ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 81,  quarto
comma,  del  codice  penale,  promosso  dal  Tribunale  ordinario  di
Macerata nel procedimento penale a carico di P.R., con ordinanza  del
4 giugno 2014, iscritta al  n.  22  del  registro  ordinanze  2015  e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale  della  Repubblica  n.  9,  prima
serie speciale, dell'anno 2015. 
    Udito nella camera di consiglio del 21 ottobre  2015  il  Giudice
relatore Giorgio Lattanzi. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    Il Tribunale ordinario di Macerata, con ordinanza  del  4  giugno
2014 (r.o. n. 22 del 2015), ha sollevato, in riferimento agli artt. 3
e 27, terzo comma,  della  Costituzione,  questione  di  legittimita'
costituzionale  dell'art.  81,  quarto  comma,  del  codice   penale,
aggiunto dall'art. 5 della legge 5 dicembre 2005, n.  251  (Modifiche
al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in  materia  di
attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione  delle
circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione), con
particolare riguardo  ai  «casi  nei  quali  la  pena  per  il  reato
satellite debba determinarsi inderogabilmente nel massimo edittale». 
    Il Tribunale rimettente premette di  essere  investito,  in  sede
dibattimentale, del procedimento penale a carico  di  P.R.,  imputato
dei reati di cui agli artt. 628, commi primo e terzo, numero 1), cod.
pen. e 4 della legge 18 aprile 1975, n. 110 (Norme integrative  della
disciplina vigente per il controllo delle  armi,  delle  munizioni  e
degli esplosivi), e osserva che, «in caso di affermazione  di  penale
responsabilita' dell'imputato per  i  reati  allo  stesso  ascritti»,
l'art.  81,  quarto  comma,  cod.  pen.  imporrebbe  «la  irrogazione
necessitata ed inderogabile della pena per il reato di cui all'art. 4
L. 110/75 in misura pari al massimo edittale». 
    Nel caso di specie,  infatti,  il  reato  piu'  grave  e'  quello
previsto dall'art. 628, commi primo e terzo, numero  1),  cod.  pen.,
che e' punito con la pena della reclusione non inferiore a 4 anni e 6
mesi; il Tribunale, quindi - in base all'ultimo  comma  dell'art.  81
cod. pen., secondo cui, per coloro ai quali sia  stata  applicata  la
recidiva reiterata (art. 99, quarto comma, cod. pen.),  l'aumento  di
pena per il cosiddetto reato  satellite  «non  puo'  essere  comunque
inferiore ad un terzo della pena stabilita per il reato piu' grave» -
dovrebbe applicare, per il reato di porto di armi od oggetti atti  ad
offendere, contestato in continuazione con la  rapina  aggravata,  la
pena della reclusione di un anno, «dovendosi  rispettare  il  vincolo
del non superamento della pena massima  edittale  prevista  per  tale
reato». 
    La questione  sarebbe  rilevante,  anche  perche'  «la  serie  di
gravissimi  e  specifici   precedenti   dell'imputato,   la   ammessa
consumazione di altra rapina in data  19  agosto  2009  [....]  e  la
gravita' del fatto per il quale si procede (compiuto da piu'  persone
travisate, con taglierino ed arma giocattolo - oggetto non pericoloso
ma tale da intimidire i presenti) sono elementi che appaiono tali  da
poter imporre l'applicazione della contestata recidiva». 
    Inoltre, prosegue il giudice a quo, «non sono  stati  evidenziati
dalla  difesa  elementi  inerenti  la  possibile  concessione   delle
attenuanti   generiche»,   che   comunque,   ancorche'   concesse   e
riconosciute  equivalenti  alla  recidiva,  non   escluderebbero   la
rilevanza della questione sollevata, considerato che il  giudizio  di
equivalenza  «presupporrebbe,  comunque,  la   "applicazione"   della
recidiva, che viene in rilievo ad elidere le  concesse  attenuanti  e
che, pertanto, ha piena efficacia per gli effetti di cui all'art.  81
u.c.c.p.». 
    Infine, «[l]a contestualita' delle condotte e  la  finalizzazione
del porto del taglierino alla commissione della rapina  imporrebbero,
ad avviso del tribunale, l'applicazione della  disciplina  del  reato
continuato tra tale reato e quello di rapina». 
    La questione sarebbe, inoltre, non manifestamente  infondata  con
riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost. 
    La norma censurata violerebbe l'art. 3 Cost.  innanzitutto  sotto
il profilo dell'irragionevole disparita' di trattamento, in  caso  di
riconoscimento della continuazione, tra il condannato cui  sia  stata
applicata la recidiva prevista dall'art. 99, quarto comma, cod.  pen.
e quello che non si trovi in tale situazione. 
    Ad avviso del giudice a quo, l'aumento per la  continuazione  nel
caso di specie comporterebbe «una pena estremamente rigorosa, pari al
massimo  della  pena  edittale  prevista  per  il  reato  satellite»,
nonostante si tratti del «porto di un mero  taglierino  e,  pertanto,
[di] un fatto oggettivamente di per se' non connotato da  particolare
gravita'». 
    L'art. 3 Cost. sarebbe violato  anche  per  la  parificazione  di
situazioni fattuali differenti, in quanto l'applicazione dell'aumento
di pena imposto dall'art. 81, quarto comma, cod.  pen.,  «comportando
l'obbligatoria irrogazione del massimo della pena previst[a]  per  il
reato satellite, puo' impedire  ogni  differenziazione  sanzionatoria
tra le possibili condotte sussumibili  sub  art.  4  l.  110/75,  con
conseguente  irragionevole  irrilevanza  del  profilo  oggettivo  del
reato». 
    La norma censurata contrasterebbe  inoltre  con  l'art.  3  Cost.
sotto il profilo «della diversa quantificazione  proporzionale  della
pena  tra  reato  base  e  reato  satellite»,   in   quanto   sarebbe
«irrazionale che la pena per il reato base possa essere  quantificata
dal giudice in misura anche molto distante dal  massimo  della  pena,
valutate tutte le circostanze del caso concreto,  mentre  quella  del
reato   satellite   possa   essere   inderogabilmente   vincolata   a
quantificazione nel massimo edittale». 
    Da ultimo l'art.  3  Cost.  sarebbe  violato  «per  irragionevole
differenza del trattamento sanzionatorio rispetto  alla  ipotesi  dei
medesimi reati non in continuazione», in quanto  «il  medesimo  fatto
[viene] sanzionato con pena variabile entro  un  significativo  range
edittale in caso di commissione dello stesso non in continuazione con
altro piu' grave, mentre ove il medesimo fatto, commesso dallo stesso
soggetto, sia commesso in continuazione con altro piu' grave reato la
norma censurata fa si' che possa essere imposta  per  tale  fatto  la
irrogazione di una pena "fissa" e determinata nel massimo edittale». 
    La norma censurata sarebbe in  contrasto  anche  con  l'art.  27,
terzo  comma,  Cost.  «sotto  il  profilo  della  assenza   di   ogni
possibilita'  di  modulare  la  pena  in  relazione  alla  necessaria
funzione rieducativa della  stessa»,  infatti  l'applicazione  dovuta
«della pena massima edittale comporta per  il  giudice  l'assenza  di
ogni discrezionalita' nella quantificazione della pena irroganda, con
consequenziale  impossibilita'  di  tenere   conto   delle   varianti
oggettive e soggettive del caso concreto». 
    Nel caso di specie, ad esempio, la non particolare  pericolosita'
dell'arma e le condizioni soggettive dell'imputato  -  «soggetto  con
difficili esperienze di vita pregresse, privo di occasioni di  lecita
attivita' lavorativa, e che non si ritiene meritevole  di  una  "pena
esemplare" in relazione a tale reato» -  avrebbero  giustificato,  ad
avviso del Tribunale rimettente, «una sanzione ben minore del massimo
edittale imposto dalla norma della cui illegittimita' si dubita». 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Tribunale ordinario di  Macerata  dubita,  in  riferimento
agli  artt.  3  e  27,  terzo  comma,   della   Costituzione,   della
legittimita' costituzionale dell'art. 81, quarto  comma,  del  codice
penale, aggiunto dall'art. 5 della legge  5  dicembre  2005,  n.  251
(Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n.  354,  in
materia  di  attenuanti  generiche,  di  recidiva,  di  giudizio   di
comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di
prescrizione), con particolare riguardo ai «casi nei  quali  la  pena
per  il  reato  satellite  debba  determinarsi  inderogabilmente  nel
massimo edittale». 
    Ad avviso del Tribunale rimettente, la norma censurata si pone in
contrasto con l'art. 3 Cost. in quanto, se l'imputato non e' recidivo
reiterato, l'aumento di pena per il  cosiddetto  reato  satellite  e'
libero, mentre, se lo e', «l'obbligo di aumento non inferiore  ad  un
terzo della pena per il reato base [...] puo' comportare  un  aumento
obbligato della pena relativa al reato satellite di entita'  tale  da
non trovare possibile giustificazione  nella  mera  veste  soggettiva
dell'imputato (recidivo reiterato)». Cio' darebbe luogo, in casi come
quello di specie, a «una pena estremamente rigorosa, pari al  massimo
della pena edittale prevista per il reato satellite»,  nonostante  si
tratti di «un fatto  oggettivamente  di  per  se'  non  connotato  da
particolare gravita'». 
    L'art. 3 Cost. sarebbe anche violato, sia per la parificazione di
situazioni fattuali tra loro  differenti,  in  quanto  l'applicazione
dell'aumento di pena imposto dall'art. 81, quarto comma,  cod.  pen.,
«comportando  l'obbligatoria  irrogazione  del  massimo  della   pena
previst[a]   per   il   reato   satellite,   puo'    impedire    ogni
differenziazione sanzionatoria tra le possibili condotte  sussumibili
sub  art.  4  l.  110/75»,  sia  per  la   «diversa   quantificazione
proporzionale della pena tra reato base e reato satellite». 
    La norma censurata sarebbe inoltre  in  contrasto  con  l'art.  3
Cost., «per irragionevole differenza  del  trattamento  sanzionatorio
rispetto alla ipotesi dei medesimi reati non in continuazione». 
    Infine la questione di legittimita' costituzionale dell'art.  81,
quarto comma, cod. pen. sarebbe non  manifestamente  infondata  anche
con riferimento all'art. 27, terzo comma,  Cost.  «sotto  il  profilo
della assenza di ogni possibilita' di modulare la pena  in  relazione
alla necessaria funzione rieducativa della stessa». 
    2.- La questione e' inammissibile per una duplice ragione. 
    2.1.- In  primo  luogo  e'  insufficiente  la  descrizione  della
fattispecie. 
    Nel sollevare la questione, il  giudice  rimettente,  dopo  avere
premesso  di  essere   investito,   in   sede   dibattimentale,   del
procedimento penale a carico di P.R., imputato dei reati di cui  agli
artt. 628, commi primo e terzo, numero 1), cod. pen. e 4 della  legge
18 aprile 1975, n. 110 (Norme integrative  della  disciplina  vigente
per il controllo delle armi, delle munizioni e degli  esplosivi),  ha
osservato che, «in caso di  affermazione  di  penale  responsabilita'
dell'imputato per i reati  allo  stesso  ascritti»,  dovebbe  trovare
applicazione l'art. 81, quarto comma, cod. pen.,  sia  perche'  «[l]a
contestualita' delle condotte  e  la  finalizzazione  del  porto  del
taglierino  alla  commissione   della   rapina   imporrebbero   [...]
l'applicazione della disciplina del reato continuato tra tale reato e
quello di rapina», sia perche' «la serie di  gravissimi  e  specifici
precedenti dell'imputato, la ammessa consumazione di altra rapina  in
data 19 agosto 2009 [...] e la gravita' del fatto  per  il  quale  si
procede [...] sono  elementi  che  appaiono  tali  da  poter  imporre
l'applicazione della contestata recidiva». 
    Il Tribunale rimettente pero' non dice se la  recidiva  reiterata
era stata applicata  con  una  precedente  sentenza,  anteriore  alla
commissione dei reati per i quali si  procede,  o  se  l'applicazione
sarebbe avvenuta per  la  prima  volta  nel  giudizio  a  quo,  e  la
precisazione  era   necessaria   perche',   secondo   la   prevalente
giurisprudenza di legittimita' (Corte di  cassazione,  prima  sezione
penale, 26 marzo 2013, n. 18773; terza sezione penale,  28  settembre
2011, n. 431/2012; prima sezione penale, 1° luglio  2010,  n.  31735;
prima sezione penale, 2 luglio 2009, n. 32625),  e'  solo  nel  primo
caso che trova applicazione l'art. 81, quarto comma, cod. pen. 
    Era stata inizialmente questa stessa  Corte  a  rilevare  che  la
«consecutio  temporum  delle  voci  verbali  impiegate  ("reati   ...
commessi da  soggetti  ai  quali  sia  stata  applicata  la  recidiva
prevista dall'articolo 99, quarto  comma")»  poteva  logicamente  far
riferire la norma impugnata «al caso  in  cui  l'imputato  sia  stato
ritenuto recidivo reiterato con una precedente sentenza  definitiva».
All'epoca tuttavia la  Corte  aveva  considerato  «non  implausibile»
anche il diverso  orientamento  del  giudice  rimettente,  che  aveva
mostrato  implicitamente  di  considerare  la  norma   in   questione
applicabile «al caso in  cui  l'imputato  venga  dichiarato  recidivo
reiterato in rapporto agli  stessi  reati  uniti  dal  vincolo  della
continuazione» (ordinanza n. 193 del 2008). 
    La successiva giurisprudenza della Corte di  cassazione,  tenendo
conto della «assoluta eccezionalita' della  disposizione  in  esame»,
aveva ritenuto di dover  «seguire  l'interpretazione  restrittiva  in
qualche modo suggerita  dallo  stesso  Giudice  delle  leggi  traendo
spunto dalla costruzione lessicale della formula normativa», e  aveva
escluso l'applicabilita' dell'art. 81, quarto comma,  cod.  pen.,  se
«non risulta[va] che l'imputato  era  stato  gia'  ritenuto  recidivo
all'epoca della commissione dei reati» oggetto del giudizio (Corte di
cassazione, prima sezione penale, 2 luglio 2009, n. 32625). 
    Cio' posto,  la  questione  sul  momento  di  applicazione  della
recidiva reiterata  non  puo'  essere  elusa,  sicche'  il  Tribunale
rimettente  avrebbe  dovuto  precisare  se  nel  caso  in   questione
l'applicazione era avvenuta con  una  precedente  sentenza  anteriore
alla commissione dei reati per i quali si procede. Ove cio' non fosse
avvenuto e tuttavia avesse ritenuto ugualmente applicabile  la  norma
impugnata, dovendo egli stesso applicare la  recidiva  reiterata,  il
Tribunale avrebbe avuto l'onere di dare  una  plausibile  spiegazione
della sua diversa interpretazione di tale norma. 
    La mancanza delle necessarie indicazioni impedisce a questa Corte
di  verificare  la  rilevanza  della  questione,  che   e'   pertanto
inammissibile (ex multis, ordinanze n. 16  del  2014  e  n.  295  del
2013). 
    2.2.- In secondo luogo  la  questione  e'  inammissibile  perche'
muove da un erroneo presupposto interpretativo. 
    Nel giudizio a quo all'imputato sono addebitati i reati di rapina
aggravata (artt. 628, commi primo e terzo, numero 1, cod. pen.) e  di
porto di armi od oggetti atti ad offendere (art. 4 della legge n. 110
del 1975) e il Tribunale rimettente rileva che il reato  piu'  grave,
cioe' la rapina aggravata, e' punito con la pena della reclusione non
inferiore a 4 anni e 6  mesi,  sicche',  a  norma  dell'ultimo  comma
dell'art. 81  cod.  pen.  (secondo  cui  l'aumento  di  pena  per  il
cosiddetto reato satellite non puo' essere inferiore a un terzo della
pena stabilita per il reato piu' grave), per il  reato  di  porto  di
armi od oggetti atti ad offendere, contestato in continuazione con la
rapina, si imporrebbe l'applicazione, a titolo di  continuazione,  di
un anno di reclusione,  «dovendosi  rispettare  il  vincolo  del  non
superamento della pena massima edittale prevista per tale reato». 
    Il giudice a quo pero' non considera che l'art. 81, quarto comma,
cod. pen. fa salvi i limiti precedentemente indicati al terzo  comma,
il quale, a sua volta, stabilisce che, nei casi di concorso formale e
di reato continuato, «la pena non puo' essere superiore a quella  che
sarebbe applicabile a norma degli articoli precedenti»,  cioe'  degli
articoli che disciplinano appunto il cumulo materiale delle pene. 
    Cio' significa che la pena derivante  dal  cumulo  giuridico  non
puo' superare la pena che, in concreto, il giudice  avrebbe  inflitto
in caso di cumulo materiale. E' da aggiungere che, come ha  precisato
la Corte di cassazione (prima  sezione  penale,  2  luglio  2009,  n.
32625), il riferimento  alla  pena  applicabile  in  caso  di  cumulo
materiale e' evidentemente alla pena che il giudice ritiene  adeguata
alla fattispecie concreta,  non  certo  a  quella  massima  edittale,
comminata dalla legge,  come  invece  sembra  ritenere  il  Tribunale
rimettente. 
    Percio', il presupposto interpretativo dal quale muove il giudice
a quo - secondo cui in base alla norma impugnata  si  sarebbe  dovuto
applicare, a titolo di  aumento  per  la  continuazione,  il  massimo
edittale allora vigente per il reato previsto dall'art. 4 della legge
n. 110 del 1975, cioe' un anno di reclusione - e' erroneo. 
    All'epoca  della  commissione   dei   reati   in   questione   la
contravvenzione di porto di armi od oggetti  atti  ad  offendere  era
punita «con l'arresto da un mese ad un anno e con l'ammenda  da  euro
51 a euro 206», ed e' nell'ambito di questa cornice edittale  che  il
Tribunale  avrebbe  potuto  determinare  la  sanzione  per  il  reato
satellite, stabilendola in una misura prevedibilmente  assai  diversa
da quella di un anno di reclusione, alla quale e' stata collegata  la
questione per denunciare la violazione dell'art. 3 Cost. 
    L'evidente erroneita' del presupposto interpretativo dal quale il
giudice rimettente ha  preso  le  mosse  comporta  l'inammissibilita'
della questione di legittimita' costituzionale (sentenze n.  218  del
2014, n. 249 del 2011 e n. 125 del 2009).