella parte in cui non prevede che, anche in caso di richiesta di archiviazione per estinzione del reato per intervenuta prescrizione, il pubblico ministero debba darne avviso alla persona sottoposta alle indagini e alla persona offesa, estendendo a tale ipotesi la medesima disciplina prevista per il caso di archiviazione disposta per particolare tenuita' del fatto, anche sotto il profilo della nullita' del decreto di archiviazione emesso in mancanza del predetto avviso e della sua reclarnabilita' dinanzi al Tribunale in composizione monocratica.