ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale  degli  articoli  34,
comma 2, e 36, comma  1,  lettera  g),  e  comma  3,  del  codice  di
procedura penale promosso dal Giudice  dell'udienza  preliminare  del
Tribunale di Palermo nel procedimento penale a carico  di  L.P.C.  ed
altri con ordinanza del 25 febbraio  2013,  iscritta  al  n.  57  del
registro ordinanze 2013 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica n. 12, prima serie speciale, dell'anno 2013. 
    Visti  l'atto  di  costituzione  di  D.G.T.,  nonche'  l'atto  di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito nell'udienza pubblica del 7 maggio 2013 il Giudice relatore
Giorgio Lattanzi; 
    uditi l'avvocato Giovanni  Castronovo  per  D.G.T.  e  l'avvocato
dello Stato Maurizio  Greco  per  il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri. 
    Ritenuto che, con ordinanza del 25 febbraio 2013 (r.o. n. 57  del
2013), il Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale  di  Palermo
ha sollevato: a) in riferimento agli articoli 3, 24, 25,  101  e  111
della  Costituzione,   questione   di   legittimita'   costituzionale
dell'articolo 36, comma  1,  lettera  g),  del  codice  di  procedura
penale, «nella lettura in combinato disposto con l'articolo 34» dello
stesso codice, «nella parte in cui prevede che, nel caso  in  cui  vi
sia "incompatibilita' del giudice determinata da  atti  compiuti  nel
procedimento", il giudice debba formalizzare richiesta di  astensione
in  luogo  dell'attivazione  di   automatismi   di   tipo   tabellare
preordinati dall'ufficio»; b) in riferimento agli articoli 3, 24, 25,
101  e  111   Cost.,   questione   di   legittimita'   costituzionale
dell'articolo 36,  comma  3,  cod.  proc.  pen.,  «nella  lettura  in
combinato disposto con l'articolo 34»  dello  stesso  codice,  «nella
parte in cui prevede che, nel caso in cui  vi  sia  "incompatibilita'
del giudice  determinata  da  atti  compiuti  nel  procedimento",  il
Presidente   del   Tribunale   possa   "decidere"   discrezionalmente
sull'astensione  imponendo  al  giudice  del   rito   abbreviato   la
prosecuzione del giudizio nel caso in cui lo  stesso  abbia  definito
l'udienza preliminare con il rinvio a giudizio di co-imputati per  un
reato  associativo  e/o  plurisoggettivo»;  c)  in  riferimento  agli
articoli  3,  24,  25  e  111  Cost.,   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'articolo 36 [recte 34], comma 2, cod. proc. pen.,
«nella lettura in combinato disposto con l'articolo  34»  [recte  36]
dello stesso  codice,  «nella  parte  in  cui  le  parole  "Non  puo'
partecipare al giudizio il giudice che  ha  emesso  il  provvedimento
conclusivo dell'udienza preliminare" siano interpretate nel senso  di
attribuire al giudice - che ha deciso l'udienza  preliminare  con  il
rinvio  a  giudizio  di  imputati  per  un  reato   associativo   e/o
plurisoggettivo - la  possibilita'  di  decidere  anche  il  giudizio
abbreviato nei confronti degli altri imputati per la stessa  rubrica,
essendo questi ultimi privati  della  possibile  formula  assolutoria
"perche' il fatto non sussiste"»; d) in riferimento agli articoli  3,
24,  25  e  111  Cost.,  questione  di  legittimita'   costituzionale
dell'articolo 36 [recte 34], comma 2, cod. proc. pen., «nella lettura
in combinato disposto con l'articolo  34»  [recte  36]  dello  stesso
codice, «nella parte in  cui  le  parole  "Non  puo'  partecipare  al
giudizio  il  giudice  che  ha  emesso  il  provvedimento  conclusivo
dell'udienza preliminare" siano interpretate nel senso di permettere,
comunque, la partecipazione al giudizio  abbreviato  da  parte  dello
stesso giudice dell'udienza preliminare, che aveva gia' prima deciso,
con il rinvio a giudizio e nei confronti  di  altri  co-imputati,  il
processo   relativo   alla   imputazione   per   reato   associativo,
plurisoggettivo e/o a partecipazione necessaria»; 
    che il giudice rimettente premette in punto di fatto che: 
    a) e' stato investito della richiesta di rinvio  a  giudizio  nei
confronti di trenta persone imputate del delitto di  associazione  di
tipo mafioso,  del  delitto  di  cui  all'art.  74  del  decreto  del
Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle
leggi  in  materia  di  disciplina  degli  stupefacenti  e   sostanze
psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati  di
tossicodipendenza) e di altri delitti (la maggior parte dei quali  in
concorso tra varie persone) e, nel  corso  dell'udienza  preliminare,
undici  imputati  avevano  formulato  richiesta  di  definizione  del
processo con il giudizio abbreviato, mentre per gli altri  diciannove
era stato disposto il rinvio a giudizio; b) egli sta  procedendo,  in
sede di giudizio abbreviato, per il delitto di cui  all'art.  416-bis
del codice penale (capo A), per due  episodi  di  tentata  estorsione
pluriaggravata (capi B e C), per i delitti di cui all'art.  74  (capo
D) e 73 (capo E) del d.P.R. n. 309 del 1990, per  alcune  imputazioni
di rapina (capi I  ed  N),  di  lesioni  (capi  L  ed  O),  di  furto
pluriaggravato  (capo  M),  di  riciclaggio  (capi  R  ed  S)  e   di
favoreggiamento (capo T); c) le imputazioni di cui ai capi A,  B,  C,
D, E,  R  ed  S  erano  state  originariamente  formulate  anche  nei
confronti delle persone gia' rinviate a giudizio; d) aveva presentato
dichiarazione di astensione a norma dell'art. 34, comma 2, cod. proc.
pen. e anche per gravi ragioni di convenienza ai sensi dell'art.  36,
comma 1, lettera h), cod. proc. pen.,  allo  scopo  di  prevenire  la
possibile ricusazione dei difensori e, comunque, «il sospetto di  una
imparzialita' nel giudizio  connessa  alla  decisione  interlocutoria
gia' emanata  nei  confronti  di  altri  soggetti  uniti,  su  uguale
rubrica, per un delitto a tipologia plurisoggettiva  piena»;  e)  con
provvedimento del 26 settembre 2012, il Presidente del  Tribunale  di
Palermo, richiamando la sentenza della Corte di  cassazione,  seconda
sezione penale, 12 febbraio 2009,  n.  8613,  non  aveva  accolto  la
dichiarazione di astensione; f) lo stesso Presidente  del  Tribunale,
pochi giorni prima e in una situazione  identica  in  diritto,  aveva
accolto la domanda di astensione,  ritenendo  l'incompatibilita'  del
giudice a proseguire il giudizio; g) una volta iniziato  il  giudizio
abbreviato, i difensori  degli  imputati  avevano  preannunciato  una
dichiarazione di  ricusazione  ma  successivamente  avevano  eccepito
l'illegittimita' costituzionale: 1) in riferimento agli artt. 3, 111,
secondo comma, e 117 Cost. in relazione all'art. 6 della  Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'
fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950  (ratificata  e  resa
esecutiva con la legge 4 agosto 1955,  n.  848),  dell'art.  34  cod.
proc. pen. nella  parte  in  cui  non  prevede  l'incompatibilita'  a
giudicare del giudice  dell'udienza  preliminare  che  ha  emesso  il
decreto che dispone il giudizio nei confronti  degli  imputati  dello
stesso procedimento; 2) in riferimento agli artt. 3,  24,  25  e  111
Cost., dello stesso art. 34 cod. proc. pen., nella parte in  cui  non
prevede l'incompatibilita' alla trattazione del  giudizio  abbreviato
del giudice che, per reati associativi, abbia pronunciato,  all'esito
dell'udienza preliminare, il decreto  che  dispone  il  giudizio  nei
confronti di alcuni coimputati per i medesimi reati; 
    che il giudice rimettente osserva, in punto di  diritto,  che  le
due eccezioni proposte dalla  difesa  tendono  alla  declaratoria  di
illegittimita' costituzionale dell'art. 34 cod. proc.  pen.  per  non
aver previsto l'"inabilita'" del giudice che ha gia'  deciso  l'esito
dell'udienza preliminare a proseguire il giudizio nei confronti degli
altri coimputati che hanno scelto il rito alternativo; 
    che, secondo il rimettente, e' «evidente che il giudice (id est),
con il rinvio a giudizio (lo dice la stessa parola), ha giudicato  ed
ha, quindi, espresso valutazioni di merito sull'accusa», e «tuttavia,
non basta questa ragionevole constatazione  a  dare  tutta  la  forza
necessaria all'eccezione di (il)legittimita'  costituzionale  per  la
semplice ragione che il codice di procedura penale - al suo  articolo
34, comma 2 - ben prevede l'incompatibilita' gia' in  modo  espresso:
non si puo' chiedere, infatti, la declaratoria di incostituzionalita'
di qualcosa che si assume non prevista  allorche'  essa  e',  invece,
prevista»; 
    che, osserva ancora il rimettente, se l'art. 34 cod.  proc.  pen.
prevede esplicitamente l'incompatibilita' («Non puo'  partecipare  al
giudizio  il  giudice  che  ha  emesso  il  provvedimento  conclusivo
dell'udienza preliminare»), sorge l'interrogativo su come  sia  stato
possibile giungere, nel giudizio a quo, ad una situazione contraria a
quella stabilita dalla norma; 
    che una prima risposta a tale interrogativo sarebbe individuabile
nella tesi secondo cui il riferimento  contenuto  nell'art.  34  cod.
proc. pen. al «giudizio» sarebbe relativo a «quello dibattimentale  e
che,  quindi,  l'impossibilita'  colpirebbe  solo  l'ipotesi  che   a
giudicare il rinviato a giudizio sia lo stesso giudice che ha  deciso
il rinvio»; 
    che una diversa impostazione condurrebbe a connotare la norma  in
ragione  dei  soggetti  del  processo  e  delle   singole   posizioni
processuali, sicche' «lo  stralcio  processuale  -  generatosi  dalla
scelta di un rito alternativo -  creerebbe  una  scissione  anche  in
ordine alla (im)possibile partecipazione al giudizio»; 
    che da questa impostazione  sarebbe  derivata  la  ricerca  della
scindibilita' o inscindibilita' delle  posizioni  processuali  e  dei
reati  contestati,  sulla  base  di  una  distinzione  artificiosa  e
complessa; 
    che sarebbe, infatti, chiaro che il legislatore  (in  particolare
quello del "giusto processo") avrebbe affermato «cio' che dalla norma
e' esplicitamente previsto», ossia che  «il  giudice  che  ha  deciso
l'esito del processo (processo nella sua globalita')  preliminare  (e
senza alcuna distinzione di imputati  e  di  imputazioni)  non  possa
essere lo stesso che poi dara' la sua  decisione  finale  nel  merito
delle accuse (senza alcuna distinzione correlata  alla  tipologia  di
esito e, quindi, sia che essa decisione  sia  assunta  attraverso  un
rito abbreviato o attraverso un vaglio di tipo dibattimentale)»; 
    che da questa impostazione discenderebbe la facolta' concessa  al
giudice di «scegliersi e autogiudicarsi compatibile o  meno»,  magari
rischiando la ricusazione, ma restando  sempre  dominus  del  rito  e
della sua celebrazione; 
    che, restando al giudice il solo  strumento  dell'astensione,  in
caso di rigetto della  relativa  dichiarazione,  lo  stesso  dovrebbe
procedere nonostante la sua stessa volonta' contraria; 
    che  il  duplice  paradosso  riguardante  «un'impossibilita'  che
diventa dovere» e che «fa, di una facolta'  concessa,  una  coazione»
rappresenterebbe  una  «patologia»   al   cui   superamento   sarebbe
indirizzata la questione di legittimita' costituzionale sollevata dal
rimettente; 
    che, ricostruita l'evoluzione della giurisprudenza costituzionale
e  richiamata,  in  particolare,  l'ordinanza  n.  20  del  2004,  il
rimettente  ne  sottolinea  le  affermazioni  secondo  cui  l'udienza
preliminare sarebbe giudizio  ad  ogni  effetto  e  solo  il  giudice
potrebbe dire se  sussista  l'incompatibilita',  rimarcando  che  «e'
l'astensione del giudice lo strumento  attraverso  cui  il  principio
dell'incompatibilita' (...) trova  la  sua  naturale  regolazione  e,
cosi', garanzia di giusto processo»; 
    che l'ordinanza  n.  347  del  2010  della  Corte  costituzionale
sembrerebbe   rappresentare   un'ulteriore   evoluzione    delineando
«un'incompatibilita' assoluta e non discrezionale del giudice»,  tale
da essere destinata ad operare in casi,  come  quello  in  esame  nel
giudizio principale, in cui  l'avere  gia'  affermato  attraverso  un
decreto  che  dispone  il  giudizio  la  sussistenza  di   un   fatto
riguardante un reato commesso con la  partecipazione  di  almeno  tre
persone, di cui due gia' chiamate a  rispondere  davanti  al  giudice
dibattimentale  (sicche'  il  coimputato  vedrebbe  venir  meno,  nel
giudizio abbreviato, la pronuncia assolutoria "perche' il  fatto  non
sussiste" a causa del rinvio a giudizio  dei  coimputati  necessari),
«deve - e  non  dovrebbe  -  comportare  l'abbandono  automatico  del
processo da parte del giudice con riassegnazione di natura  tabellare
e non in ragione di astensione»; 
    che, prosegue il rimettente, anche interpretando restrittivamente
la pronuncia  della  Corte  costituzionale,  resterebbe  il  problema
dell'astensione, che, da un lato, sarebbe espressione  di  un  dovere
procedimentale mirato ad evitare il sospetto di  qualsiasi  interesse
nel  processo,  dovere  rilevante  in  ambito  disciplinare,  mentre,
dall'altro, rappresenterebbe il punto nevralgico della  volonta'  del
giudice («del suo sentirsi effettivamente terzo e serenamente lontano
da ogni possibile o residuale sospetto  di  condizionamento»),  cosi'
collocandosi in seno alla prerogativa costituzionale della soggezione
del giudice soltanto alla legge (art. 101 Cost.) ed  atteggiandosi  a
strumento di coscienza e di liberta' di giudizio; 
    che, in questa seconda  prospettiva,  il  giudice  rimettente  si
chiede se sia rispettosa della Costituzione  quella  norma  che  -  a
fronte  di  un'incompatibilita'  dichiarata  per  effetto  di   legge
processuale e della conseguente astensione - «obbliga  il  giudice  a
trattare il processo,  contro  la  sua  stessa  volonta',  rendendolo
sospetto ex se e viziando, agli occhi delle difese,  quel  ruolo  per
manifestato possibile pregiudizio»; 
    che la  risposta  all'interrogativo  dovrebbe  essere  nel  senso
dell'insussistenza di qualsiasi violazione nell'imporre al giudice la
prosecuzione del giudizio se la legge prevedesse  l'astensione  e  il
suo rigetto, ma, sottolinea il rimettente, «nessuna norma prevede  la
possibilita' di rigetto  dell'astensione»  da  parte  del  Presidente
della corte o del tribunale, posto che  il  riferimento  al  «decide»
contenuto nell'art. 36, comma 3,  cod.  proc.  pen.  «non  per  forza
indica una facolta' di reiezione», ma avrebbe collocazione nel quadro
delle prese d'atto e non nel  contesto  delle  facolta',  soprattutto
qualora l'astensione non si correli ad una condizione  personale  del
giudice, ma alla rigida osservanza della legge; 
    che «lontani da questa logica si  perviene  al  paradosso  di  un
giudice che assume di non poter procedere per evitare  la  violazione
di una legge ed il suo superiore che lo obbliga assumendo che  quella
legge  non  sarebbe,   in   realta',   violata»,   sicche',   qualora
l'astensione derivi da un'incompatibilita' prevista dalla legge, «non
vi puo' essere discretivita' accoglitiva»; 
    che la violazione di questo principio inciderebbe sul diritto  di
tutti i cittadini ad avere uguale trattamento ed un giudice  naturale
precostituito per legge; 
    che due situazioni giuridicamente uguali -  come  quelle  oggetto
dei difformi provvedimenti del Presidente del Tribunale di Palermo  -
«devono essere trattate in modo uguale, altrimenti la  facolta'  puo'
agevolmente tracimare in un arbitrio senza  controllo»,  determinando
un effetto finale di disparita'; 
    che un aspetto della consolidata  interpretazione  dell'art.  34,
comma  2,  cod.  proc.  pen.,  mai  vagliato   dalla   giurisprudenza
costituzionale, sarebbe rappresentato dal rilievo che i coimputati di
un reato  plurisoggettivo  che  abbiano  scelto  il  rito  abbreviato
sarebbero privati della possibilita' del proscioglimento "perche'  il
fatto non sussiste", in quanto «se e' vero  che  il  giudice  che  ha
definito l'udienza  preliminare  puo'  essere  il  giudice  del  rito
abbreviato anche nei confronti dei restanti  imputati  per  il  reato
associativo, sara' vero - parimenti - che  quel  giudice,  attraverso
l'emanazione  del  decreto  che  dispone  il  giudizio,  avra'   gia'
affermato che il fatto associativo  sussiste»,  circostanza,  questa,
che sarebbe processualmente certa per la  mancata  pronuncia  di  una
sentenza di non luogo a procedere con la formula,  appunto,  "perche'
il fatto non sussiste"; 
    che il decreto che dispone il giudizio sarebbe  l'interlocutoria,
ma implicita, prova che per il giudice  il  fatto  sussiste,  il  che
priverebbe, in fatto, un imputato di una formula  assolutoria,  cosi'
creando una  situazione  di  disparita'  di  trattamento  processuale
integrante una violazione della regola del giusto processo; 
    che  il  rilievo  troverebbe  ulteriore  riscontro  nel  caso  di
contestazione della circostanza  aggravante  del  numero  di  persone
superiore a cinque ex art. 112, primo comma, numero 1), cod. pen.; 
    che, al riguardo, si chiede il rimettente se possa  dirsi  terzo,
imparziale e attore di un giusto  processo  il  giudice  che,  avendo
deciso il  rinvio  a  giudizio  di  tre  su  cinque  imputati  (cosi'
implicitamente  suffragando   l'ipotesi   della   sussistenza   della
circostanza aggravante indicata),  proceda  nel  giudizio  abbreviato
richiesto dagli altri due coimputati, avendo gia' affermato  in  sede
preliminare la compartecipazione delle cinque persone nel reato; 
    che la decisione della Corte costituzionale sarebbe  determinante
al fine di  stabilire  se  lo  stesso  giudice  dovra'  continuare  a
trattare il rito abbreviato, pur avendo deciso il rinvio a giudizio -
sugli stessi capi d'imputazione e per reati associativi «pieni» - nei
confronti di altri coimputati dello stesso processo; 
    che, per quanto riguarda  la  non  manifesta  infondatezza  della
questione, il primo periodo del comma 2 dell'art. 34 cod. proc. pen.,
cosi' come interpretato fino ad oggi e come sarebbe dimostrato  dagli
accadimenti del processo principale, sarebbe  in  evidente  contrasto
con l'art. 101 Cost. «perche', trasformando un  dovere  di  legge  in
facolta', trasforma un giudice soggetto soltanto  alla  Legge  in  un
giudice  sottomesso   alla   facolta'   di   un   Capo   dell'Ufficio
condizionando la sua liberta' di giudizio e di coscienza»; 
    che non  sarebbe  conforme  a  Costituzione  un  sistema  in  cui
«un'impossibilita' si trasforma in facolta' privando  il  giudice  di
una prerogativa», ne' potrebbe ritenersi che il rispetto della  legge
«sia quello di tipo militare o  amministrativo  ossia  di  un  organo
gerarchizzato che si acquieta davanti alla scelta di un suo superiore
anche se essa e' visibilmente contraria a quella suggerita dalla  sua
interpretazione delle norme e dalla sua coscienza»; 
    che, diversamente interpretata, la norma sull'astensione  sarebbe
contraria all'ispirazione della Carta fondamentale; 
    che  ulteriori  profili  di  illegittimita'   costituzionale   si
riferirebbero agli artt. 3, 24, 25 e 111 Cost.; 
    che anche con riguardo all'uguaglianza dei cittadini davanti alla
legge, all'inviolabilita' della difesa,  al  giudice  naturale  e  al
giusto  processo,   l'interpretazione   delineata   avrebbe   effetti
sistematici paradossali come dimostrato  dal  confronto  tra  i  «due
provvedimenti resi dal Presidente del Tribunale, a soli pochi  giorni
l'uno dall'altro ed in una identica  situazione  in  diritto:  in  un
processo il giudice era  dichiarato  incompatibile,  nell'altro,  era
obbligato al giudizio»; 
    che,  ad  ulteriore  dimostrazione  dell'assunto,  il  rimettente
sottolinea che la definizione dell'udienza preliminare, con il rinvio
a giudizio dei coimputati del  reato  plurisoggettivo,  avrebbe  come
effetto l'impossibilita' di emettere una pronuncia "perche' il  fatto
non  sussiste"  nei  confronti  di  chi  abbia  scelto  il   giudizio
abbreviato, con evidente effetto di disparita' di trattamento; 
    che, osserva infine il rimettente,  fuori  dalle  certezze  della
liberta'  del  giudice  e  dell'uguale  trattamento   di   situazioni
giuridicamente  uguali,  qualsiasi  facolta'  potrebbe  tracimare  in
arbitrio; 
    che l'intervento  della  Corte  costituzionale  sarebbe,  quindi,
necessario per ristabilire i  principi  fondamentali  in  materia  di
prerogative del giudice e di giusta determinazione delle  regole  che
il giudice stesso deve amministrare; 
    che e' intervenuto nel giudizio di legittimita' costituzionale il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione  sia
dichiarata inammissibile o, comunque, non fondata; 
    che, anche nel caso  di  astensione  obbligatoria,  il  dirigente
dell'ufficio non potrebbe limitarsi ad una passiva ricezione e  presa
d'atto della dichiarazione del giudice,  in  quanto  l'art.  36  cod.
proc.  pen.  sarebbe  ispirato  alla  necessita'  di  contemperare  i
principi di terzieta' e di imparzialita' con quello, di pari  rilievo
costituzionale, del giudice naturale precostituito per legge, sicche'
sarebbe  fondamentale  riconoscere  al  dirigente   dell'ufficio   la
facolta' di valutare  la  sussistenza  delle  circostanze  dedotte  a
sostegno della dichiarazione stessa; 
    che la previsione  normativa  della  necessaria  valutazione  del
dirigente dell'ufficio  sarebbe  diretta  ad  evitare  ingiustificate
sottrazioni, da parte dei giudici, dalla trattazione  di  cause  loro
assegnate; 
    che, pertanto, da un lato, andrebbe escluso che il presidente del
tribunale in relazione ad un motivo di astensione obbligatoria  possa
decidere  discrezionalmente  se  sostituire   o   meno   il   giudice
astenutosi,  dall'altro,   non   potrebbe   essergli   legittimamente
sottratto il sindacato circa la sussistenza dei presupposti  invocati
nella  dichiarazione  di  astensione,  proprio  per  scongiurare   il
pericolo di dichiarazioni non fondate e pretestuose; 
    che, osserva ancora l'Avvocatura dello Stato, anche il  Consiglio
superiore  della  magistratura  ha  precisato,  in   relazione   alla
dichiarazione  di  astensione  proposta  nel  corso  di  procedimenti
civili, che il  presidente  del  tribunale  ha  il  potere-dovere  di
verificare la sussistenza del denunciato motivo di astensione  e  che
sullo stesso dirigente incombe  ogni  responsabilita'  in  merito  ad
abusi eventualmente compiuti con le sue valutazioni; 
    che, richiamando l'orientamento della  Corte  di  cassazione  che
riconosce natura amministrativa  e  non  giurisdizionale  al  decreto
presidenziale  che  decide  sulla  dichiarazione  di  astensione  nel
procedimento penale, l'Avvocatura dello  Stato  rileva  che,  in  una
decisione sulla legittimita' costituzionale dell'art. 51  del  codice
di procedura civile, la Corte costituzionale  ha  escluso  la  natura
giurisdizionale del procedimento a quo, dichiarando  non  ammissibile
il giudizio di  legittimita'  costituzionale  (ordinanza  n.  35  del
1988); 
    che la motivazione dell'ordinanza di rimessione, inoltre, farebbe
trasparire il dubbio che il rimettente cerchi di utilizzare  in  modo
improprio e distorto l'incidente  di  costituzionalita'  al  fine  di
ottenere un inammissibile  avallo  interpretativo  «finalizzato  alla
regolamentazione dei propri rapporti con il Capo dell'ufficio»; 
    che,  con  gli   altri   due   profili   di   incostituzionalita'
erroneamente prospettati con riferimento all'art. 36, comma  2,  cod.
proc.  pen.,  il   rimettente   sembrerebbe   chiedere   alla   Corte
costituzionale  un  intervento  additivo  di  ulteriori  ipotesi   di
astensione obbligatoria del giudice:  nella  sostanza,  la  questione
sembrerebbe «diretta  all'affermazione  di  una  ulteriore  causa  di
incompatibilita' alla funzione  di  Giudice,  il  quale,  dopo  avere
disposto il rinvio a giudizio di alcuni imputati, sia chiamato  nello
stesso procedimento a decidere con le forme del rito  abbreviato  nei
confronti dei coimputati o degli altri imputati per il medesimo reato
associativo e/o plurisoggettivo»; 
    che, secondo l'Avvocatura dello  Stato,  le  questioni  sarebbero
inammissibili o comunque infondate, alla luce, in primo luogo,  della
impropria sovrapposizione compiuta dal rimettente  dei  due  istituti
dell'astensione e dell'incompatibilita',  che,  secondo  la  costante
giurisprudenza  della  Corte  costituzionale,  pur  preordinati  alla
garanzia  dell'imparzialita'  del  giudice,  opererebbero  su   piani
diversi: la prima a posteriori, in  concreto  e  caso  per  caso;  la
seconda in astratto e in via preventiva; 
    che,  in  secondo  luogo,  sarebbe  decisivo   il   rilievo   che
l'incompatibilita'   richiede   il   compimento   delle    precedenti
valutazioni,  anche  di  merito,  in  fasi   diverse   dello   stesso
procedimento e non nella stessa fase: nel caso di specie, invece,  il
giudice dell'udienza preliminare esaminerebbe nella  stessa  fase  il
materiale probatorio a carico di tutti gli  imputati,  disponendo  il
rinvio a giudizio per alcuni  e  decidendo  nel  merito  per  chi  ha
chiesto di procedere con rito abbreviato; 
    che la questione  sarebbe,  pertanto,  inammissibile,  in  quanto
l'ipotizzata  violazione   del   principio   di   imparzialita'   non
sembrerebbe rientrare nella sfera di applicazione dell'art.  34  cod.
proc. pen.; 
    che, osserva ancora l'Avvocatura dello Stato, anche  considerando
il rito abbreviato chiesto da alcuni imputati  come  un  procedimento
separato e diverso dall'udienza preliminare svolta nei confronti  dei
coimputati,  non  vi  sarebbe  motivo  di  discostarsi  dal  costante
indirizzo della giurisprudenza costituzionale secondo cui la sfera di
applicazione  dell'istituto  dell'incompatibilita'  si  riferisce   a
situazioni di pregiudizio per  l'imparzialita'  del  giudice  che  si
verificano all'interno  del  medesimo  procedimento,  mentre,  se  il
pregiudizio per  l'imparzialita'  del  giudice  deriva  da  attivita'
compiute in un procedimento diverso, il principio del giusto processo
trova attuazione mediante i piu' duttili strumenti dell'astensione  e
della ricusazione,  anch'essi  preordinati  alla  salvaguardia  delle
esigenze di imparzialita' della funzione giudicante, ma  secondo  una
logica  a  posteriori  e  in  concreto,  senza  oneri  preventivi  di
organizzazione delle attivita' processuali; 
    che e' intervenuto nel giudizio  di  legittimita'  costituzionale
l'imputato nel giudizio principale D.G.T.,  chiedendo  l'accoglimento
delle questioni sollevate dall'ordinanza di rimessione; 
    che,    richiamato    l'orientamento     della     giurisprudenza
costituzionale  secondo  cui  la   declaratoria   di   illegittimita'
costituzionale  presuppone  l'impossibilita'  di  dare  della   legge
interpretazioni conformi alla Costituzione, la  difesa  dell'imputato
sottolinea che nel giudizio principale tutti i meccanismi processuali
sarebbero stati posti in essere allo scopo di evitare  il  dubbio  di
costituzionalita', ma cio' non sarebbe stato sufficiente a  garantire
il "giusto processo", sicche' sarebbe necessaria la  declaratoria  di
illegittimita' costituzionale dell'art. 36, comma 1,  lettera  g),  e
comma 3 cod. proc. pen. in combinato  disposto  con  l'art.  34  cod.
proc. pen.; 
    che  la  difesa  dell'imputato  richiama   quindi   le   numerose
declaratorie di illegittimita' costituzionale dell'art. 34 cod. proc.
pen. e l'orientamento della giurisprudenza costituzionale secondo cui
le  decisioni  assunte   nell'udienza   preliminare   devono   essere
annoverate tra i "giudizi" idonei a pregiudicarne altri e tra  quelli
pregiudicati da altri anteriori (sentenza n. 335 del  2002),  nonche'
gli indirizzi della Corte europea dei diritti dell'uomo  sull'art.  6
della CEDU; 
    che la giurisprudenza costituzionale avrebbe  precisato,  per  un
verso  e   in   termini   generali,   le   situazioni   che   rendono
costituzionalmente necessaria la previsione dell'incompatibilita' del
giudice (sentenza n. 131 del 1996)  e,  per  altro  verso,  l'effetto
pregiudicante  dell'attivita'  giurisdizionale  svolta  dal   giudice
nell'udienza preliminare; 
    che l'adesione alle conclusioni fatte proprie  dall'ordinanza  di
rimessione troverebbe  fondamento  nell'irragionevole  disuguaglianza
derivante dall'attuale assetto  normativo,  in  forza  del  quale  le
parti, che denuncino l'incompatibilita' del giudice,  possono  subire
un diverso trattamento, posto che ad esse e' dato  solo  di  attivare
procedimenti incidentali dall'esito discrezionale; 
    che  sarebbe  inoltre  irragionevole  l'impossibilita',  per   il
giudice che abbia disposto il rinvio a giudizio e che  ricopra  anche
la funzione di giudice del  giudizio  abbreviato,  di  emettere,  nei
confronti del coimputato del delitto plurisoggettivo,  una  pronuncia
assolutoria per insussistenza del fatto; 
    che,  in  prossimita'  dell'udienza  di  discussione,  la  difesa
dell'imputato nel giudizio  principale  ha  depositato  una  memoria,
contestando l'eccezione di inammissibilita' proposta  dall'Avvocatura
dello Stato, secondo la quale  la  questione  sollevata  non  sarebbe
aderente alle problematiche  sottese  all'incidente  di  legittimita'
costituzionale e il rimettente avrebbe omesso di considerare  che  la
censura proposta sarebbe una conseguenza necessaria  di  una  realta'
processuale impossibile da  gestire  secondo  l'attuale  assetto  del
codice di procedura penale; 
    che la questione di  legittimita'  costituzionale  avrebbe  quale
premessa necessaria  la  soggezione  delle  cause  di  astensione  al
principio di  tassativita',  sicche',  riguardando  il  controllo  di
legittimita' costituzionale  il  tema  dell'incompatibilita'  di  cui
all'art. 34, comma 2, cod. proc. pen., l'accoglimento della questione
comporterebbe l'inserimento nel  codice  di  procedura  penale  della
previsione dell'incompatibilita' del giudice dell'udienza preliminare
che abbia rinviato a giudizio alcuni imputati, trovandosi poi a dover
emettere la  sentenza  di  primo  grado  nei  confronti  degli  altri
imputati, iscritti nel medesimo procedimento, che abbiano chiesto  il
giudizio abbreviato; 
    che soltanto annoverando tale condizione del giudice tra le cause
di astensione il presidente  della  corte  o  del  tribunale  sarebbe
obbligato a pronunciarsi con decreto favorevole; 
    che  la  premessa  sarebbe  ancorata  alla  configurabilita'  del
decreto che dispone il giudizio come provvedimento  giudiziario  che,
al  pari  di  una  sentenza,  rende  il  giudice  che  lo  ha  emesso
incompatibile a giudicare  i  coimputati  nelle  forme  del  giudizio
abbreviato; 
    che, con riferimento alla  piu'  favorevole  formula  assolutoria
"perche' il fatto non sussiste", la difesa dell'imputato nel giudizio
principale osserva  inoltre  che,  qualora  il  giudice  dell'udienza
preliminare abbia ritenuto  probabile  l'esistenza  dell'associazione
mafiosa  e  dei  delitti-fine  al  punto  di  considerare   possibile
sostenere l'accusa in giudizio, nel momento valutativo immediatamente
successivo - la celebrazione del giudizio  abbreviato  nei  confronti
degli altri coimputati - lo stesso giudice non potrebbe rinnegare  la
fondatezza dell'accusa quanto alla sussistenza del fatto; 
    che la pronuncia della sentenza da  parte  dello  stesso  giudice
dell'udienza preliminare porterebbe all'eliminazione anticipata della
formula assolutoria piu' favorevole,  facendo  soffrire  all'imputato
un'inspiegabile diseguaglianza in violazione dell'art. 3 Cost.; 
    che anche l'Avvocatura Generale dello  Stato  ha  depositato,  in
prossimita' dell'udienza di discussione,  una  memoria  illustrativa,
insistendo nelle conclusioni di cui all'atto di intervento; 
    che, sottolineati alcuni profili della normativa  del  codice  di
procedura penale  sul  giudice,  l'Avvocatura  dello  Stato  richiama
l'orientamento della giurisprudenza costituzionale che ha  esteso  la
previsione  dell'incompatibilita'  del  giudice  che  precedentemente
abbia    avuto    modo     di     delibare     la     responsabilita'
dell'indagato/imputato alle «funzioni di giudice del  dibattimento  e
di g.i.p./g.u.p.» chiamati a decidere sull'imputazione; 
    che, osserva ancora l'Avvocatura dello Stato, tra la  condizione,
presunta pregiudicante, di avere emesso il  decreto  che  dispone  il
giudizio nei  confronti  di  alcuni  coimputati  e  quella,  presunta
pregiudicata, di dover decidere il processo nei  confronti  di  altri
coimputati allo stato degli  atti,  non  vi  potrebbe  essere  alcuna
situazione di incompatibilita'; 
    che, infatti, nonostante l'ampliamento dei poteri  di  iniziativa
probatoria del giudice dell'udienza preliminare, la sua giurisdizione
resterebbe  prevalentemente  una  giurisdizione   di   garanzia,   di
controllo  della  fondatezza  del  materiale  raccolto  dal  pubblico
ministero durante le indagini preliminari: la  funzione  dell'udienza
preliminare sarebbe sostanzialmente di filtro, al fine di evitare che
vengano portati a giudizio processi inutili e di  bloccare  richieste
di rinvio a giudizio azzardate; 
    che, percio', le decisioni adottabili  dal  giudice  dell'udienza
preliminare   difficilmente   potrebbero   considerarsi   idonee    a
determinare un pregiudizio in ordine al  merito  dell'imputazione  in
capo allo stesso giudice, come confermerebbe la  revocabilita'  della
sentenza di non luogo a procedere; 
    che non sarebbe rilevante la considerazione secondo  cui,  emesso
il decreto che dispone il giudizio  e  dovendo  il  medesimo  giudice
decidere all'esito del giudizio abbreviato, si priverebbero, nel rito
speciale, gli imputati della formula assolutoria  "perche'  il  fatto
non sussiste"; 
    che astrattamente questa privazione non sussisterebbe  in  quanto
l'esito del giudizio abbreviato dipenderebbe dalla reale  consistenza
del materiale raccolto nella fase delle indagini preliminari,  mentre
la formula terminativa dipenderebbe, in concreto,  dalla  valutazione
probatoria compiuta dal giudice, una valutazione diversa e molto piu'
approfondita  del  sommario  «filtro  delle  imputazioni   azzardate»
attivato all'udienza preliminare; 
    che, osserva ancora l'Avvocatura dello Stato, l'art. 36, comma 3,
cod. proc. pen. non potrebbe considerarsi incostituzionale, in quanto
il  controllo  da  parte  del   capo   dell'ufficio   sulle   ragioni
dell'astensione sarebbe necessario alla luce della natura eccezionale
dell'astensione  rispetto  alla  regola  che  prevede  il  dovere  di
giudicare,  sicche'  il  potere  di  controllo  del  presidente   del
tribunale si manifesterebbe in un  atto  amministrativo  autoritativo
sottratto ad ogni mezzo di impugnazione, trattandosi di provvedimento
meramente ordinatorio con effetti limitati nell'ambito dell'ufficio; 
    che, infine, l'Avvocatura dello Stato richiama l'ordinanza n. 123
del 1999 della Corte  costituzionale  e  osserva  che  dell'eventuale
ingiustizia del trattamento subito con il decreto  presidenziale  non
ci  si  potrebbe  dolere  in  sede   di   giudizio   incidentale   di
costituzionalita'. 
    Considerato che il Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale
di Palermo ha sollevato: a) in riferimento agli articoli 3,  24,  25,
101   e   111   della   Costituzione,   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'articolo 36, comma 1, lettera g), del  codice  di
procedura penale, «nella lettura in combinato disposto con l'articolo
34» dello stesso codice, «nella parte in cui prevede che, nel caso in
cui vi sia "incompatibilita' del giudice determinata da atti compiuti
nel  procedimento",  il  giudice  debba  formalizzare  richiesta   di
astensione in luogo dell'attivazione di automatismi di tipo tabellare
preordinati dall'ufficio»; b) in riferimento agli articoli 3, 24, 25,
101  e  111   Cost.,   questione   di   legittimita'   costituzionale
dell'articolo 36,  comma  3,  cod.  proc.  pen.,  «nella  lettura  in
combinato disposto con l'articolo 34»  dello  stesso  codice,  «nella
parte in cui prevede che, nel caso in cui  vi  sia  "incompatibilita'
del giudice  determinata  da  atti  compiuti  nel  procedimento",  il
Presidente   del   Tribunale   possa   "decidere"   discrezionalmente
sull'astensione  imponendo  al  giudice  del   rito   abbreviato   la
prosecuzione del giudizio nel caso in cui lo  stesso  abbia  definito
l'udienza preliminare con il rinvio a giudizio di co-imputati per  un
reato  associativo  e/o  plurisoggettivo»;  c)  in  riferimento  agli
articoli  3,  24,  25  e  111  Cost.,   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'articolo 36 [recte 34], comma 2, cod. proc. pen.,
«nella lettura in combinato disposto con l'articolo  34»  [recte  36]
dello stesso  codice,  «nella  parte  in  cui  le  parole  "Non  puo'
partecipare al giudizio il giudice che  ha  emesso  il  provvedimento
conclusivo dell'udienza preliminare" siano interpretate nel senso  di
attribuire al giudice - che ha deciso l'udienza  preliminare  con  il
rinvio  a  giudizio  di  imputati  per  un  reato   associativo   e/o
plurisoggettivo - la  possibilita'  di  decidere  anche  il  giudizio
abbreviato nei confronti degli altri imputati per la stessa  rubrica,
essendo questi ultimi privati  della  possibile  formula  assolutoria
"perche' il fatto non sussiste"»; d) in riferimento agli articoli  3,
24,  25  e  111  Cost.,  questione  di  legittimita'   costituzionale
dell'articolo 36 [recte 34], comma 2, cod. proc. pen., «nella lettura
in combinato disposto con l'articolo  34»  [recte  36]  dello  stesso
codice, «nella parte in  cui  le  parole  "Non  puo'  partecipare  al
giudizio  il  giudice  che  ha  emesso  il  provvedimento  conclusivo
dell'udienza preliminare" siano interpretate nel senso di permettere,
comunque, la partecipazione al giudizio  abbreviato  da  parte  dello
stesso giudice dell'udienza preliminare, che aveva gia' prima deciso,
con il rinvio a giudizio e nei confronti  di  altri  co-imputati,  il
processo   relativo   alla   imputazione   per   reato   associativo,
plurisoggettivo e/o a partecipazione necessaria»; 
    che nell'enunciare la terza e la quarta questione l'ordinanza  di
rimessione ha fatto riferimento per errore all'art. 36, comma 2, cod.
proc. pen., anziche' all'art. 34, comma 2, cod. proc. pen.  (nonche',
subito dopo, all'art. 34  anziche'  all'art.  36  cod.  proc.  pen.):
infatti l'art. 36, comma 2, disciplina fattispecie del tutto estranee
alle questioni in esame, mentre il periodo testualmente riportato dal
rimettente e' contenuto nel comma 2 dell'art.  34  cod.  proc.  pen.,
sicche', anche  alla  luce  della  motivazione  dell'ordinanza,  tali
questioni devono intendersi riferite al  «combinato  disposto»  degli
artt. 34, comma 2, e 36 cod. proc. pen.; 
    che il giudice rimettente,  dopo  essere  stato  investito  della
richiesta di rinvio a  giudizio  nei  confronti  di  trenta  persone,
imputate del delitto di associazione di tipo mafioso, del delitto  di
cui all'art. 74 del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre
1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina  degli
stupefacenti   e   sostanze   psicotrope,   prevenzione,    cura    e
riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza)  e  di  altri
delitti (la maggior parte dei quali in concorso tra  varie  persone),
ha disposto il rinvio a giudizio di diciannove imputati e ha separato
i procedimenti relativi agli  altri  undici  coimputati  che  avevano
chiesto il giudizio abbreviato; 
    che rispetto a questi procedimenti il  giudice  rimettente  aveva
presentato dichiarazione di astensione, a norma dell'art.  34,  comma
2, cod. proc. pen. e anche per gravi ragioni di convenienza  a  norma
dell'art. 36, comma 1, lettera h), cod. proc. pen., e  il  Presidente
del Tribunale di Palermo, richiamando  la  sentenza  della  Corte  di
cassazione, seconda sezione penale, 12 febbraio 2009,  n.  8613,  non
aveva accolto tale dichiarazione; 
    che in seguito a cio' il  giudice  rimettente  ha  sollevato,  in
relazione   alla   normativa   sull'astensione,   le   questioni   di
legittimita' costituzionale dell'art. 36 cod. proc.  pen.,  riportate
sotto le lettere a) e b), sul presupposto che  l'art.  34,  comma  2,
cod. proc. pen., con le parole «Non puo' partecipare al  giudizio  il
giudice  che  ha  emesso  il  provvedimento  conclusivo  dell'udienza
preliminare»,  preveda   «esplicitamente»,   rispetto   al   giudizio
abbreviato,   l'incompatibilita'   del   giudice    che,    all'esito
dell'udienza preliminare,  ha  disposto  il  rinvio  a  giudizio  dei
coimputati; 
    che, per l'eventualita' in cui si ritenga invece che questo  caso
di incompatibilita' non sia gia' previsto, il giudice  rimettente  ha
sollevato le altre due questioni riportate sotto le lettere c) e d); 
    che l'Avvocatura dello Stato ha  eccepito  l'inammissibilita'  di
tutte le  questioni,  in  quanto  sarebbero  state  sollevate  in  un
procedimento   non   giurisdizionale,   come    sarebbe    confermato
dall'orientamento   giurisprudenziale    che    attribuisce    natura
amministrativa   al   provvedimento   del   dirigente    dell'ufficio
giudiziario che decide sulla dichiarazione di astensione del  giudice
penale; 
    che l'eccezione non e' fondata; 
    che, infatti, poiche' le questioni sono state sollevate nel corso
del giudizio penale dallo  stesso  giudice  che  procede,  la  natura
giuridica del provvedimento del  dirigente  dell'ufficio  che  decide
sulla dichiarazione di astensione, quale che  essa  sia,  non  assume
alcun rilievo; 
    che la  prima  e  la  seconda  delle  questioni  di  legittimita'
costituzionale sollevate con l'ordinanza di rimessione devono  essere
dichiarate manifestamente inammissibili per un'altra ragione; 
    che  tali  questioni  investono  profili   procedimentali   della
disciplina dell'astensione e sono volte  a  dedurre  la  lesione  dei
principi costituzionali, evocati dal rimettente, che deriverebbe  dal
carattere non vincolato,  ossia  non  legato  ad  «automatismi»  o  a
provvedimenti non discrezionali  del  dirigente  dell'ufficio,  della
sostituzione  del  giudice   che   versi   in   una   situazione   di
incompatibilita'; 
    che  la  rilevanza  della  questione  e'  legata  al  presupposto
interpretativo  dal  quale  muove  il  rimettente,  secondo  cui   il
legislatore avrebbe stabilito «cio' che dalla norma e' esplicitamente
previsto», ossia che «il giudice che ha deciso l'esito  del  processo
(processo  nella  sua  globalita')  preliminare   (e   senza   alcuna
distinzione di imputati e di imputazioni) non possa essere lo  stesso
che poi dara' la sua decisione finale nel merito delle accuse  (senza
alcuna distinzione correlata alla tipologia di esito e,  quindi,  sia
che essa decisione  sia  assunta  attraverso  un  rito  abbreviato  o
attraverso un vaglio di tipo dibattimentale)»; 
    che tale presupposto e' erroneo; 
    che, fuori dalla specifica ipotesi introdotta dalla  sentenza  di
questa Corte n. 371 del 1996 (la cui esistenza non e'  stata  dedotta
dal giudice rimettente e non risulta dalla motivazione dell'ordinanza
di rimessione), l'art. 34, comma 2, cod. proc. pen., come  in  genere
l'istituto  dell'incompatibilita',  si  riferisce  a  situazioni   di
pregiudizio  per  l'imparzialita'  del  giudice  che  si   verificano
all'interno del medesimo procedimento (sentenze n. 283 e n.  113  del
2000 e ordinanza n. 490 del 2002) e concernono  percio'  la  medesima
regiudicanda (sentenza n. 186 del 1992), sicche' esso  non  comprende
l'ipotesi del giudice che, dopo aver disposto il rinvio a giudizio di
alcuni imputati, procede con il rito  abbreviato  nei  confronti  dei
coimputati del medesimo reato; 
    che in questa ipotesi infatti ci si trova in presenza di  diversi
procedimenti, destinati, dopo la separazione, alcuni alla  successiva
definizione dibattimentale e altri alla trattazione nelle  forme  del
giudizio abbreviato; 
    che rispetto a questi  ultimi,  percio',  non  si  determina  una
situazione di incompatibilita'; 
    che l'erroneita'  del  presupposto  interpretativo  al  quale  e'
correlata, nell'ordinanza di rimessione, la rilevanza delle prime due
questioni comporta la manifesta inammissibilita' delle stesse; 
    che  le  altre  due  questioni  di  legittimita'   costituzionale
sollevate dal rimettente sono invece manifestamente infondate; 
    che, con ciascuna di tali questioni, il giudice a quo assume  che
nella disciplina dei casi di incompatibilita' regolati dall'art.  34,
comma 2, cod. proc. pen. vi sarebbe una lacuna da colmare  attraverso
una pronuncia additiva di questa Corte, perche' non  e'  previsto  il
caso in cui il giudice che ha disposto il rinvio a giudizio di alcuni
imputati e' chiamato a procedere con il rito abbreviato nei confronti
dei coimputati concorrenti negli stessi reati; 
    che il vulnus denunciato dal  rimettente  non  sussiste  perche',
secondo il consolidato orientamento di  questa  Corte,  nel  caso  di
concorso di persone nel reato, «alla  comunanza  dell'imputazione  fa
riscontro una pluralita'  di  condotte  distintamente  ascrivibili  a
ciascuno  dei  concorrenti,  tali  da  formare  oggetto  di  autonome
valutazioni, scindibili l'una dall'altra, salve le  ipotesi  estreme,
prese in esame dalle sentenze n. 371 del 1996 e n.  241  del  1999  e
precisate da successive decisioni (v., in particolare, la sentenza n.
113  del  2000),  che   giustificano   l'operativita'   dell'istituto
dell'incompatibilita'  anche  quando  le  funzioni  pregiudicante   e
pregiudicata si collocano in procedimenti diversi» (ordinanza n.  367
del 2002, che ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione
di legittimita' costituzionale dell'art. 34 cod.  proc.  pen.,  nella
parte in cui non prevede  l'incompatibilita'  a  celebrare  l'udienza
preliminare del giudice che abbia gia' valutato  la  posizione  degli
imputati in  altro  processo  definito  con  sentenza  a  seguito  di
giudizio  abbreviato  "nei  confronti   di   coimputati   concorrenti
necessari" nel medesimo reato); 
    che «pur non potendo escludersi che, per il peculiare atteggiarsi
delle singole fattispecie, l'attivita' che il giudice abbia  compiuto
in un precedente procedimento possa determinare un  pregiudizio  alla
sua imparzialita' nel successivo procedimento a carico di altro o  di
altri  concorrenti,  in  simili  casi  -  al  di  la'  delle  ipotesi
particolari che hanno dato luogo alle sentenze n. 371 del 1996  e  n.
241 del 1999 - soccorre sia l'art. 36,  comma  1,  lettera  h),  cod.
proc. pen., nell'interpretazione non restrittiva alla  quale  vincola
il principio del giusto processo (sentenza  n.  113  del  2000),  sia
l'art. 37 cod. proc. pen., come risultante dalla sentenza n. 283  del
2000 di questa Corte, attribuendosi  in  tal  modo  ai  piu'  duttili
strumenti  dell'astensione  e  della  ricusazione   il   compito   di
realizzare il principio del giusto  processo  attraverso  valutazioni
caso per caso  e  senza  oneri  preventivi  di  organizzazione  delle
attivita' processuali» (ordinanza n. 441 del 2001, in una fattispecie
analoga a quella del giudizio a quo), sicche', in ogni  ipotesi,  «lo
strumento di tutela contro l'eventuale pregiudizio  all'imparzialita'
del giudice - pregiudizio da accertarsi in concreto -,  derivante  da
una sua precedente attivita' compiuta in un separato procedimento nei
confronti di coimputati del medesimo  fatto-reato,  non  puo'  essere
ravvisato in ulteriori pronunce sull'art. 34,  comma  2,  cod.  proc.
pen.,  ma  deve   essere   ricercato   nell'ambito   degli   istituti
dell'astensione e della ricusazione» (ordinanza n. 441 del 2001); 
    che, pertanto, «tenuto conto della diversa sfera di  operativita'
degli istituti dell'incompatibilita'  e  dell'astensione-ricusazione,
egualmente preordinati alla piena tutela  del  principio  del  giusto
processo» (ordinanza n. 367 del 2002), la terza e la quarta questione
sono manifestamente infondate.