ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'articolo 819-ter,
secondo comma, del codice di procedura civile,  nella  parte  in  cui
esclude l'applicabilita', ai rapporti tra arbitrato  e  processo,  di
regole corrispondenti all'articolo 50 del codice di procedura civile,
promossi da un Arbitro di Bologna con ordinanza del 13 novembre  2012
e dal Tribunale ordinario di Catania  con  ordinanza  del  26  giungo
2012, iscritte  ai  nn.  38  e  62  del  registro  ordinanze  2013  e
pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  nn.  10  e  14
prima serie speciale, dell'anno 2013. 
    Visti  l'atto  di  costituzione  di  R.A.  nonche'  gli  atti  di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito nell'udienza pubblica del 2 luglio 2013 e nella  camera  di
consiglio del 3 luglio 2013 il Giudice relatore Luigi Mazzella; 
    uditi l'avvocato Marcello Marina  per  R.A.  e  l'avvocato  dello
Stato Attilio Barbieri per il Presidente del Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza emessa il 13 novembre 2012 in Bologna nel corso
di un arbitrato rituale tra F.F. e la E.C. s.r.l. ed iscritta  al  n.
38 del registro ordinanze dell'anno 2013, l'arbitro ha sollevato,  in
riferimento agli articoli 3, 24 e 11 della Costituzione, questione di
legittimita' costituzionale dell'articolo 819-ter, secondo comma, del
codice di procedura civile,  nella  parte  in  cui  prevede  che  nei
rapporti  tra  arbitrato  e  processo  non   si   applichino   regole
corrispondenti all'art. 50 del codice di procedura civile. 
    Il rimettente afferma che, con atto di citazione notificato il  4
marzo 2011 alla  E.C.  s.r.l.,  il  socio  F.F.  aveva  convenuto  in
giudizio la predetta  societa'  davanti  al  Tribunale  ordinario  di
Bologna, impugnando la delibera  assembleare  del  6  dicembre  2010,
trascritta in pari data nel  libro  delle  decisioni  dei  soci.  Con
sentenza del 13 dicembre 2011, detto Tribunale  aveva  dichiarato  la
propria  incompetenza  in  ragione  della   clausola   compromissoria
contenuta nello statuto della societa' che rimetteva  alla  decisione
dell'arbitro  unico,  tra  l'altro,  le  controversie  relative  alle
deliberazioni sociali concernenti interessi individuali dei soci. 
    L'arbitro  aggiunge  che  F.F.,  con  ricorso  depositato   nella
cancelleria del Tribunale ordinario di Bologna il 10  febbraio  2012,
aveva proposto domanda per la  nomina  dell'arbitro.  Nel  corso  del
successivo  procedimento  davanti  all'arbitro  unico  designato  dal
Presidente del Tribunale,  la  E.C.  s.r.l.  aveva  eccepito  in  via
preliminare la decadenza della  controparte  dall'impugnazione  della
delibera assembleare per decorrenza del  termine  di  novanta  giorni
stabilito dall'art. 2479-ter del codice civile. 
    L'arbitro a quo sostiene che, ove non  fossero  fatti  salvi  gli
effetti sostanziali e processuali della domanda  formulata  nell'atto
di citazione davanti  al  Tribunale  di  Bologna,  si  determinerebbe
inevitabilmente una  pronuncia  di  decadenza  dall'azione  proposta,
mediante il ricorso per la nomina dell'arbitro, solamente in data  10
febbraio  2012,  quando  era  ormai  scaduto  il  termine   stabilito
dall'art. 2479-ter del codice civile. Ma a tale  salvezza  si  oppone
l'art. 819-ter, secondo comma, cod. proc. civ., il  quale  stabilisce
che nei rapporti  tra  arbitrato  e  processo  non  si  applica,  tra
l'altro, l'art. 50 del cod. proc. Civ., in virtu' del  quale,  quando
la riassunzione davanti al giudice dichiarato competente avviene  nel
termine  fissato,  il  processo  continua  e  pertanto,  al  fine  di
verificare l'ammissibilita' della domanda in relazione ai termini  di
decadenza  cui  essa  sia  eventualmente  sottoposta,   occorre   far
riferimento all'originario atto introduttivo della lite. 
    Ad  avviso  del  rimettente,  cosi'  disponendo  l'art.  819-ter,
secondo comma, cod. proc. civ., si pone in contrasto con gli artt. 3,
24 e 111 Cost., perche' irragionevolmente ed in  plateale  disarmonia
con la vigente disciplina codicistica che regola  i  rapporti  tra  i
giudici ordinari e tra questi ultimi e quelli speciali,  violando  il
diritto di difesa delle parti  e  i  principi  del  giusto  processo,
determina, in caso di  pronuncia  di  diniego  della  competenza  del
giudice ordinario adito in favore dell'arbitro, l'impossibilita', nel
giudizio arbitrale  successivamente  instaurato,  di  far  salvi  gli
effetti sostanziali e processuali della domanda, proposta davanti  al
giudice ordinario. Secondo il rimettente,  la  reciproca  estraneita'
fra giudizio statuale ed arbitrato non puo' giustificare, in caso  di
passaggio dall'uno all'altro, la mancata conservazione degli  effetti
dell'atto introduttivo, prevista invece nei rapporti tra  il  giudice
ordinario e quello amministrativo,  in  forza  delle  pronunce  della
Corte di cassazione e della Corte costituzionale. 
    Al riguardo, l'arbitro a quo richiama la sentenza  delle  sezioni
unite della Corte di cassazione n. 4109 del 2007, la quale,  in  base
ad una lettura costituzionalmente orientata  della  disciplina  della
materia, ha ritenuto che nell'ordinamento processuale sia stato  dato
ingresso al principio della translatio iudicii dal giudice  ordinario
al giudice speciale e, viceversa, anche in  caso  di  pronuncia  resa
sulla «giurisdizione». 
    Il rimettente aggiunge che, successivamente,  questa  Corte,  con
sentenza   n.   77   del   2007,   ha   dichiarato   l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 30 della legge  6  dicembre  1971,  n.  1034
(Istituzione dei tribunali amministrativi regionali), nella parte  in
cui  non  prevedeva  che  gli  effetti,  sostanziali  e  processuali,
prodotti dalla domanda proposta a giudice privo di  giurisdizione  si
conservino, a seguito di declinatoria di giurisdizione, nel  processo
proseguito davanti al giudice munito di giurisdizione,  evidenziando,
nella motivazione, come il vigente codice di  procedura  civile,  nel
regolare questioni di rito  -  ed  in  particolare  nella  disciplina
relativa all'individuazione del giudice competente  -  si  ispira  al
principio per cui le disposizioni processuali  non  sono  fini  a  se
stesse, ma  funzionali  alla  miglior  qualita'  della  decisione  di
merito, senza che sia possibile sacrificare il diritto delle parti ad
ottenere una risposta, affermativa o negativa,  in  ordine  al  «bene
della vita» oggetto della loro contesa. 
    L'arbitro a quo ricorda, poi, come il legislatore, preso atto dei
descritti arresti giurisprudenziali, sia  intervenuto  a  regolare  i
rapporti tra giudici appartenenti a diverse giurisdizioni, prima  con
l'art. 59 della legge 18 giugno 2009,  n.  69  (Disposizioni  per  lo
sviluppo economico, la semplificazione, la competitivita' nonche'  in
materia di  processo  civile),  e  poi  con  l'art.  11  del  decreto
legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell'articolo 44  della
legge 18 giugno 2009,  n.  69,  recante  delega  al  governo  per  il
riordino del processo amministrativo), norme  in  forza  delle  quali
oggi, nel caso in cui il giudice adito dichiari il proprio difetto di
giurisdizione, se il processo sia tempestivamente riproposto  innanzi
al giudice indicato nella pronuncia  che  declina  la  giurisdizione,
«sono  fatti  salvi  gli  effetti  sostanziali  e  processuali  della
domanda». 
    Il rimettente afferma  anche  che,  pur  volendo  riconoscere  la
persistente problematicita' dell'esatta qualificazione  dei  rapporti
fra  la  giurisdizione  ordinaria   e   quella   arbitrale,   occorre
considerare che questa Corte, nella sentenza  n.  376  del  2001,  ha
chiarito che il giudizio arbitrale non si differenzia da  quello  che
si svolge davanti agli organi statuali della  giurisdizione,  essendo
potenzialmente fungibile con quello degli organi giurisdizionali. 
    Inoltre,  con  la   riforma   della   disciplina   dell'arbitrato
introdotta dal decreto legislativo 2 febbraio 2006, n. 40  (Modifiche
al codice di procedura civile in materia di processo di cassazione in
funzione nomofilattica e di arbitrato, a norma dell'articolo 1, comma
2, della legge 14 maggio 2005, n.  80),  i  rapporti  tra  arbitro  e
giudice   ordinario   sono   stati   inequivocabilmente    ricondotti
nell'ambito della «competenza», come  riconosciuto  dalla  successiva
giurisprudenza di legittimita'. 
    Pertanto l'art. 819-ter, secondo comma, cod.  proc.  civ.,  nella
parte in cui prevede  che  non  si  applichi  l'art.  50  c.p.c.  nei
rapporti  tra  arbitrato   e   processo,   comportando   la   mancata
conservazione  degli  effetti  dell'atto  introduttivo  in  caso   di
riassunzione del processo nel termine di legge, contrasterebbe con il
carattere della fungibilita' della giurisdizione del giudice  statale
con quella dell'arbitro.  Infatti,  ad  avviso  del  rimettente,  pur
volendo  qualificare  il  compromesso  come  atto  di  rinuncia  alla
giurisdizione  statale,  non   sarebbe   possibile   individuare   la
razionalita' di un assetto normativo che,  a  fronte  della  medesima
domanda giudiziale  svolta  originariamente  innanzi  ad  un  giudice
ordinario, faccia conseguire la perdita irrimediabile  degli  effetti
sostanziali e processuali derivanti dalla domanda  nel  caso  in  cui
questa venga ritenuta improponibile dal giudice adito poiche'  doveva
essere promossa innanzi all'arbitro ed  invece  escluda  qualsivoglia
decadenza sostanziale o processuale quando  sussista  il  difetto  di
competenza o di giurisdizione in favore di altro giudice ordinario  o
speciale. 
    2.- Nel giudizio di legittimita' costituzionale e' intervenuto il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  il  quale  chiede  che   la
questione sia dichiarata manifestamente infondata. 
    La difesa  dello  Stato  sostiene  che  nel  diritto  processuale
positivo non si rinvengono norme che dispongano in maniera chiara  la
piena equiparazione della disciplina del processo davanti al  giudice
togato con  quella  del  procedimento  arbitrale.  Anzi,  il  sistema
continua a basarsi sulla perdurante  diversita'  ed  estraneita'  fra
giudizio statale  ed  arbitrato,  a  differenza  di  quanto  si  puo'
affermare rispetto  ai  rapporti  tra  giudice  ordinario  e  giudice
amministrativo. 
    Inoltre occorre considerare che  il  compromesso  costituisce  un
atto di rinuncia alla giurisdizione statale,  frutto  di  una  libera
scelta delle parti che presuppone necessariamente la conoscenza delle
conseguenze derivanti dalla differenziazione delle discipline dei due
tipi di giudizio previste  dall'ordinamento,  tra  le  quali  rientra
anche  l'impossibilita'  della  riassunzione  della   causa   davanti
all'arbitro in caso di dichiarazione di incompetenza resa dal giudice
statale e della conseguente conservazione degli effetti sostanziali e
processuali della domanda. 
    Ad avviso del Presidente del Consiglio dei ministri,  la  mancata
previsione  della  translatio   iudicii   e'   da   ricondurre   alla
discrezionalita' del legislatore, la quale si basa sulla non completa
assimilazione del giudizio statuale e di quello arbitrale in  ragione
della differenza ontologica derivante dalla libera scelta delle parti
che caratterizza il secondo e,  pertanto,  non  e'  fonte  di  alcuna
lesione dei parametri  costituzionali  evocati  dal  rimettente.  Del
resto,  aggiunge  l'Avvocatura  generale  dello   Stato,   la   Corte
costituzionale, nella sentenza n. 376 del 2001, ha affermato  che  il
giudizio di arbitrale e' fungibile solo "potenzialmente"  con  quello
degli organi giurisdizionali. 
    3.- Nel corso di un giudizio civile promosso da  A.R.  contro  la
R.I. s.r.l. e  avente  ad  oggetto  l'impugnazione  di  una  delibera
dell'assemblea straordinaria dei  soci,  il  Tribunale  ordinario  di
Catania, con ordinanza iscritta  al  n.  62  del  registro  ordinanze
dell'anno 2013, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24  e  111
Cost., questione di legittimita'  costituzionale  dell'art.  819-ter,
secondo comma, cod. proc. civ., nella parte in cui  prevede  che  nei
rapporti  tra  arbitrato  e  processo  non   si   applichino   regole
corrispondenti all'art. 50 del codice di procedura civile. 
    Il giudice a quo espone che la societa' convenuta in giudizio  ha
eccepito l'improponibilita' della domanda e la decadenza  dall'azione
in ragione della presenza, nello statuto  sociale,  di  una  clausola
compromissoria. 
    Sulla non manifesta infondatezza della questione,  il  rimettente
svolge argomentazioni identiche a quelle contenute nell'ordinanza  di
rimessione pronunciata dall'arbitro di  Bologna  riportate  sopra  al
punto n. 1. 
    Sulla rilevanza, il Tribunale ordinario di Catania afferma che la
pronuncia di incompetenza del giudice  adito  sull'impugnativa  della
delibera assunta  dall'assemblea  straordinaria  dei  soci,  ove  non
fossero fatti salvi, mediante il meccanismo offerto dall'art. 50 cod.
proc. civ., gli effetti sostanziali e processuali  della  domanda  in
precedenza proposta  davanti  al  giudice  ordinario,  determinerebbe
comunque la decadenza dell'attrice (ai sensi  dell'art.  2377,  sesto
comma, cod. civ.)  dal  potere  di  impugnare  la  medesima  delibera
innanzi all'arbitro unico designando. 
    4.- Nel giudizio di legittimita' costituzionale si e'  costituita
A.R.,  la  quale  chiede  che  la  norma  censurata  sia   dichiarata
costituzionalmente illegittima. 
    La parte sostiene, anzitutto,  che  la  questione  e'  rilevante,
perche', ove non  fossero  fatti  salvi  gli  effetti  sostanziali  e
processuali della domanda originariamente proposta davanti al giudice
ordinario,   la   pronuncia   di   incompetenza    di    quest'ultimo
determinerebbe la decadenza  dal  potere  di  impugnare  la  delibera
societaria davanti all'arbitro designando. 
    Quanto al merito, A.R. afferma che, a seguito della  sentenza  di
questa Corte n. 77 del 2007 e di quella della Corte di cassazione  n.
4109 del 2007, nel caso in cui il giudice adito dichiari  il  proprio
difetto  di  giurisdizione,   la   regola   generale   oggi   vigente
nell'ordinamento e' quella della  possibilita'  di  prosecuzione  del
processo davanti al giudice  munito  di  giurisdizione  con  salvezza
degli effetti  sostanziali  e  processuali  della  domanda.  Pertanto
l'art. 819-ter, secondo comma, cod. proc. civ.,  stabilendo  che  nei
rapporti tra arbitrato e processo non si applica l'art. 50 cod. proc.
civ., contrasta con l'art.  3  Cost.,  sia  perche'  tratta  in  modo
diverso cittadini  che  versano  in  situazioni  identiche,  sia  per
carenza di ragionevolezza interna ed esterna. 
    Ad avviso della parte, sussiste lesione anche degli  artt.  24  e
111 Cost., che assicurano ad ogni  parte  il  diritto  ad  un  giusto
processo, cosi' come previsto anche  dall'art.  6  della  Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'
fondamentali. 
    5.- Nel giudizio di legittimita' costituzionale e' intervenuto il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  il  quale  chiede  che   la
questione   sia    dichiarata    manifestamente    inammissibile    o
manifestamente infondata. 
    La difesa dello Stato sostiene che la questione e' inammissibile,
perche'  oggetto  del  giudizio  principale   e'   la   pregiudiziale
arbitrale,  onde  il  rimettente  dovra'  decidere  solamente   sulla
competenza propria o dell'arbitro, mentre la  decadenza  della  parte
attrice dal potere di  impugnazione  della  delibera  assembleare  e'
questione che  si  potra'  porre  nell'eventuale  giudizio  arbitrale
successivamente instaurato. 
    Con riferimento al merito della questione, l'Avvocatura  generale
dello  Stato  svolge  argomentazioni  analoghe  a  quelle   sostenute
nell'atto di intervento nel giudizio  di  costituzionalita'  promosso
dall'arbitro unico di Bologna e riportate sopra al punto n. 2. 
    6.-  In  prossimita'  dell'udienza  di   discussione,   A.R.   ha
depositato una memoria nella quale ha  ribadito  la  rilevanza  della
questione, affermando che, ove non fossero fatti salvi - mediante  il
meccanismo previsto dall'art.  50  cod.  proc.  civ.  -  gli  effetti
processuali e sostanziali della domanda proposta davanti  al  giudice
ordinario, la pronuncia del Tribunale relativa  alla  devoluzione  ad
arbitri  dell'impugnativa  della  delibera  dell'assemblea  dei  soci
determinerebbe la decadenza (ai sensi dell'art.  2377,  sesto  comma,
cod. civ.) dal potere  di  impugnare  la  medesima  delibera  davanti
all'arbitro   designando.   Ne'   potrebbe   opinarsi   diversamente,
sostenendo che a  sollevare  la  questione  dovrebbe  essere  proprio
l'arbitro, perche'  questi,  una  volta  investito  del  giudizio  di
impugnazione della  delibera  assembleare,  si  dovrebbe  limitare  a
dichiarare   l'inammissibilita'   della   domanda   per   intervenuta
decadenza. 
    Nel merito, la parte privata ripercorre l'evoluzione normativa  e
giurisprudenziale in materia di translatio iudicii tra  giurisdizioni
diverse e aggiunge che il  principio  di  effettivita'  della  tutela
giurisdizionale sancito dall'art.  24  Cost.  esige  che  la  domanda
proposta dal soggetto sia esaminata nel merito dal giudice e  che  il
processo si concluda con una sentenza idonea a dare una  risposta  in
ordine al bene della vita oggetto della lite. 
    Inoltre, con riferimento all'art. 3 Cost., ad avviso della  parte
debbono essere ravvisate la violazione del principio  di  uguaglianza
in senso formale e la mancata assimilazione di categorie di  soggetti
omogenee, nonche' la carenza di  ragionevolezza  interna  ed  esterna
della norma  censurata.  Questa,  infatti,  tratta  in  modo  diverso
cittadini che versano in analoghe o identiche situazioni, ponendo  in
essere una disparita' di trattamento non giustificata da  ragionevoli
motivi. 
    La parte privata aggiunge che il principio del giusto processo e'
oggi testualmente consacrato nell'art. 111 Cost. come diritto di ogni
cittadino di rivolgersi  alla  giustizia  senza  timore  di  alchimie
processuali o di decisioni di rito discrezionali che  impediscano  il
sereno esame della vicenda portata all'attenzione del giudice. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Tribunale ordinario di  Catania  e  l'arbitro  di  Bologna
dubitano,  in  riferimento  agli  articoli  3,   24   e   111   della
Costituzione, della legittimita'  costituzionale  dell'art.  819-ter,
secondo comma, del codice di procedura civile,  nella  parte  in  cui
prevede che nei rapporti tra arbitrato e processo  non  si  applicano
regole corrispondenti all'art. 50 dello stesso codice. 
    Ad  avviso  di  entrambi  i  rimettenti,   la   norma   censurata
contrasterebbe con i  menzionati  parametri  costituzionali  perche',
irragionevolmente e in  disarmonia  con  la  vigente  disciplina  del
codice di rito relativa ai rapporti tra  i  giudici  ordinari  e  tra
questi e quelli speciali, violando il diritto di difesa e i  principi
del giusto processo, determina, in  caso  di  pronuncia  del  giudice
ordinario di diniego della propria  competenza  a  favore  di  quella
dell'arbitro, l'impossibilita' di far salvi gli effetti sostanziali e
processuali dell'originaria domanda proposta dall'attore  davanti  al
giudice ordinario. 
    2.-  In  ragione  dell'identita'  delle  questioni  sollevate,  i
giudizi  debbono  essere  riuniti  per  essere  definiti  con   unica
decisione. 
    3.- Successivamente alla pronuncia dell'ordinanza di  rimessione,
la giurisprudenza di legittimita' si e'  espressa,  con  una  isolata
pronuncia, nel senso che l'art. 819-ter, secondo  comma,  cod.  proc.
civ., laddove afferma che «nei rapporti tra arbitrato e processo» non
si applica l'art. 50 cod. proc. civ., riguarderebbe solo il  caso  in
cui  siano  gli  arbitri  ad  escludere  la  loro  competenza  ed   a
riconoscere quella del giudice ordinario; allorquando,  invece  (come
nel caso dei giudizi a quibus), sia il giudice togato a dichiarare la
propria incompetenza a beneficio di  quella  degli  arbitri,  sarebbe
possibile la riassunzione dinanzi agli arbitri nel termine fissato o,
in mancanza, in quello previsto  dall'art.  50,  con  salvezza  degli
effetti sostanziali della domanda (ordinanza n. 22002 del 2012). 
    Una simile  interpretazione  della  norma  censurata  -  che  non
costituisce diritto vivente  -  si  basa,  pero',  su  argomentazioni
fragili, fondandosi esclusivamente sulla constatazione che il secondo
comma  dell'art.  819-ter  menziona  i  rapporti  «fra  arbitrato   e
processo» e non anche quelli «fra processo e arbitrato». E'  evidente
la debolezza dell'argomento: l'espressione utilizzata dalla norma  e'
tale da comprendere, in generale, qualsiasi tipo di rapporto che puo'
intercorrere, rispetto ad una stessa causa, tra  arbitri  e  giudici.
Del resto, i giudici di legittimita' non hanno chiarito quale sarebbe
la   ratio   della   diversita'   di   trattamento    che    discende
dall'interpretazione della norma da essi fatta propria e, cioe',  per
quale motivo la causa potrebbe proseguire davanti all'arbitro  se  e'
il giudice a dichiarare la propria  incompetenza  e  invece  dovrebbe
essere riproposta ex novo davanti al giudice ove  fosse  l'arbitro  a
dichiararsi incompetente. 
    L'interpretazione fornita dalla Corte di cassazione e'  smentita,
poi, da inequivoci elementi letterali. Primo fra  tutti,  la  rubrica
della norma,  intitolata,  anch'essa,  ai  «Rapporti  tra  arbitri  e
autorita' giudiziaria»; volendo seguire il ragionamento della  citata
ordinanza n. 22002 del 2012, da una simile  indicazione  si  dovrebbe
dedurre che l'intero art. 819-ter sia dedicato  al  caso  in  cui  e'
l'arbitro a dichiarare la propria  incompetenza.  Al  contrario,  dal
primo comma dell'articolo  emerge  chiaramente  che  esso  tratta  di
aspetti relativi in generale ai rapporti tra i due soggetti e,  anzi,
dedica due specifiche disposizioni (il secondo ed il  terzo  periodo)
al caso in cui e' il giudice a dichiararsi  incompetente.  Ne  deriva
che il successivo secondo comma, nell'escludere  l'applicabilita'  di
una serie di norme del codice di  rito  in  tema  di  competenza,  ha
sicuramente riguardo anche alle ipotesi in cui, appunto, la causa sia
stata originariamente proposta davanti al  giudice  che  si  sia  poi
dichiarato incompetente. E cio' senza considerare che l'eccezione  di
incompetenza dell'arbitro e'  disciplinata  specificamente  dall'art.
817 cod. proc. civ., onde, se davvero la norma espressa  dal  secondo
comma dell'art. 819-ter avesse ad oggetto esclusivamente il  caso  in
cui l'arbitro si dichiari incompetente, sarebbe stato piu' logico  il
suo inserimento nel citato art. 817. 
    Si deve dunque concludere nel senso che l'art.  819-ter,  secondo
comma,  cod.  proc.   civ.,   inibisce   l'applicazione   di   regole
corrispondenti a quelle enunciate dall'art. 50 cod. proc. civ., tanto
nel caso in cui sia l'arbitro a dichiararsi incompetente a favore del
giudice statale, quanto nell'ipotesi inversa. 
    4.- Nel merito, la questione sollevata dall'arbitro di Bologna e'
ammissibile e fondata. 
    Come gia' riconosciuto da questa Corte (sentenza n. 77 del  2007)
gli  artt.  24  e  111   Cost.   attribuiscono   all'intero   sistema
giurisdizionale la funzione di assicurare la  tutela,  attraverso  il
giudizio, dei diritti  soggettivi  e  degli  interessi  legittimi  ed
impongono che la disciplina dei rapporti tra giudici appartenenti  ad
ordini diversi si ispiri al principio  secondo  cui  l'individuazione
del giudice munito di giurisdizione non deve sacrificare  il  diritto
delle parti ad ottenere una  risposta,  affermativa  o  negativa,  in
ordine al bene  della  vita  oggetto  della  loro  contesa.  Da  tale
constatazione discende, tra l'altro, la conseguenza della  necessita'
della conservazione degli effetti  sostanziali  e  processuali  della
domanda nel caso in cui la parte erri nell'individuazione del giudice
munito della giurisdizione. 
    Tali principi si impongono  anche  nei  rapporti  tra  arbitri  e
giudici, perche' la possibilita' che le parti affidino la risoluzione
delle loro  controversie  a  privati  invece  che  a  giudici  e'  la
conseguenza di specifiche previsioni dell'ordinamento. 
    Questa  Corte,  al  fine  di  verificare  la  sussistenza   della
legittimazione degli arbitri a sollevare  questioni  di  legittimita'
costituzionale,  ha  riconosciuto  che  «l'arbitrato  costituisce  un
procedimento previsto e disciplinato dal codice di  procedura  civile
per l'applicazione obiettiva del diritto nel caso concreto,  ai  fini
della  risoluzione  di  una  controversia,   con   le   garanzie   di
contraddittorio e di imparzialita' tipiche della giurisdizione civile
ordinaria. Sotto l'aspetto considerato, il giudizio arbitrale non  si
differenzia da quello che si svolge davanti agli organi statali della
giurisdizione,   anche   per   quanto   riguarda   la    ricerca    e
l'interpretazione delle norme  applicabili  alla  fattispecie»  e  ha
affermato che il giudizio degli arbitri «e' potenzialmente  fungibile
con quello degli organi della giurisdizione»  (sentenza  n.  376  del
2001). 
    Sul piano  della  disciplina  positiva  dell'arbitrato,  poi,  e'
indubbio che, con la riforma attuata con  il  decreto  legislativo  2
febbraio 2006, n. 40 (Modifiche al  codice  di  procedura  civile  in
materia di processo di cassazione  in  funzione  nomofilattica  e  di
arbitrato, a norma dell'articolo 1, comma 2, della  legge  14  maggio
2005, n. 80), il legislatore ha introdotto una  serie  di  norme  che
confermano l'attribuzione alla giustizia arbitrale  di  una  funzione
sostitutiva della giustizia pubblica. Anche  se  l'arbitrato  rituale
resta un  fenomeno  che  comporta  una  rinuncia  alla  giurisdizione
pubblica, esso mutua da quest'ultima alcuni  meccanismi  al  fine  di
pervenire ad un risultato  di  efficacia  sostanzialmente  analoga  a
quella del dictum del giudice statale. 
    Rilevano, al riguardo: l'art. 816-quinquies  (sull'ammissibilita'
dell'intervento  volontario  di  terzi  nel  giudizio   arbitrale   e
sull'applicabilita' allo stesso dell'art. 111 cod. proc. civ. in tema
di successione a titolo particolare nel diritto controverso),  l'art.
819-bis (nella parte  in  cui  presuppone  la  possibilita'  per  gli
arbitri  di  sollevare  questioni  di  legittimita'  costituzionale),
l'art. 824-bis (che ricollega al lodo, fin dalla sua  sottoscrizione,
gli effetti della sentenza pronunciata dall'autorita' giudiziaria). 
    Anche dall'esame della disciplina sostanziale emerge  che,  sotto
molti aspetti, l'ordinamento attribuisce alla promozione del giudizio
arbitrale conseguenze  analoghe  a  quelle  dell'instaurazione  della
causa davanti al giudice. Infatti, il codice civile, sia  in  materia
di prescrizione (artt. 2943 e 2945), sia in materia  di  trascrizione
(artt. 2652, 2653, 2690, 2691), equipara espressamente  alla  domanda
giudiziale l'atto con il quale  la  parte  promuove  il  procedimento
arbitrale. 
    Pertanto,   nell'ambito   di   un   ordinamento   che   riconosce
espressamente che le parti possano tutelare i  propri  diritti  anche
ricorrendo agli arbitri la cui decisione (ove  assunta  nel  rispetto
delle norme del codice di procedura civile)  ha  l'efficacia  propria
delle   sentenze   dei   giudici,   l'errore   compiuto   dall'attore
nell'individuare come competente il giudice piuttosto  che  l'arbitro
non deve pregiudicare la sua possibilita'  di  ottenere,  dall'organo
effettivamente competente, una decisione sul merito della lite. 
    Se,  quindi,  il  legislatore,   nell'esercizio   della   propria
discrezionalita' in materia, struttura l'ordinamento  processuale  in
maniera  tale  da  configurare  l'arbitrato  come  una  modalita'  di
risoluzione delle controversie alternativa a  quella  giudiziale,  e'
necessario che l'ordinamento giuridico preveda anche misure idonee ad
evitare che tale scelta abbia ricadute negative per i diritti oggetto
delle controversie stesse. 
    Una di queste misure e' sicuramente quella diretta  a  conservare
gli effetti sostanziali e processuali prodotti dalla domanda proposta
davanti al giudice o all'arbitro incompetenti, la cui  necessita'  ai
sensi dell'art. 24 Cost. sembra porsi alla stessa maniera,  tanto  se
la parte abbia errato nello scegliere tra giudice ordinario e giudice
speciale, quanto se essa abbia sbagliato nello scegliere tra  giudice
e  arbitro.  Ed  invece   la   norma   censurata,   non   consentendo
l'applicabilita' dell'art. 50 cod. proc. civ., impedisce che la causa
possa proseguire davanti  all'arbitro  o  al  giudice  competenti  e,
conseguentemente, preclude la conservazione degli effetti processuali
e sostanziali della domanda. 
    Deve essere dichiarata, pertanto, l'illegittimita' costituzionale
dell'art. 819-ter, secondo comma, cod. proc. civ., nella parte in cui
esclude l'applicabilita', ai rapporti tra arbitrato  e  processo,  di
regole corrispondenti alle previsioni  dell'art.  50  del  codice  di
procedura civile, ferma la parte restante dello stesso art. 819-ter. 
    5.- La questione sollevata dal Tribunale ordinario di Catania  e'
assorbita.