Sentenza 
 
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'articolo  12,  comma
11, del decreto-legge 31  maggio  2010,  n.  78  (Misure  urgenti  in
materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita' economica)
convertito, con modificazioni, dall'articolo 1, comma 1, della  legge
30 luglio 2010, n. 122, promosso dalla Corte d'appello di Genova,  in
funzione  di  giudice  del  lavoro,  nel  procedimento  vertente  tra
l'Istituto nazionale per la previdenza sociale (INPS)  e  L.  L.,  ed
altra, con ordinanza del 22 novembre 2010,  iscritta  al  n.  59  del
registro ordinanze 2011 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica n. 16, 1ª serie speciale, dell'anno 2011. 
    Visti  l'atto  di  costituzione  dell'INPS  nonche'   l'atto   di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito nell'udienza pubblica  del  13  dicembre  2011  il  Giudice
relatore Alessandro Criscuolo; 
    uditi l'avvocato Lelio Maritato per  l'INPS  e  l'avvocato  dello
Stato  Gabriella  Palmieri  per  il  Presidente  del  Consiglio   dei
ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    La Corte d'appello di Genova, in funzione di giudice del  lavoro,
con l'ordinanza indicata in epigrafe, ha  sollevato,  in  riferimento
agli articoli 3, 24, primo comma, 102, 111,  secondo  comma,  e  117,
primo comma, della Costituzione, in relazione  all'articolo  6  della
Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e  delle
liberta' fondamentali (d'ora in avanti, CEDU), approvata a Roma il  4
novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4  agosto  1955,
n. 848, questione di legittimita'  costituzionale  dell'articolo  12,
comma 11, decreto-legge 31 maggio 2010,  n.  78  (Misure  urgenti  in
materia  di   stabilizzazione   finanziaria   e   di   competitivita'
economica), convertito, con modificazioni, dall'articolo 1, comma  1,
della legge 30 luglio 2010, n. 122. 
    La rimettente premette che, con sentenza del Tribunale di  Massa,
e' stata respinta l'opposizione proposta dalla signora L. L.  avverso
cartella esattoriale per l'importo di  euro  11.276,  85,  avente  ad
oggetto il pagamento dei contributi addebitati all'opponente a titolo
di  iscrizione  alla   gestione   previdenziale   commercianti,   per
l'attivita'  lavorativa  svolta  nell'ambito  di   una   societa'   a
responsabilita' limitata - che gestisce  un  negozio  di  vendita  al
dettaglio di capi di abbigliamento  -  in  cui  la  stessa  opponente
ricopre   l'incarico   di   vice-presidente    del    consiglio    di
amministrazione; e' stata accolta,  invece,  la  domanda  subordinata
formulata dalla ricorrente, diretta ad ottenere l'annullamento  della
iscrizione alla gestione separata di cui all'art. 2, comma 26,  della
legge 8 agosto  1995,  n.  335  (Riforma  del  sistema  pensionistico
obbligatorio e complementare), con condanna  dell'Istituto  nazionale
della previdenza sociale  (INPS)  alla  restituzione  della  relativa
contribuzione. 
    Avverso detta sentenza l'Istituto ha proposto appello,  chiedendo
che anche la domanda  subordinata,  formulata  in  primo  grado,  sia
respinta, sulla base delle seguenti argomentazioni:  1)  l'iscrizione
alla gestione separata, di cui alla norma ora  citata,  e'  collegata
alla riscossione del reddito per il lavoro  di  amministratore  della
societa' ed e' cumulabile  con  ogni  altra  forma  di  assicurazione
obbligatoria; 2) l'art. 1, comma 208, della legge 23  dicembre  1996,
n. 662 (Misure di  razionalizzazione  della  finanza  pubblica),  nel
prevedere   l'obbligo   di   iscrizione   dei   lavoratori   autonomi
all'assicurazione per l'attivita' alla  quale  essi  si  dedicano  in
misura prevalente, si riferisce ad attivita'  a  contenuto  omogeneo,
ovvero caratterizzate,  sotto  l'aspetto  qualitativo,  dalla  stessa
tipologia di apporto professionale e differenziate unicamente  per  i
diversi  settori  produttivi  nei  quali  sono  inquadrabili;  3)  la
contribuzione, dovuta alla gestione separata fa carico alla societa',
unica  legittimata,  quale  sostituto  di  imposta,  a  chiedere   la
restituzione della contribuzione. 
    La rimettente  riferisce,  altresi',  che  la  parte  privata  ha
proposto, a sua volta,  appello  incidentale,  chiedendo  la  riforma
della  sentenza  di  primo  grado  e,  in   subordine,   il   rigetto
dell'appello dell'INPS.  Al  riguardo  ha  sostenuto  di  non  essere
obbligata all'iscrizione alla gestione commercianti, non  sussistendo
i requisiti di cui all'art. 1, comma 203,  della  legge  n.  662  del
1996, in particolare non essendo socia della societa', ne'  familiare
coadiutrice  di  un  socio  il  quale  presti  la  propria  attivita'
lavorativa nella societa' stessa e svolgendo  unicamente  le  proprie
incombenze gestionali nella qualita' di amministratore. 
    La Corte d'appello di Genova aggiunge che, come si  evince  dagli
atti, la sig.ra L. L., figlia della socia B. L.,  e'  vice-presidente
della societa', esercita tutte le relative attribuzioni e  si  occupa
anche della vendita all'interno del negozio di abbigliamento, il  cui
esercizio costituisce l'oggetto sociale. 
    Ad avviso del giudice a quo, sussisterebbero  i  presupposti  per
l'iscrizione alla gestione commercianti di cui all'art. 1, comma 203,
della legge n. 662 del 1996, non potendosi ritenere  che  l'attivita'
di vendita nel negozio sia attuata dalla sig.ra L. L.  nell'esercizio
dei compiti gestionali di vice-presidente. Circostanza  pacifica  e',
poi, l'iscrizione di quest'ultima anche alla gestione separata per lo
svolgimento dell'attivita' di amministratore. 
    In questo quadro, la  Corte  territoriale  osserva  che,  per  la
decisione sulle impugnazioni (principale  e  incidentale),  si  rende
necessario valutare se alla fattispecie  sia  applicabile  l'art.  1,
comma 208, della legge n. 662 del 1996 e sostiene  che  la  soluzione
negativa, propugnata dalla difesa dell'INPS, sarebbe  stata  smentita
dalla sentenza n. 340 (recte: 3240) del 12 febbraio 2010, pronunciata
dalla  Corte  di  cassazione  a  sezioni  unite,  che   ha   ritenuto
applicabile,   per   l'individuazione   dell'iscrizione    ai    fini
assicurativi, il criterio dell'attivita' svolta in misura prevalente,
ai sensi del citato art. 1, comma 208, della legge n. 662 del 1996. 
    Pertanto, si dovrebbe valutare  quale  delle  due  attivita'  (di
amministrazione o di vendita)  sia  svolta  dalla  parte  privata  in
misura prevalente,  al  fine  di  accertare  quale  sia  la  gestione
previdenziale cui essa debba essere iscritta. 
    Tuttavia - la rimettente prosegue - nelle more  del  giudizio  di
appello e' entrato in vigore l'art. 12, comma 11, del d.l. n. 78  del
2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010,  il
quale, con disposizione autoqualificata d'interpretazione  autentica,
ha stabilito che il citato art. 1, comma 208, si interpreta nel senso
che le attivita'  autonome,  per  le  quali  opera  il  principio  di
assoggettamento   all'assicurazione    prevista    per    l'attivita'
prevalente,  sono  quelle   esercitate   in   forma   d'impresa   dai
commercianti, dagli artigiani e dai coltivatori diretti, iscritti  in
una delle corrispondenti gestioni dell'INPS. 
    Pertanto, restano esclusi dall'applicazione  del  detto  art.  1,
comma 208, i rapporti di lavoro  per  i  quali  e'  obbligatoriamente
prevista l'iscrizione alla gestione previdenziale di cui all'art.  2,
comma 26, della legge n. 335 del 1995. 
    La Corte genovese ritiene, quindi, che in forza di tale norma  il
giudizio di prevalenza previsto dall'art. 1, comma 208,  della  legge
n. 662  del  1996  sia  escluso  per  i  casi  di  soggetti  iscritti
contemporaneamente alla gestione commercianti e  separata,  dovendosi
applicare  soltanto  per  il  caso  di  concorrenza   tra   attivita'
ascrivibili  alle  gestioni  artigiani,  commercianti  e  coltivatori
diretti. 
    In altri termini, applicando la  norma  sopravvenuta  anche  alle
fattispecie precedenti alla  sua  entrata  in  vigore  (come  dovuto,
stante la sua dichiarata natura interpretativa), la  soluzione  della
controversia de qua dovrebbe condurre ad  affermare  la  legittimita'
della (doppia) pretesa contributiva dell'INPS. 
    Su tali presupposti, la rimettente  afferma  la  rilevanza  della
sollevata questione di legittimita' costituzionale. 
    In punto di non manifesta infondatezza,  la  Corte  d'appello  di
Genova ritiene che il citato art.  12,  comma  11,  violi,  in  primo
luogo, l'art. 117, primo comma, Cost., in relazione all'art. 6 CEDU. 
    Premesso che, nel caso di  sospettato  contrasto  tra  una  norma
nazionale  e  la  normativa  CEDU,  il  giudice  ordinario  non  puo'
disapplicare la prima, ma deve sollevare  questione  di  legittimita'
costituzionale per violazione dell'art. 117, primo comma, Cost. (sono
citate le  sentenze  n.  349  e  n.  348  del  2007),  la  rimettente
sottolinea come il significato del cosiddetto «diritto ad  un  giusto
processo»  di  cui  all'art.  6  CEDU  sia   stato   chiarito   dalla
giurisprudenza della Corte europea di Strasburgo  (ex  multis:  causa
Scordino contro Italia del 2007), nel  senso  di  ritenere  legittimo
l'intervento del legislatore in materia civile con  norme  dotate  di
efficacia  retroattiva,  purche'  lo  stesso  sia   giustificato   da
«superiori motivi di interesse generale», quale non puo' considerarsi
quello meramente di «cassa». 
    La rimettente ricorda che, con le richiamate sentenze n. 349 e n.
348 del 2007, la Corte costituzionale  ha  ritenuto  illegittima  per
violazione dell'art. 117, primo comma, in  relazione  alla  normativa
CEDU, la novella introdotta con efficacia retroattiva in  materia  di
determinazione della indennita' di espropriazione. Diversamente,  con
la sentenza n. 311 del 2009,  la  Corte  costituzionale  ha  ritenuto
preminente l'esigenza di armonizzazione delle  situazioni  lavorative
all'origine   differenziate    perseguita    dalla    normativa    di
interpretazione autentica di cui all'art. 1, comma 218,  della  legge
23 dicembre 2005, n. 266 (Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale e pluriennale dello Stato - Legge finanziaria 2006), in  tema
di inquadramento del personale degli enti locali trasferito nei ruoli
del personale amministrativo,  tecnico  e  ausiliario  (ATA),  tenuto
anche conto del fatto che la vicenda normativa  non  determinava  una
reformatio in malam partem di una situazione in precedenza acquisita,
essendo stati salvaguardati i livelli retributivi gia' raggiunti. 
    Ad  avviso  della  Corte  d'appello  di  Genova,  il  legislatore
nazionale, con il censurato art. 12, comma 11,  avrebbe  emanato  una
norma dichiaratamente  interpretativa  in  presenza  di  un  notevole
contrasto e dell'intervento risolutivo, sfavorevole  all'INPS,  delle
sezioni unite  della  Corte  di  cassazione,  con  cio'  violando  il
principio della «parita' delle armi» tra le parti processuali. 
    In particolare, nel caso di specie, non sarebbero ravvisabili ne'
i  «superiori  motivi  di  interesse  generale»,  essendo   il   fine
legislativo quello di aumentare il  gettito  contributivo  dell'INPS,
ne' l'esigenza di chiarire un'oggettiva ambiguita' della  norma,  dal
momento che le sezioni unite, con  la  sentenza  n.  3240  del  2010,
avevano gia' ritenuto «che non e' ravvisabile alcun  riferimento  ne'
letterale, ne' logico, ne' sistematico, che valga a circoscrivere  il
principio  della  "prevalenza"  e   quindi   dell'unica   iscrizione,
esclusivamente alle attivita' miste di artigiano e commerciante». 
    La Corte d'appello ritiene, poi, che il citato art. 12, comma 11,
con la sua efficacia retroattiva, violi anche il canone  generale  di
ragionevolezza, di cui all'art. 3 Cost., l'effettivita'  del  diritto
dei cittadini di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e
interessi legittimi di  cui  all'art.  24,  primo  comma,  Cost.,  la
integrita'   delle   attribuzioni    costituzionali    dell'autorita'
giudiziaria di cui all'art.  102  Cost.  e  la  parita'  delle  parti
processuali di cui all'art. 111, secondo comma, Cost. 
    La rimettente ricorda come la  Corte  costituzionale  abbia  piu'
volte  ribadito  che  il   legislatore   puo'   adottare   norme   di
interpretazione autentica, non soltanto  in  presenza  di  incertezze
sull'applicazione   di    una    disposizione    o    di    contrasti
giurisprudenziali, ma anche quando  la  scelta  imposta  dalla  legge
rientri tra le possibili varianti di senso del testo originario,  con
cio' vincolando  un  significato  ascrivibile  alla  norma  anteriore
(citata e' sentenza la n. 209 del 2010). 
    La rimettente richiama, altresi', i limiti  generali  individuati
dalla Corte costituzionale in merito all'efficacia retroattiva  delle
leggi tra cui « il rispetto del principio generale di  ragionevolezza
che ridonda nel divieto di introdurre  ingiustificate  disparita'  di
trattamento, la  tutela  dell'affidamento  legittimamente  sorto  nei
soggetti quale  principio  connaturato  allo  Stato  di  diritto,  la
coerenza e la certezza dell'ordinamento giuridico, il rispetto  delle
funzioni costituzionalmente riservate al  potere  giudiziario»  (sono
richiamate le sentenze n. 209 del 2010 e n. 397 del 1994). 
    Ad avviso della Corte d'appello di  Genova,  la  norma  censurata
sarebbe stata emanata in assenza dei presupposti  individuati,  nelle
sentenze sopra richiamate, dalla  giurisprudenza  costituzionale  con
riguardo alle leggi con efficacia retroattiva.  Infatti,  secondo  la
ricostruzione  effettuata  dalle  sezioni  unite   della   Corte   di
cassazione  nella  sentenza  n.  3240  del   2010,   la   previsione,
concernente l'iscrizione alla gestione assicurativa  per  l'attivita'
svolta in misura prevalente, sarebbe stata stabilita proprio a fronte
della introduzione, in forza della medesima  legge,  dell'obbligo  di
iscrizione del socio alla  gestione  commercianti,  al  fine  di  non
gravare eccessivamente l'attivita' di lavoro autonomo di dimensioni e
redditi modesti (tenuto  conto,  tra  l'altro,  del  fatto  che,  per
l'assicurazione commercianti,  quale  sia  il  reddito  ricavato,  la
contribuzione non puo' scendere al di sotto di una  certa  soglia  ai
sensi dell'art. 6, comma 7, della legge 31  dicembre  1991,  n.  415,
recante «Disposizioni  per  la  formazione  del  bilancio  annuale  e
pluriennale dello Stato - Legge finanziaria 1992»). 
    Inoltre,   l'incidenza    sulle    attribuzioni    costituzionali
dell'autorita' giudiziaria sarebbe evidente, in  quanto  l'intervento
legislativo sarebbe stato realizzato con normativa d'urgenza, a pochi
mesi di distanza dalla pronuncia sulla questione delle sezioni  unite
della Corte di cassazione la quale aveva respinto la  tesi  dell'INPS
svolta negli innumerevoli  giudizi  pendenti  analoghi  a  quello  di
specie. 
    Con memoria depositata il 3 maggio 2011, si e' costituito l'INPS,
in persona del legale rappresentante pro tempore,  chiedendo  che  la
questione sia dichiarata non fondata. 
    L'Istituto  premette  che   la   quaestio   iuris   riguarda   la
compatibilita'   della   contemporanea   iscrizione   alla   gestione
commercianti di cui all'art. 1 della legge 27 novembre 1960, n.  1397
(Assicurazione  obbligatoria  contro  le   malattie   per   esercenti
attivita' commerciali), come modificato dall'art. 1, comma 203, della
legge n. 662 del 1996, e alla gestione separata di  cui  all'art.  2,
comma 26, della legge n. 335 del 1995, di un socio amministratore  di
s.r.l. che  svolga  attivita'  lavorativa  all'interno  della  stessa
societa'. 
    Nel riportare il quadro normativo di  riferimento,  si  evidenzia
come, in forza dell'art. 2, comma 26, della legge n.  335  del  1995,
sia stata prevista  l'estensione  dell'assicurazione  obbligatoria  a
varie  categorie  di  lavoratori  autonomi   indicati   espressamente
attraverso il rinvio all'art. 49 del  decreto  del  Presidente  della
Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917  (Approvazione  del  testo  unico
delle imposte sui redditi), tra cui gli amministratori di societa' e,
in forza dell'art. 1, comma 203, della legge n.  662  del  1996,  sia
stata prescritta  -  qualora  ricorrano  i  presupposti  di  legge  -
l'iscrizione alla gestione commercianti anche ai soci di s.r.l. 
    La ratio della estensione dell'obbligo assicurativo anche a detti
soci e' stata ravvisata  (parere  del  Consiglio  di  Stato,  sezione
seconda, 17 giugno 1998, n.  926)  nella  esigenza  di  evitare  che,
grazie allo schermo societario,  la  prestazione  del  socio  di  una
s.r.l.  espletata  nell'ambito  dell'impresa   sia   sottratta   alla
contribuzione previdenziale obbligatoria e, nel contempo, di superare
la preesistente disparita' di trattamento tra  i  titolari  di  ditte
individuali e i soci di societa' di persone, da un lato, e di s.r.l.,
dall'altro. 
    L'INPS  sottolinea  che,  a  fronte  della  estensione  ai  sensi
dell'art. 1, comma 203, dell'obbligo assicurativo ad altre  categorie
di soggetti prima  esclusi  (Corte  di  cassazione,  sezione  lavoro,
sentenze 19 luglio 2005, n. 15167 e 17 aprile 2007, n. 9121),  l'art.
1, comma 208, della legge n. 662 del 1996 ha previsto  l'ipotesi  del
concomitante svolgimento da parte di un soggetto (da individuare  tra
quelli di cui ai commi precedenti), anche  in  un'unica  impresa,  di
varie attivita'  autonome  previste  dalla  legislazione  vigente  in
materia (commercianti, artigiani, coltivatori diretti). 
    Secondo l'interpretazione dell'INPS  e  della  giurisprudenza  di
merito, il citato art. 1, comma  208  -  che  fonda  l'individuazione
dell'unica gestione assicurativa alla quale  effettuare  l'iscrizione
in base al criterio della «prevalenza» dell'attivita' svolta -  trova
applicazione  soltanto  con  riguardo  alle   attivita'   concretanti
fattispecie unitarie, ma caratterizzate dalla compresenza di elementi
cosiddetti "misti" (iscrivibili in teoria presso diverse gestioni)  e
dalla unicita' del reddito  (commercianti,  artigiani  e  coltivatori
diretti). 
    Un conforto alla suddetta interpretazione lo si desume, ad avviso
dell'INPS,  anche  dal  contesto  storico-normativo  nel   quale   si
inserisce tale  disposizione.  Infatti,  in  forza  dell'art.  2  del
decreto del Presidente della Repubblica  28  febbraio  1961,  n.  184
(Norme di attuazione della legge  27  novembre  1960,  n.  1397,  per
l'assicurazione obbligatoria contro le  malattie  per  gli  esercenti
attivita' commerciali), con  una  disposizione  di  tenore  letterale
analogo a quello di cui all'art. 1,  comma  208,  il  legislatore  ha
previsto per gli esercenti  di  piccole  imprese  commerciali  e  gli
ausiliari del commercio, qualora esercitino contemporaneamente, anche
in  un'unica  impresa,  varie   attivita'   autonome   assoggettabili
distintamente a diverse forme di assicurazione obbligatoria contro le
malattie, la  iscrizione  alla  gestione  assicurativa  prevista  per
l'attivita' alla quale gli  stessi  dedicano  personalmente  la  loro
opera professionale in misura prevalente. 
    A detta dell'INPS, essendo stato il  citato  art.  2  emanato  in
attuazione della  legge  istitutiva  dell'assicurazione  obbligatoria
contro le malattie  per  gli  esercenti  attivita'  commerciali,  non
poteva che fare  riferimento  allo  svolgimento  contemporaneo  delle
varie attivita' autonome contemplate dalla  legislazione  vigente  in
materia di assicurazione obbligatoria (legge  27  novembre  1960,  n.
1397, «Assicurazione obbligatoria contro le  malattie  per  esercenti
attivita'  commerciali»;   legge   29   dicembre   1956,   n.   1533,
«Assicurazione obbligatoria contro le malattie  per  gli  artigiani»;
legge 22 novembre 1954, n. 1136, «Estensione dell'assistenza malattia
ai  coltivatori  diretti»).  Anche  con  l'art.  1,  comma  208,   il
legislatore, dopo l'ampliamento soggettivo (art. 1, commi  da  196  a
207, della  legge  23  dicembre  1996,  n.  662  recante  «Misure  di
razionalizzazione della finanza pubblica») dell'obbligo  assicurativo
alla  gestione  commercianti,  avrebbe  inteso  evitare  una  duplice
contribuzione  nel  caso  di  espletamento  di  cosiddette  attivita'
omologhe, produttive della stessa tipologia  di  reddito,  ossia  del
cosiddetto reddito di impresa (commercio, artigianato e agricoltura). 
    L'INPS ritiene che alle attivita' di cui all'art. 1,  comma  208,
produttive di reddito di impresa (Capo VI del Testo unico,  approvato
con decreto del Presidente della Repubblica del 22 dicembre 1986,  n.
917,  recante  «Approvazione  del  testo  unico  delle  imposte   sui
redditi»), non potrebbero accomunarsi quelle contemplate dall'art. 2,
comma 26, della legge 8 agosto 1995,  n.  335  (Riforma  del  sistema
pensionistico obbligatorio e complementare), in quanto queste  ultime
sono produttive di «reddito di lavoro autonomo»  (Capo  V  del  Testo
unico, approvato con d.P.R. n. 917 del 1986). 
    L'INPS trae un ulteriore argomento,  a  sostegno  della  asserita
compatibilita' tra l'iscrizione alla  gestione  commercianti  e  alla
gestione separata, dall'art. 59, comma 16, della  legge  27  dicembre
1997, n. 449 (Misure per la stabilizzazione della finanza  pubblica),
che prevede un aumento dell'aliquota percentuale della  contribuzione
dovuta per la gestione separata, con riguardo  ai  soggetti  che  non
risultino gia' iscritti ad  altre  forme  assicurative  obbligatorie.
Inoltre, la  stessa  norma  istitutiva  della  gestione  separata  ha
previsto l'obbligatorieta' dell'iscrizione ancorche' l'attivita'  che
la determina non sia esclusiva, lasciando intendere che se i soggetti
da essa considerati svolgono altre attivita' lavorative  in  presenza
dei  requisiti  ex  lege,  debbano  iscriversi  alle   corrispondenti
gestioni previdenziali. Infine, il decreto del Ministero del lavoro e
della previdenza sociale 2 maggio 1996, n. 281  (Regolamento  recante
modalita'  e  termini  per  il  versamento  del  contributo  previsto
dall'articolo 2, comma 30, della legge 8 agosto 1995, n.  335)  -  in
virtu' di delega conferita al Ministero del Lavoro dall'art. 2, comma
30, della legge n. 335 del 1995 - nel disciplinare  le  modalita'  di
iscrizione e versamento della  gestione  separata,  prevede  distinte
decorrenze della stessa norma (il  citato  art.  2)  per  coloro  che
risultino  gia'  pensionati  o  iscritti   a   forme   pensionistiche
obbligatorie e  per  coloro  i  quali  non  risultino  iscritti  alle
predette forme. 
    Alla  luce  dei  suddetti  dati  normativi  emergerebbe,  secondo
l'Istituto, la conferma della piena compatibilita' nel nostro sistema
della duplice iscrizione alla gestione commercianti e  alla  gestione
separata del socio-amministratore di s.r.l. che, al contempo,  svolga
attivita' lavorativa all'interno della stessa societa'. 
    Sotto un profilo logico-sistematico le  contemporanee  iscrizioni
alle due gestioni sarebbero, peraltro, compatibili per una  serie  di
considerazioni: 1) si fondano su titoli  diversi:  la  percezione  di
redditi di lavoro autonomo quale amministratore di societa', nel caso
di gestione separata, e la percezione  di  redditi  d'impresa,  quale
socio  partecipe  al  lavoro  aziendale,  nel  caso  della   gestione
commercianti; 2) comportano  l'assoggettamento  a  diverse  forme  ed
aliquote di contribuzione; 3) l'obbligo del versamento dei contributi
insorge in capo alla societa' committente (sia pure  in  parte),  nel
caso della gestione separata, ed in capo al lavoratore in proprio per
la gestione  commercianti;  4)  i  redditi  imponibili  hanno  natura
diversa: di lavoro autonomo per il compenso di amministratore (Capo V
del Testo unico approvato con il d.P.R. n. 917 del 1986) e di reddito
d'impresa per la quota degli utili spettanti quale socio che esercita
l'attivita' commerciale (Capo VI del Testo  unico  approvato  con  il
d.P.R. n. 917 del 1986). 
    Ne', secondo l'INPS, la duplicita'  di  iscrizione  comporta  una
duplicazione  di  contribuzione,  in  quanto  i   relativi   obblighi
contributivi sono  indipendenti  tra  loro  e  soggetti  alle  regole
previste per la gestione di riferimento. 
    Il resistente ricorda che la Corte di cassazione, a partire dalla
sentenza 5 ottobre 2007, n. 20886, si e' orientata in senso  difforme
dall'impostazione    sopra    delineata.    Invero,     interpretando
letteralmente l'art. 1, comma 208, e  attribuendo  alla  «prevalenza»
natura di «criterio unificante», ha  ritenuto  di  includere  tra  le
«varie  attivita'  autonome  assoggettabili  a   diverse   forme   di
assicurazione  obbligatoria»  anche  le  attivita'  iscrivibili  alla
gestione separata (ex art. 2, comma 26, della legge n. 335 del 1995). 
    Anche le sezioni unite della Corte di cassazione, con  la  citata
sentenza  12  febbraio  2010,  n.  3240,  hanno  aderito  alla   tesi
dell'unicita' dell'iscrizione, alla stregua di una esegesi  letterale
della norma. 
    Ad  avviso  dell'INPS,   nella   detta   pronuncia   si   afferma
erroneamente che «sono soggetti all'assicurazione di cui all'art.  2,
comma 26, della legge n. 335 del 1995 due tipi di reddito  da  lavoro
autonomo, quelli di cui all'art. 49, primo comma, del d.P.R.  n.  917
del 1986 che derivano dall'esercizio abituale ancorche' non esclusivo
di arti e professioni, e quelli di cui al secondo comma dello  stesso
articolo derivanti  dagli  uffici  di  amministratore  e  sindaco  di
societa'  e  da  altri  rapporti  di  collaborazione   coordinata   e
continuativa». 
    Invero, dalla lettura coordinata dell'art. 53, secondo comma (che
ha sostituito il citato art. 49, a seguito della  riforma  introdotta
con il decreto legislativo 12 dicembre 2003, n. 344, recante «Riforma
dell'imposizione sul reddito delle societa', a norma dell'articolo  4
della legge 7 aprile 2003,  n.  80»)  e  dell'art.  50  dello  stesso
d.P.R., si evincerebbe che i redditi  provenienti  dall'attivita'  di
amministratore, alla luce della innovazione  legislativa  di  cui  al
d.lgs. n.  344  del  2003,  sono  assimilati  ai  redditi  di  lavoro
dipendente. 
    L'INPS critica, peraltro, anche  l'affermazione  contenuta  nella
detta sentenza secondo cui  i  conferimenti  alla  gestione  separata
hanno il sapore di «una  tassa  aggiuntiva  su  determinati  tipi  di
redditi». Al riguardo, l'Istituto sottolinea  che  l'iscrizione  alla
gestione separata trova il suo fondamento logico-giuridico non  nella
mera percezione di un reddito, ma nell'espletamento  di  un'attivita'
lavorativa con le caratteristiche previste ex lege  e  che  non  puo'
escludersi il pagamento della  contribuzione  previdenziale  (che  le
sezioni  unite  definiscono  «tassa»),  nell'ipotesi   di   attivita'
espletata in modo secondario o saltuario. 
    Peraltro, a detta dell'INPS, le  sezioni  unite  della  Corte  di
cassazione, nella richiamata sentenza,  evidenziano  che  la  novita'
piu' rilevante dell'art. 1, comma 203, della legge n. 662 del 1996 e'
stata quella di estendere  l'iscrizione  alla  gestione  commercianti
anche ai soci di s.r.l. operanti nel settore commerciale, al fine  di
evitare che, grazie  allo  schermo  della  struttura  societaria,  la
prestazione di lavoro del socio resa nella compagine, venga sottratta
alla contribuzione previdenziale, limitando cosi' la portata di  tale
norma all'ambito della ditta commerciale, mentre era da ricomprendere
qualsiasi tipo di impresa (secondo il citato parere del Consiglio  di
Stato n. 926 del 1998). 
    Sulla base delle suddette premesse, le sezioni unite, dopo  avere
correttamente   asserito   che   «la   regola   generale    e'    che
all'espletamento di duplice attivita' lavorativa, quando per entrambe
si prevede la tutela assicurativa, deve corrispondere  la  duplicita'
di iscrizione»,  sono  arrivate  alla  conclusione  -  non  condivisa
dall'INPS - che, se da un lato, con le disposizioni di cui all'art.1,
commi 203 e 208, si e' voluto evitare che, grazie allo schermo  della
struttura  societaria,  la  prestazione  di  lavoro  del  socio  resa
nell'impresa  commerciale,  fosse   sottratta   alla   contribuzione,
dall'altro si e' voluto evitare la  doppia  iscrizione  e  quindi  la
doppia imposizione contributiva. 
    In questo modo, secondo l'INPS, si ammetterebbe  la  possibilita'
che un'attivita' lavorativa, purche'  assolutamente  secondaria,  non
sia coperta da alcuna assicurazione previdenziale e cio' in contrasto
con il principio di rilevanza costituzionale dell'universalita' della
tutela previdenziale di cui agli  artt.  35  e  38  Cost.  L'Istituto
sottolinea,  al  riguardo,  come   la   costituzione   del   rapporto
assicurativo e gli effetti giuridici che gli sono propri sia  imposta
dallo svolgimento di un'attivita' lavorativa  (Corte  di  cassazione,
sezione lavoro, sentenza 21 novembre 2001, n.  14660)  e  il  modesto
rilievo, la saltuarieta' e la  natura  di  attivita'  secondaria  non
possono giustificare la esclusione della copertura assicurativa. 
    Invero, ad avviso dell'ente, non si tratta di doppia  imposizione
contributiva, ma di una duplice  iscrizione  in  virtu'  dei  diversi
presupposti che la giustificano. In  merito  richiama  una  pronuncia
della Corte costituzionale (n. 133 del 1984), in base alla quale  non
e' dato parlare di duplicazione di tutele nel caso di due concorrenti
sistemi  previdenziali  riferiti  a  due  attivita'  lavorative   non
omogenee e, pertanto, ontologicamente distinte. 
    L'INPS evidenzia come con l'art. 12, comma 11, del d.l. n. 78 del
2010, convertito  dalla  legge  n.  122  del  2010,  il  legislatore,
nell'intento di fornire una interpretazione  autentica  dell'art.  1,
comma 208, abbia chiarito che le  attivita'  autonome  per  le  quali
opera il principio  dell'assoggettamento  all'assicurazione  prevista
per l'attivita' prevalente sono quelle, ancorche'  concretanti  delle
fattispecie unitarie, caratterizzate dalla  compresenza  di  elementi
cosiddetti misti (iscrivibili in teoria a diverse gestioni)  e  dalla
unicita' del reddito (commercianti, artigiani e coltivatori diretti).
Il  legislatore,  pertanto,  avrebbe  scelto  una  delle  prospettate
opzioni interpretative che si iscrive perfettamente nel sistema e che
risulta   compatibile   con   l'assetto    sistematico    e    logico
dell'ordinamento previdenziale. Da qui la piena compatibilita'  delle
iscrizioni alla gestione commercianti e alla gestione  separata  (che
non implica doppia imposizione contributiva) del socio lavoratore  di
una s.r.l. che svolga, al contempo, attivita' di amministratore della
stessa societa'. 
    L'INPS ritiene, pertanto, infondate le censure mosse con riguardo
al citato art.12, comma 11, in quanto detta norma, effettivamente  di
interpretazione autentica, non sarebbe irragionevole, limitandosi  ad
assegnare alla disposizione interpretata -  finalizzata  ad  ampliare
l'area della tutela assicurativa e del  prelievo  contributivo  -  un
significato gia' in essa  contenuto,  riconoscibile  come  una  delle
possibili letture del testo originario (sentenze n. 162 e n.  74  del
2008; n. 234 del 2007; n. 274 del 2006; n. 374 e n. 29 del 2002 e  n.
525 del 2000). 
    L'INPS richiama, al riguardo, una pronuncia con la quale la Corte
costituzionale (sentenza n. 172 del 2008) ha dichiarato  non  fondata
la  questione  di  legittimita'  costituzionale  di  una   norma   di
interpretazione autentica (art. 1, comma 777, della legge n. 296  del
2006) che, in materia di  ricalcolo  della  pensione  sulla  base  di
contributi  con  Stato  estero   convenzionato,   aveva   imposto   -
contrariamente all'orientamento costante della  Corte  di  cassazione
secondo cui si doveva tenere conto della  retribuzione  degli  ultimi
anni di lavoro - la riparametrazione della  retribuzione  secondo  le
aliquote contributive dell'assicurazione generale obbligatoria. Nella
detta sentenza la Corte ha affermato che non  poteva  ritenersi  leso
l'affidamento nella certezza dell'ordinamento giuridico, in quanto, a
fronte di una interpretazione giurisprudenziale univoca, l'INPS aveva
reso  reale  il  dubbio  ermeneutico  continuando  a   sostenere   il
contrario. 
    Quanto   agli   orientamenti   giurisprudenziali    in    seguito
all'intervento   del   legislatore,   l'ente   richiama   l'ordinanza
interlocutoria della Corte di cassazione, sezione lavoro, 5  novembre
2010, n. 22558, la quale, dato atto della  nuova  norma  e  ritenendo
infondate le richieste di rimessione alla Corte costituzionale  delle
questioni  di  legittimita'  costituzionale  sollevate  dalle   parti
private in ordine agli  artt.  3,  24,  102,  111  e  117  Cost.,  ha
sollecitato una nuova pronuncia delle sezioni  unite,  invocando  una
riconsiderazione della problematica in generale. 
    Inoltre, evidenzia come anche i giudici di merito abbiano escluso
possibili contrasti con  la  Costituzione,  considerando  l'autentica
essenza interpretativa dell'art. 12, comma 11. 
    Alla  luce  delle  suddette  argomentazioni,  l'INPS  chiede   la
declaratoria  di  non  fondatezza  della   sollevata   questione   di
costituzionalita'. 
    In data 22 novembre 2011, il  resistente  ha  depositato  memoria
illustrativa, riportandosi alle deduzioni  di  cui  alla  memoria  di
costituzione e richiamando, a sostegno  della  non  fondatezza  della
questione,  le  argomentazioni  svolte  dalla  Corte  di  cassazione,
sezioni unite, nella sentenza 24 maggio 2011, n. 17076. 
    Con atto depositato in  data  3  maggio  2011,  nel  giudizio  di
legittimita'  costituzionale  e'  intervenuto   il   Presidente   del
Consiglio del  ministri,  rappresentato  e  difeso  dalla  Avvocatura
generale dello Stato,  chiedendo  che  la  questione  sia  dichiarata
inammissibile e, comunque, non fondata. 
    In primo luogo, la difesa statale nega  la  violazione  dell'art.
117, primo comma, Cost., in relazione all'art. 6 CEDU.  Al  riguardo,
precisa che la Corte EDU non ha mai espresso il principio del divieto
assoluto di interventi legislativi retroattivi, ma, in  alcuni  casi,
ha ritenuto legittimo l'intervento del  legislatore  che,  per  porre
rimedio a una imperfezione tecnica della  legge  interpretata,  aveva
inteso, con legge retroattiva,  ristabilire  un'interpretazione  piu'
aderente all'originaria volonta' del legislatore stesso (sentenza  23
ottobre 1997, National & Provincial  Building  Society  contro  Regno
Unito). Evidenzia, anche, come la Corte costituzionale abbia posto  a
fondamento  di  proprie  decisioni   (sentenza   n.   1   del   2011)
l'interpretazione dell'art. 6 CEDU datane dalla Corte EDU. 
    In particolare, il Presidente del Consiglio dei ministri  ritiene
che la finalita' della norma censurata  sia  quella  di  chiarire  il
significato di una precedente legge, ovvero di  esplicitare  uno  dei
possibili significati tra  quelli  ragionevolmente  ascrivibili  alle
statuizioni interpretate. 
    Al riguardo, richiama quanto affermato dalla Corte di  cassazione
nella citata sentenza  n.  3240  del  2010,  secondo  cui  la  regola
generale e' che all'espletamento della duplice attivita'  lavorativa,
quando  per  entrambe  si  prevede  la  tutela   assicurativa,   deve
corrispondere la duplicita' di iscrizione. Nella detta  pronuncia  si
precisa, altresi', che non sussiste duplicazione di contribuzione, in
quanto a ciascuna fa capo una  attivita'  diversa  e  ciascuna  delle
obbligazioni contributive viene parametrata sulla  base  di  compensi
rispettivamente percepiti che non si cumulano, ma restano distinti  e
sottoposti alla rispettiva aliquota di prelievo. 
    Alla luce delle suddette argomentazioni, la  difesa  dello  Stato
ritiene non fondata la censura concernente  la  violazione  dell'art.
117, primo comma, Cost. in relazione all'art. 6 CEDU. 
    Ad avviso della difesa statale, considerato che il censurato art.
12, comma 11, attribuisce all'art. 1, comma 208, della legge  n.  662
del 1996 «una delle possibili  letture  del  testo  originario»,  non
sarebbe   ravvisabile   neanche   la   violazione   del   canone   di
ragionevolezza   (art.   3   Cost.)   e   del   principio    generale
dell'affidamento (art. 111 Cost.). In particolare, il Presidente  del
Consiglio dei ministri evidenzia come la duplicita' di iscrizione del
socio-lavoratore e amministratore di una s.r.l. sia in linea  con  la
logica sottesa alla legge n. 335  del  1995,  la  quale  prevede  una
particolare forma di tutela previdenziale basata sulla percezione dei
redditi individuati dalla normativa fiscale. La ratio della  gestione
separata  e'  quella  di  assicurare  una  tutela,  sia  unica,   sia
complementare  a  quella  prevista  per  altre  attivita'  lavorative
eventualmente svolte.  L'ordinamento  contempla  i  casi  in  cui  e'
prevista l'iscrizione a piu'  gestioni  (ad  esempio,  il  lavoratore
dipendente che abbia anche un rapporto di collaborazione coordinata e
continuativa deve iscriversi anche alla gestione separata). La difesa
erariale  sottolinea  come  l'art.  1,  comma  208  -   che   prevede
l'individuazione della gestione  assicurativa  cui  l'esercente  deve
essere iscritto in base al criterio della prevalenza - riguarda  solo
il caso degli esercenti attivita' commerciali i quali  svolgono  piu'
attivita' cosiddette miste  (commercianti,  artigiani  e  coltivatori
diretti). 
    Non potrebbe, invece, applicarsi all'ipotesi del socio di  s.r.l.
commerciale che svolga anche l'attivita' di amministratore, in quanto
tale ultima attivita' non e' configurabile  come  ipotesi  di  lavoro
autonomo. Al riguardo,  il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri
sottolinea la distinzione effettuata dal decreto del Presidente della
Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917  (Approvazione  del  Testo  unico
delle imposte sui redditi), richiamato dalla legge n. 335  del  1995,
tra reddito da lavoro autonomo derivante  dall'esercizio  di  arti  e
professioni  (art.  53)  e   reddito   percepito   in   qualita'   di
amministratore assimilabile a quello di lavoro dipendente  (art.  50,
lettera c-bis). Ad avviso della difesa erariale, le due attivita' non
sono omogenee e, quando il citato art. 1, comma 208,  fa  riferimento
alle attivita' di lavoro autonomo non includerebbe anche le attivita'
di amministratore di societa'. 
    Pertanto, il Presidente del Consiglio dei ministri evidenzia come
la norma censurata risponda  al  criterio  della  ragionevolezza,  in
quanto, individuando la corretta "lettura" dell'art.  1,  comma  208,
contribuisce a superare il  contrasto  giurisprudenziale,  eliminando
sia l'incertezza giuridica delle posizioni dei contribuenti,  sia  il
rischio di una sostanziale disparita' di  trattamento  di  situazioni
analoghe, in una materia  quale  quella  contributivo-fiscale,  nella
quale e' maggiore la necessita' dell'equo trattamento. 
    Inoltre, ricorda che, in sede di interpretazione  autentica,  «il
legislatore   puo'   modificare   sfavorevolmente,   in   vista   del
raggiungimento di finalita' perequative, la disciplina di determinati
trattamenti economici con esiti privilegiati» (con la sentenza n. 282
del 2005 della Corte costituzionale). 
    Sulla base delle suddette argomentazioni la difesa erariale nega,
pertanto, anche la assunta  violazione  dell'art.  24,  primo  comma,
Cost. 
    Infine,  il  Presidente  del  Consiglio  dei   ministri   ritiene
infondata la censura mossa in riferimento all'art. 102 Cost. Infatti,
come  precisato  dalla  Corte  costituzionale   in   varie   sentenze
richiamate (n. 374 del 2002, n. 229 del 1999  e  n.  432  del  1997),
«l'intervento  legislativo  retroattivo,  tanto  con  la   norma   di
interpretazione autentica quanto  con  norma  innovativa,  opera  sul
piano delle fonti, ossia della  regola  iuris  che  il  giudice  deve
applicare  e  quindi  non  incide  sulla  potesta'  di  giudicare   e
sull'ambito riservato alla funzione giurisdizionale». 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. - La Corte d'appello di Genova, in  funzione  di  giudice  del
lavoro,  con  l'ordinanza  indicata   in   epigrafe,   dubita   della
legittimita' costituzionale, in  riferimento  agli  articoli  3,  24,
primo comma, 102, 111, secondo  comma,  e  117,  primo  comma,  della
Costituzione, dell'art. 12, comma 11,  del  decreto-legge  31  maggio
2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria
e  di  competitivita'  economica)  convertito,   con   modificazioni,
dall'articolo 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122. 
    2.- La  rimettente  premette  di  essere  investita  dell'appello
principale, proposto dall'INPS, e dell'appello incidentale,  proposto
dalla signora L. L., avverso la sentenza con la quale il  giudice  di
primo  grado  ha  respinto  l'opposizione  di  detta  parte  privata,
avanzata avverso  una  cartella  esattoriale  per  il  pagamento  dei
contributi dovuti a titolo di iscrizione alla  gestione  assicurativa
commercianti, ed ha accolto la domanda  subordinata  di  annullamento
della iscrizione alla gestione separata di cui all'art. 2, comma  26,
della legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema pensionistico,
obbligatorio  e   complementare),   con   condanna   dell'INPS   alla
restituzione della relativa contribuzione. 
    Ad  avviso  della  Corte  sussisterebbero   i   presupposti   per
l'iscrizione della parte privata alla gestione commercianti,  essendo
quest'ultima,  al  contempo,   vice-presidente   del   consiglio   di
amministrazione di una societa' esercente  attivita'  di  vendita  al
dettaglio di abbigliamento e  preposta  al  punto  di  vendita  della
stessa societa', nella qualita' di familiare coadiutore (figlia della
socia B. L.). 
    E' pacifico,  peraltro,  che  ella  e'  anche  iscritta,  per  lo
svolgimento dell'attivita' di amministratore, alla gestione  separata
prevista dall'art. 2, comma 26, della legge n. 335 del 1995. 
    La rimettente ritiene la questione rilevante, in quanto l'entrata
in vigore, nelle more del giudizio di appello, del  citato  art.  12,
comma  11,  renderebbe  legittima  la  doppia  pretesa   contributiva
dell'INPS, dovendosi escludere il  giudizio  di  prevalenza  previsto
dall'art. 1, comma 208, della legge 23 dicembre 1992, n. 662  (Misure
di  razionalizzazione  della  finanza  pubblica),  per  i   casi   di
svolgimento contemporaneo, anche in un'unica impresa,  della  duplice
attivita' di amministratore e di socio  (o  familiare  coadiutore  di
socio) esercente attivita' di vendita. 
    La  Corte  distrettuale  ritiene  la  questione  di  legittimita'
costituzionale, anche non manifestamente infondata,  con  riferimento
ai parametri invocati. 
    In particolare, il citato art.  12,  comma  11,  si  porrebbe  in
contrasto: a) con l'art. 3 Cost.,  sotto  il  profilo  del  principio
generale di ragionevolezza delle  norme;  b)  con  l'art.  24,  primo
comma, Cost., sotto il profilo della  effettivita'  del  diritto  dei
cittadini di agire in giudizio per la tutela  dei  propri  diritti  e
interessi legittimi; c) con l'art. 102 Cost. sotto il  profilo  della
integrita'   delle   attribuzioni    costituzionali    dell'autorita'
giudiziaria; d) con l'art. 111, secondo comma, Cost. sotto il profilo
della  parita'  delle  parti  processuali.  Secondo   la   rimettente
sarebbero stati travalicati i limiti individuati dalla giurisprudenza
costituzionale (sentenze n. 209 del 2010  e  n.  397  del  1994)  con
riguardo alle leggi  aventi  efficacia  retroattiva,  in  quanto:  1)
secondo la ricostruzione effettuata dalle sezioni unite  della  Corte
di cassazione nella  sentenza  n.  3240  del  12  febbraio  2010,  la
previsione dell'iscrizione alla gestione assicurativa per l'attivita'
svolta in misura prevalente sarebbe stata introdotta proprio a fronte
della  statuizione,  in  forza  della  medesima  legge,   concernente
l'obbligo  d'iscrizione   del   socio   di   s.r.l.   alla   gestione
commercianti, al fine di non gravare  eccessivamente  l'attivita'  di
lavoro autonomo di dimensioni  e  redditi  modesti;  2)  l'intervento
legislativo sarebbe stato realizzato,  incidendo  sulle  attribuzioni
costituzionali dell'autorita' giudiziaria, con normativa d'urgenza, a
pochi mesi di distanza dalla pronuncia emessa sulla  questione  dalle
sezioni unite della Corte di cassazione (con la  citata  sentenza  n.
3240 del 2010), la quale  aveva  respinto  la  tesi  sostenuta  dalla
difesa dell'INPS negli innumerevoli giudizi analoghi pendenti. 
    La norma  censurata,  ad  avviso  della  Corte,  si  porrebbe  in
contrasto anche con l'art. 117, primo  comma,  Cost.  per  violazione
dell'art.  6  della  Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU), approvata a Roma il 4
novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4  agosto  1955,
n. 848, in quanto il legislatore nazionale, in mancanza di «superiori
motivi di interesse generale», bensi' al fine di aumentare il gettito
contributivo dell'INPS, ed  in  mancanza  dell'esigenza  di  chiarire
un'oggettiva ambiguita' del  testo  normativo,  avrebbe  emanato  una
norma dichiaratamente  interpretativa  in  presenza  di  un  notevole
contenzioso e dell'intervento risolutivo delle  sezioni  unite  della
Corte di cassazione (con la sentenza n. 3240  del  2010)  sfavorevole
all'INPS, in tal modo violando il principio di «parita'  delle  armi»
tra le parti processuali. 
    3. - La questione non e' fondata. 
    3.1. - E' opportuno esporre  il  principale  quadro  normativo  e
giurisprudenziale di riferimento, nel quale essa si colloca. 
    L'art. 2, comma 26, della legge n. 335 del 1995 ha stabilito  che
«A decorrere dal 1° gennaio 1996, sono tenuti  all'iscrizione  presso
una  apposita  Gestione  separata,  presso  l'INPS,   e   finalizzata
all'estensione   dell'assicurazione   generale    obbligatoria    per
l'invalidita', la vecchiaia e i superstiti, i soggetti che esercitano
per professione  abituale,  ancorche'  non  esclusiva,  attivita'  di
lavoro autonomo, di cui al comma 1 dell'articolo 49 del  testo  unico
delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della
Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e  successive  modificazioni  ed
integrazioni,  nonche'  i  titolari  di  rapporti  di  collaborazione
coordinata  e  continuativa,  di  cui  al  comma   2,   lettera   a),
dell'articolo 49 del medesimo  testo  unico  e  gli  incaricati  alla
vendita a domicilio di cui all'articolo  36  della  legge  11  giugno
1971, n. 426. Sono esclusi dall'obbligo  i  soggetti  assegnatari  di
borse di studio, limitatamente alla relativa attivita'». 
    L'art. 1, comma 203, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure
di razionalizzazione della finanza pubblica), nel  sostituire  l'art.
29, primo comma, della legge 3 giugno  1975,  n.  160  (Norme  per  i
miglioramenti dei trattamenti pensionistici  e  per  il  collegamento
alla dinamica salariale), ha disposto che  «L'obbligo  di  iscrizione
nella gestione assicurativa degli esercenti attivita' commerciali  di
cui alla legge 22 luglio 1966, n. 613, e successive  modificazioni  e
integrazioni, sussiste per i  soggetti  che  siano  in  possesso  dei
seguenti requisiti: a) siano titolari o gestori in proprio di imprese
che, a prescindere dal numero dei dipendenti, siano  organizzate  e/o
dirette prevalentemente con il lavoro proprio  e  dei  componenti  la
famiglia, ivi compresi i parenti e gli affini entro il  terzo  grado,
ovvero siano familiari coadiutori preposti al punto  di  vendita;  b)
abbiano la piena responsabilita' dell'impresa ed assumano  tutti  gli
oneri e i rischi relativi alla sua gestione. Tale  requisito  non  e'
richiesto per i familiari coadiutori preposti al  punto  di  vendita,
nonche' per  i  soci  di  societa'  a  responsabilita'  limitata;  c)
partecipino  personalmente  al  lavoro  aziendale  con  carattere  di
abitualita' e prevalenza; d) siano in possesso, ove previsto da leggi
o regolamenti, di licenze o  autorizzazioni  e/o  siano  iscritti  in
albi, registri o ruoli». 
    L'art. 1, comma 208, della citata legge n. 662 del  1996,  a  sua
volta, ha statuito che «Qualora i soggetti di cui ai precedenti commi
esercitino  contemporaneamente,  anche  in  un'unica  impresa,  varie
attivita' autonome assoggettabili a diverse  forme  di  assicurazione
obbligatoria per l'invalidita', la vecchiaia  e  i  superstiti,  sono
iscritti nell'assicurazione prevista per l'attivita' alla  quale  gli
stessi dedicano personalmente la loro opera professionale  in  misura
prevalente. Spetta all'Istituto nazionale  della  previdenza  sociale
decidere    sull'iscrizione     nell'assicurazione     corrispondente
all'attivita'  prevalente.  Avverso  tale   decisione   il   soggetto
interessato puo' proporre ricorso, entro 90 giorni dalla notifica del
provvedimento, al  consiglio  di  amministrazione  dell'Istituto,  il
quale decide in via definitiva,  sentiti  i  comitati  amministratori
delle rispettive gestioni pensionistiche». 
    Sull'interpretazione  di  tale  normativa  si  e'  sviluppato  un
notevole contenzioso in ordine alla seguente questione: se  il  socio
di una societa'  commerciale  nella  forma  della  s.r.l.,  il  quale
partecipi  personalmente  al  lavoro  aziendale  con   carattere   di
abitualita' e, nel contempo, sia anche amministratore della medesima,
riscuotendo un apposito compenso, sia tenuto all'iscrizione (e  debba
versare la  contribuzione)  presso  le  due  corrispondenti  gestioni
previdenziali,  ossia  alla  gestione  commercianti  per   la   prima
attivita' e alla gestione separata per la seconda, oppure sia  tenuto
all'iscrizione presso una sola delle  due  gestioni,  da  individuare
come quella di competenza per la attivita' prevalente. 
    A tal riguardo va notato che la fattispecie oggetto del  giudizio
a quo non coincide in toto con quella  ora  richiamata,  perche'  nel
caso in esame il soggetto, cui la doppia iscrizione si riferisce, non
e' un socio, ma il familiare coadiutore di un  socio,  familiare  che
nell'ambito della societa' svolge attivita' di  amministratore  (vice
presidente) e, contemporaneamente, esercita nell'impresa attivita' di
vendita. 
    Tuttavia, secondo la non  implausibile  motivazione  della  Corte
territoriale, la questione sopra enunciata  ben  si  pone  anche  con
riferimento alla  presente  causa,  «poiche'  sussistono  i  medesimi
presupposti e la normativa  applicabile  e'  la  medesima».  Si  deve
procedere, dunque, nello scrutinio. 
    Il contenzioso, del quale si e' fatto cenno, vede  la  prevalente
giurisprudenza di merito (cui l'INPS aderisce) orientata nel senso di
ritenere  necessaria  l'iscrizione  presso  le   due   corrispondenti
gestioni previdenziali,  mentre  la  giurisprudenza  di  legittimita'
segue per lo piu' l'orientamento opposto, anche se pur nella  sezione
lavoro della Corte di cassazione si e' manifestato un contrasto,  che
ha dato luogo alla sentenza delle sezioni unite civili  n.  3240  del
2010. 
    Con tale sentenza e' stato enunciato  il  seguente  principio  di
diritto: «La regola dettata dall'art. 1, comma 208,  della  legge  n.
662  del  1996  -  secondo  la  quale  i  soggetti   che   esercitano
contemporaneamente,  in  una  o  piu'  imprese   commerciali,   varie
attivita' autonome assoggettabili a diverse  forme  di  assicurazione
obbligatoria per l'invalidita', la vecchiaia  e  i  superstiti,  sono
iscritti nell'assicurazione prevista per l'attivita' alla  quale  gli
stessi dedicano personalmente la loro opera professionale  in  misura
prevalente - si applica anche al socio di societa' a  responsabilita'
limitata  che  eserciti  attivita'  commerciale   nell'ambito   della
medesima e, contemporaneamente, svolga attivita'  di  amministratore,
anche unico. In tal caso, la scelta dell'iscrizione nella gestione di
cui all'art. 2, comma 26, della  legge  n.  335  del  1995,  o  nella
gestione degli esercenti attivita' commerciali, ai sensi dell'art. 1,
comma 203, della legge n. 662 del 1996, spetta all'INPS,  secondo  il
carattere di prevalenza. La contribuzione si commisura esclusivamente
sulla base dei redditi percepiti dalla attivita' prevalente e con  le
regole vigenti nella gestione di competenza». 
    La disposizione censurata con l'ordinanza  di  rimessione,  ossia
l'art. 12, comma 11,  del  d.l.  n.  78  del  2010,  convertito,  con
modificazioni, dall'art. 1 comma 1, della legge n. 122  del  2010,  -
entrata in vigore dopo la richiamata pronuncia  delle  sezioni  unite
civili - dispone che «L'art. 1, comma 208  della  legge  23  dicembre
1996, n. 662 si interpreta nel senso che le attivita'  autonome,  per
le quali opera  il  principio  di  assoggettamento  all'assicurazione
prevista per l'attivita' prevalente, sono quelle esercitate in  forma
d'impresa  dai  commercianti,  dagli  artigiani  e  dai   coltivatori
diretti,  i  quali  vengono  iscritti  in  una  delle  corrispondenti
gestioni  dell'INPS.  Restano,  pertanto,  esclusi  dall'applicazione
dell'art. 1, comma 208, legge n. 662/1996 i rapporti di lavoro per  i
quali  e'  obbligatoriamente  prevista  l'iscrizione  alla   gestione
previdenziale di cui all'art. 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995,
n. 335». 
    Con ordinanza del 13 ottobre 2010, n. 22557,  la  sezione  lavoro
della Corte di cassazione ha di nuovo sollecitato l'intervento  delle
sezioni unite, rilevando che, dopo la sentenza n. 3240 del  2010,  e'
intervenuta la disposizione  ora  menzionata,  «che  ha  riaperto  il
discorso interpretativo». 
    Le sezioni unite civili si sono pronunziate con sentenza  del  24
maggio 2011, n. 17076 (depositata  l'8  agosto  2011),  affermando  i
seguenti principi: «a) L'art. 12, comma 11, decreto-legge  31  maggio
2010, n. 78, convertito in legge,  con  modificazioni,  dall'art.  1,
comma 1, legge 30 luglio 2010 n. 122 -  che  prevede  che  l'art.  1,
comma 208, della legge 23 dicembre 1996, n.  662  si  interpreta  nel
senso che le attivita' autonome, per le quali opera il  principio  di
assoggettamento   all'assicurazione    prevista    per    l'attivita'
prevalente,  sono  quelle   esercitate   in   forma   d'impresa   dai
commercianti, dagli artigiani e  dai  coltivatori  diretti,  i  quali
vengono iscritti in  una  delle  corrispondenti  gestioni  dell'INPS,
mentre restano esclusi  dall'applicazione  dell'art.  1,  comma  208,
legge  n.  662/1996  i  rapporti   di   lavoro   per   i   quali   e'
obbligatoriamente prevista l'iscrizione alla  gestione  previdenziale
di cui all'art. 2, comma 26, della legge 8  agosto  1995,  n.  335  -
costituisce   disposizione    dichiaratamente    ed    effettivamente
d'interpretazione autentica, diretta  a  chiarire  la  portata  della
disposizione interpretata, e pertanto, in quanto tale, non e'  lesiva
del principio del giusto processo di cui all'art. 6 CEDU, trattandosi
di legittimo esercizio della funzione legislativa garantita dall'art.
70 Cost.; b) In caso di esercizio di attivita' in forma d'impresa  ad
opera  di  commercianti,  o   artigiani,   o   coltivatori   diretti,
contemporaneamente all'esercizio di attivita' autonoma per  la  quale
e'   obbligatoriamente   prevista    l'iscrizione    alla    gestione
previdenziale separata di cui all'art. 2, comma  26,  della  legge  8
agosto 1995, n. 335, non  opera  l'unificazione  della  contribuzione
sulla base del parametro dell'attivita'  prevalente,  quale  prevista
dall'art. 1, comma 208, della legge 23 dicembre 1996, n. 662». 
    3.2. -  Con  riferimento  al  quadro  sopra  riassunto,  si  deve
ricordare  che  il  divieto  di  retroattivita'  della   legge,   pur
costituendo valore fondamentale di  civilta'  giuridica,  non  riceve
nell'ordinamento la tutela privilegiata  di  cui  all'art.  25  Cost.
(sentenze n. 236 del 2011 e n. 393 del  2006).  Il  legislatore,  nel
rispetto di  tale  previsione,  puo'  emanare,  dunque,  disposizioni
retroattive,  anche  di   interpretazione   autentica,   purche'   la
retroattivita'  trovi  adeguata  giustificazione   nell'esigenza   di
tutelare principi, diritti e  beni  di  rilievo  costituzionale,  che
costituiscono altrettanti «motivi imperativi di  interesse  generale»
ai sensi della CEDU, motivi sussistenti anche nel caso di specie. 
    La norma che deriva dalla  legge  di  interpretazione  autentica,
pertanto, non puo' dirsi costituzionalmente  illegittima  qualora  si
limiti ad assegnare alla  disposizione  interpretata  un  significato
gia' in  essa  contenuto,  riconoscibile  come  una  delle  possibili
letture del testo originario (ex plurimis: sentenze n. 271 e  n.  257
del 2011, n. 209 del 2010, n. 24 del 2009). 
    In tal caso, infatti, la legge  interpretativa  ha  lo  scopo  di
chiarire «situazioni di oggettiva incertezza del dato normativo»,  in
ragione di «un dibattito giurisprudenziale  irrisolto»  (sentenza  n.
311 del 2009), o di  «ristabilire  un'interpretazione  piu'  aderente
alla originaria volonta' del legislatore» (ancora sentenza n. 311 del
2009) a tutela della certezza  del  diritto  e  dell'eguaglianza  dei
cittadini, cioe' di principi di preminente interesse costituzionale. 
    In questo quadro, nel  caso  in  esame  non  sussiste  violazione
dell'art. 3 Cost. 
    Infatti, l'opzione ermeneutica prescelta dal legislatore  non  ha
introdotto nella disposizione interpretata elementi ad essa estranei,
ma le ha  assegnato  un  significato  riconoscibile  come  una  delle
possibili letture del testo originario (ex multis:  sentenza  n.  257
del 2011), cioe' ha reso vincolante un dettato  comunque  ascrivibile
al tenore letterale della disposizione  interpretata.  Cio'  e'  reso
palese dal rilievo che quella opzione  interpretativa  aveva  trovato
spazio nella giurisprudenza di merito formatasi  in  epoca  anteriore
all'entrata in vigore del d.l. n. 78 del 2010; ed anche nella sezione
lavoro della Corte di cassazione, tanto  da  provocare  per  ben  due
volte, in un breve arco  di  tempo,  la  rimessione  della  questione
interpretativa dell'art. 1, comma 208, della legge n.  662  del  1996
alle sezioni unite della medesima Corte. 
    E' significativo, poi, che queste ultime, con la  pronunzia  piu'
recente (sopra richiamata), dopo avere  affermato  che  la  norma  in
questa sede censurata costituisce  disposizione  «dichiaratamente  ed
effettivamente di interpretazione autentica, diretta  a  chiarire  la
portata  della   disposizione   interpretata»,   ne   abbiano   fatto
applicazione, cosi' superando il precedente orientamento. 
    Si deve ancora aggiungere che  proprio  il  contrasto  emerso  in
giurisprudenza  sull'interpretazione  dell'art.1,  comma  208,  della
legge n. 662 del 1996, in  quanto  fonte  di  dubbi  ermeneutici  con
conseguente  incremento  del  contenzioso,  giustifica  ulteriormente
l'intervento  legislativo  finalizzato  a   garantire   la   certezza
applicativa del sistema, con  cio'  ulteriormente  escludendone  ogni
carattere d'irragionevolezza. 
    3.3. - Quanto agli altri profili  di  censura  prospettati  dalla
Corte rimettente con riferimento  all'art.  24,  primo  comma,  Cost.
(sarebbe violata l'effettivita' del diritto dei cittadini di agire in
giudizio per la tutela dei propri diritti  ed  interessi  legittimi),
all'art. 102 Cost. (sarebbe violata l'integrita'  delle  attribuzioni
costituzionali dell'autorita'  giudiziaria),  all'art.  111,  secondo
comma, Cost. (sarebbe violato il principio  di  parita'  delle  parti
processuali), si osserva: 1) il richiamo all'art.  24  Cost.  non  e'
pertinente, perche' l'intervento legislativo qui censurato non incide
su diritti processuali, bensi' opera sul piano sostanziale e, dunque,
non vulnera il diritto alla tutela giurisdizionale,  a  presidio  del
quale la norma costituzionale invocata e' posta (sentenza n.  29  del
2002, punto  4.4.  del  Considerato  in  diritto);  2)  non  sussiste
violazione  dell'art.   102   Cost.   perche',   sulla   base   delle
argomentazioni  esposte   nel   punto   che   precede,   l'intervento
legislativo deve ritenersi legittimo, mentre non e'  configurabile  a
favore del giudice «una  esclusivita'  dell'esercizio  dell'attivita'
ermeneutica che possa precludere quella spettante al legislatore,  in
quanto l'attribuzione per  legge  ad  una  norma  di  un  determinato
significato non lede la potestas iudicandi, ma definisce  e  delimita
la fattispecie normativa che  e'  oggetto  della  potestas  medesima»
(sentenza n. 234 del 2007, punto 17. del Considerato in diritto);  3)
del pari non sussiste violazione dell'art. 111, secondo comma, Cost.,
perche' - fermo il punto che l'incidenza di una norma  interpretativa
su giudizi in corso e' fenomeno  fisiologico  (sentenza  n.  376  del
2004; ordinanza n. 428 del  2006)  -  detta  norma  non  interferisce
sull'esercizio della funzione giudiziaria e sulla parita' delle parti
nello specifico processo, bensi'  pone  una  disciplina  generale  ed
astratta sull'interpretazione di un'altra norma e, dunque, si colloca
su un piano diverso  da  quello  dell'applicazione  giudiziale  delle
norme a singole fattispecie (ordinanza n. 428 del 2006 citata). 
    Per le ragioni fin qui  esposte  deve,  altresi',  escludersi  la
dedotta violazione dell'art. 117, primo comma,  Cost.,  in  relazione
all'art. 6 CEDU. 
    La rimettente, dopo aver ricordato l'approdo ermeneutico  cui  la
giurisprudenza di questa Corte e' pervenuta con le sentenze n. 349  e
348 del 2007, ritiene che la norma censurata, ponendosi in  contrasto
con il citato art. 6 della detta Convenzione, violi il diritto  della
parte ad un giusto processo dinanzi ad un tribunale  indipendente  ed
imparziale,  nel  significato  e   nella   portata   chiariti   dalla
giurisprudenza della Corte europea di  Strasburgo  e  in  assenza  di
«superiori  motivi  di  interesse  generale»  idonei  a  giustificare
l'intervento del legislatore, diretto  in  realta'  ad  aumentare  il
gettito contributivo dell'INPS (e' richiamata la  sentenza  di  detta
Corte in causa Scordino contro Italia, n. 36813/2007). 
    Neppure sotto tale profilo la questione e' fondata. 
    Fermi i principi affermati dalle citate sentenze n. 349 e 348 del
2007, questa Corte, nella sentenza n. 257 del 2011  ha  trattato  una
questione per piu'  versi  analoga  a  quella  qui  in  esame,  cosi'
testualmente argomentando: «con riguardo all'art.  6  della  CEDU  si
deve osservare che la Corte di Strasburgo, pur censurando in numerose
occasioni indebite  ingerenze  del  potere  legislativo  degli  Stati
sull'amministrazione della giustizia (per una ricognizione  dei  casi
trattati, sentenza di questa Corte n. 311 del 2009),  non  ha  inteso
enunciare  un  divieto  assoluto  d'ingerenza  del  legislatore,  dal
momento che in varie occasioni ha ritenuto non contrari al menzionato
art. 6 particolari interventi retroattivi dei  legislatori  nazionali
(sentenza da ultimo citata, punto 8. del Considerato in diritto).  La
regola di diritto, affermata anche  di  recente  con  sentenza  della
seconda sezione in data 7 giugno  2011,  in  causa  Agrati  ed  altri
contro Italia, e' che "Se, in linea di principio, il legislatore puo'
regolamentare  in  materia  civile,   mediante   nuove   disposizioni
retroattive, i diritti derivanti da leggi gia' vigenti, il  principio
di prevalenza del diritto e  la  nozione  di  equo  processo  sancito
dall'articolo 6 ostano, salvo che per ragioni imperative  d'interesse
generale, all'ingerenza del  legislatore  nell'amministrazione  della
giustizia  allo  scopo  di  influenzare   la   risoluzione   di   una
controversia. L'esigenza della parita' delle armi comporta  l'obbligo
di offrire ad ogni parte una ragionevole possibilita'  di  presentare
il  suo  caso,  in  condizioni  che  non  comportino  un  sostanziale
svantaggio rispetto alla controparte". 
    Anche secondo la detta regola, dunque, sussiste uno  spazio,  sia
pur delimitato, per  un  intervento  del  legislatore  con  efficacia
retroattiva  (fermi  i  limiti  di  cui  all'art.   25   Cost.),   se
giustificato da «motivi imperativi di interesse generale» che  spetta
innanzitutto al legislatore nazionale e a questa Corte valutare,  con
riferimento a principi, diritti e  beni  di  rilievo  costituzionali,
nell'ambito  del  margine   di   apprezzamento   riconosciuto   dalla
Convenzione europea ai singoli ordinamenti statali. 
    Diversamente, se ogni intervento  del  genere  fosse  considerato
come indebita ingerenza allo scopo d'influenzare  la  risoluzione  di
una controversia, la regola stessa sarebbe destinata a  rimanere  una
mera enunciazione, priva di significato concreto» (citata sentenza n.
257 del 2011, punto 5.1. del Considerato in diritto). 
    Nella fattispecie, la norma censurata si e' limitata ad enucleare
una  delle  possibili  opzioni  ermeneutiche  dell'originario   testo
normativo, peraltro gia' fatta propria  da  parte  consistente  della
giurisprudenza di merito; il contrasto  insorto  sul  tema  e'  stato
esaminato anche dalla Corte di cassazione che, secondo l'orientamento
piu' recente (Cassazione, sezioni unite, sentenza 24 maggio 2011,  n.
17076), si e' uniformata alla soluzione  prescelta  dal  legislatore;
tale soluzione ha superato una situazione  di  oggettiva  incertezza,
contribuendo  cosi'  a  realizzare  principi   d'indubbio   interesse
generale e di rilievo costituzionale,  quali  sono  la  certezza  del
diritto e l'eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge. 
    Che poi il perseguimento di tali risultati abbia  avuto  riflessi
anche sul  gettito  contributivo  dell'INPS  costituisce  circostanza
indiretta e di mero fatto, non idonea ad incidere sulla  legittimita'
dell'intervento legislativo. 
    Conclusivamente,  la  questione  di  legittimita'  costituzionale
sollevata con l'ordinanza in  epigrafe  deve  essere  dichiarata  non
fondata.