ha pronunciato la seguente 
 
                              Sentenza 
 
nel giudizio di legittimita' costituzionale  dell'articolo  12  della
legge della Regione Veneto 26 maggio  2011,  n.  10  (Modifiche  alla
legge regionale 23 aprile 2004, n.  11  "Norme  per  il  governo  del
territorio" in materia di paesaggio),  promosso  dal  Presidente  del
Consiglio dei ministri con ricorso  notificato  il  20  luglio  2011,
depositato in cancelleria il 20 luglio 2011, ed iscritto al n. 72 del
registro ricorsi 2011. 
    Visto l'atto di costituzione della Regione Veneto; 
    udito nell'udienza pubblica  del  22  febbraio  2012  il  Giudice
relatore Paolo Grossi; 
    uditi l'avvocato dello Stato Angelo Venturini per  il  Presidente
del Consiglio dei ministri e gli avvocati Bruno Barel e  Luigi  Manzi
per la Regione Veneto. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1. - Con atto depositato il 20 luglio  2011,  il  Presidente  del
Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
generale dello Stato, ha proposto ricorso in via  principale  per  la
declaratoria  di  illegittimita'  costituzionale  -  in   riferimento
all'articolo 117, secondo comma, lettera  s),  della  Costituzione  -
dell'articolo 12 della legge della Regione Veneto 26 maggio 2011,  n.
10, recante «Modifiche alla legge regionale 23  aprile  2004,  n.  11
"Norme per il governo del territorio" in materia di paesaggio», nella
parte in cui aggiunge l'art. 45-decies alla legge regionale 23 aprile
2004, n. 11 (Norme per il governo del territorio). 
    Il ricorrente sottolinea come,  nella  giurisprudenza  di  questa
Corte, le nozioni di tutela dell'ambiente e di tutela  del  paesaggio
hanno finito per subire una sostanziale assimilazione semantica,  che
avrebbe dato vita ad una sorta di «osmosi  giuridica».  La  "materia"
della tutela dell'"ambiente/paesaggio" investirebbe, cosi',  beni  di
carattere primario, la cui cura sarebbe  affidata  in  via  esclusiva
alla potesta' legislativa dello Stato, senza che questa possa  essere
scalfita  dal  legislatore  regionale   nell'esercizio   di   proprie
competenze  in  materie  quali  il  governo  del  territorio.   Detta
disciplina risulterebbe prevista, anzitutto, nel decreto  legislativo
22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai
sensi dell'articolo 10 della L. 6 luglio 2002,  n.  137),  del  quale
vengono  rammentate  le  principali  disposizioni  in  tema  di  beni
paesaggistici. 
    In  questo  contesto  si  collocherebbe  la  norma   oggetto   di
impugnativa, la  quale  -  nell'introdurre,  come  descritto,  l'art.
45-decies nella legge regionale n. 11 del 2004 - prevede, in sintesi,
che nei Comuni della Regione Veneto che, alla data  del  6  settembre
1985, risultano dotati di strumenti urbanistici  generali  contenenti
denominazioni di  zone  territoriali  omogenee  non  coincidenti  con
quelle indicate nel decreto  ministeriale  2  aprile  1968,  n.  1444
(Limiti inderogabili di densita' edilizia, di  altezza,  di  distanza
fra  i  fabbricati  e  rapporti  massimi  tra  spazi  destinati  agli
insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici  o  riservati
alle attivita'  collettive,  al  verde  pubblico  o  a  parcheggi  da
osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici  o
della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell'art. 17 della L. 6
agosto 1967, n. 765), sono assimilate alle aree escluse dalla  tutela
ai sensi dell'art. 142, comma 2, del codice dei beni culturali quelle
aree che, alla data suddetta, presentano determinate caratteristiche.
Piu' in particolare, il punto di  frizione  tra  le  normative  viene
individuato nel fatto che, mentre la lettera a) del comma 2 dell'art.
142 del codice dei beni culturali  escluderebbe,  con  eccezione  «di
stretta interpretazione», dal regime dei vincoli, di cui al comma  1,
quelle aree «delimitate negli strumenti  urbanistici,  ai  sensi  del
decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, come  zone  territoriali
omogenee A e B», la disposizione  regionale  impugnata  escluderebbe,
invece, (al comma 1, lettera a), previa verifica, anche  quelle  aree
«comprese in zone urbanizzate con le  caratteristiche  insediative  e
funzionali delle zone A e B». 
    Altrettanto sarebbe a dirsi  anche  della  ipotesi  di  cui  alla
lettera b) del medesimo comma 1 della  disposizione  censurata,  che,
con riferimento alle «aree a  destinazione  pubblica,  quali  strade,
piazze ed  aree  a  verde»,  introdurrebbe  ipotesi  derogatorie  non
contemplate  dall'art.  142  del  codice  dei  beni  culturali,  solo
tralaticiamente richiamato. 
    Ne deriverebbe, secondo il ricorrente, il  contrasto  dell'intero
art. 12 denunciato  -  ivi  compresi  i  commi  2  e  3,  per  intima
connessione con le precedenti norme - con l'art. 117, secondo  comma,
lettera s), Cost., perche' invaderebbe la competenza esclusiva  dello
Stato  in  materia  di  tutela  ambientale  e  del  paesaggio,   come
puntualizzato dalla giurisprudenza costituzionale evocata. 
    La  norma  impugnata  consentirebbe,  infatti,  che,   «in   aree
sottoposte  a   tutela   paesaggistica,   siano   indiscriminatamente
realizzati o mantenuti interventi che  prescindono  dalla  necessaria
autorizzazione paesistica ex art. 142 del codice dei beni  culturali,
in tal modo incidendo su materia riservata alla competenza  esclusiva
statale ex art. 117  secondo  comma  lettera  s)».  Introducendo,  in
particolare, una  deroga  alla  normativa  statale,  la  disposizione
censurata  consentirebbe  «una  urbanizzazione   non   consona   alla
disciplina  statale  paesaggistica»:  nel  permettere,  infatti,  «la
costruzione o il mantenimento di opere nelle aree  interessate»,  non
si  osserverebbe  la  disciplina  statale  che   richiede   «in   via
obbligatoria, sussistendo il  vincolo  paesaggistico,  la  necessaria
autorizzazione  da  rilasciarsi  entro  i   limiti   prefissati   dal
legislatore nazionale». Autorizzazione che - conclude il ricorrente -
costituisce momento indefettibile per la effettiva tutela delle  aree
sottoposte a vincolo, con la conseguenza che «non puo' competere alla
Regione adottare norme che, in buona sostanza, eliminando il  vincolo
paesaggistico, vanifichino lo strumento autorizzatorio  e  consentano
una  urbanizzazione  in  violazione  degli  uniformi   standards   di
protezione validi su tutto il territorio nazionale». 
    2. - Costituendosi in giudizio, la Regione Veneto ha concluso per
una declaratoria di infondatezza della questione sollevata. 
    Dopo aver sottolineato come la legislazione regionale  sia  stata
sempre attenta a tutelare i valori  dell'ambiente  e  del  paesaggio,
nello spirito delineato dall'art. 9 Cost., la  Regione  ha  osservato
come la legge regionale n. 10 del 2011 sia stata emanata proprio  per
dare attuazione all'art. 117, terzo comma, Cost.  ed  al  codice  dei
beni culturali e del paesaggio; in  tale  cornice  dovrebbe,  dunque,
essere interpretata la disposizione oggetto di censura. 
    La normativa statale avrebbe esteso,  fin  dal  decreto-legge  27
giugno 1985, n. 312 (Disposizioni urgenti per la tutela delle zone di
particolare interesse  ambientale),  convertito,  con  modificazioni,
nella legge 8 agosto 1985, n. 431, il controllo dello Stato sui  beni
paesaggistici procedendo alla  individuazione  di  quelli  rientranti
nelle categorie generali  meritevoli  di  tutela;  al  tempo  stesso,
avrebbe escluso determinate aree, da  sottrarre  a  quelle  categorie
astratte,  secondo  una   linea   chiara   nei   suoi   intendimenti:
«generalizzare la tutela a  tutte  le  aree  non  ancora  urbanizzate
aventi le particolari localizzazioni indicate». Non vi sarebbe dunque
- come lamentato dal Governo - una  regola  generale  alla  quale  si
giustappone una eccezione di stretta interpretazione, ma soltanto una
regola generale che «individua il proprio oggetto in  parte  con  una
definizione in positivo (localizzazione delle aree), in parte con una
definizione in negativo (purche' non ancora urbanizzate)». 
    Per identificare le aree gia' urbanizzate, la  normativa  statale
distinguerebbe a seconda  che  il  Comune  disponga  o  meno  di  uno
strumento urbanistico: ove ne fosse privo,  si  farebbe  «riferimento
alla nozione  di  centro  abitato  perimetrato,  che  sostanzialmente
circoscrive il tessuto edilizio esistente e continuo»;  ove,  invece,
ne fosse dotato,  si  escluderebbero  dal  vincolo  le  zone  A  e  B
(rispettivamente corrispondenti, secondo la  disciplina  dettata  dal
ricordato decreto ministeriale n. 1444 del 1968, al "centro  storico"
ed  al  "tessuto  edilizio  consolidato").  Nella   Regione   Veneto,
peraltro, nel 1985 molti Comuni  dotati  di  PRG  non  identificavano
centri storici e tessuto edilizio consolidato come  zone  formalmente
denominate "A" e "B", ma attraverso locuzioni variegate. 
    A differenza di quanto accaduto in passato (quando nessuno  aveva
espresso dubbi sulla identificazione delle aree  soggette  a  vincolo
paesaggistico), solo di recente  organi  statali  avrebbero  espresso
l'orientamento secondo cui si potrebbe tenere conto delle indicazioni
dei PRG solo se questi, alla  data  di  riferimento  (1985),  abbiano
utilizzato formalmente l'espressione "zona A" o "zona B": in mancanza
di tale indicazione, anche le aree urbanizzate  del  centro  e  della
citta'  consolidata  dovrebbero  ritenersi  assoggettate  a   vincolo
paesaggistico  generalizzato.  Cosicche',  «paradossalmente,  se   il
Comune fosse stato privo di  PRG,  l'intero  centro  abitato  sarebbe
stato escluso dal vincolo; col PRG, tutto il centro  abitato  sarebbe
soggetto a vincolo, nel caso di omesso uso della terminologia formale
"zona A" e "zona B"». 
    Ne   deriverebbe   un'«estensione   amplissima   del   territorio
vincolato, fino a comprendere qualunque tipo di  intervento  edilizio
anche minore su edifici del tessuto urbano consolidato» e, «dal punto
di vista del cittadino»,  un  «trattamento  diseguale  di  situazioni
uguali (zone urbanizzate oggettivamente omogenee,  non  sottoposte  a
vincolo solo se descritte nel PRG con le parole "zona A" e "zona  B")
e [un] trattamento uguale di situazioni  diseguali  (vincolo  imposto
sia su aree libere che su aree urbanizzate  ed  edificate  totalmente
solo perche' non etichettate dai PRG come zona "A" o "B")». 
    In presenza, dunque, di «una situazione  lesiva  dell'affidamento
riposto dai cittadini su un assetto normativo  consolidatosi  per  25
anni», la Regione avrebbe introdotto la previsione censurata, che  si
limiterebbe  a  istituire  un  procedimento   attraverso   il   quale
verificare se le zone non formalmente denominate, nei PRG  in  essere
nel 1985, come "zona A" e "zona B" «soddisfacessero comunque tutti  i
criteri indicati dal d.m. n. 1444 del 1968 come atti a caratterizzare
le zone classificabili come A e B»: la disposizione avrebbe,  dunque,
«natura ricognitiva e tecnica», destinata soltanto «a  supplire  alla
omessa indicazione delle lettere A e B da parte dei pianificatori del
tempo» o a «colmare un gap meramente terminologico».  L'assimilazione
verrebbe  «estesa  alle  aree  pubbliche  che   costituiscono   parte
integrante delle zone meritevoli di essere anche formalmente definite
A e B», giacche' «se il vincolo paesaggistico  generalizzato  non  ha
ragion d'essere sulla citta' consolidata», «non  l'ha  neppure  sulle
strade e piazze e parcheggi che si trovano entro le  ridette  zone  a
formarne parte integrante e inscindibile», a prescindere dal  simbolo
letterale con cui tali zone sono state indicate nei PRG. 
    3. - In prossimita' dell'udienza, il ricorrente ha depositato una
memoria con la quale,  nell'insistere  nella  propria  richiesta,  ha
contrastato l'argomento secondo cui, con la  disposizione  impugnata,
«la Regione si sarebbe limitata ad una interpretazione sostanziale  e
non formale  dell'art.  142  del  Codice  dei  beni  culturali»:  una
«interpretazione autentica» di  quest'ultima  disposizione  dovrebbe,
infatti, essere «rimessa allo Stato», risultando eccedente «una norma
regionale che interpreta una norma statale individuandone l'ambito di
applicazione sulla base di un'auto-affermata ipotesi ermeneutica». 
    D'altra parte, la prevista «equiparazione tra  aree  omogenee»  -
con «ulteriore indebita  estensione  del  giudizio  di  equiparazione
anche agli spazi pubblici ricompresi» nel territorio  urbanizzato,  e
«cio' malgrado le  aree  siano  state  denominate  correttamente  con
riferimento  al  d.m.  2  aprile  1968  (aree  F)»   -   escluderebbe
«radicalmente  a  livello  amministrativo  la  partecipazione   delle
amministrazioni statali competenti in materia», «relegando la  tutela
statale   ad   una   tutela   meramente   giudiziaria»   e    mirando
«sostanzialmente a restringere l'ambito applicativo delle  misure  di
tutela introdotte dalla legge "Galasso"». 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. - Il Presidente del Consiglio dei ministri ha proposto ricorso
in  via  principale,  con  il  quale  ha  chiesto   dichiararsi,   in
riferimento  all'articolo  117,  secondo  comma,  lettera  s),  della
Costituzione, l'illegittimita' costituzionale dell'articolo 12  della
legge della Regione Veneto 26 maggio  2011,  n.  10  (Modifiche  alla
legge regionale 23 aprile 2004, n.  11  "Norme  per  il  governo  del
territorio" in materia di paesaggio), nella  parte  in  cui  aggiunge
l'art. 45-decies alla legge regionale 23 aprile 2004,  n.  11  (Norme
per il governo del territorio). 
    Osserva, al riguardo, il  ricorrente  che  la  norma  oggetto  di
impugnativa, in violazione del parametro costituzionale  che  assegna
alla legislazione esclusiva  dello  Stato  la  tutela  dell'ambiente,
dell'ecosistema e dei beni culturali,  introduce  deroghe  al  regime
vincolistico previsto dalla legislazione dello Stato  in  materia  di
aree qualificate  di  interesse  paesaggistico.  In  particolare,  la
disposizione censurata prevede che nei Comuni  della  Regione  Veneto
che, alla data del 6 settembre 1985, risultassero dotati di strumenti
urbanistici generali contenenti denominazioni  di  zone  territoriali
omogenee non coincidenti con quelle indicate nel decreto ministeriale
2 aprile 1968, n. 1444 (Limiti inderogabili di densita' edilizia,  di
altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti  massimi  tra  spazi
destinati  agli  insediamenti  residenziali  e  produttivi  e   spazi
pubblici o riservati alle attivita' collettive, al verde pubblico o a
parcheggi da osservare ai fini della formazione dei  nuovi  strumenti
urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell'art.
17 della L. 6 agosto 1967, n. 765), sono assimilate alle aree escluse
dalla  tutela,  ai  sensi  dell'art.  142,  comma  2,   del   decreto
legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali  e  del
paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 della L. 6 luglio 2002, n. 137),
quelle aree che, alla data suddetta del 6 settembre  1985,  sono  «a)
comprese in zone urbanizzate con  le  caratteristiche  insediative  e
funzionali  delle  zone  A  e   B,   previa   verifica   della   loro
corrispondenza ai  parametri  quantitativi  di  cui  all'art.  2  del
decreto ministeriale 2  aprile  1968,  n.  1444;  b)  a  destinazione
pubblica, quali strade, piazze, ed aree a verde, purche' incluse  nel
territorio urbanizzato individuato ai sensi dell'art. 142,  comma  2,
del Codice [dei beni culturali e del  paesaggio]  e  ai  sensi  della
lettera a)». La disciplina statale, dettata dall'art. 142,  comma  2,
del citato d.lgs. n. 42 del 2004, stabilisce, invece - per quanto qui
rileva -, che i vincoli di cui al comma 1 dello stesso  articolo  non
si applicano alle aree che, alla data del 6  settembre  1985,  «erano
delimitate  negli  strumenti  urbanistici,  ai  sensi   del   decreto
ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, come zone territoriali  omogenee
A e B». Da cio' deriverebbe, secondo il  ricorrente,  un  illegittimo
ampliamento  dell'ambito  di  applicazione  della  deroga  al  regime
vincolistico, risultando escluse dal vincolo  paesaggistico  ex  lege
anche aree identificabili con  «denominazioni  di  zone  territoriali
omogenee non coincidenti con quelle indicate nel decreto ministeriale
2 aprile 1968, n. 1444», purche' comprese, come  gia'  precisato,  in
zone urbanizzate con  le  caratteristiche  insediative  e  funzionali
delle zone A e B. 
    2. - La questione e' fondata. 
    3. - Questa Corte ha avuto  modo  di  affermare  come  la  stessa
qualificazione di «norma di grande riforma economico-sociale»  -  che
gia' designava  il  sistema  vincolistico  in  materia  di  paesaggio
introdotto  dalla  cosiddetta  "legge  Galasso"  -   dovesse   essere
mantenuta in riferimento, proprio, all'art. 142 del d.lgs. n. 42  del
2004, la cui elencazione delle aree vincolate per legge rappresentava
nella sostanza  un  continuum  rispetto  alla  precedente  disciplina
(sentenza  n.  164  del  2009).  Per  altro  verso,  a   sottolineare
l'assoluta centralita' di tale disciplina - ed il  risalto  che,  sul
piano costituzionale, ad essa deve essere effettivamente riconosciuto
-, sta anche l'osservazione per la quale, attraverso le  disposizioni
dettate dal codice  dei  beni  culturali  e  del  paesaggio,  proprio
laddove hanno reintrodotto la tipologia dei beni paesaggistici  e  ne
hanno operato la relativa ricognizione, si e' inteso dare «attuazione
al disposto del (citato) articolo 9 della  Costituzione,  poiche'  la
prima disciplina che esige il principio fondamentale della tutela del
paesaggio e' quella che concerne la  conservazione  della  morfologia
del territorio e dei suoi essenziali contenuti ambientali»  (sentenza
n. 367 del 2007). Ci si muove, dunque, nell'ambito  di  una  rigorosa
tipizzazione  di  tassative   ipotesi   vincolistiche,   alla   quale
corrisponde  una  altrettanto   dettagliata   previsione   di   casi,
ugualmente nominati e tassativi, di deroga. 
    Ebbene, nel caso di  specie,  la  normativa  regionale  impugnata
opera una modifica sostanziale  del  regime  delle  esclusioni  dalla
tutela prevista dal  codice  dei  beni  culturali  e  del  paesaggio,
attraverso   una   "assimilazione"   fra   aree   individuate   dalla
legislazione statale come sottratte al  regime  vincolistico  e  aree
che, pur con denominazioni diverse rispetto  a  quelle  indicate  nel
decreto ministeriale n. 1444 del 1968, presenterebbero, rispetto alle
prime, caratteristiche similari, sia pure per relationem. Si  tratta,
dunque,  di  una  operazione  normativa  da  ritenersi  in  se'   non
consentita, in quanto direttamente  incidente  su  materia  riservata
alla  legislazione  statale,  rispetto  alla  quale  la  legislazione
regionale puo' solo fungere da strumento di ampliamento  del  livello
della tutela del bene protetto e non - all'inverso, come nel caso qui
in esame - quale espediente dichiaratamente volto ad  introdurre  una
restrizione dell'ambito della tutela, attraverso  l'incremento  della
tipologia delle aree cui il regime vincolistico non si applica. 
    Non e', infatti, senza significato rammentare,  sul  punto,  come
questa   Corte,   chiamata   a   pronunciarsi   sulla    legittimita'
costituzionale proprio dell'art. 40  della  legge  urbanistica  della
Regione Veneto (legge n. 11 del 2004) - ora, tra l'altro,  modificato
dalla disposizione oggetto di  impugnativa  -  ne  abbia  escluso  il
contrasto con la  normativa  statale  in  tema  di  tutela  dei  beni
culturali  in  quanto,  appunto,  funzionale  alla  tutela  non  gia'
sostitutiva di quella statale, bensi'  aggiuntiva,  nella  disciplina
del governo del territorio (sentenza n. 232 del 2005). 
    D'altra parte, anche ove  si  ritenesse  di  annettere,  come  la
difesa della Regione sembra prospettare, una portata  restrittiva  al
concetto di "assimilazione" utilizzato dalla disposizione denunciata,
resterebbe  il  fatto   che   un   simile   procedimento,   ancorche'
apparentemente  ricognitivo,  e  tuttavia  ampliativo,  della  deroga
(trattandosi di identificare "ora per allora" le  caratteristiche  di
omogeneita' fra le aree), potrebbe  essere  previsto  e  disciplinato
soltanto da una legge statale,  avuto  riguardo,  fra  l'altro,  alla
esigenza  di  attribuire  ad  una  siffatta  previsione  una  portata
generale  e  uniforme,  valida,  cioe',  per  tutto   il   territorio
nazionale. 
    Ne' puo' tacersi come, attraverso la previsione normativa oggetto
di censura, la Regione Veneto sia giunta a prevedere una  sostanziale
"delegificazione" della materia,  risultando  in  concreto  demandata
all'autorita'  amministrativa  l'individuazione  dei  territori   che
presentavano,  alla  data  del  6  settembre  1985,   caratteristiche
analoghe a quelle inserite nelle  zone  "A"  e  "B"  degli  strumenti
urbanistici generali. Sicche', mentre in riferimento ad  alcune  aree
la deroga al  vincolo  risulta  "cristallizzata"  dalla  legislazione
statale, con efficacia erga omnes e con un vincolo di  intangibilita'
che scaturisce dalla legge, in riferimento ad altre aree, secondo  la
norma  censurata,  la  deroga  finirebbe  per   essere   direttamente
determinata dall'amministrazione locale, senza che - per di piu' - lo
Stato risulti in  alcun  modo  chiamato  a  partecipare  al  relativo
procedimento. 
    La  disposizione  impugnata  deve  pertanto   essere   dichiarata
costituzionalmente illegittima, in  quanto  contrastante  con  l'art.
117, secondo comma, lettera s), della Costituzione.